lunedì 1 giugno 2015

Ascoltando Caterina



Nell’affidare agli apostoli il compito di portare a tutti gli uomini la salvezza, Gesù non fa conto sulle scaltrezze umane, sui mezzi disponibili, o sull’acutezza nell’analizzare i processi sociali. Cristo si sceglie un popolo con un mistero di predilezione, ma nell’inviare i suoi, si affida alla loro fragilità, così che sia evidente che la missione vive solo per l’opera dello Spirito Santo. Cristo vuole uscire a incontrare gli uomini e le donne di ogni tempo. La missione è opera sua.
Per questo la misericordia, la prossimità, la tenerezza, a cui ci richiama sempre Papa Francesco, non sono “accorgimenti tattici” di una strategia di espansione, ma sono piuttosto tratti distintivi. Sono il segno rivelatore che è Gesù stesso, con il suo Spirito, che muove alla missione e la alimenta. La docilità allo Spirito, l’umile familiarità al mistero trinitario, rende fecondi e coraggiosi. Rende creativi e liberi.
Celebrando la santa Messa in questa basilica, a conclusione delle giornate di studio e dialogo su questioni che toccano la condizione delle donne nel tempo presente, è naturale pensare a santa Caterina da Siena. Lei, che ha contemplato con vertiginosa intimità il mistero dell’amore trinitario, testimonia con la sua vita che il culmine della partecipazione docile a quel mistero coincide con il massimo della libertà. Cristo ci ha liberato perché rimanessimo liberi, come era libera lei anche quando si rivolgeva al Papa, al «dolce Cristo in Terra», con toni appassionati di filiale sottomissione, ma senza alcuna umana adulazione, per sollecitare la riforma interiore della Chiesa.
Nella sua familiarità con il mistero trinitario, Caterina arrivava ad affermare che Dio è «pazzo d’amore» per le sue creature. E la sua «pazzia d’amore», si chiama misericordia: «Con la misericordia tua — scrive Caterina parlando a Dio, nel Dialogo della divina Provvidenza — mitighi la giustizia; per misericordia ci hai lavati nel Sangue; per misericordia volesti conversare con le tue creature. O pazzo d’amore! Non ti bastò d’incarnare, che anco volesti morire?» (capitolo XXX).
L’amore di Dio per ognuno di noi è gratuito e senza misura: «Io amo voi di grazia e non di debito» fa dire a Dio Caterina nella sua opera; e poi spiega che Dio, pur desiderando di essere ricambiato con lo stesso amore con cui ci ama, sa bene che non siamo in grado di farlo e dunque ci chiede di rivolgere questo amore al nostro prossimo, ai poveri, alle fragili creature umane con cui condividiamo il cammino. Per questo il criterio con cui trattiamo i poveri sarà quello con il quale verremo giudicati.
Mi auguro che, confrontandovi alla luce del Vangelo con i problemi spesso brucianti che toccano la condizione delle donne nel nostro tempo, possiate avvertire la vertigine di grazia e di libertà che vibrava nella maternità spirituale di santa Caterina, la libertà inconfondibile dei figli di Dio. Solo quella vertigine permette anche ai nostri discorsi di lasciare intravvedere la dolce vittoria di Cristo offerta a tutti, chiamati a gustare la Sua misericordia e a essere felici.

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Si è concluso il seminario internazionale su Chiesa e donne. Per proiettarsi al futuro 
L'Osservatore Romano
(Lucetta Scaraffia) La Chiesa ha un ricco patrimonio a cui attingere anche, se non soprattutto, per migliorare la condizione delle donne nel mondo, ma non se ne rende conto. Anche perché chi decide e chi fa progetti sono solo uomini, poco interessati alle questioni femminili. Con questo seminario abbiamo voluto proporre per la prima volta un punto di vista femminile — e soluzioni femminili — a molti dei problemi e delle situazioni difficili che le donne vivono nel mondo, attingendo al patrimonio cristiano, e in particolare cattolico.
La situazione delle donne oggi è al centro di una tensione che percorre il rapporto fra religioni diverse, è al centro di un confronto mondiale fra religioni e culture che sarà decisivo per il futuro dell’umanità. Il quadro geopolitico sta cambiando: di fronte alla crisi della politica è inevitabile che si rafforzi l’ascesa della religione, e in particolare la centralità del ruolo che la Chiesa cattolica romana è chiamata a svolgere. Di recente Manlio Graziano ha scritto di una nuova santa alleanza fra le principali religioni (cristianesimo, ebraismo e islamismo), che possono divenire degli autentici mediatori etici delle moderne società post-secolari. Di questa santa alleanza la Chiesa di Roma e il Papa potrebbero diventare il perno centrale, attorno al quale potrebbero ruotare le altre confessioni. Infatti, secondo Graziano, grazie alla sua struttura centralizzata, la Chiesa di Roma è l’unica capace di promuovere una strategia su scala globale.
Il ritorno delle religioni sulla scena internazionale è stato considerato da analisti, studiosi e diplomatici come un aspetto dell’avvento di un’era post-secolare che riguarderebbe, dunque, non solo gli affari interni di alcuni Paesi. Ma all’interno di questo quadro la condizione delle donne assume un significato decisivo: solo nel cristianesimo, infatti, si è attestata una vera eguaglianza spirituale, base simbolica per costruire poi una vera eguaglianza sociale. È quindi particolarmente importante che, proprio in questo momento, la Chiesa ritorni a prendere contatto con le proprie origini “femministe”, evitando così di ricadere, per influenza delle altre religioni, rigidi modelli conservatori.
Ma non dobbiamo solo pensare che la Chiesa — spinta dal cambiamento della condizione della donna avvenuta nel mondo esterno — si debba adeguare alle ideologie che questo le contrappone. Senza dubbio, la trasformazione della condizione femminile nei Paesi avanzati serve da stimolo e da suggerimento ai cambiamenti interni che la Chiesa — come ha affermato più volte Papa Francesco — è chiamata a realizzare. Ma c’è di più: uno sguardo femminile sulla tradizione cristiana è essenziale per ritrovare in essa le risposte a molti problemi delle donne di oggi, problemi che nel mondo laico non vengono affrontati e addirittura, in molti casi, neppure considerati. Li abbiamo focalizzati nel corso del seminario.
Il femminismo ha fatto prevalere cultura su natura e ha rappresentato la procreazione come un fatto culturale e non naturale. La Chiesa all’opposto ha cercato di riportare la procreazione nell’ambito naturale. D’altra parte, però, la tradizione cristiana ha operato una profonda “culturizzazione” della sessualità. Non è un caso perciò che la rivoluzione sessuale si ispiri alla naturalità della libertà sessuale per attaccare la morale cristiana, che l’avrebbe ostacolata creando nevrosi e malattie. Sarà importante, per costruire una nuova identità della donna rispettosa della sua natura materna, sciogliere questo intreccio contraddittorio fra natura e cultura, che rischia di ingabbiarla.
Un problema che soggiace a ogni costruzione di nuova identità è quello dell’uguaglianza dei sessi: in una condizione di oppressione la donna viene definita solo attraverso il suo sesso, così il femminismo ha pensato che fosse necessario definirla come asessuata, svalorizzando la ricchezza della maternità. L’emancipazione si è accompagnata quindi a una totale svalorizzazione del corpo, e a una conseguente “mascolinizzazione” dell’identità femminile. Questo processo è tanto più forte in quanto si accompagna a una fede nella scienza così radicata da illudere molti che i problemi dell’umanità potranno essere risolti attaccando i nostri limiti biologici e cognitivi. E quindi anche la specificità sessuale. Da questo nascono nuove forme di sfruttamento del corpo delle donne, come la vendita di ovuli e l’utero in affitto.
Questo atteggiamento porta a dimenticare che per le donne è fondamentale l’aspetto relazionale, e che la prospettiva della maternità rimane un elemento consustanziale dell’esistenza femminile. Che le donne sono individui anti-individualisti. Per questo il loro ruolo nella famiglia è così importante. Ma è anche per questo che i nuovi ruoli che le donne, in ogni parte del mondo, sanno disegnare nella società sono così importanti e rivoluzionari.
Sono rivoluzionari anche perché, riproponendo la specificità femminile, sfuggono a quella omologazione al neutro che la cultura dominante impone: perché il nostro è senza dubbio un tempo di distacco, come ha detto Zanchi, «fra quello che la coscienza sente e i codici di senso che la cultura dispone».
A questo proposito vorrei ricordare le migliaia di lucchetti che ormai devastano i parapetti dei ponti nelle più importanti città del mondo: sono orribili, ma ognuno di loro rappresenta la speranza di una coppia di durare per sempre. Essi costituiscono un esempio visibile a tutti della tensione che passa fra l’aspirazione profonda di ciascuno e la realtà che poi queste coppie effimere per grandissima parte sono chiamate a vivere.
A portare uno sguardo critico su questa cultura omologata, premessa a ogni intervento che rinnovi le identità senza cadere nell’informe senza futuro, è senza dubbio un punto di vista femminile radicato nella tradizione cristiana.
Ormai in molti, soprattutto giovani, si stanno accorgendo che il punto di vista cristiano è l’unico veramente libero, veramente rivoluzionario rispetto ai pesanti condizionamenti culturali ai quali siamo sottoposti. Non è sempre stato così: si tratta di una novità, e forse per questo molti continuano a essere incapaci di scorgerla.

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La nonna di Gesù. Storia di un culto antico
L'Osservatore Romano - Donne, chiesa, mondo
(Lucetta Scaraffia) L’arte sacra non ha mai dato spazio alle donne anziane: Maria e le sante sono sempre giovanissime, o ritratte in un’immobile bellezza regale senza età. Solo la raffigurazione di Anna, madre di Maria, fa eccezione a questa regola, e anche questa non sempre: Leonardo, ad esempio, nella meravigliosa opera conservata al Louvre in cui ritrae Anna con la Vergine e il Bambino, la dipinge giovane e bellissima come la figlia. Ma la sua resta una delle poche eccezioni. 
Nella serie imponente di opere nelle quali Anna è raffigurata, la troviamo nettamente differenziata dalla figlia, giovane o giovanissima, sia per i tratti del volto che per i colori e la foggia dei vestiti, la statura e vari altri segni, che ci permettono di ricostruire, attraverso il suo esempio, l’immagine della donna anziana nella società e nella tradizione cristiana per un lunghissimo arco di tempo. Più raramente il suo volto è solcato da rughe, per dare maggiore verosimiglianza alla sua età: la donna vecchia era percepita come figura inquietante, invidiosa delle donne giovani e belle, che potevano ancora generare. Non per nulla, per alcuni secoli, ogni donna anziana era considerata potenzialmente una strega.
Il numero delle opere dedicate rivela l’importanza della madre di Maria: la nonna di Gesù è oggetto di un culto antico e fiorente, anche se non è menzionata neppure una volta nei vangeli canonici. Ne parla molto, però, il Protovangelo di Giacomo, cioè il testo attribuito all’apostolo che è stato citato più volte come “fratello” di Gesù e quindi considerato suo parente stretto, che poteva essere al corrente delle storie di famiglia. Ad Anna, nata in una famiglia della tribù di Giuda — anch’essa quindi di stirpe reale come Giuseppe — era anche attribuita una sorella, poi madre di Elisabetta, che partorisce a sua volta Giovanni Battista. Il suo matrimonio con Gioacchino è segnato da vent’anni di sterilità, per la quale l’uomo viene schernito al tempio. In risposta alle preghiere di Anna, arriva una gravidanza insperata: nasce Maria, che viene donata al tempio all’età di tre anni. Ma la storia di Anna non finisce qui: morto Gioacchino, sarebbe andata in sposa successivamente ai suoi due cognati, dai quali avrebbe avuto altre due figlie, tutte di nome Maria, a loro volta madri di figli maschi che sarebbero diventati apostoli di Gesù. Questa storia viene ripresa — e resa celebre — dalla Legenda aurea di Jacopo da Varagine, nella Vita della Vergine.
Non ci dobbiamo stupire, allora, che questa improvvisa e insperata fertilità di Anna l’abbia fatta diventare la protettrice delle donne sterili e delle partorienti. Meno evidente invece appare la sua carriera come santa dei minatori — veste nella quale la conobbe Lutero, figlio di un minatore, e in gioventù a lei devotissimo — che alcuni interpretano come «colei che conserva nelle viscere un gioiello». Altri invece preferiscono attribuire questa qualifica all’assonanza del suo nome con quello della dea celtica della montagna, Ana.
Su queste notizie, per un certo verso anche inquietanti, si costruisce il culto alla nonna di Gesù, confermato poi dalle visioni di santa Coletta — all’inizio irritata dalla complessa vita matrimoniale di Anna, poi sua grande sostenitrice — in base alle quali si costruisce anche un nuovo modello iconografico, quello della Santa parentela.
A parte questo testo, la storia di Anna è soprattutto una storia di immagini, che sono particolarmente eloquenti e aprono scenari insospettati. Anna viene ritratta da sola molto raramente, di solito è con la Vergine e il nipotino, ma in molti casi, specialmente nel nord dell’Europa, accanto a lei si accalcano i numerosi discendenti che, uniti ai mariti e alle sorelle, possono far arrivare i personaggi ritratti addirittura a 29. 
Ma il numero a lei più spesso collegato è il 3: anche se, nella sua prima immagine, un affresco a Santa Maria Antiqua, accanto a lei sono dipinte altre due madri, Maria ed Elisabetta, il trio più diffuso è quello con la figlia e il nipotino, tanto che queste opere vengono abitualmente chiamate Sant’Anna trinitaria. Questo trio può essere raffigurato in orizzontale, ma più spesso è su scala verticale, e Anna lo domina, per statura e imponenza protettiva. In una società patriarcale questa immagine, dalla quale sono espunti sia Gioacchino che Giuseppe, offre un esempio di potere matriarcale. È evidente — e lo si deduce già dal nome — che le tre figure sembrano riproporre, in dimensione umana e femminile, la Trinità. In alcune opere, come la Sant’Anna trinitaria di Masaccio e Masolino conservata agli Uffizi, questa somiglianza con il modello trinitario è evidente, e sicuramente ricercata dall’artista stesso, e del resto ci sono almeno due chiese — una a Firenze e una a Como — nelle quali alla trinità “femminile” viene affiancata quella “maschile”, con il Padre che tiene sulle ginocchia il Figlio crocifisso mentre su di loro vola la colomba che raffigura lo Spirito santo. La parentela umana, corporea, di Gesù, costituisce una trinità femminile e umana che si affianca a quella divina, sottolineando una volta di più il contributo femminile all’Incarnazione.
La Santa parentela, invece, che offre l’occasione di raffigurare tante persone di età diverse e che allude chiaramente all’importanza della famiglia e del lignaggio, con il suo ricondurre anche l’adesione degli apostoli principali a un legame di famiglia si distacca vistosamente dall’universalità del messaggio di Gesù. 
Anna può anche essere inquietante: nella xilografia di Hans Baldung del 1511, in cui, seduta accanto alla Vergine, tiene tra le mani l’organo sessuale del Bambino, il suo volto non è certo benevolo. E capiamo allora perché pare così allarmato Giuseppe, che controlla la scena dall’alto di un muretto. Forse si tratta solo di una delle tante opere in cui la sessualità di Gesù Bambino viene esibita per rafforzare il dogma dell’Incarnazione, ma uno storico del Rinascimento, Jean Wirth, sospetta invece che quest’opera riveli come Anna, in quanto donna anziana, fosse considerata una strega. E vede in questo la prova di quanto fossero considerate inquietanti e sospette queste donne, che del resto — data la brevità della vita umana, e soprattutto di quella femminile, decimata dai parti — non dovevano essere numerose.
Dopo la spaccatura di Lutero, sulle immagini di Anna pesarono molto le critiche dei protestanti, così che dopo Trento vediamo che la sua raffigurazione subisce un profondo restyling: scompare definitivamente come soggetto la Santa parentela (di impianto decisamente matriarcale), che viene sostituita dalla Sacra famiglia, dove un posto importante occupa Giuseppe. Anna può essere aggiunta, ma la presenza di Giuseppe diventa obbligatoria — talvolta ricompare perfino Gioacchino — e la figura della nonna, dipinta ormai decisamente come anziana, diventa marginale. Oppure può avere ancora un posto per sé, accanto alla figlia, mentre le insegna a leggere. Quest’ultimo tipo di raffigurazione — anche se si può considerare una diminuzione rispetto al ruolo dominante di protettrice che svolgeva prima — ha comunque avuto un riflesso sociale positivo nel favorire l’alfabetizzazione delle donne, e più in generale la loro dimestichezza con il mondo della lettura. 
Anna viene così privata del suo potere — sia positivo che negativo — ma acquista il ruolo di educatrice, di colei che trasmette la tradizione della fede, che sarà poi proposto a tutte le donne nell’Ottocento. Ed è l’ennesima prova che i simboli femminili, nella tradizione cattolica, sono sempre stati molto importanti e ricchi di significato.

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Osservatore Romano - Inserto Donne, chiesa, mondo (Articoli) 

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