mercoledì 1 luglio 2015

Effetto San Giovanni

La manifestazione del 20 giugno a Roma
No a matrimonio gay e adozioni per le coppie omo Ecco l'effetto San Giovanni sugli italiani
di Massimo Introvigne

Il quotidiano Il Mattino di Napoli ha reso un servizio a tutti gli italiani commissionando a una nota società di sondaggi, la Ipr Marketing, un sondaggio sulle opinioni prevalenti nel nostro Paese in tema di leggi sull’omosessualità e di morale sessuale, quattro giorni dopo la manifestazione di Piazza San Giovanni. Le interviste a campione sono state realizzate il 24 giugno e sono state ora pubblicate. Con buona pace dei politici – e forse di qualche ecclesiastico – che pensano che dopo l’evento di Roma non sia cambiato nulla, il sondaggio rispetto a indagini precedenti condotte con analoga metodologia mostra un cambiamento di opinione che non è poco definire spettacolare, e che non ha altra causa immaginabile se non la manifestazione di Piazza San Giovanni e l’eco che ha avuto sui principali media italiani.
L’indagine si occupa anche di altre tematiche, ma le domande più ampie e articolate riguardano ilrapporto fra l’omosessualità e le istituzioni. Gli italiani, come emerge dal sondaggio, non sono certamente “omofobi” nel senso consueto e caricaturale del termine: il 64% ritiene che la società e la Chiesa dovrebbero “accogliere” gli omosessuali – nulla di diverso c’è scritto nel Catechismo della Chiesa Cattolica – anche se gli intervistati sono più perplessi sui transessuali. Per la maggioranza (51%) questi ultimi sono «persone particolari che si auto-emarginano dalla società».
Dove i risultati sono parzialmente diversi rispetto a sondaggi precedenti è nelle risposte relative alle materie che, precisamente, erano oggetto della manifestazione di Piazza San Giovanni. Un solido 55% è contrario all’insegnamento della teoria del gender nelle scuole. Solo il 25% è favorevole all’insegnamento della teoria a partire dalle scuole medie, e appena un misero 5% già dalle scuole elementari. Un 15% di “senza opinione” rileva la disinformazione che ancora regna in materia, e forse gli esiti del martellamento delle infondate ma talora efficaci campagne secondo cui «la teoria del gender non esiste». Grazie certamente anche a Piazza San Giovanni questa disinformazione è però oggi minoritaria. Otto italiani (e mezzo) su dieci sanno che cos’è la teoria del gender, e i politici che approvano leggi che la introducono nelle scuole elementari dovrebbero sapere che solo cinque italiani su cento ormai approvano queste norme.
Da tutti i sondaggi precedenti già emergeva che la maggioranza degli italiani è contraria all’adozione omosessuale. Ma dopo Piazza San Giovanni la maggioranza è diventata bulgara e i no sono una valanga. L’85% degli italiani rifiuta la possibilità che i bambini possano essere adottati da coppie dello stesso sesso. La domanda rivolta da Alfredo Mantovano dal palco di Piazza San Giovanni – «volete le adozioni omosessuali?» – ha ricevuto una risposta su cui nessuno può avere dubbi, non solo dalla piazza ma da tutta l’Italia. Mentre in indagini precedenti alla manifestazione del 20 giugno la domanda sul “matrimonio” omosessuale rivelava un’Italia spaccata quasi esattamente a metà – e un ipotetico referendum deciso all’ultima scheda – ora il “no” ha la maggioranza assoluta ed è in vantaggio di ben diciassette punti: 55% di contrari contro 38% di favorevoli (gli altri sono indecisi). Se qui non c’è un “effetto Piazza San Giovanni” non so che cos’altro ci sia.
Secondo il sondaggio la maggioranza relativa – non assoluta – degli italiani è favorevole alle «unioni civili per le coppie omosessuali»: il 46% è per il sì, il 40% per il no, il 14% indeciso. Già questo risultato mostra un fronte del “no” decisamente rafforzato rispetto a sondaggi precedenti a Piazza San Giovanni. Ma soprattutto un grande merito del sondaggio del Mattino è che non si è limitato alla domanda secca. Ha chiesto anche quale tipo di “unioni civili” gli italiani sarebbero disposti ad accettare. Analizzando i risultati si scopre che ci sono solo due elementi che la maggioranza vorrebbe includere in queste cosiddette “unioni civili”: il diritto di assistere il partner convivente in ospedale (72%) e il diritto a una quota di legittima nell’eredità, peraltro «pro quota con altri eventuali eredi» (ma qui si scende al 55%). Il diritto di assistenza in ospedale nell’ordinamento italiano esiste già. La quota legittima nell’eredità no, ma naturalmente l’espressione contenuta nella domanda «pro quota con altri eventuali eredi», si presta a diverse interpretazioni in caso di compresenza di un partner omosessuale che conviveva con il defunto e di figli che quest’ultimo aveva avuto in precedenza. Sul resto, pollice verso. No a un assegno simile a quello che esiste per i casi di separazione o divorzio (56%). No all’equiparazione del convivente omosessuale al coniuge per l’accesso ad agevolazioni abitative (68%). No alla reversibilità della pensione (68%). E, come già abbiamo visto, soprattutto no alle adozioni (85%).
A differenza di quanto avveniva in altri sondaggi, non ci dobbiamo immaginare che cosa vogliono dire gli italiani che si affermano favorevoli alle “unioni civili”. Ora lo sappiamo. Vogliono una semplice riconferma dei diritti di cui i conviventi omosessuali già godono – in particolare, il diritto di assistenza del partner in ospedale – con qualche aggiustamento in tema di eredità. Ma dicono “no” al matrimonio e a qualunque cosa vi assomigli, compresa la reversibilità della pensione. Vogliono dunque diritti individuali, non di coppia. Diritti – eventualmente – patrimoniali, ma mai matrimoniali. Detto in altre parole, e senza assolutamente forzare i risultati, gli italiani non vogliono la legge Cirinnà. Anche coloro che si dicono favorevoli a “unioni civili” intendono a grande maggioranza qualcosa di completamente diverso dalla Cirinnà.
Infatti la legge Cirinnà richiama costantemente la disciplina del matrimonio e comprende lareversibilità della pensione. Comprende le adozioni, all’articolo 5 dove prevede la stepchild adoption, cioè la possibilità per ciascun partner di adottare il figlio biologico o adottivo dell’altro partner, così oggettivamente aprendo anche all’utero in affitto. E – come questo giornale ha tante volte spiegato – in realtà comprende tutte le adozioni, senza limite, perché la Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha chiarito che, una volta introdotta sotto qualunque nome una disciplina analoga a quella matrimoniale, il principio di non discriminazione vieta di escludere le adozioni. Ogni limitazione – che rimanga o che sparisca l’articolo 5 – sarebbe dunque spazzata via dai giudici nel giro di qualche settimana. Con la legge Cirinnà s’impone dunque l’adozione omosessuale a quell’85% di italiani che non la vuole.
Il sondaggio è ben fatto ed è anche importante perché mostra che – nonostante i giornali, Renzi,tanti parlamentari e qualche ecclesiastico – è stolto fare finta che a Piazza San Giovanni non sia successo niente. Quella piazza rappresenta la maggioranza del Paese, e ha fatto cambiare idea a tanti incerti. È con il Paese che Renzi e i suoi amici dovrebbero confrontarsi, non con qualche lobby o qualche ecclesiastico che tratta nell’ombra improbabili maquillage della Cirinnà. Come il sondaggio conferma, questi ecclesiastici, quando esprimono opinioni diverse da quelle che sono risuonate a Piazza San Giovanni ed emergono con grande chiarezza dai dati, rappresentano se stessi e pochi amici. Certamente non rappresentano il popolo cattolico italiano.

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Usa, nozze gay qualche vescovo forza la mano
di Lorenzo Bertocchi
«Estendere il supporto a tutte le famiglie, non importa la loro situazione, perché dobbiamo ammettere che siamo tutti insieme nel viaggio della vita sotto lo sguardo attento di un Dio amorevole». Così l'arcivescovo di Chicago, monsignor Blaise Cupich, in seguito alla decisione della Suprema Corte degli Usa rispetto al riconoscimento del matrimonio omosessuale in tutti gli Stati dell'Unione. Per il Chicago Tribune le parole dell'arcivescovo diramate da Roma, dove Cupich si trovava per la consegna del pallio arcivescovile ai metropoliti, sembrano un po' in dissonanza rispetto alle reazioni di molti suoi confratelli. Basti ricordare che monsignor Joseph Kurtz, presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, ha tuonato affermando che per il governo è «profondamente immorale e ingiusto dichiarare che due persone dello stesso sesso possano costituire un matrimonio».
Monsignor Cupich da parte sua, ovviamente, ha sottolineato che la ridefinizione del matrimonio civile non ha nulla a che vedere con il sacramento del matrimonio, perché «il matrimonio tra un uomo e una donna è segno dell'unione tra Cristo e la Chiesa». Tuttavia, il tono delle sue parole appare conciliante con la situazione che si è venuta a creare dopo la decisione della Corte. «Il rapido cambiamento sociale avviato dalla sentenza», scrive l'arcivescovo, «ci chiama a riflessioni mature e serene su come possiamo andare avanti insieme».
In modo schietto Cupich ha parlato di “rispetto” dovuto alle persone della comunità Lgbt e,richiamando il Catechismo al n°2358, ha detto che questo rispetto deve essere “reale e non retorico, e deve sempre riflettere l'impegno della Chiesa verso l'accompagnamento di tutte le persone”. Così sembra incarnare quella figura di pastore “costruttore di ponti” che, con una certa retorica, viene sostenuta da più parti. Chiamato a sostituire il cardinale George, recentemente scomparso, monsignor Cupich è entrato nella diocesi di Chicago lo scorso anno. Diversi commentatori hanno fatto notare che quella di Cupich a Chicago è stata una scelta a sorpresa, decisa direttamente da papa Francesco, scavalcando il lavoro della congregazione per i vescovi e anche gli orientamenti dei presuli americani.
Bisogna comunque riconoscere che monsignor Cupich ha rispettato in pieno il dettato del recenteInstrumentum laboris per il prossimo Sinodo dei vescovi. Infatti, al n°131, si legge che «che ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con sensibilità e delicatezza, sia nella Chiesa che nella società». Sulla stessa lunghezza d'onda si è recentemente sintonizzato anche monsignor Vincenzo Paglia, intervenuto alla conferenza stampa di presentazione della prossima Giornata mondiale della Famiglia, prevista a settembre a Philadelphia. Di fronte alla domanda di un giornalista, che chiedeva della presenza o meno di coppie gay alla giornata mondiale, il presidente del pontificio consiglio per la Famiglia ha detto che «seguiamo alla lettera l'Instrumentun Laboris del Sinodo. Tutti possono venire, nessuno escluso. E se qualcuno si sente escluso, lascio le 99 pecorelle e lo vado a prendere. L'intima connessione tra il meeting negli Usa e il Sinodo, evidentemente, non è solo temporale».
L'accoglienza e l'accompagnamento non preludono, almeno nelle intenzioni dichiarate, a unriconoscimento ecclesiale di un qualsiasi “matrimonio” omosessuale, questo è stato ribadito chiaramente anche dal cardinale Peter Erdo durante la presentazione dell'Instrumentum laboris. Rimane però un atteggiamento pastorale che qualcuno ritiene eccessivamente ottimista e accondiscendente verso scelte politiche e umane che sono lontane dalla dottrina cattolica. Perché, come ha dichiarato monsignor Joseph Kurtz, «indipendentemente da quello che una maggioranza ristretta della Corte Suprema ha dichiarato (…), la natura della persona umana e il matrimonio restano immutati e immutabili».