giovedì 9 luglio 2015

Papa Francesco in Bolivia "La fede illumina, le ideologie abbagliano"

Papa Francesco in Bolivia

di Massimo Introvigne

Nella serata dell’8 luglio – la notte italiana – Papa Francesco dall’Ecuador è arrivato in Bolivia, dove di fronte a una grande folla ha celebrato Messa il 9 luglio nella Piazza del Cristo Redentore a La Paz, prima d’incontrare i sacerdoti e i movimenti popolari in serata (ne daremo conto domani).
In quella che il beato Paolo VI chiamava la «civiltà dell’immagine» – e oggi la prevalenza dell’immagine sul testo è semmai aumentata a dismisura rispetto ai tempi di Papa Montini – i discorsi del Pontefice rischiano di passare in secondo piano rispetto alle immagini del Papa che riceve il discutibile dono del presidente boliviano Morales – un crocefisso di rara bruttezza su una falce e martello – e che, come del resto aveva fatto san Giovanni Paolo II nel suo viaggio in Bolivia del 1988, beve in aereo tè con foglie di coca, ascoltando i consigli di chi ne vanta l’efficacia come rimedio per l’altitudine di La Paz. Dal momento che tutti gli altri media parlano, fin troppo, delle immagini, vorrei qui concentrarmi sui discorsi, dove – crocefissi o no – il Papa ha espresso chiaramente di fronte ai rappresentanti del governo la richiesta di tutela della vita, della famiglia, della libertà religiosa, insieme a una rinnovata denuncia della tecnocrazia e dei danni che procura ai poveri. Tra i mali da combattere ha citato ancora una volta le «pseudo-soluzioni provenienti da prospettive che non giovano alla famiglia ma che provengono chiaramente da colonizzazioni ideologiche». Con parole significative nel contesto boliviano, Francesco ha pure distinto, nell’incontro con la società civile, la vera luce della fede da quella falsa dell'ideologia. «La fede è una luce che non abbaglia; le ideologie abbagliano, la fede non abbaglia, la fede è una luce che non offusca, ma rischiara e orienta con rispetto la coscienza e la storia di ogni persona e di ogni società umana».
 «Mi commuovo – ha detto Francesco nell’omelia del 9 luglio – quando vedo molte madri con i loro figli sulle spalle. Come fanno qui molte di voi. Portano su di sé la vita, il futuro della loro gente. Portano le ragioni della loro gioia, delle loro speranze». Ma «portano sulle loro spalle anche disillusioni, tristezze e amarezze, l’ingiustizia che pare non avere fine e le cicatrici di una giustizia che non si realizza. Portano su di sé la gioia e il dolore della loro terra. Voi portate la memoria del vostro popolo. Perché i popoli hanno memoria, una memoria che si trasmette di generazione in generazione, i popoli hanno una memoria in cammino».
Ci sono giorni in cui «mancano le forze per mantenere viva la speranza. Quante volte viviamo situazioni che pretendono di anestetizzarci la memoria, e così si indebolisce la speranza e si vanno perdendo le ragioni della gioia. E comincia a prenderci una tristezza che diventa individualista, che ci fa perdere la memoria di essere popolo amato, popolo eletto. Questa perdita ci disgrega». La tristezza che perde la memoria non è mai totalmente spontanea. I poteri forti, la tecnocrazia sottilmente la organizzano. «In un cuore disperato è molto facile che prenda spazio la logica che pretende di imporsi nel mondo, in tutto il mondo, ai nostri giorni. Una logica che cerca di trasformare tutto in oggetto di scambio, tutto in oggetto di consumo, tutto negoziabile. Una logica che pretende di lasciare spazio a pochi, scartando tutti quelli che non “producono”, che non sono considerati idonei e degni perché apparentemente “i conti non tornano”». 
Ma Gesù nel miracolo dei pani e dei pesci fa tornare i conti. La logica nuova di quel miracolo può essere riassunta in tre parole: «prende un po’ di pane e qualche pesce, li benedice, li divide e li consegna perché i discepoli lo condividano con gli altri». Questa «è la strada del miracolo. Certamente non si tratta di magia o idolatria. Gesù, per mezzo di queste tre azioni, riesce a trasformare una logica dello scarto in una logica di comunione». Gesù, anzitutto, prende i pani e i pesci. Di fronte alla folla, «valorizza tutto ciò che di buono possono offrire, tutto il bene sulla cui base si può costruire. Ma non parla degli oggetti o dei beni culturali, o delle idee, ma parla delle persone. L’autentica ricchezza di una società si misura nella vita della sua gente, si misura nei suoi anziani capaci di trasmettere la loro saggezza e la memoria del loro popolo ai più piccoli». 
Gesù prende quel povero cibo e lo benedice. «Sa che questi doni sono un dono di Dio. Perciò non li tratta come “una cosa qualsiasi”, poiché tutta la vita, tutta quella vita è frutto dell’amore misericordioso». Benedire significa riconoscere che «la vita è sempre un dono, un regalo che, posto nelle mani di Dio, acquisisce una forza che lo moltiplica. Il nostro Padre non toglie nulla, tutto moltiplica».
Infine, Gesù consegna i pani e i pesci ai discepoli. «La benedizione è sempre anche missione, ha una finalità, condividere, il dividere insieme quello che si è ricevuto, poiché solo nella dedizione, nel con-dividere troviamo, come persone umane, la fonte della gioia e facciamo esperienza della salvezza». «Una memoria presa tra le mani, una memoria benedetta, una memoria offerta sazia sempre un popolo».
La teologia ha sempre visto in quel miracolo una prefigurazione dell’Eucarestia, e con la Messa di La Paz il Papa ha inaugurato il Congresso eucaristico. Lo ha fatto definendo l’Eucarestia «Sacramento di comunione, che ci fa uscire dall’individualismo per vivere insieme la sequela». Insieme, «la Chiesa celebra l'Eucaristia, celebra la memoria del Signore, il sacrificio del Signore, perché la Chiesa è una comunità che fa memoria». «Non siamo persone isolate, separate, ma siamo il Popolo della memoria».
La sera prima, nella cerimonia di benvenuto, arrivando in Bolivia – «in questo Paese di singolare bellezza, benedetto da Dio nelle sue diverse zone: l’altopiano, le valli, le terre amazzoniche, i deserti, gli incomparabili laghi», «terra benedetta nelle sue genti, con la sua variegata realtà culturale ed etnica» – Francesco l’aveva invitata a non dimenticare le radici cristiane. Qui, ha detto, «si è radicato con forza l’annuncio del Vangelo, che lungo gli anni è andato illuminando la convivenza, contribuendo allo sviluppo del popolo e promuovendo la cultura».
Quasi a smentire ogni interessata interpretazione politica del viaggio, Francesco ha detto di venire «come ospite e pellegrino: vengo per confermare la fede dei credenti in Gesù Cristo risorto, perché quanti crediamo in Lui, mentre siamo pellegrini in questa vita, siamo testimoni del suo amore». Ai governanti ha ricordato che «se la crescita è solo materiale, si corre sempre il rischio di tornare a creare nuove differenze, che l’abbondanza di alcuni si costruisca sulla scarsezza di altri. Perciò, oltre alla trasparenza istituzionale, la coesione sociale richiede uno sforzo nell’educazione dei cittadini».
Poi, il richiamo alla famiglia e alla vita. «In un’epoca in cui tante volte si tende a dimenticare o confondere i valori fondamentali, la famiglia merita una speciale attenzione da parte dei responsabili del bene comune, perché è la cellula fondamentale della società, che apporta legami solidi di unione sui quali si basa la convivenza umana e, con la generazione e l’educazione dei suoi figli, assicura il rinnovamento e il futuro della società». La società è solida «quando valorizza e stima anche i suoi anziani, che sono quelli che ci portano la sapienza dei popoli»; quando sa «custodire quelli che oggi sono scartati per tanti interessi che mettono al centro della vita economica il dio denaro; sono scartati i bambini».
Un richiamo ripetuto nell’incontro con la società civile nella Cattedrale di La Paz. Qui il Papa ha evocato «la famiglia, minacciata da ogni parte, da tanti fattori: da violenza domestica, alcolismo, maschilismo, droga, mancanza di lavoro, insicurezza civile, abbandono degli anziani, bambini di strada, e da pseudo-soluzioni provenienti da prospettive che non giovano alla famiglia ma che provengono chiaramente da colonizzazioni ideologiche. Sono tanti i problemi sociali che la famiglia risolve, e li risolve in silenzio, sono tanti, così che non promuovere la famiglia significa lasciare i più vulnerabili senza protezione». Insieme alla vita e alla famiglia, Francesco ha ricordato «la libertà religiosa», ripetendo che «la fede non può essere ridotta alla sfera puramente soggettiva. Non è una subcultura».
Questi richiami s’inseriscono in una lezione del Papa sul bene comune, che la Cotituzione Gaudium et spes del Vaticano II definisce «l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e speditamente». Cercare il bene comune, ha detto Francesco, significa perseguire una «ricerca del bello, del vero, del bene». Con un richiamo, frequente in questo viaggio, all’enciclica Laudato si’, il Papa ha ricordato che «l'ambiente naturale e l'ambiente sociale, politico ed economico sono strettamente correlati. Questo ci spinge a porre le basi di una ecologia integrale» che si preoccupi insieme dell’uomo e dell’ambiente. 
C’è anche una «ecologia sociale», che richiede vigilanza contro la tecnocrazia. «Se la politica è dominata dalla speculazione finanziaria o l'economia si regge solo sul paradigma tecnocratico» il degrado ambientale e umano non potrà che continuare. L’educazione al rispetto dell’ambiente è importante, ma da sola non basta al bene comune. «Allo stesso modo si richiede un'educazione etica e morale» e un riconoscimento del «ruolo specifico delle religioni nello sviluppo della cultura e i benefici che esse possono apportare alla società». 
Bisogna però stare attenti perché oggi spesso «confondiamo, senza accorgercene, il "bene comune" con il "benessere", e lì si scivola, a poco a poco, e l’ideale del bene comune, poiché si va perdendo, finisce nel benessere», nel narcisismo e nel consumismo. «Così inteso, il benessere, invece di aiutare, è portatore di possibili conflitti e di disgregazione sociale; affermatosi come prospettiva dominante, genera il male della corruzione, che scoraggia e fa tanto danno». Il bene comune, invece, «è superiore alla somma dei singoli interessi; è un passaggio da ciò che “è meglio per me” a ciò che “è meglio per tutti”, e comprende tutto ciò che dà coesione a un popolo: obiettivi comuni, valori condivisi, ideali che aiutano ad alzare lo sguardo al di là di orizzonti individuali». E la fede, ha concluso, è un grande aiuto per distinguere la vera ricerca del bene comune dal semplice miraggio del benessere.

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Quante contraddizioni nei "Movimenti Popolari"
di Marinellys Tremamunno
Terra, casa e lavoro. I tre temi fondamentali del II Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari a Santa Cruz. Per tre giorni, dal 7 al 9 di luglio, i delegati dei movimenti popolari latinoamericani, vescovi e operatori pastorali del continente, hanno condiviso esperienze con la finalità di proporre alternative popolari contro l’esclusione e l’ingiustizia sociale.
Una delle tappe della visita apostolica di Papa Francesco in Bolivia. Durante la giornata conclusiva, il pontefice ha incontrato ai delegati di movimenti popolari per seconda volta. Il dialogo è stato iniziato in Vaticano nell’ottobre scorso, ma questa volta le è stato consegnato un documento conclusivo da portare all’ONU il 25 settembre prossimo. L’evento è stato organizzato dal Pontificio Consiglio di Giustizia e Pace del Vaticano, insieme al vice ministero boliviano di coordinazione con i movimenti sociali. 
Emergono le domande: chi sono i movimenti popolari? Il comunicato stampa dell’evento afferma che hanno partecipato circa di 1500 persone di 40 nazioni. Ma non sono movimenti cattolici, sono gruppi che si occupano di attività sociali ed economiche informali: in una intervista rilasciata all’agenzia bolivianaInfodecom, il Presidente della Conferenza Episcopale Boliviana (CEB) chiarisce che “il Papa intende questi settori come raggruppamenti che in qualche modo sono emarginati”. Quindi cita per esempio i ‘canillitas’ boliviani (venditori di giornali) o i ‘cartoneros’ dell’Argentina, persone indigenti che raccolgono cartone per rivenderlo a peso, a prezzi molto bassi. Tra gli emarginati sono presenti gruppi più polemici come i “Sem terra”, conosciuti per la loro lotta per la terra in Brasile, e gli attivisti gay. Insieme anche organizzazioni di diverso genere: l’Università di “El Salvador”, i movimenti di difesa dei diritti umani e volontariato, alcuni istituti di ricerca sociale, Caritas e tanto altro. 
Un pasticcio che visto dall’Europa può sembrare una panacea dell’integrazione degli emarginati nei tempi di Bergoglio, ma deve essere visto con lo sguardo attento delle contradizioni sudamericane. All’inaugurazione dell’evento, fatta martedì 7 luglio, c’era anche il presidente della Bolivia, Evo Morales: “Ci auguriamo che i nostri movimenti sociali del mondo, insieme al nostro fratello Papa Francesco, siano come una squadra che lavora per liberare i popoli del mondo. È un mio grande desiderio…”. La prima contradizione: tutte parole e pochi fatti, direbbero i boliviani.
Per comprendere meglio abbiamo chiesto come viene visto questo incontro dai cittadini del cuore del Sud America, al boliviano Oscar Diaz Arnau (giornalista della redazione Correo del SurEcosEl Potosi e Oxigeno): “I boliviani non hanno dato molta importanza all’incontro del Papa con i movimenti sociali del mondo, perché c’è più interesse per l’incontro spirituale con il Santo Padre. La frase di Evo Morales - durante l’inaugurazione - ci conferma soltanto una vecchia postura del presidente boliviano che, seguendo lo stile del nuovo populismo latinoamericano, governa sulla base di messaggi carichi di simbolismi ma con pochi fatti veri”.
L’incontro mondiale proposto dalla Santa Sede ha esaltato la figura di Evo Morales, come leader sindacale e indigeno che “è uscito dai movimenti sociali”. Secondo il Papa, i movimenti popolari “esprimono la necessità urgente di rivitalizzare le nostre democrazie, tante volte sequestrate da innumerevoli fattori”. La seconda contradizione: Evo Morales è un presidente con tendenza centralista e autocratica; fa parte della lega dei presidenti che promuovono il “socialismo del Secolo XXI”, creata dal ex presidente Hugo Chavez, che ha portato tanta sofferenza ai venezuelani per la violenza e la povertà. 
Nel frattempo cinque gruppi di base, tra “amerindios” e sindacalisti, sono scesi in piazza in Bolivia per manifestare il loro malessere contro il governo del “presidente indigeno”.  Se Morales è così bravo, perché protestano in Bolivia? Il giornalista Oscar Diaz Arnau ci ha spiegato che ci sono proteste perché Evo Morales non ha mantenuto le promesse fatte ai movimenti sociali boliviani. “Dopo la repressione violenta contro gli indigeni che sono scesi in piazza per fermare l’autostrada che il governo vuole costruire attraverso il parco nazionale Tipnis, Morales ha perso l’autorità morale per parlare della liberazione dei popoli del mondo. Da questo incontro – tra il Papa e i movimenti sociali - ci aspettiamo solo che il Papa ci restituisca la speranza persa, dopo 10 anni con un governo che non ha dato vere risposte ai Boliviani”.
E’ la prima volta nella storia della chiesa che un Papa convoca i leader dei movimenti sociali, ma cosa si aspetta Oscar Diaz Arnau dopo di questo incontro, come giornalista e come cittadino boliviano? “Papa Francesco è molto attivo nella evangelizzazione, ci auguriamo che possa spingere ai governi latinoamericani a fare un vero cambiamento, tangibile, lontano dalle solite parole demagogiche”. 
Da giorni girano voci in Bolivia sulla possibilità di cambiare la Costituzione per permettere a Evo Morales la rielezione indefinita come presidente. Ci chiediamo: con il “socialismo indio” c’è veramente libertà e democrazia in Bolivia? “Non abbiamo una libertà completa - ha affermato Arnau - Possiamo opinare liberamente ma c’è sempre paura delle conseguenze e per questo esiste l’autocensura, soprattutto tra i giornalisti. La rielezione indefinita debiliterà la democrazia boliviana. Non sarà mai conveniente una democrazia sequestrata da un partito che promuove la permanenza a vita di un presidente, in apparenza democratico, ma con pericolose tendenze autoritarie” ha concluso il giornalista.