venerdì 10 luglio 2015

Da peccatori a pescatori




Le mille facce dell’esclusione rurale e urbana. Seminatori di cambiamento 

(Gianluca Biccini) Mettere l’economia al servizio dei popoli; unire questi ultimi nel cammino della pace e della giustizia; difendere la “madre terra”: sono i tre compiti fondamentali che Francesco ha affidato ai movimenti popolari, incontrati giovedì pomeriggio, 9 luglio, nell’Expo Feria, il maggior centro fieristico della Bolivia.
A Santa Cruz il Papa ha concluso con la sua partecipazione il secondo incontro internazionale di queste realtà, per ricordare al mondo che i poveri, pur subendo l’ingiustizia, possono lottare contro di essa: anzi, devono essere «seminatori di cambiamento», per sostituire la globalizzazione dell’esclusione e dell’indifferenza con la globalizzazione della speranza. Perché — ha detto — «il futuro dell’umanità è in gran parte nelle vostre mani, nella vostra capacità di organizzare e promuovere alternative creative nella ricerca quotidiana delle “tre t”», tierra, techo y trabajo (terra, casa e lavoro), che rappresentano l’efficace slogan dei movimenti popolari, definiti dal Papa con un’immagine fortemente evocativa «poeti sociali». E in queste parole del discorso più lungo e appassionato del Pontefice in America latina va ricercata la cifra interpretativa del viaggio, giunto al giro di boa.
Con la partecipazione del Pontificio consiglio della Giustizia e della Pace e della Pontificia accademia per le Scienze — rappresentati dal cardinale Turkson e dal vescovo Sánchez Sorondo, rispettivamente presidente del dicastero e cancelliere dell’accademia — nei giorni scorsi si sono riuniti a Santa Cruz i delegati dei lavoratori precari e dell’economia informale, contadini sin tierrasvilleros, indigeni, migranti, camillitos, i venditori di giornali boliviani. Con loro anchecartoneros, membri di cooperative contadine e di movimenti di lotta per la casa, venditori ambulanti, piccoli autotrasportatori, pescatori. All’ingresso venivano distribuite copie della Laudato si’. E João Pedro Stedile, del movimento Sin Terra brasiliano, ha assicurato che tutti gli invitati hanno studiato con attenzione l’enciclica pontificia. Nella grande arena un cartellone rendeva onore a padre Espinal: Por sempre lucho era scritto accanto al suo ritratto.
Il 28 ottobre 2014, al primo incontro mondiale, arrivarono in Vaticano un centinaio di persone. Stavolta a Santa Cruz de la Sierra, la città industriale della Bolivia, erano ben 1.500, la maggioranza provenienti dal Paese ospitante, dal Brasile e dall’Argentina, ma anche da Cile, Costa Rica, Colombia, Haiti, Repubblica Dominicana, Messico, Ecuador, El Salvador, con cinque delegazioni dagli Stati Uniti, due dall’Italia, quattro dall’India e due dal Kenya. Rappresentavano le innumerevoli facce dell’esclusione rurale e urbana, che portano impressi i segni della solitudine, della fatica e delle privazioni, proprie di una vita austera. Con loro anche alcunichanguitos, i bambini che fin dalla tenera età devono aiutare i loro genitori come pastori sull’altopiano e nelle valli o come campesinosnelle aziende.
Francesco ha fatto ingresso nell’edificio che ospita l’incontro in un tripudio di canti, con le caratteristiche melodie andine, e di colori, propri dei popoli di queste terre. Tra caschi da minatori, copricapi di piuma, volti dipinti e altri segnati da esistenze di dura fatica, il Pontefice ha preso posto al tavolo della presidenza accanto al capo dello Stato, Evo Morales, insieme a una trentina di leader dei vari gruppi intervenuti. Un braccio che impugna una vanga, il simbolo scelto per la conferenza. Ai piedi del palco, ceste con prodotti tipici locali, tra cui patate e foglie di coca.
Tre uomini e tre donne hanno presentato al Papa il documento conclusivo dei lavori. L’hanno chiamata Lettera di Santa Cruz e contiene le aspettative di questa gente. Delle quali si è fatto portavoce con un lunghissimo discorso anche il presidente Morales. Nel passaggio del testimone, il presidente boliviano e il Pontefice hanno indossato entrambi un caratteristico cappello di paglia bianco.
Quindi ha preso la parola Francesco. Cinquantacinque minuti di discorso, interrotto per almeno quaranta volte dagli applausi che via via sottolineavano le parti più apprezzate dell’intervento: dall’auspicio che il grido degli esclusi si oda in America latina e in tutta la terra, all’ammissione che la Chiesa non ha il monopolio dell’interpretazione della realtà sociale; dalla condanna dell’economia che distrugge la madre terra — per la quale si è levata un’autentica ovazione — all’umile richiesta di perdono per i crimini commessi contro gli indigeni anche dalla Chiesa durante la “conquista”. Fino al rilancio dell’idea della terza guerra mondiale “a rate” che stiamo vivendo. Al termine il Papa si è fermato a lungo a salutare alcuni dei presenti e ha anche indossato un casco giallo da minatore.
Infine, prima di rientrare per il pernottamento, Francesco si è recato a visitare il cardinale Terrazas, ricoverato dal 21 nella clinica Incor, a Santa Cruz Este, la parte orientale dell’agglomerato urbano caratterizzato dalla struttura a cerchi concentrici. Nella città infatti il Pontefice è ospite nella residenza dell’arcivescovo emerito, il quale soffre dallo scorso mese di aprile per diversi problemi di salute. È stato un incontro tra vecchi amici: i due infatti sono coetanei e hanno ricevuto la porpora nello stesso concistoro.

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Da peccatori a pescatori 

(Gianluca Biccini) L’unica liturgia celebrata da Papa Francesco in Bolivia è stata la messa di giovedì mattina, 9 luglio, nella piazza del Cristo Redentore, a Santa Cruz, per l’apertura del quinto congresso eucaristico nazionale.
Nel grande spiazzo dominato dalla colonna su cui poggia un’imponente statua di Gesù con le braccia alzate al cielo, Francesco è giunto a bordo della papamobile, che faticava ad avanzare tra la folla. Oltre due milioni di persone hanno infatti seguito l’avvenimento attraverso i 40 maxischermi collocati lungo lungo le ampie avenidas Monsignor Rivero e C. De Mendoza, che confluiscono verso lo spiazzo in cui era stato allestito l’altare. Francisco de los pobres lo slogan più ricorrente. Tra i presenti il Papa ha riconosciuto due vecchie conoscenze: dapprima una suora, che ha salutato con affetto; poi uno dei sacerdoti concelebranti.
Durante la messa votiva della Santissima Eucaristia, alla presenza del presidente Morales e di alcuni delegati ecumenici, erano molti gli elementi liturgici che richiamavano le culture locali. A cominciare dal palco papale, bellissimo nella sua semplicità, realizzato sullo stile delle missioni gesuitiche della Chiquitania, un’area a trecento chilometri di distanza da qui, abitata da sette popoli che hanno i nomi di santi cattolici. San Javier è la chiesa della stazione missionaria che ha ispirato l’architettura barocca e meticcia della struttura di legno e argilla: le colonne tortili — che ricordano quelle del tempio di Salomone — sono state intagliate a mano. Sullo stesso stile le decorazioni artistiche dell’altare, sul quale è stata riprodotta un’ultima cena in cui Cristo spezza il pane per i discepoli con le sembianze di campesinos. Accanto, una grande croce lignea alta quattordici metri, simile alle croci missionarie consegnate dal Pontefice al termine della messa in vista del convegno americano in programma nel 2018; e la statua della Vergine di Cotoca, venerata dai fedeli cruceños. La devozione si sviluppò dopo l’apparizione a tre bambini dell’omonimo centro a 20 chilometri da qui.
A lungo isolata dalla cordigliera e considerata alterna ai centri andini, perché i locali camba hanno condiviso ben poco con i colla degli altipiani, Santa Cruz sta ora vivendo la sua rivincita. È infatti il nuovo centro economico del Paese e dagli anni Novanta anche la città più popolosa. Da ora avrà un ulteriore elemento di vanto: il palco infatti non verrà smontato, ma resterà a memoria della visita del Papa latinoamericano.
Il Pontefice ha utilizzato un pastorale ricurvo di legno di soto, una pianta locale, su cui erano intagliati un angelo, la Madonna che scioglie i nodi, di cui è devoto, e Cristo buon pastore. Si tratta di un dono dell’arcidiocesi di Santa Cruz de la Sierra. Con Francesco hanno concelebrato numerosi vescovi boliviani e di altri Paesi del continente, come il cardinale cileno Ezzati. All’omelia — durante la quale un colpo di vento gli ha fatto volare lo zucchetto bianco — il Papa ha commentato il tema del congresso eucaristico (Pan partido para la vida del mundo, “Pane spezzato per la vita del mondo”) che proseguirà ora nella città di Tarija.
Alla preghiera dei fedeli, si sono alternati rappresentanti dei nove distretti dello Stato plurinazionale in abiti caratteristici, che hanno elevato intenzioni, in guaraní, per i più bisognosi della società; in quechua, per i poveri, i malati, i bambini abbandonati — fenomeno purtroppo abbastanza diffuso da queste parti — e i fratelli emarginati; e in aymara, affinché i giovani aprano il cuore a Dio.
E il tema della vocazione è tornato nel pomeriggio quando al Coliseo Don Bosco il Papa ha incontrato i sacerdoti, religiosi e seminaristi della regione di Santa Cruz.
Nella palestra della scuola gestita dai salesiani, in un clima particolarmente gioioso, Francesco ha ascoltato le testimonianze di un prete, di una suora e di un giovane seminarista, alle quali ha risposto aggiungendo molte considerazioni personali al testo del discorso già preparato. Soprattutto ha messo in guardia dall’«indifferenza dello zapping», di «chi passa e ripassa, ma mai si ferma» davanti ai problemi delle persone. È stata una vera festa, animata da canti e coreografie, con le suore più giovani a fare la “ola”, mentre altre alzavano uno striscione con su scritto: «I problemi sono temporanei, Dio è eterno».
Sullo sfondo del palco papale un dipinto raffigurante una barca con le reti pronte per essere gettate nel mare azzurro. Da «peccatori a pescatori», hanno cantato al ritmo brioso di una musica latina con inserti pop: nel gioco di parole la consapevolezza che modificando una sola vocale può cambiare un’intera vita. Come in Bolivia è successo alla beata Nazaria Ignazia di Santa Teresa di Gesù — le cui reliquie erano collocate nella croce accanto al palco — che ha speso la vita nella cura agli anziani, dei poveri che non avevano da mangiare, aprendo asili per bambini orfani, ospedali, e creando un patronato per la promozione della donna; o come la venerabile Virginia Blanco Tardío, totalmente dedita alle persone indigenti e malate.
L'Osservatore Romano