sabato 6 giugno 2015

Intervista del Papa sul volo di ritorno da Sarajevo

<br>

di Gianni Cardinale

Nonostante le fatiche accumulate in una giornata fitta di impegni, sul volo che l’ha riportato a Roma (atterrato quando ormai erano quasi le 22) Papa Francesco ha accettato di rispondere ad alcune domande postegli dai giornalisti di tutto il mondo.

Oltre a confermare la sua volontà di fare un viaggio in Francia («l'ho promesso ai vescovi») il Pontefice ha parlato di Medjugorje, ha ribadito la sua accusa di ipocrisia nei confronti di chi predica la pace e poi vende le armi sotto banco, e parlando dell'uso scorretto che si può fare di Internet ha denunciato che «il consumismo è il cancro della società». Papa Francesco ha anche spiegato che la sua scelta di fare visite in Europa a partire dai piccoli Paesi «che hanno sofferto tanto», come l'Albania e la Bosnia Erzegovina, «è un segnale». Ecco la nostra trascrizione del dialogo.

Santo Padre, lei ha parlato dei potenti della terra che trafficano armi e di chi fomenta il clima di guerra. Può approfondire?
«C'è sempre l'ipocrisia, e per questo ho detto che non è sufficiente parlare di pace: si deve fare la pace. Chi parla di soltanto di pace e non fa la pace è in contraddizione. Chi parla di pace e favorisce la guerra, per esempio con la vendita delle armi, è un ipocrita».

C'è un grande interesse per il giudizio sul fenomeno di Medjugorje. Che cosa può dirci al riguardo?
«Su Medjugorje Papa Benedetto XVI, a suo tempo, aveva istituito una commissione presieduta dal cardinale Camillo Ruini, con altri cardinali e teologi. Hanno preparato uno studio e il cardinale Ruini me lo ha consegnato, dopo alcuni anni di lavoro. Hanno fatto un bel lavoro. Il cardinale Gerhard Müller (prefetto della Congregazione per la dottrina della fede; ndr) mi ha detto che avrebbe fatto una "feria quarta" (riunione del dicastero, che si svolge il mercoledì; ndr). Su questo credo sia stata fatta l'ultimo mercoledì del mese. Stiamo per prendere delle decisioni e poi saranno comunicate. Per il momento si danno soltanto alcuni orientamenti ai vescovi».

Ai giovani lei ha parlato della necessità di avere cautela con la tv e i computer, di "sporcizia" e di "fantasia cattiva". Che cosa voleva dire?
«Ci sono due cose differenti: le modalità e i contenuti. Sulle modalità ce n'è una che fa male all'anima ed è l'essere troppo attaccati al computer. Questo fa male all'anima e toglie la libertà, ti fa schiavo del computer. È curioso, in tante famiglie i papà e le mamme mi dicono: con i figli siamo a tavola, e loro sul telefonino sono in un altro mondo. Il linguaggio virtuale è un progresso dell'umanità, ma quando ci porta via dalla famiglia, dalla vita sociale, dallo sport, dall'arte e rimaniamo attaccati a quello, diventa una malattia psicologica. In secondo luogo, i contenuti. Sì, ci sono cose sporche, che vanno dalla pornografia alla semi-pornografia, ai programmi vuoti, senza valori, il relativismo, il consumismo, che fomentano tutte queste cose. E noi sappiamo che il consumismo è un cancro della società, il relativismo è un cancro della società. Di questo parlerò nella prossima enciclica. Ci sono i genitori molto preoccupati che non permettono che ci siano i computer nelle stanze dei bambini ma in un posto comune della casa. E questi sono piccoli aiuti».
Avvenire

*


Vatican Insider
(Andrea Tornielli) Francesco incontra i sacerdoti, i religiosi e le religiose nella cattedrale di Sarajevo e abbraccia i testimoni perseguitati commuovendosi. Abbandona il testo scritto e improvvisa: «Abbiate atteggiamenti di tenerezza, di fratellanza, di perdono, e portate la croce di Gesù Cristo. Siate piccoli testimoni della croce di Gesù».

*

 Segno e preghiera

(Giovanni Maria Vian) Un segno e una preghiera nel «bel cammino» verso la pace: in questo modo, con una sintesi efficace Papa Francesco, incontrando brevemente i giornalisti durante il volo per Sarajevo, ha presentato il suo viaggio nella città che — per l’antica presenza e la mescolanza di etnie, culture, religioni — è stata definita la Gerusalemme d’Europa. Una città che molto ha sofferto durante la feroce guerra nella prima metà degli anni Novanta.Segno e preghiera espressi con forza nella messa, presieduta sotto un sole cocente dal Pontefice — davvero, secondo il significato letterale del termine, «costruttore di ponti» — nello stadio di Sarajevo. Luogo fortemente simbolico, dove già celebrò Giovanni Paolo II due anni dopo la fine della guerra, e che ospita gare e concerti, ma è circondato da centinaia di tombe cristiane e musulmane, di vittime dell’atroce conflitto che ha devastato il Paese.
Presentandosi nell’incontro al palazzo presidenziale come «pellegrino di pace e di dialogo», il Papa ha additato all’Europa e al mondo l’esempio della Bosnia ed Erzegovina. Nazione che ha avuto il coraggio di affrontare il passaggio dalla cultura della guerra e dello scontro alla cultura dell’incontro, concetto quest’ultimo su cui Bergoglio insiste di continuo e che ispira la politica e la presenza della Santa Sede nello scenario internazionale.
E coerenti con questa cultura dell’incontro sono state le parole di Papa Francesco: abbiamo bisogno «di valorizzare ciò che unisce e di guardare alle differenze come possibilità di crescita». E qui, nel cuore dei Balcani, va continuato il dialogo che ha portato alla fine della guerra e alla costruzione della pace. Con l’aiuto internazionale, in particolare dell’Unione europea, e con la collaborazione tra etnie e religioni, che è possibile e apre alla speranza, ha sottolineato il Pontefice.
«Ho visto questa speranza nei bambini, islamici, ortodossi, ebrei, cattolici», e ora bisogna scommettere su di loro, ha aggiunto a braccio Bergoglio, che all’aeroporto aveva voluto salutare uno per uno un centinaio tra bimbetti e ragazzi, femmine e maschi riuniti festosamente ad accoglierlo. Bisogna opporsi alla barbarie per riconoscere «i valori fondamentali della comune umanità» — ha continuato — in modo che dopo l’inverno fiorisca la primavera, «e si vede fiorire qui la primavera».
Tutta incentrata sulla pace — mir vama («la pace sia con voi», secondo le parole evangeliche) è il motto della visita papale — è stata l’omelia durante la messa, in un contesto da «clima di guerra» che si percepisce nella comunicazione globale e che ha indotto Papa Francesco (Papa Franjo) a ripetere le parole di Paolo VI davanti all’assemblea generale delle Nazioni Unite («mai più la guerra!») e il motto di Pacelli (opus iustitiae pax) ricavato dall’antica profezia di Isaia.
Sentenza, quella profetica di Pio XII, che descrive «non una giustizia declamata, teorizzata, pianificata», bensì quella praticata e vissuta, ha chiosato il suo successore. Che ha anche spiegato la beatitudine evangelica rivolta agli «operatori di pace»: cioè non quelli che la declamano, magari ipocritamente, ma «coloro che la fanno», artigianalmente. E le cose cambiano perché cambiamo noi. Grazie a un dono che resta di Dio. g.m.v.
L'Osservatore Romano