giovedì 9 luglio 2015

Incontro con sacerdoti, religiosi e religiose, seminaristi a Santa Cruz de la Sierra. Discorso di Papa Francesco

Incontro con sacerdoti, religiosi e religiose, seminaristi a Santa Cruz de la Sierra. Discorso di Papa Francesco: “Non esiste una compassione che non si fermi, non ascolti e non solidarizzi con l’altro. La compassione non è zapping, non è silenziare il dolore, al contrario, è la logica propria dell’amore
Sala stampa della Santa Sede


- Il segno (...) indica frasi aggiunte dal Santo Padre e pronunciate a braccio.

L’incontro inizia alle 16, ora locale, nella palestra della scuola gestita dai Padri Salesiani, con il saluto di S.E. Mons. Roberto Bordi, O.F.M., Vescovo Ausiliare del Vicariato Apostolico di El Beni e Delegato della Conferenza Episcopale Boliviana per la Vita Consacrata. Dopo un momento di preghiera e alcune testimonianze, il Santo Padre ha pronunciato il discorso che riportiamo di seguito: 

Discorso del Santo Padre
Cari fratelli e sorelle, buonasera,
sono contento di avere questo incontro con voi, per condividere la gioia che riempie il cuore e l’intera vita dei discepoli missionari di Gesù. Lo hanno dimostrato le parole di saluto di Mons. Robert Bordi e le testimonianze di Padre Miguel, di suor Gabriela e del seminarista Damian. Tante grazie per aver condiviso la vostra esperienza vocazionale. 
Nel racconto del Vangelo di Marco abbiamo ascoltato anche l’esperienza di un altro discepolo, Bartimeo, che si è unito al gruppo dei seguaci di Gesù. E’ stato un discepolo dell’ultima ora. Era l’ultimo viaggio del Signore da Gerico a Gerusalemme, dove andava per essere consegnato. Cieco e mendicante, Bartimeo era sul ciglio della strada, impossibile essere più esclusi di così, emarginato, e quando seppe che passava Gesù, incominciò a gridare. (...)
Intorno a Gesù c’erano gli Apostoli, i discepoli e le donne che lo seguivano abitualmente, con i quali percorse, durante la sua vita, le strade della Palestina per annunciare il Regno di Dio. E una grande folla. (...)
Due realtà emergono con forza, si impongono. Da un lato, il grido di un mendicante, dall’altro, le diverse reazioni dei discepoli. E siamo alle diverse reazioni dei vescovi, dei sacerdoti, dei seminaristi (...) È come se l’Evangelista volesse mostrarci quale tipo di eco ha trovato il grido di Bartimeo nella vita della gente e dei seguaci di Gesù. Come reagiscono al dolore di colui che è sul bordo della strada, e nessuno ci fa caso, al massimo gli danno l'elemosina, di colui che sta seduto sul suo dolore, e non rientra nel gruppo che sta seguendo il Signore. 
Tre sono le risposte alle grida del cieco. Queste tre risposte sono molto attuali: potremmo dirlo con le parole del Vangelo stesso: Passare – Sta’ zitto! - Coraggio, alzati! 
1. Passare. Passare a distanza, alcuni forse perché non hanno sentito. Stanno con Gesù, guardano Gesù e non sentono. Passare, è l'eco dell’indifferenza, passare accanto ai problemi e ma questi non ci tocchino. Non è un mio problema! Non li ascoltiamo, non li riconosciamo. È la tentazione di considerare naturale il dolore, di abituarsi all’ingiustizia. Ci sono persone così: io sono qui con Dio, con la mia vita consacrata, scelto da Gesù con il mio ministero ed è così naturale che ci sono persone che soffrono (...) Finché non tocca a me! Diciamo a noi stessi: è normale, è sempre stato così. È l’eco che nasce in un cuore blindato, chiuso, che ha perso la capacità di stupirsi e quindi la possibilità di cambiare. Quante persone che seguono Gesù corrono questo pericolo: perdere la capacità di stupirsi? Questo può succedere a chiunque, è successo anche al primo Papa (...) 
Cuore blindato! Si tratta di un cuore che si è abituato a passare senza lasciarsi toccare; un’esistenza che, passando da una parte all’altra, non riesce a radicarsi nella vita del suo popolo semplicemente perché fa parte di questa elite. 
Potremmo chiamarla la spiritualità dello zapping. Passa e ripassa, ma non si ferma mai. Sono quelli che vanno dietro all’ultima novità, all’ultimo best seller, ma non riescono ad avere un contatto, a relazionarsi, a farsi coinvolgere.Anche dal Signore che stanno seguendo: potreste dirmi: "ma stavano attenti alle parole del Maestro. Stavano ascoltando lui”. (...) Come l’evangelista Giovanni ci ricorda, come può amare Dio, che non vede, chi non ama suo fratello, che vede? (cfr 1 Gv 4,20b). Dividere questa unità ascoltare Dio e il fratello, è una delle grandi tentazioni che ci accompagneranno lungo tutto il cammino quando seguiamo Gesù. E dobbiamo esserne consapevoli. Nello stesso modo in cui ascoltiamo il nostro Padre dobbiamo ascoltare il popolo fedele di Dio, se non lo facciamo con le stesse orecchie, con la stessa capacità di ascolto, con lo stesso cuore allora qualcosa si è spezzato. 
Passare senza ascoltare il dolore della nostra gente, senza radicarci nella loro vita, nella loro terra, è come ascoltare la Parola di Dio senza lasciare che metta radici dentro di noi e sia feconda. Una pianta, una storia senza radici, è una vita arida. 
2. Sta’ zitto! E’ il secondo atteggiamento davanti al grido di Bartimeo. Sta’ zitto, non molestare, non disturbare! Noi stiamo facendo una preghiera comunitaria adesso, non disturbare. A differenza dell’atteggiamento precedente, questo ascolta, riconosce, entra in contatto con il grido dell’altro. Sa che c’è, e reagisce in un modo molto semplice, rimproverando. Sono i vescovi, i sacerdoti, le suore il Papa con il dito così. In Argentina diciamo che è come la maestra che faceva studiare con una disciplina molto dura. (...) È l'atteggiamento di coloro che di fronte al popolo di Dio, stanno continuamente a rimproverarlo, a brontolare, a dirgli di tacere.Dategli una carezza per favore, ascoltatelo, ditegli che Gesù gli vuole bene (...) Ma cos'ha questo bambino che piange mentre io predico? Come se il pianto di un bambino non fosse una sublime predica.
È il dramma della coscienza isolata, di coloro che pensano che la vita di Gesù è solo per quelli che si credono adatti (...)Sembrerebbe giusto che trovino spazio solo gli “autorizzati”, una “casta di diversi” che lentamente si separa, differenziandosi dal suo popolo. Hanno fatto dell’identità una questione di superiorità.Questa identità che è appartenenza e si fa superiore, non sono più pastori, ma sono capitani. 
Ascoltano, ma non odono, vedono, ma non guardano. Mi permetto un aneddoto (...) Sempre vengono poste barriere al popolo di Dio.
La necessità di differenziarsi ha bloccato loro il cuore. Il bisogno cosciente o incosciente di dirsi: io non sono come lui, come loro, li ha allontanati, non solo dal grido della loro gente, o dal loro pianto, ma soprattutto dai motivi di gioia. Ridere con chi ride, piangere con chi piange, ecco una parte del mistero del cuore sacerdotale e del cuore consacrato. Qualche volta ci sono delle caste e noi con questo atteggiamento andiamo avanti e ci separiamo. In Ecuador ho detto ai sacredoti e alle suore di chiedere tutti i giorni la grazia della memoria, di non dimenticarsi da dove ti hanno tirato fuori, ti hanno tirato fuori dal gregge, non dimenticarlo mai, non negare le tue radici, non negare questa cultura che hai imparato dalla tua gente solo perché adesso hai una cultura più sofisticata. Ci sono sacerdoti che si vergognano di parlare la loro lingua d'origine, parlano più "fine". La grazie di non perdere la memoria del popolo fedele: nel Libro del Deuteronomio quante volte Dio dice "Non ti dimenticare" (...) 
3. Coraggio, alzati! E infine abbiamo la terza eco. Una eco che non nasce direttamente dal grido di Bartimeo, ma dall’osservare come Gesù si comportò davanti al clamore del cieco mendicante, cioè quelli che non lasciano spazio al suo grido, non lo lasciavano passare. È un grido che si trasforma in Parola, in invito, in cambiamento, una proposta di novità di fronte ai nostri modi di reagire davanti al popolo santo di Dio. 
A differenza degli altri, che passavano, il Vangelo afferma che Gesù si fermò e chiese che cosa stava accadendo, chi suona la batteria. Si ferma di fronte al grido di una persona. Esce dall’anonimato della folla per identificarlo e in questo modo si impegna con lui. Mette radici nella sua vita. E invece di farlo tacere, gli chiede: Che cosa posso fare per te? Non serve differenziarsi, non serve separarsi, non gli fa una predica, non lo classifica se è o meno autorizzato a parlare, gli fa solo una domanda, lo riconosce volendo far parte della vita di quest’uomo, facendosi carico del suo stesso destino. Così gli restituisce semplicemente la dignità che aveva perduto, lo include. Anziché vederlo dall’esterno, ha il coraggio di identificarsi con i problemi e così manifestare la forza trasformante della misericordia. Non esiste una compassione, una compassione, che non si fermi, se non ti fermi non hai la divina compassione, non ascolti e non solidarizzi con l’altro. (...) La compassione non è zapping, non è silenziare il dolore, al contrario, è la logica propria dell’amore. È la logica che non si è centrata sulla paura, ma sulla libertà che nasce dall'amore e mette il bene dell’altro sopra ogni cosa. È la logica che nasce dal non avere paura di avvicinarsi al dolore della nostra gente. Anche se molte volte non sarà che per stare al loro fianco e fare di quel momento un’occasione di preghiera. 
Questa è la logica del discepolato, questo è ciò che opera lo Spirito Santo con noi e in noi. Di questo siamo testimoni. Un giorno Gesù ci ha visto sul bordo della strada, seduti sui nostri dolori, sulle nostre miserie, sulla nostra indifferenza, ognuno conosce la propria storia antica. Non ha messo a tacere il nostro grido, ma si è fermato, si è avvicinato e ci ha chiesto che cosa poteva fare per noi. E grazie a tanti testimoni che ci hanno detto: “Coraggio, alzati!”, a poco a poco siamo stati toccati da questo amore misericordioso, quell'amore trasformante, che ci ha permesso di vedere la luce. Non siamo testimoni di un’ideologia, non siamo testimoni di una ricetta, di un modo di fare teologia. Non siamo testimoni di questo! Siamo testimoni dell’amore risanante e misericordioso di Gesù. Siamo testimoni del suo agire nella vita delle nostre comunità. 
Questa è la pedagogia del Maestro, questa è la pedagogia di Dio con il suo popolo. Passare dall’indifferenza dello zapping al “Coraggio! Alzati, [il Maestro] ti chiama!” (Mc 10,49). Non perché siamo speciali, non perché siamo migliori, non perché siamo i funzionari di Dio, ma solo perché siamo testimoni grati della misericordia che ci trasforma. Quando si vive così c'è gioia e c'è piacere. Possiamo aderire alla testimonianza della nostra sorella che nella sua vita ha fatto suo il consiglio di Sant'Agostino.
Non siamo soli in questo cammino. Ci aiutiamo con l’esempio e la preghiera gli uni gli altri. Abbiamo intorno a noi una nube di testimoni (cfr Eb 12,1). Ricordiamo la beata Nazaria Ignazia di Santa Teresa di Gesù, che ha dedicato la sua vita all’annuncio del Regno di Dio nella cura agli anziani, con il «piatto del povero» per coloro che non avevano da mangiare, aprendo asili per bambini orfani, ospedali per i feriti di guerra e anche creando un sindacato femminile per la promozione delle donne. Ricordiamo anche la venerabile Virginia Blanco Tardío, totalmente dedita all’evangelizzazione e alla cura delle persone povere e malate. Loro e tanti altri sono stimolo di tutta questa gente che segue Gesù, tutti loto sono uno stimolo per il nostro cammino. Andiamo avanti con l’aiuto di Dio e la collaborazione di tutti. Il Signore si serve di noi perché la sua luce raggiunga tutti gli angoli della terra.E quindi canta e cammina e mentre canta e cammina per favore pregate per me perché ne ho bisogno. Grazie!


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Bienvenida al Papa de parte de Monseñor Roberto Bordi, ofm Obispo Auxiliar del Vicariato Apostólico del Beni, Delegado de la Conferencia Episcopal Boliviana para la Vida consagrada
Sala stampa della Santa Sede 
Encuentro con los sacerdotes, religiosos, religiosas y seminaristas
Santidad:
Estamos aquí con mucha alegría, los sacerdotes, diáconos, seminaristas, religiosos/as, novicios/as, venidos de toda Bolivia, para saludarle y darle la bienvenida a nuestro País.
Nosotros todos vemos en su persona, con los ojos de la fe, al Vicario de Cristo y sucesor de Pedro, que viene a confirmarnos en la fe, con el amor del Señor en el corazón y la Buena Noticia del Salvador.
Queremos manifestarle que su presencia nos anima y reconforta y nos compromete a convertirnos en apóstoles y testigos de la alegría del Evangelio, así como nos lo pide en su Exhortación Apostólica “Evangelii Gaudium”, y en tantos mensajes con la misma consigna.
Sí, el Evangelio es alegría, porque es la Buena noticia del “gozo perfecto” (Jn 15,11), de las bienaventuranzas (Mt 5,3-12); es promesa de salvación, es el manual de la espiritualidad del amor, de la filiación divina y de la fraternidad universal.
En sus homilías, discursos, catequesis y documentos Usted nos exhorta a vivir una fe gozosa, comprometidos con Dios y con el mundo, dando prioridad a los pobres y sufridos, que son los privilegiados del amor de Dios. Hay muchos pobres en nuestro país que son ricos de fe y humanidad; y hay ricos que son pobres espiritualmente y de corazón, pobres de amor cristiano y de virtudes civiles. A todos ellos queremos evangelizar llamándolos a la conversión para que tengan un encuentro personal con Cristo y en Él tengan vida en abundancia, como nos dice el documento de Aparecida.
Somos conscientes de que los primeros en convertirnos debemos ser nosotros, si queremos contagiar a los demás con una palabra y un testimonio creíble y eficaz. Sabemos que nuestro lugar es estar en medio de las ovejas y en las periferias existenciales y geográficas, trabajando por el Reino de Dios, como Usted nos lo recuerda repetidas veces. En Bolivia los sacerdotes, diáconos y los religiosos/as estamos presentes en todos los lugares del país: en las ciudades y en el campo; en el altiplano , en los valles y en la llanos , en las serranías y en las selvas. Somos todos misioneros y acompañamos y amamos a nuestro pueblo. Trabajamos en la evangelización y en la promoción humana. A veces nos falta aliento y recursos . Por eso le pedimos, Santidad, que rece por nosotros y nos acompañe con su bendición apostólica, para que el Señor nos sostenga y nos llene con el fuego de su Espíritu.
Estamos comprometidos con varias tareas apostólicas de gran importancia, como la “misión permanente”, el año eucarístico nacional, el año de la Vida Consagrada, la pastoral familiar, la pastoral juvenil y vocacional, la pastoral social; y nos preparamos para el año jubilar de la Divina Misericordia. Nos apasiona la problemática religiosa y social de nuestro país. Vemos la necesidad urgente de una evangelización más intensiva y extensiva, para que nuestro pueblo sepa hacer frente a la avalancha del secularismo y el materialismo con todas sus consecuencias nefastas en el ámbito de la vida personal, familiar y social. Nos preocupa la inmoralidad, la corrupción, el narcotráfico, el alcoholismo, la desintegración familiar, la inseguridad social, los enfrentamientos políticos e ideológicos, las injusticias y la pobreza. Pero todo esto no nos desanima, porque contamos con el acompañamiento y la gracia del Señor y con un mensaje de gran valor, que es el Evangelio de la alegría, y la alegría del Evangelio. Sabemos que el bien es más atractivo y contagioso que el mal, porque produce la verdadera vida, rica de belleza, amor y virtud, que todo hombre sabe apreciar.
Podríamos resumir nuestro compromiso con el Señor y con la Iglesia universal, que su Santidad representa, haciendo efectivo el lema de los religiosos para el año de la Vida Consagrada: Evangelio, Profecía y
Esperanza. En el Evangelio está la palabra profética con que queremos “despertar al mundo”, y la esperanza con que deseamos animar a los que buscan la felicidad verdadera, que está en Dios, el Bien Infinito.

Santidad, gracias por su visita. Gracias por hacernos visible a Jesús el Buen Pastor, cuyo rebaño Usted apacienta con tanto amor y sabiduría.

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Coliseo Don Bosco. Encuentro con los sacerdotes, religiosos, religiosas y seminaristas. Testimonios
Sala stampa della Santa Sede
1. Crispín Borda Gomez, Sacerdote diocesano de la Arquidiósesis de Cochabamba, Rector Seminario Mayor Arquidiocesano “San Luís” 
Apreciado Papa Francisco. 
Queridos Pastores, Hermanos Sacerdotes, Diáconos, Religiosas, Religiosos y Seminaristas. 
Cuando cruzaba de la cabecera del Valle (Tapacarí), mi tierra querida, hacia el trópico, por la ciudad de Cochabamba, encontré a dos jóvenes paisanos míos que iban al curso vocacional en la Casa del Catequista CADECA. Ahí me presentaron al Señor Resucitado leyendo el Evangelio de Marcos 3, 13-14 “…Llamó a los que Él quiso… para que estuvieran con Él y para enviarlos a predicar…” 
Yo dejé todo: terreno, casa y familia, porque esa expresión de ternura:Ven, Quédate y Anda, era el regalo más precioso para mí. Agradezco infinitamente al Señor su mirada de amor y misericordia, porque se fijó en mí, un pobre campesino, y me regaló la vocación del sacerdocio que produjo un cambio de 180 grados. Todavía no sé si Él se enamoró de mí o yo de Él, pero hasta ahora estamos muy seducidos. Lo siento muy cerca y presente en este servicio espiritual, humano y pastoral. Incluso en los momentos más difíciles de la vida, siempre suena su voz en mi interior: “No tengas miedo que yo estoy contigo para protegerte”. 
En este servicio pastoral, pasando por las Parroquias, Vicarías y ahora en el Seminario doy gracias a Dios por mis Pastores, por mis Hermanos Sacerdotes, de manera particular, a los Misioneros y Comunidades Eclesiales de Base de la zona Andina, catequistas, niños, jóvenes, ancianos y Autoridades originarias y ahora, a mis hermanos seminaristas, porque nunca me dejaron solo sino que siempre trabajamos unidos, en comunidad. Ellos salieron a mi encuentro, me acogieron, nos conocimos y me enseñaron que siempre tenemos que estar juntos, ser juntos y hacer juntos, ya que esto es la acción pastoral: crear comunidades cristianas, llegar a todos para que nuestras comunidades sean humanas, comunidades de fe, comunidades celebrativas que transformen su entorno y sean comunidades llenas de vida, de esperanza, de fe y de caridad. 
Termino pidiendo a Dios como Locordarie: Dios mío ¡qué vida!. “Vivir en medio del mundo sin desear sus placeres. Ser un miembro de cada familia y no pertenecer a ninguna, participar de todos los sufrimientos. Penetrar todos los secretos. Sanar todas las heridas. Ir de los hombres a Dios para llevarles sus oraciones. Volver de Dios a los hombres para traer el perdón y la esperanza. Tener un corazón de fuego para la caridad y un corazón de bronce para la castidad. Enseñar y perdonar; consolar y bendecir siempre… Dios Mío ¡Qué vida! Y es la tuya ¡Oh sacerdote de Cristo!” 
A nuestra Madre Santísima imploro para que siempre ore por nosotros aún en la hora de nuestra muerte. 
2. Suor Gabriela Cuellar Duran, Religiosa 
Su Santidad Papa Francisco, para mí es un grato honor dirigirme a su persona. 
Soy Gabriela Cuellar Duran, nacida en el Beni, de la Congregación de las Hermanas de San José de Chambery. Con mucha humildad comparto con usted mi seguimiento a Jesucristo desde la cotidianidad y la sencillez de una Hermana, que busca vivir ]a Comunión heredada de nuestro Fundador P. Jean Pierre Médaille S.J. 
En estos 24 años de Consagración Religiosa, mi vida ha estado sustentada por la oración, donde me encuentro con CRISTO vivo, quien me ayuda y acompaña. Este CRISTO, que anima a sus seguidores a encarar con valor, alegría y tenacidad los desafios de la vida. Aunque el mundo nos muestre el lado triste, coma cristiana me siento invitada a alimentar la eperanza y la alegría de mi pueblo que confía y cree en días mejores. Fortalecida por la vida comunitaria, sintiendo a cada hermana como un regalo de Dios, alimentando mi fe con la Eucaristia diaria y la escucha de la Palabra de Dios. 
Desde muy joven, estoy en el trabajo de la educación. Creo que este servicio educativo-evangelizador es la síntesis de fe-cultura-vida. Es decir. nuestro mejor servicio. El empleo de mucha energía, dedicación y tiempo en la tarea educativa, 
Cantar es mi vida. Algo que no me había detenido a pensar y reflexionar. La música es extraordiriaria y pensando detenidamente por un instante, creo que el canto religioso es algo transcendental para mí. La verdad es que el canto es una de las formas de comunicación más expresiva y sincera. Cantar es exponerse, es anunciar, es ser para los demás. El canto revela lo que somos, lo que anunciamos, lo que llevamos dentro. Cuando canto, comparto lo que soy, siento que mi fe, se hace pública. Ablando a Dios con el canto, me hago consciente de sus muchas bendiciones. Hay palabras y sonidos que repito y repito y poco a poco se han hecho historia. Por eso, para mí, cantar es amar, es comprometerse, es sentir, es estar en sintonía con la historia de los demás y con sus necesidades. es servir, amar, echar raíces, participar, hacer comunión. 
Todo esto exige de mi persona, humanidad, comprensión, respeto y honestidad. Esto no es fácil, pero busco vivirlo porque son las enseñanzas evangélica de Jesús de Nazaret, a quien sign y en quien creo. 
Su Santidad, para mí, usted es el Evangelio viviente de esto tiempo. Gracias por contagiarnos la alegría de ser discípulos y discípulas de Cristo, por desafiarnos a abordar nuevas fronteras. Porque: "Todo lo podemos en Cristo que nos fortalece". 
¡¡¡Muchas gracias!!! 
3. Damián Oyola Ramos, Seminarista 
Su Santidad Francisco, señores Obispos, Sacerdotes y queridos hermanos y hermanas, permítan me hacerles presente mis saludos en nombre de los seminaristas de Bolivia: 
Soy Darmián, nací en Huari Huari, Potosi, al occidente de Bolivia, en el seno de una familia minera. Mi papá, mi abuelo (que aún vive), y todos mis tíos son aguerridos mineros de los socavones potosinos. Yo mismo viví la experiencia de trabajar es esos oscuros parajes de las minas, siguiendo las vetas sangrantes del preciado metal. Mis padres viven juntos y ya llevan un matrimonio de más de 30 años con 5 hijos. Mi papá, don Zacarías desde muy pequeño me impulsó a estudiar y formarme en la rectitud. Mi madre Hilaria siempre nos quiso con ternura a todos y recuerdo que antes de dormir siempre rezaba, incluso etando muy enferma. Hasta el dia de hoy, no hay un sólo día que no se siente a rezar antes de dormir. 
Mi seguimiento del Señor no es un producto del azar. Sé que mi llamida no surgió en una noche de sudores o en una espectacular conversión al estilo de San Pablo. Fue más bien un largo proceso que aún sigue su curso. Mi primer encuentro con el Señor se plasmó de la mano de mi madre. Ella me enseñó a no olvidarme de rezar. Mi padre, aunque a veces fuerte y rígido también contribuyó a mi vida cristiana. 
Gracias a su mandaro me aprendí de memoria, cuando aún era muy pequño, las oraciones clásicas de un pequeño catecismo. Cuando entré al seminario ya tenía una larga historia de llamadas. No sé exactamente cuando nació. Pero sé que es una constante invitación del Señor a seguirle. 
Cuando terminé los estudios filosóficos quise desentenderme de la llamada, traté de olvidarme de todo. Entré a la Universidad a estudiar Derecho. Pero terminando de estudiar la carrera de Leyes tuve la certeza de decirle al Señor coma Pedro: “A DONDE VOY A IR SEÑOR SI TÚ TIENES PALABRAS DE VIDA". ¿A dónde ir, si a medida que lo conozco, cada día un poquito más, su voz se hace más profunda, más familiar, más cariñosa? Cada mañana me levanto sintiendo esa suave invitación a seguirlo, aunque otras mañanas me dan ganas de quedarme sentado. Desentenderme de todo. Cerrar los ojos y temblando decirle, gritarle: “¡Señor no soy el que Tú quieres que sea! A veces, enfurecido, siento que vida se va a la ventolera, que todo todo fue un tiempo perdido. Pero aparece una vez más la dulce presencia de Jesús, seductor, mimoso ¡Asi no es posible destentenderse!. Ya en el Seminario nacional San José, Él no ha dejado de llamarme. Comparro con otros hermanos que sintieron en sus vidas esa fuerza irresistible del llamado. Somos distintos, nos cuesta entendernos, comprendernos; pero nos mueve un mismo sentimiento, un sólo llamado. En Bolivia hay 124 seminaristas diocesanos, repartidos en 11 seminarios y el San José es como el centro al que confluyen todos, pues el cuarto año de teologia lo hacemos juntos, con la mayoría de las jurisdicciones eclesiástica. Allá nos conocemos, aprendemos a respetarnos, compartimos nuestras experiendas y nos hacemos inseparables amigos. Así andando voy, a veces dando tumbos, aprendiendo, discerniendo diría mi señor Obispo; a veces cayéndome; dándome dc bruces. ¡Mis formadores dicen quc es necesario! Aunque me estrellase, aún sentiría el suave susurro del Señor, seduciéndome y yo dejándome seducir. 
Su Santidad, hoy somos pocos los seminaristas de Bolivia, pero le aseguramos nuestra ilusión de formarnos a ejemplo de Jesús el Buen Pastor. Oramos por su ministerio y le aseguramos nuestro amor a la lglesia; que Dios siga enviando más obreros a su mies; en nombre de todos los seminaristas le implore sus oraciones par nuestra perseverancia y su bendición Apostólica.