mercoledì 3 giugno 2015

Dove tutti hanno un posto


La paura dell’immigrato deriva anche dalla scarsa speranza nel futuro. 

(Gian Carlo Perego) Il camminare, il raggiungere luoghi diversi, incontrare persone diverse, non escludendo nessuno è lo stile delle relazioni di Gesù. Gesù, nel racconto di Luca, è in cammino verso Gerusalemme e, in una tappa, racconta questa parabola che riguarda un altro cammino. L’essere continuamente in viaggio di Gesù, oltre che una caratteristica della sua predicazione, libera dal contesto di “scuola”, lo rende anche e continuamente “straniero” negli incontri, con gli ascoltatori, nelle città.
Il samaritano protagonista della parabola è, in questo senso, anche il ritratto di Gesù, la proposta del suo stile. Il samaritano è l’altro, lo straniero che non viene presentato come l’estraneo, il nemico, ma come l’amico. Gesù, che nel suo cammino storico incontra uomini e donne di varie provenienze (il romano, la cananea, il cireneo), spiega nel racconto della parabola del Buon samaritano, che nasce dalla domanda di un maestro della legge, cosa fare per ottenere la vita eterna. La prossimità diventa il segno della misericordia di Dio tra noi. 
Paolo VI ha ricordato nel discorso conclusivo del concilio Vaticano II, il 7 dicembre 1965, come «L’antica storia del samaritano è stata il paradigma della spiritualità del concilio». Il testo è stato ripreso da Papa Francesco nella bolla di indizione del giubileo straordinario della misericordia, Misericordiae vultus. Se nella storia del samaritano c’è la storia cristiana, è necessario guardare a chi è straniero, a chi è in cammino per la guerra, la fame, un disastro ambientale, la speranza di una vita migliore in termini di relazione, di dialogo, e costruire percorsi di incontro. È quello che ci invita a fare anche Papa Francesco in un passaggio importante dedicato all’amore ai poveri nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium: «Il nostro impegno non consiste esclusivamente in azioni o in programmi di promozione e assistenza; quello che lo Spirito mette in moto non è un eccesso di attivismo, ma prima di tutto un’attenzione rivolta all’altro “considerandolo come un’unica cosa con se stesso”. Questa attenzione d’amore è l’inizio di una vera preoccupazione per la sua persona e a partire da essa desidero cercare effettivamente il suo bene».
Troppe volte in questi mesi si è avuto paura, si è passati dalla rassegnazione alla violenza. Accoglienza e non violenza sono le parole che orientano lo stile cristiano in un mondo di migranti. Le paure, i pregiudizi, le fatiche dell’incontro che si respirano anche nelle nostre comunità cristiane chiedono un laicato capace di fare della relazione, dell’incontro con l’altro un luogo della credibilità della fede, ma anche un momento importante nell’itinerario educativo. Le parole di un africano, di un algerino, quale era sant’Agostino di Tagaste e vescovo d’Ippona, a commento del racconto dei discepoli di Emmaus, possono illuminare e superare la nostra paura di fronte a un esodo di persone che Lampedusa ha vissuto in questo anno: «Che sorta di mistero, miei fratelli! Gesù risorto entra in casa loro, si fa loro ospite e, mentre era rimasto sconosciuto lungo tutto il cammino, lo si riconosce allo spezzare del pane (Cfr. Luca, 24, 30-31). Imparate ad accogliere gli ospiti, nella cui persona si riconosce Cristo». La debolezza culturale più rischiosa nelle nostre città è cedere alle paure, cedere ai profeti di sventura, ai politici che interpretano senza speranza il futuro. Il fenomeno migratorio chiede oggi un lavoro di discernimento dei cristiani e delle comunità che aiuti da una parte, in ambito socio-politico, a salvaguardare la dignità della persona umana; dall’altra, sul piano culturale e pastorale, se è importante sottolineare l’identità cristiana e il rispetto delle regole fondamentali della convivenza, è altrettanto importante costruire regole e itinerari che valorizzino la ricchezza delle differenze culturali e religiose, soprattutto, ci ricorda Papa Francesco nella Misericordiae vultus, del mondo ebraico e islamico. Pertanto, l’annuncio e la testimonianza dei cristiani e delle comunità si giocano a tre livelli: socio-politico, culturale e religioso.
L'Osservatore Romano