venerdì 10 luglio 2015

Il totalitarismo gender




di Aldo Vitale
Nel 1969 fu pubblicato il volume dell’esule russo Boris Levitskij, la cui famiglia fu trucidata dal regime, dal significativo titolo L’inquisizione rossa, in cui l’autore denunciava le procedure e gli scopi della polizia politica sovietica contro tutti coloro che, come riportano numerose sentenze di condanna di scrittori e artisti, non avevano adeguato la propria mentalità alla coscienza socialista.
Se nel XX secolo in Europa, o in gran parte di essa, si registrava l’opera dell’inquisizione socialista che metteva alla gogna chiunque non la pensasse socialisticamente, oggi, nel XXI secolo accade qualcosa di simile con l’ideologia gender.
Se una volta chi non orientava la propria mentalità secondo le disposizioni della coscienza socialista era identificato come un nemico del popolo e un fascista, oggi, similmente, chi non orienta la propria coscienza secondo i precetti dell’ideologia gender è un nemico dei diritti e un omofobo. Addirittura il solo dichiarare che esiste una vera e propria ideologia gender rappresenta causa sufficiente per essere accusati di omofobia, così come un tempo dichiarare che il socialismo era un falso umanesimo comportava la (s)qualifica di fascista.
Lo spettro di una nuova tirannia si aggira per l’Europa, quello dell’ideologia gender; il genderismo, come tutti i totalitarismi, infatti vuole piegare le coscienze ai propri dettami, anche coercitivamente, cioè tramite l’uso della forza.
Che si tratti di vero e proprio totalitarismo lo si comprende facendo riferimento agli elementi che secondo la più nota ed autorevole teorizzatrice del tema, Hannah Arendt, sono necessari per dar vita, appunto, ad un totalitarismo: l’ideologia, la massa da indottrinare e la polizia politica per tacitare chiunque dovesse resistere all’indottrinamento.
L’ideologia gender integra perfettamente tutti e tre gli elementi previsti dalla Arendt: è una ideologia in quanto alla unitaria e naturale sessuazione umana secondo il dimorfismo maschile/femminile sostituisce la scomposizione della frastagliata galassia dei generi di matrice costruzionista, cioè forgiata dall’insieme di volontà individuale e sociale; sfrutta intere masse da indottrinare, specialmente tramite manifestazioni di piazza, social networks, pubblicità, campagne stampa e televisive monotematiche; utilizza sistemi da “polizia politica”, poiché immediatamente accusa e condanna di omofobia ed intolleranza chiunque non si pieghi ai dettami del genderismo, come accaduto per esempio nel caso Barilla.
L’ideologia gender è totalitaria poiché, come ogni totalitarismo, richiede la fedeltà più cieca ed assoluta come ricorda sempre la Arendt: «I movimenti totalitari esigono una dedizione e fedeltà incondizionata e illimitata […]. La fedeltà totale è possibile soltanto quando è svuotata di ogni contenuto concreto, da cui potrebbero naturalmente derivare mutamenti d’opinione».
Così, i sostenitori dell’ideologia gender operano in positivo richiedendo l’obbedienza da parte di quanti ancora non l’hanno loro prestata (per esempio le grandi imprese), e in negativo sanzionando socialmente e un domani anche giuridicamente tutti coloro che non solo rivendicano una indipendenza rispetto al pensiero genderista, ma che anche soltanto si limitano a dichiarare una verità di per sé evidente, cioè che la famiglia naturale è quella tra uomo e donna o che tale è la dimensione morale del proprio credo religioso.
Ed ecco esplicitarsi lo schema tipico, il paradosso costitutivo del totalitarismo genderista: reclamando la libertà di definire la propria identità, si contempla all’un tempo la negazione della altrui libertà di coscienza e di espressione come dimostra, tra i tanti casi citabili, il caso di don Emiliano De Mitri il cui profilo Facebook è stato censurato per aver egli dichiarato che non avrebbe rilasciato nulla osta per padrini e madrine di battesimo e cresima a coloro che, all’indomani della sentenza della Corte Suprema statunitense sulla “liberalizzazione” del same-sex marriage, avrebbero arcobalenizzato l’immagine del proprio profilo Facebook in sostegno della suddetta sentenza.
Il grottesco viene in essere allorquando si legge proprio la suddetta sentenza in cui la Corte Suprema che da un lato legalizza il matrimonio tra persone del medesimo sesso, dall’altro lato così sancisce: «Si deve mettere in evidenza che le religioni e coloro che aderiscono a dottrine religiose possono continuare a sostenere con la massima e sincera convinzione che in base ai precetti divini l’unione dello stesso sesso non può essere tollerata. Il primo emendamento garantisce che alle persone e alle organizzazioni religiose è data adeguata protezione per l’insegnamento dei principi così centrali nelle proprie vite e fedi e alle loro profonde aspirazioni a dar seguito alla struttura familiare che essi hanno a lungo osservato».
La richiesta stessa di introdurre, almeno in Italia, la fattispecie criminosa di omofobia altro non è che la traduzione dal piano sociale e più generale al piano giuridico e più particolare del tipo di persecuzione politica e ideologica che il genderismo mette in essere contro chi non si adatta alla sua aberrante, tale poiché innaturale, logica.
Con il reato di omofobia sarebbe sancita quella che si potrebbe definire come vera e propria inquisizione arcobaleno, in cui chiunque potrebbe essere condannato giuridicamente e penalmente qualora esprimesse opinioni che non fossero coincidenti con i principi del genderismo, come l’idea che non esiste un diritto al figlio, o che le coppie omosessuali che ricorrono alla maternità surrogata (cosiddetto “utero in affitto”) sono i nuovi schiavisti del XXI secolo, o che, fermi restando i diritti individuali di tutti e di ciascuno, un bambino necessita di una padre e di una madre per crescere e che non può essere oggetto di commercio come adesso accade e come si vuole incrementare maggiormente con la omogenitorialità.
Sotto le mentite spoglie di miti agnelli si celano dunque lupi rapaci le cui idee rischiano di minare la libertà di pensiero e di coscienza ricorrendo al tranello della maggiore dignità reclamata per tutti; del resto, come ha ben notato, Nicolas Gomez Davila «per ridurre l’uomo in schiavitù non c’è pretesto migliore de “la dignità dell’uomo”».

Tempi


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 "Più nozze gay aiutano il Pil": così i burattinai dell'economia attaccano la famiglia


di Roberto Persico
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Se qualcuno ancora non ci credeva, ecco qui la prova provata. Meglio, la confessione del mandante. Perché si difendono i diritti delle coppie gay? Per amore delle loro persone? Per difendere la loro felicità? Macché! Perché così l’economia gira.
Mi spiego. Paul Donovan, economista di UBS, la potentissima Unione delle banche svizzere, ha esposto una teoria secondo cui gli stati che hanno aperto alle nozze gay “è probabile che ottengano un beneficio economico”. Da dove deriva questa convinzione? È presto detto: “Legalizzare i matrimoni tra persone dello stesso sesso potrebbe aumentare la forza lavoro di un paese poiché si incoraggia l’immigrazione di persone Lgbt”, e “il principale beneficio dovrebbe arrivare dalla potenziale crescita della produttività del lavoro che a sua volta dovrebbe essere spinta da una maggiore mobilità”. In pratica, più persone saranno incentivate a spostarsi dove sono permessi i matrimoni gay. L’America, prosegue Donovan, “è una società mobile per tradizione, due volte più dell’Europa, anche se di recente ha un po’ tirato il freno”. Proprio in questo senso, il via libera alle nozze gay rimuove un ostacolo alla mobilità. “Secondo un’indagine del 2013 - nota l’economista Ubs - il 52% degli americani Lgbt si sarebbe voluto sposare, il che significa che il fatto che le nozze gay siano o meno consentite influenza una considerevole fetta della forza lavoro”. Insomma, “permettere i matrimoni tra persone dello stesso sesso rimuoverà chiaramente un ostacolo alla mobilità negli Stati Uniti, mentre lo stesso impedimento costituisce un rischio non da poco nell’Unione Europa”. In particolare, prosegue l’esperto di Ubs, “nell’area dell’euro la generale mancanza di mobilità ha già avuto diverse conseguenze negative” e c’è persino chi suggerisce che ciò possa compromettere la produttività e in ultima analisi la crescita.
È chiaro il concetto? Il freno alla crescita dell’economia è la scarsa mobilità, gli stati che approvano le nozze gay favoriscono la mobilità dei lavoratori e perciò l’aumento della prodittuività, un po’ come la Prussia di fine Seicento che aprì le porte agli ugonotti cacciati dalla Francia e mise così le basi della sua crescita economica.
Chiariamo un possibile equivoco. Qui non si tratta di omofobia. Personalmente, ho vari amici di diverso orientamento sessuale, sono loro affezionato e non mi sognerei mai di mettere in discussione le loro scelte. Alcuni vivono la loro condizione con travaglio, altri con serenità; alcuni si battono per il riconoscimento delle nozze gay e per il diritto all’adozione, altri affermano che è meglio che un figlio abbia un padre e una madre chiaramente diversificati. Non è questo il punto. 

Il punto sono i burattinai che tirano i fili. È già successo, al tempo del divorzio, al tempo dell’aborto: si cita il caso pietoso, si getta in pasto all’opinione pubblica la situazione disastrata, e la si usa per convincere della necessità di una legge che ha tutt’altri scopi. Quali? Semplice, distruggere la famiglia. Ma perché? Perché dal punto di vista dei signori dell’economia la famiglia tradizionale non è un buon consumatore: risparmia, divide le spese, ricicla, eroga assistenza, è un ammortizzatore sociale naturale… Dal punto di vista dei signori dell’economia il cittadino ideale è single, senza rapporti stabili, privo di una rete di solidarietà e perciò pronto a muoversi dove lorsignori trovino più conveniente piazzare le proprie fabbriche, a comperare in ogni nuova casa una nuova lavatrice e un nuovo frigorifero, a trascorrere le domeniche nei centri commerciali…

Ribadisco, io voglio bene ai miei amici omosessuali; proprio per questo mi addolora vedere come la loro fatica sia orrendamente strumentalizzata da chi ha a cuore non la loro felicità, ma solo il proprio portafogli. Non è una calunnia: lo dicono loro…
Il Sussidiario