martedì 2 giugno 2015

Eloquenza della luce




La dolce sovranità della Parola. 

(Jean-Pierre Sonnet) «Dolce è la luce e bello è per gli occhi vedere il sole»: parole di Qoelet (11, 7), che non potrebbero offrirci una formulazione migliore. La luce è un bene sensibile, un bene visibile; si trova a casa sua nello spazio; dipende dalla percezione visiva e da una fenomenologia del visibile; è votata alle arti dello spazio. Nella Bibbia però la luce è prima di tutto una parola, compare nella sequenza delle parole e quindi nella sequenza temporale del racconto, del poema, del proverbio, del discorso. Se nell’esperienza vissuta la luce si offre alla visione, alla percezione, nella Bibbia, si offre in primo luogo alla lettura.All’interno della Bibbia, c’è un racconto della luce che si apre con il più potente dei micro-racconti racchiuso in quattro parole ebraiche: «Sia la luce! E la luce fu» (Genesi, 1, 3). Il lettore misura subito la potenza della parola divina, che fa avvenire ciò che dice, in modo immediato. La parola “luce” è divenuta luce alla velocità della luce, per esprimerci con il linguaggio di oggi (anzi, più rapidamente ancora, dato che la velocità della luce è una velocità misurabile). Ecco che si produce così sul lettore una straordinaria prima impressione.

In psicologia della percezione, esiste una legge delle prime impressioni secondo la quale ciò che si dà all’inizio nella comunicazione di un messaggio, e soprattutto di un racconto, si imprime in profondità nella mente del destinatario e orienta la recezione di quanto segue. Dio è quindi colui che compie la propria parola. La sequenza «“Sia la luce!”. E la luce fu» fornisce quindi l’algoritmo del grande racconto della Scrittura: Dio è colui che porta a compimento la sua parola. L’eloquenza della luce, a questo proposito, è senza eguali: la luce esprime, nel suo apparire, nel carattere istantaneo e illimitato della sua diffusione, una sovranità in atto, nella quale la Bibbia ode una parola, sovrana e in atto. 
Alla prima impressione si aggiunge una sorpresa, almeno per il lettore antico. L’apparire della luce avviene sullo sfondo di alcuni elementi — l’abisso, il vento e le tenebre — che, nelle cosmogonie del Vicino oriente antico, erano associate alla lotta sanguinosa fra gli dei, il cui prezzo/premio era la creazione del mondo. Genesi 1 è la dimostrazione della dolce sovranità della parola, che la luce rende manifesta nella propria sovranità non-violenta. In questo consiste quello che chiamerei il vangelo o il proto-vangelo di Genesi 1.
La luce del primo giorno è anteriore alla creazione degli astri luminosi, e soprattutto del Sole, che compare solo al quarto giorno. La luce del primo giorno non è quindi mediata da un’altra creatura, sia essa il Sole o la Luna, ma ha la sua origine in Dio e costituisce la condizione del manifestarsi di tutte le creature. Certamente appartiene all’ordine creato, ma si connota per essere totalmente teofanica. 
Quando Dio si dichiara, dice la parola «luce» la luce avviene. L’intimità della luce con la parola creatrice e la sua trascendenza in rapporto ai luminari di questo mondo la associano strettamente a colui che ne è la fonte: facendo sorgere la luce, Dio rivela qualcosa di ciò che è, si rivela. Ciò non significa che Dio sia la luce — sarebbe un’equazione panteista — piuttosto come, affermerà con finezza la prima lettera di Giovanni, «Dio è luce» (1, 5).
Se il dire di Dio è intervenuto per primo è pur vero che immediatamente il dire si è duplicato nel vedere. L’opera della creazione è indissociabile da uno sguardo, nel quale tale opera si rifrange. La luce è per forza la prima a offrirsi a questo sguardo, che ne dichiara la bontà: «Dio vide che la luce era cosa buona» (Genesi, 1, 4). La versione greca dei Settanta tradurrà «che era bella». Bellezza e bontà si danno appuntamento nella luce, e a noi occorrono forse entrambe le lingue bibliche per comprenderlo.
Mi permetto di compiere a questo punto una grande migrazione verso il Nuovo Testamento, approfittando della meravigliosa scorciatoia che ci offre il testo della seconda lettera ai Corinzi: «E Dio, che disse: “Rifulga la luce dalle tenebre”, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della sua gloria che si irraggia sul volto di Cristo» (4, 6). È nel mistero di Cristo che il fiat lux di Genesi 1 ci dà appuntamento, in forma ultima, ancora e sempre all’interno di un racconto, all’interno del racconto della storia.
La luce accompagna tutta la traiettoria di Gesù, a partire dalla stella dei magi, dal «sole che sorge dall’alto» del cantico di Zaccaria, dalla «luce per la rivelazione alle genti» del Cantico di Simeone, dalla «grande luce (...) che è sorta» sulle terre della Galilea. E questo riguarda solo gli inizi. Se si avanza nel racconto, si comprenderà meglio il ruolo decisivo della luce nell’intrigo del Vangelo e nella manifestazione del suo personaggio centrale. Infatti, è essenziale per il Cristo di Dio apparire nella sua luce propria, in eccesso rispetto al fascio di luce laterale (sociologico, culturale, politico, religioso) che il mondo potrebbe proiettare su di lui. Non è il mondo a rischiararlo, infatti, ma è lui che rischiara il mondo e mette in luce ogni cosa.
L'Osservatore Romano