sabato 13 giugno 2015

Sentinelle e baluardi




(Gianfranco Ravasi) Ci stiamo avvicinando al Giubileo straordinario, che sarà consacrato — secondo quanto ha annunciato Papa Francesco — alla misericordia, nel senso paolino del termine, sottolineandone, cioè, l’accezione augurale, che farà assurgere questo anno santo al tempo della gioia, nel «riscoprire e rendere feconda la misericordia di Dio, con la quale tutti siamo chiamati a dare consolazione ad ogni uomo e ad ogni donna del nostro tempo». Questo improvviso ed emozionante annuncio che il Santo Padre ha pronunciato il 14 marzo scorso nella basilica vaticana, acquisisce un significato speciale per i fedeli che, giungendo a Roma da ogni parte del mondo, si recheranno, innanzi tutto, nel santuario petrino, per rendere omaggio alla tomba del principe degli apostoli, ma che, in seguito, visiteranno i poli salienti della “Roma cristiana”, ovvero le basiliche di San Paolo fuori le mura, di Santa Maria Maggiore, di San Giovanni in Laterano, ma anche i santuari martiriali del suburbio: da Sant’Agnese fuori le mura a San Lorenzo fuori le mura, per poi approdare alle catacombe, che rappresentano i luoghi più eloquenti del cristianesimo della prima ora. 
Lungo le vie consolari dell’Urbe si dislocano circa 50 catacombe cristiane che, già per i pellegrini della tarda antichità e del medioevo, disegnavano come un secondo circuito murario, più largo di quello aurelianeo, costituito da “monumenti santi” che, come sentinelle e baluardi inattaccabili, custodivano la città. 
Tra le catacombe romane, quelle di San Callisto, che si sviluppano nel comprensorio che dalla chiesetta del Domine quo vadis? si distende sino al complesso di San Sebastiano, tra la via Appia e la via Ardeatina, rappresentano il sistema funerario paleocristiano più esteso, insieme alle catacombe di Priscilla sulla via Salaria e a quelle di Domitilla sulla via Ardeatina. 
Nel cuore delle catacombe di San Callisto è stato recuperato il primo nucleo del complesso voluto da Papa Zefirino (199-217) e affidato alle cure dell’allora diacono e futuro Papa Callisto (217-222). Questo piccolo cimitero che si sviluppava in un praedium di 70 per 30 metri, definito Area I dal grande archeologo cristiano Giovanni Battista de Rossi che lo scavò negli anni centrali dell’Ottocento, divenne il “sacrario pontificio” del III secolo. In un cubicolo doppio riposavano le spoglie di Ponziano (230-235), Anterote (235-236), Fabiano (236-250), Lucio (253-254) e Sisto II (257-258). Di quest’ultimo Pontefice, a cui Papa Damaso (366-384) dedicò uno dei carmina iscritti più commoventi, conosciamo la drammatica fine, che si consumò il 6 agosto del 258, durante la terribile persecuzione di Valeriano, proprio mentre celebrava nelle catacombe di San Callisto, assieme ai suoi quattro diaconi Magno, Vincenzo, Felicissimo ed Agapito. Dopo qualche giorno, il 10 agosto, sarà trucidato il suo suddiacono Lorenzo, tumulato nelle catacombe di Ciriaca al Verano, mentre, di lì ad un mese, fu martirizzato il suo caro amico Cipriano, vescovo di Cartagine. 
I responsabili della Pontificia Commissione di archeologia sacra, durante questo ultimo ventennio, si sono preoccupati di restaurare, in maniera minuziosa e secondo i più aggiornati criteri della conservazione, l’intera Area I, ossia la cripta dei Papi, la cripta di Santa Cecilia (proprio in questi giorni messa in sicurezza dopo una grave infiltrazione idrica) e i cubicoli dei sacramenti che, come è noto, mostrano le più antiche pitture cristiane di ispirazione biblica, risalenti già agli anni Trenta del III secolo. 
Nel corso di questi ultimi mesi si è restaurato il piccolo Cubicolo di Orfeo, situato proprio dinanzi alla cripta dei Papi. La camera funeraria, completamente decorata ad affresco, dopo i recenti lavori, ha proposto all’attenzione degli specialisti la scoperta di nuove pitture che si organizzano ai lati della mitica figura del cantore trace. Attorno alla sua immagine si dislocano, in una griglia di linee rosse e verdi, i simboli del cosmo: dal pavone ai fiori, dagli uccelli in volo ai mostri marini, come per evidenziare la vis, la fortitudo dell’eroe, noto per aver sfidato le tenebre dell’oltretomba alla ricerca dell’adorata consorte Euridice, ma assurto a simbolo della persuasione per il tramite della sua voce ammaliante e della sua musica irresistibile, che addolciva gli animali, che piegava il corso dei fiumi e le fronde degli alberi. Questa particolare accezione semantica, che si costruisce durante l’antichità, approda alla cultura paleocristiana, che identifica Orfeo con Cristo-Logos, secondo quanto riferisce Eusebio di Cesarea: «Se Orfeo, con il suono della sua lira, ammansì le fiere, anzi se con il fascino delle sue note ammaliò anche le querce, il Signore fece di più: per sanare la mente umana, costruì uno strumento con le sue stesse mani, cioè l’uomo, e su questo strumento suonò una musica intrigante, con la quale affascinò e ammansì i costumi dei barbari e dei pagani, guarendo, con il farmaco della dottrina celeste, gli istinti brutali e selvaggi del loro cuore» (Laudatio Constantini, 14).
L'Osservatore Romano