giovedì 11 giugno 2015

Civiltà Cattolica: «CUSTODIRE L'INTERA CREAZIONE».



Editoriale de "La Civiltà Cattolica"
«CUSTODIRE L'INTERA CREAZIONE». UN SERVIZIO DEL VESCOVO DI ROMA
Nel 1971 il Beato Paolo VI, nella Lettera apostolica scritta per l’80° anniversario della pubblicazione della Rerum novarum, rivolse ai fedeli un invito profetico relativo a «nuove prospettive» alle quali il cristiano «deve dedicare la sua attenzione, per assumere, insieme con gli altri uomini, la responsabilità di un destino diventato ormai comune». Le nuove prospettive indicate dal Papa erano quelle di un «problema sociale di vaste dimensioni che riguarda l’intera famiglia umana», e furono affrontate nel paragrafo dal titoloL’ambiente naturale.
Come la Chiesa ha inteso, almeno negli ultimi 50 anni, la preoc­cupazione ecologica? L’ambiente è ancora la nostra «casa»? Qual è il messaggio del Magistero a proposito di un tema che si è andato imponendo sempre di più e che adesso diventa, grazie all’Enciclica di Papa Francesco, un capitolo importante della Dottrina sociale della Chiesa? Il Pontefice lo aveva detto proprio nell’omelia del giorno dell’inaugurazione del suo ministero petrino, il 19 marzo 2013: «Custodire l’intera creazione» è «un servizio che il Vescovo di Roma è chiamato a compiere».
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La responsabilità di un destino comune. In un linguaggio aulico, tanto da apparire antico, Paolo VI aveva scritto, quasi mezzo secolo fa, con lungimiranza e con saggezza del tutto a noi contemporanea e aperta al futuro: «Mentre l’orizzonte dell’uomo si modifica, in tale modo, tramite le immagini che sono scelte per lui, un’altra trasformazione si avverte, conseguenza tanto drammatica quanto inattesa dell’attività umana. L’uomo ne prende coscienza bruscamente: attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura, egli rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione. Non soltanto l’ambiente materiale diventa una minaccia permanente: inquinamenti e rifiuti, nuove malattie, potere distruttivo totale; ma è il contesto umano, che l’uomo non padroneggia più, creandosi così per il domani un ambiente che potrà essergli intollerabile» (Octogesima adveniens, n. 21).
Lo sfruttamento irrazionale della natura non solo danneggia gravemente l’ambiente, ma pone anche un grave problema sociale e umano. Il messaggio fondamentale di Paolo VI, rimasto per lo più inascoltato per decenni dai responsabili economici e politici, ha bisogno di essere ripetuto e messo in evidenza anche al giorno d’oggi.
Tra gli anni Settanta e gli inizi degli anni Novanta, in molte società la consapevolezza delle minacce ecologiche è cresciuta in maniera consistente e progressiva. San Giovanni Paolo II è stato il primo Papa a parlare delle conseguenze della crescita industriale, delle massicce concentrazioni urbane e del notevole aumento del fabbisogno energetico.
A parlare della crescita di questa consapevolezza ecologica di quegli anni fu Papa Benedetto XVI, molti anni dopo, davanti al Parlamento federale tedesco, il 22 settembre 2011, durante il suo viaggio apostolico in Germania: «La comparsa del movimento ecologico nella politica tedesca a partire dagli anni Settanta, pur non avendo forse spalancato finestre, tuttavia è stata e rimane un grido che anela all’aria fresca, un grido che non si può ignorare né accantonare perché vi si intravede troppa irrazionalità. Persone giovani si erano rese conto che nei nostri rapporti con la natura c’è qualcosa che non va; che la materia non è soltanto un materiale per il nostro fare, ma che la terra stessa porta in sé la propria dignità e noi dobbiamo seguire le sue indicazioni». E proseguì, confermando l’attualità di quelle istanze: «Quando nel nostro rapporto con la realtà c’è qualcosa che non va, allora dobbiamo tutti riflettere seriamente sull’insieme e tutti siamo rinviati alla questione circa i fondamenti della nostra stessa cultura».
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San Giovanni Paolo II: ecologia ambientale ed ecologia umana. San Giovanni Paolo II — sensibile ai segni dei tempi — ha espresso questa sensibilità nella sua EnciclicaSollicitudo rei socialis (SRS) (30 dicembre 1987), affermando che «occorre tener conto della natura di ciascun essere e della sua mutua connessione in un sistema ordinato, che è appunto il cosmo» (SRS 34). E ha specificato le radici bibliche della questione ecologica, mettendo in evidenza come «la limitazione imposta dallo stesso Creatore fin dal principio, ed espressa simbolicamente con la proibizione di “mangiare il frutto dell’albero” (Gen 2,16), mostri con sufficiente chiarezza che, nei confronti della natura visibile, siamo sottomessi a leggi non solo biologiche, ma anche morali, che non si possono impunemente trasgredire» (ivi).
Alla fine degli anni Ottanta, il Pontefice metteva in guardia dall’usare le risorse naturali — alcune delle quali non sono rinnovabili — come se fossero inesauribili. E vedeva inoltre nell’industrializzazione un rischio per la contaminazione dell’ambiente e per la qualità della vita (cfr ivi).
In particolare, il suo Messaggio per la XXIII Giornata Mondiale della pace fu tutto centrato sul tema Pace con Dio Creatore. Pace con tutto il creato (1° gennaio 1990). Il suo pensiero fu espresso con chiarezza: «Il graduale esaurimento dello strato di ozono e l’“effetto serra” hanno ormai raggiunto dimensioni critiche a causa della crescente diffusione delle industrie, delle grandi concentrazioni urbane e dei consumi energetici. Scarichi industriali, gas prodotti dalla combustione di carburanti fossili, incontrollata deforestazione, uso di alcuni tipi di diserbanti, refrigeranti e propellenti: tutto ciò — com’è noto — nuoce all’atmosfera ed all’ambiente».
In questo Messaggio si parlava, dunque, di riscaldamento globale e degli effetti del cambiamento climatico già prima che i termini entrassero nell’uso comune. Si affermava un vero e proprio «diritto ad un ambiente sicuro, come di un diritto che dovrà rientrare in un’aggiornata carta dei diritti dell’uomo» (corsivo nostro). Ma soprattutto si parlava «dell’urgente necessità morale di una nuova solidarietà, specialmente nei rapporti tra i Paesi in via di sviluppo e i Paesi altamente industrializzati» (corsivo nostro). Giovanni Paolo II notava come gli Stati debbano mostrarsi solidali, ma anche fra loro «complementari», nel promuovere lo sviluppo di un ambiente naturale e sociale pacifico e salubre. Infatti ai Paesi da poco industrializzati «non si può chiedere di applicare alle proprie industrie nascenti certe norme ambientali restrittive, se gli Stati industrializzati non le applicano per primi al loro interno». Non si può pensare l’ecologia al di fuori dei termini della giustizia.
Nella sua Lettera enciclica Centesimus annus (CA) (1° maggio 1991) san Giovanni Paolo II ha quindi tematizzato la «questione ecologica», collegandola strettamente al problema del consumismo e a quello che ha definito un «errore antropologico»: «L’uomo, preso dal desiderio di avere e di godere, più che di essere e di crescere, consuma in maniera eccessiva e disordinata le risorse della terra e la sua stessa vita. Alla radice dell’insensata distruzione dell’ambiente naturale c’è un errore antropologico, purtroppo diffuso nel nostro tempo. L’uomo, che scopre la sua capacità di trasformare e, in un certo senso, di creare il mondo col proprio lavoro dimentica che questo si svolge sempre sulla base della prima originaria donazione delle cose da parte di Dio. Egli pensa di poter disporre arbitrariamente della terra, assoggettandola senza riserve alla sua volontà, come se essa non avesse una propria forma e una destinazione anteriore datale da Dio, che l’uomo può, sì, sviluppare, ma non deve tradire. Invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell’opera della creazione, l’uomo si sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della natura, piuttosto tiranneggiata che governata da lui» (CA 37; corsivo nostro).
Il Pontefice quindi poneva una netta opposizione tra la «meschinità dello sguardo dell’uomo, animato dal desiderio di possedere le cose» e la giusta disposizione nei confronti del mondo, quell’«atteggiamento disinteressato, gratuito, estetico che nasce dallo stupore per l’essere e per la bellezza, il quale fa leggere nelle cose visibili il messaggio del Dio invisibile che le ha create» (ivi; corsivo nostro).
La questione ecologica era già posta da san Giovanni Paolo II in una prospettiva più ampia e legata al più complessivo ambiente umano. Il suo obiettivo era quello di salvaguardare le condizioni morali di un’autentica «ecologia umana» (CA 38). L’attenzione a preservare gli habitat naturali delle diverse specie animali minacciate di estinzione deve andare di pari passo con il rispetto della struttura naturale e morale, di cui l’uomo è stato dotato. Da qui l’attenzione ai «gravi problemi della moderna urbanizzazione, la necessità di un urbanesimo preoccupato della vita delle persone, come anche la debita attenzione ad un’“ecologia sociale” del lavoro». Il Pontefice parlò della necessità di avere coraggio e pazienza per «demolire» le strutture contrarie all’umanità dell’ambiente e «sostituirle con più autentiche forme di convivenza» (ivi).
L’Enciclica Evangelium vitae (EV) (25 marzo 1995) afferma con decisione che noi uomini, «nei confronti della natura visibile, siamo sottomessi a leggi non solo biologiche, ma anche morali, che non si possono impunemente trasgredire» (EV 42). La crisi ecologica è intesa come specchio di una crisi morale.
Successivamente, nel 1997, parlando ai partecipanti a un Convegno su ambiente e salute, il Pontefice rilanciò l’appello «a congiungere le nuove capacità scientifiche con una forte dimensione etica», in modo da promuovere l’ambiente non solamente come «risorsa», ma soprattutto come «casa» da abitare.
In estrema sintesi: san Giovanni Paolo II ha stabilito i parametri della riflessione della Chiesa riguardo a questa preoccupante sfida allora relativamente nuova. Distruggere l’armonia ambientale è un peccato, perché aliena gli esseri umani da se stessi e dalla terra. Centrale è la «relazione» tra l’umanità e il resto della creazione, che deve essere nutrita con amore e saggezza. La crisi ambientale non è solo scientifica e tecnologica: è fondamentalmente morale.
Dal Messaggio Pace con Dio Creatore. Pace con tutto il creato del 1990 e dal Vertice di Rio del 1992, la discussione è andata avanti per 25 anni. Certo, le questioni in ballo sono complesse: innanzitutto a livello scientifico, poi politico, e infine a livello economico e commerciale.
Ricordiamo che una tappa importante di questa riflessione è stata costituita — e continua ad esserlo — da interventi e iniziative ecologiche pionieristiche del Patriarca Ecumenico Bartolomeo I dal 1994 a oggi quali i simposi internazionali nell’isola di Patmos e vari seminari. Nel 1997, ad esempio, anch’egli, in modo chiaro e convincente, esplicitò le implicazioni della questione ecologica in termini di peccato: «Commettere un crimine contro il mondo naturale è un peccato. Per gli esseri umani, causare l’estinzione delle specie, distruggere la diversità biologica della creazione di Dio; per gli esseri umani, degradare l’integrità della Terra causando cambiamenti climatici, privandola delle sue foreste naturali o distruggendo le sue terre umide; per gli esseri umani, il ferire gli altri esseri umani con la malattia; per gli esseri umani, il contaminare le acque della Terra, la sua terra, la sua aria, e la sua vita, con sostanze velenose: questi sono peccati» (Patriarca Bartolomeo I, Discorso al Simposio sull’ambiente, Santa Barbara, Usa, 8 novembre 1997).
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Benedetto XVI: discernimento e progettualità. Papa Ratzinger è stato spesso definito come «il primo Papa verde» (cfr, ad esempio, National Geographic, 28 febbraio 2013), avendo egli fatto proprie molte istanze ambientali ed ecologiche ereditate dal suo predecessore, e sviluppandole poi ulteriormente.
Nel suo Messaggio per la XL Giornata Mondiale della pace (1° gennaio 2007), egli riprende e consolida il trinomio inscindibile tra «ecologia della natura», «ecologia umana» ed «ecologia sociale». È molto forte, nel suo Messaggio, il legame tra la questione ecologica e il fatto che in alcune regioni del pianeta si vivono ancora condizioni di grande arretratezza, in cui lo sviluppo è praticamente inceppato, anche a motivo del rialzo dei prezzi dell’energia. Chiede il Papa: «Che ne sarà di quelle popolazioni? Quale genere di sviluppo o di non-sviluppo sarà loro imposto dalla scarsità di rifornimenti energetici? Quali ingiustizie e antagonismi provocherà la corsa alle fonti di energia? E come reagiranno gli esclusi da questa corsa?».
Lo stesso tono interrogativo sarà usato da Papa Benedetto XVI  nel Messaggio per la XLIII Giornata Mondiale della pace (1° gennaio 2010): «Come rimanere indifferenti di fronte alle problematiche che derivano da fenomeni quali i cambiamenti climatici, la desertificazione, il degrado e la perdita di produttività di vaste aree agricole, l’inquinamento dei fiumi e delle falde acquifere, la perdita della biodiversità, l’aumento di eventi naturali estremi, il disboscamento delle aree equatoriali e tropicali? Come trascurare il crescente fenomeno dei cosiddetti “profughi ambientali”: persone che, a causa del degrado dell’ambiente in cui vivono, lo devono lasciare — spesso insieme ai loro beni — per affrontare i pericoli e le incognite di uno spostamento forzato? Come non reagire di fronte ai conflitti già in atto e a quelli potenziali legati all’accesso alle risorse naturali?».
Queste domande del «Papa verde» — che potrebbero già di per sé costituire un elenco di temi da affrontare — hanno un profondo impatto sull’esercizio dei diritti umani, come il diritto alla vita, all’alimentazione, alla salute, allo sviluppo.
Certamente l’Enciclica Caritas in veritate (CV) (29 giugno 2009) è stata una tappa fondamentale del suo pensiero «verde», che ha messo insieme molteplici ambiti: l’ecologico, il giuridico, l’economico, il politico, il culturale (cfr CV 48). Infatti «la natura, specialmente nella nostra epoca, è talmente integrata nelle dinamiche sociali e culturali da non costituire quasi più una variabile indipendente» (CV 51). Benedetto XVI ha messo in guardia dall’accaparramento delle risorse energetiche non rinnovabili e ha richiamato l’urgenza di una solidarietà che porti a «una ridistribuzione planetaria delle risorse energetiche, in modo che anche i Paesi che ne sono privi possano accedervi» (CV 49). Ecco il suo appello: «C’è spazio per tutti su questa nostra terra: su di essa l’intera famiglia umana deve trovare le risorse necessarie per vivere dignitosamente, con l’aiuto della natura stessa, dono di Dio ai suoi figli, e con l’impegno del proprio lavoro e della propria inventiva» (CV 50).
Nell’Udienza generale del 26 agosto 2009 Benedetto XVI ha ribadito che «la protezione dell’ambiente, la tutela delle risorse e del clima richiedono che i responsabili internazionali agiscano congiuntamente nel rispetto della legge e della solidarietà, soprattutto nei confronti delle regioni più deboli della terra». Dunque, «è indispensabile convertire l’attuale modello di sviluppo globale verso una più grande e condivisa assunzione di responsabilità nei confronti del creato: lo richiedono non solo le emergenze ambientali, ma anche lo scandalo della fame e della miseria». La proposta del Papa è di fare in modo che l’attuale crisi diventi «occasione di discernimento di nuova progettualità» (CV 21). La stessa tecnica è da considerare come alleata, perché manifesta le aspirazioni umane allo sviluppo e al graduale superamento di certi condizionamenti materiali, inserendosi nel mandato di «coltivare e custodire la terra che Dio ha affidato all’uomo» (CV 69).
Benedetto XVI ha ribadito che la questione ecologica riguarda i cristiani proprio in quanto persone di fede, e la Chiesa in quanto tale: «La Chiesa ha una responsabilità per il creato e deve far valere questa responsabilità anche in pubblico. E facendolo deve difendere la terra, l’acqua e l’aria come doni della creazione, appartenenti a tutti. Deve proteggere l’uomo contro la distruzione di se stesso» (CV 61).
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Francesco: custodia e armonia. Da due anni a questa parte, fin dall’inizio del suo Pontificato, Papa Francesco ha aggiunto la sua voce, la voce della Chiesa universale, alla discussione mondiale più recente. Con il suo linguaggio efficace e diretto non ha esitato ad affermare: «In larga parte è l’uomo che prende a schiaffi la natura, continuamente. Noi ci siamo un po’ impadroniti della natura, della sorella terra, della madre terra. Mi ricordo, voi avete già sentito questo, quello che un vecchio contadino una volta mi ha detto: “Dio perdona sempre, noi — gli uomini — perdoniamo alcune volte, la natura non perdona mai”. Se tu la prendi a schiaffi, lei lo fa a sua volta» (Conferenza stampa nel volo verso Manila durante il suo Viaggio apostolico nello Sri Lanka e nelle Filippine, 15 gennaio 2015).
Nel suo magistero, appare chiara sin dall’inizio una visione globale, olistica, in continuità con i suoi predecessori. Esseri umani, natura e ambiente, creazione e società sono tra loro collegati: «Ecologia umana ed ecologia ambientale camminano insieme» (Udienza generale, 5 giugno 2013). Leggendo i suoi interventi, si nota in particolare che egli ha una visione antropologica, ma non antropocentrica nel senso riduttivo del termine. Una sua parola chiave è «armonia», più ampia di «riconciliazione» e capace di estendersi a tutte le creature. L’armonia infatti riguarda tutto il creato nel suo insieme e nelle relazioni tra esseri viventi. Ed è un dono di Dio.
Così ha affermato Francesco nell’Udienza generale del 22 aprile 2015, in cui si celebrava la «Giornata della Terra»: «Esorto tutti a vedere il mondo con gli occhi di Dio Creatore: la terra è l’ambiente da custodire e il giardino da coltivare. La relazione degli uomini con la natura non sia guidata dall’avidità, dal manipolare e dallo sfruttare, ma conservil’armonia divina tra le creature e il creato nella logica del rispetto e della cura, per metterla a servizio dei fratelli, anche delle generazioni future» (corsivo nostro).
Questa visione ampia, attenta alle «relazioni» e non solo all’uomo inteso come «centro», si interroga su quale impatto il progresso economico, le nuove tecnologie e il sistema finanziario abbiano sugli esseri umani e sull’ambiente: «E il pericolo è grave — ha proseguito il Papa nell’Udienza del 5 giugno 2013 — perché la causa del problema non è superficiale, ma profonda: non è solo una questione di economia, ma di etica e di antropologia. La Chiesa lo ha sottolineato più volte; e molti dicono: sì, è giusto, è vero… ma il sistema continua come prima, perché ciò che domina sono le dinamiche di un’economia e di una finanza carenti di etica. Quello che comanda oggi non è l’uomo, è il denaro, il denaro, i soldi comandano. E Dio nostro Padre ha dato il compito di custodire la terra non ai soldi, ma a noi: agli uomini e alle donne, noi abbiamo questo compito! Invece uomini e donne vengono sacrificati agli idoli del profitto e del consumo: è la “cultura dello scarto”».
Un concetto chiave di Papa Francesco, ripetuto più volte sin dalla Messa di inaugurazione del suo ministero petrino, è quello della «custodia» della terra, avendo come riferimento il «Sia!» crea­tivo di Dio, da una parte, e la lode al creato di Francesco d’Assisi, dall’altra. Proprio con queste parole il Papa ha, infatti, avviato il suo Pontificato il 19 marzo 2013: «La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo». Da qui l’invito: «Siamo “custodi” della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo!». Il «dominio» sulla terra che Dio garantisce all’uomo non è quello del padrone, che è Dio solo, Signore del cielo e della terra, ma quello della custodia e dell’amministrazione. I buoni amministratori trattano la natura con rispetto, che genera uno stile di vita semplice e sobrio, che contribuirà a preservare l’ambiente per le generazioni future.
Papa Francesco ha ripreso queste prime parole da Pontefice nella sua esortazione apostolica Evangelii gaudium (EG) (24 novembre 2013): «Come esseri umani non siamo dei meri beneficiari, ma custodi delle altre creature. Mediante la nostra realtà corporea, Dio ci ha unito tanto strettamente al mondo che ci circonda, che la desertificazione del suolo è come una malattia per ciascuno, e possiamo lamentare l’estinzione di una specie come fosse una mutilazione. Non lasciamo che al nostro passaggio rimangano segni di distruzione e di morte che colpiscono la nostra vita e quella delle future generazioni» (EG 215). La condanna del sistema «che tende a fagocitare tutto al fine di accrescere i benefici» è netta, perché in esso «qualunque cosa che sia fragile, come l’ambiente, rimane indifesa rispetto agli interessi del mercato divinizzato, trasformati in regola assoluta» (EG 56). Dunque, «questa è la prima risposta alla prima creazione: custodire il Creato, farlo crescere» (Omelia, Santa Marta, 9 febbraio 2015).
Aggiungendo alla voce dei suoi predecessori la sua — e nella forma specifica dell’Enciclica —, Papa Francesco solleva domande e ragionamenti. Confidiamo che molti, accogliendo la sfida in termini di fede e di scelte operative, saranno profondamente grati del fatto che un leader mondiale abbia avuto il coraggio di richiamare tutti a un futuro più sostenibile e inclusivo. E il richiamo di Francesco non è affatto debole, ma sferzante, come lo è stato in occasione della Conferenza di Lima (27 novembre 2014): «Il tempo per trovare soluzioni globali si sta esaurendo. Possiamo trovare soluzioni adeguate soltanto se agiremo insieme e concordi. Esiste pertanto un chiaro, definitivo e improrogabile imperativo etico di agire».
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La Chiesa non è una «ong verde». Alcuni discutono se la Chiesa in generale, e in particolare il Papa, debbano entrare nel merito del dibattito. Quelli più contrari a determinate scoperte scientifiche sul cambiamento climatico sembrano anche i più favorevoli al continuo sfruttamento dei combustibili fossili. Si potrebbe argomentare che il Papa ha cose più importanti dell’ambiente di cui preoccuparsi. Il suo compito di pastore dovrebbe essere — dicono — la salvezza delle anime. Qualcuno potrebbe pensare che la fede sia un’aggiunta opzionale all’impegno ecologico, cosa per altro smentita da tutti gli ultimi Pontefici: sarebbe come dire che le fondamenta sono un’aggiunta opzionale di un edificio. Infatti è per fede che sappiamo che siamo «creature» e non i prodotti accidentali o fortuiti di forze cieche o coincidenze casuali.
Questa preoccupazione non trasforma la Chiesa in una «ong verde». Al contrario, dobbiamo ripetere con il Concilio che ai nostri giorni l’umanità «pone ansiosi interrogativi» sull’attuale evoluzione del mondo, sul posto e sul compito dell’uomo nell’universo, sul senso dei propri sforzi individuali e collettivi, ed ancora sul fine ultimo delle cose e degli uomini» (Gaudium et spes, n. 3). Per questo occorre instaurare «un dialogo su quei tanti problemi, portando la luce che trae dal Vangelo e mettendo a disposizione del genere umano le energie di salvezza che la Chiesa, sotto la guida dello Spirito Santo, riceve dal suo Fondatore. Si tratta di salvare la persona dell’uomo e di edificare la società umana» (ivi).
La preoccupazione per l’ecologia umana e ambientale mostra una dimensione fondamentale della fede così come viene vissuta oggi per la salvezza dell’uomo e per la costruzione del vivere sociale. Si delinea dunque come parte della dottrina sociale della Chiesa. Per questo oggi è giunto il momento di avere una Lettera enciclica intera — e non più solamente alcuni paragrafi di essa — sul tema ecologico.
Oggi sappiamo molte cose sull’ambiente. Sono state realizzate molte ricerche. E anche se non siamo d’accordo su alcuni risultati, l’inquinamento dei fiumi e dei laghi, le monocolture che distruggono terra e mezzi di sussistenza, la morte di così tante specie causate dal progresso umano, sono tutte cose evidenti, che hanno bisogno di un’attenzione specifica dei fedeli. Tutte queste analisi devono essere viste dal credente in una prospettiva cristiana. In realtà, dopo il Messaggio del 1990 di san Giovanni Paolo II, la questione non è più se i cattolici debbano affrontare questioni di ecologia in una prospettiva di fede. La vera domanda che si pongono tutte le società, comprese le comunità cristiane, riguarda il comebisognerebbe farlo.
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Il peso dell’Enciclica nel processo globale in atto. La scienza ha fatto del suo meglio, raccogliendo quanti più dati possibile, avviando collaborazioni tra molti saperi specializzati, mettendo in comune le reciproche competenze, arrivando a un’opinione unanime e dando suggerimenti. Le domande sono numerose. Il cambiamento climatico è antropogenico, dovuto cioè all’uomo? O è un processo ciclico della natura? O è probabilmente causato da entrambi? E, qualunque sia la causa, si può fare qualcosa? È incontestabile il fatto che il nostro pianeta si stia riscaldando.
In effetti, il Rapporto di sintesi del Gruppo intergovernativo di esperti delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Ipcc) del novembre 2014 è stato molto severo. Thomas Stocker, il co-presidente del Gruppo di Lavoro 1 dell’Ipcc, ha così commentato: «La nostra valutazione riconosce che l’atmosfera e gli oceani si sono riscaldati, la quantità di neve e ghiaccio si è ridotta, il livello del mare è aumentato e la concentrazione di anidride carbonica ha raggiunto un livello senza precedenti almeno negli ultimi 800.000 anni» (http://www.un.org). Questa è l’opinione unanime di oltre 800 scienziati dell’Ipcc, e rappresenta una sfida enorme. Ora tocca a tutti, pur essendo in maggioranza non scienziati, tirare le conclusioni e agire.
Papa Francesco, preparando la sua Enciclica, affronta la sfida, riconoscendo adeguatamente il punto di vista scientifico sul cambiamento climatico, le sue cause e conseguenze, e i rimedi necessari. Il leader della principale religione del mondo si avvarrà della sua fede, dell’insegnamento della Chiesa, e delle migliori informazioni e dei migliori consigli a disposizione, dimostrando che è nostro compito raccogliere e vagliare informazioni, giudicare, prendere decisioni e agire. Questo il suo obiettivo: non soltanto fare speculazione né sposare questa o quella teoria, ma invitare gli uomini di buona volontà a considerare bene le loro responsabilità per le generazioni future, e ad agire di conseguenza. I credenti hanno un motivo in più per essere buoni amministratori del dono della creazione, perché sanno che si tratta di un dono di Dio. Non è necessario essere studiosi del clima per adempiere alle proprie responsabilità ambientali, come credenti che abitano la terra. Il dibattito poi sarà benvenuto.
Non si tratta qui di fare campagne per salvare qualche rara specie animale o vegetale — cosa di per sé importante —, ma di assicurare che centinaia di milioni di persone abbiano acqua pulita da bere e aria pulita da respirare. Questa è una grave responsabilità morale alla quale non è più possibile sottrarsi. La mancata risposta sarebbe un peccato di omissione.
Il tempismo della nuova Enciclica è significativo: il 2015 è un anno decisivo. Nel mese di luglio, le nazioni si riu­niranno per la III Conferenza internazionale sul finanziamento dello sviluppo, ad Addis Abeba. Nel mese di settembre, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dovrebbe trovare un accordo su una nuova serie di obiettivi di sviluppo sostenibile, da mettere in pratica fino al 2030. Nel mese di dicembre, la Conferenza sui cambiamenti climatici a Parigi acquisirà i piani e gli impegni di ogni Governo per rallentare o ridurre il riscaldamento globale. I mesi del 2015 sono cruciali, quindi, per le decisioni riguardanti la cura o la gestione della terra e per l’impegno effettivo per lo sviluppo internazionale e il benessere degli uomini. Ecco perché Papa Francesco ha affermato, sempre durante il volo verso Manila: «L’importante è che ci sia un po’ di tempo tra l’uscita dell’Enciclica e l’incontro a Parigi, perché sia un apporto. L’incontro in Perù non è stato un granché. Mi ha deluso la mancanza di coraggio: si sono fermati a un certo punto. Speriamo che a Parigi siano più coraggiosi».
La domanda ora è: in quale condizione ci poniamo davanti a queste sfide dell’ecologia e del cambiamento climatico? Un momento negativo, potrebbe dire qualcuno: l’avidità, la stupidità, l’incuria e l’orgoglio dell’uomo hanno causato tanti danni irreversibili, a tal punto che ci troviamo sulla soglia dell’autodistruzione. L’umanità distrugge il pianeta, la sua unica casa.
Forse però c’è un altro modo di guardare al momento attuale. Fino a poco tempo fa la natura, con le sue forze potenti e i suoi processi misteriosi, sembrava essere completamente alla mercé di una famiglia umana che lottava per sopravvivere e sbarcare il lunario. Anche se questo è ancora vero per la maggioranza — la maggioranza vulnerabile —, tuttavia nel suo insieme la famiglia umana è spinta dalla crisi climatica a crescere e ad assumere un nuovo tipo e un nuovo livello di responsabilità. Benedetto XVI aveva parlato di una buona occasione di discernimento e di nuova progettualità. Per la prima volta, in modo maturo, dobbiamo esercitare una comune responsabilità per la terra, la nostra casa comune.
Sentiamo di riproporre oggi ciò che Civiltà Cattolicascriveva un quarto di secolo fa: «In ultima analisi, solo guardando con umiltà dentro di noi per affrontare il lato oscuro del nostro essere, troveremo il coraggio e le risorse per avere misericordia verso gli altri, verso le generazioni future, verso la Terra e tutte le sue creature. Solo riconoscendo e accettando le nostre contraddizioni e ferite, il nostro apparentemente incontrastabile desiderio di potere, benessere e dominio perderà a poco a poco forza. Visto in questa ottica, il problema ambientale si rivela fondamentalmente un problema umano, un problema di conversione continua e di autentica umanizzazione» (J. McCarthy, «La Conferenza Mondiale di Rio su ambiente e sviluppo», in Civ. Catt. 1992 IV 560-577).
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Alla ricerca delle implicazioni ecologiche della nostra fede. Mai prima di oggi, nella storia, il Santo Padre e la Chiesa hanno avuto un peso tanto rilevante in un così vasto processo globale in atto. Più in generale, è vero che oggi «la religione — come ha detto il Patriarca Bartolomeo, intervistato dalla nostra rivista — è probabilmente la forza più pervasiva e potente della terra. Infatti, non solo la fede gioca un ruolo fondamentale nella vita personale di ognuno di noi, ma svolge anche un ruolo fondamentale come forza di mobilitazione sociale e istituzionale» (A. Spadaro, «Intervista al Patriarca Ecumenico Bartolomeo I», in Civ. Catt. 2015 II 3-16). E per questo l’ecologia è un tema profondamente ecumenico (ivi, 11 s), ma anche interreligioso, come lo stesso Pontefice ha riconosciuto in volo verso Manila il 15 gennaio 2015.
Alla fine del Vertice di Rio del 1992, la nostra rivista affermava già l’importanza spirituale e religiosa del tema ecologico: «Le risorse spirituali dell’umanità sono molteplici e profondamente radicate. Solo sondando coraggiosamente la ricchezza delle tradizioni religiose di ogni società, l’umanità può sperare di raggiungere la comprensione e la visione morale e religiosa per avanzare realmente insieme sul cammino comune della salvezza della Terra e dell’umanità. Si tratterà di una comune avventura, mentre ci accingiamo all’ardito compito di interrogarci in maniera critica alla ricerca delle implicazioni ecologiche della nostra fede» (J. McCarthy, «La Conferenza Mondiale di Rio…», cit.).
Questo approccio spirituale e religioso (cfr G. Salvini, «Scienza e religioni di fronte all’ambiente», in Civ. Catt.2002 III 151-163) vale radicalmente per i cristiani. Nella Messa, al momento della presentazione delle offerte, il celebrante dice: «Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo: dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane, frutto della terra e del lavoro dell’uomo; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna». Questa preghiera familiare esprime le relazioni dinamiche in cui viviamo e agiamo, riceviamo e diamo, preghiamo e lavoriamo. In queste parole troviamo l’intero universo, la terra feconda e un po’ di pane, la generosità di Dio e l’opera dell’uomo e la nostra offerta.
Per il credente, il nostro è un «ambiente divino», cioè un mondo interpretato come luogo di unione con Dio, compreso cristicamente e vissuto a livello di fede. Occorre riscoprire una «visione eucaristica del mondo» nel modo in cui ci viene proposta, ad esempio, dal Metropolita di Pergamo (cfr I. Zizioulas, Il creato come eucaristia. Approccio teologico al problema dell’ecologia, Magnano [Bi], Qiqajon, 1994). L’impegno di Papa Francesco ci spinge verso una spiritualità ecologica, a una vita spirituale e sacramentale che non sia avulsa dal fatto che abitiamo il creato.
Attendendo la Lettera enciclica di Papa Francesco, ci sostiene sapere che «lo Spirito agisce in ognuno degli elementi del cosmo, riempie tutto l’Universo con la gloria e l’energia di Dio, e anima i nostri cuori con l’entusiasmo per tutto ciò che è creativo, buono, giusto e nobile» (The Churches Responsibility, Lettera del Consiglio Ecumenico delle Chiese, 1992).

La Civiltà Cattolica
© Civiltà Cattolica pag.537-551


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