lunedì 3 agosto 2015

Dove vince la cultura del profitto




Nuovo intervento dei presuli cileni contro il progetto di legge per la depenalizzazione. Aborto e coerenza cristiana
L’aborto «non è mai terapeutico. Esortiamo le autorità a tutelare ogni essere umano, in particolare i più deboli e indifesi, ad amare e rispettare alla stessa maniera madre e figlio». La Conferenza episcopale cilena torna a schierarsi contro il progetto di legge che depenalizza l’interruzione volontaria di gravidanza in tre casi (quando la gestazione mette in pericolo la vita della madre, quando il feto presenta malformazioni incompatibili con la vita e nel caso in cui la gravidanza sia la conseguenza di una violenza sessuale). Lo fanno rilanciando un messaggio — intitolato El derecho humano a una vida digna para todos — firmato dai vescovi il 25 marzo 2015, Giornata del nascituro e dell’adozione. Il testo è stato poi diffuso il 17 aprile successivo a conclusione dell’assemblea plenaria. Domenica 2 agosto, ne hanno nuovamente offerto una sintesi «come contributo al discernimento delle persone e delle comunità, cattoliche e non cattoliche, in un momento importante della discussione parlamentare».
L’iter legislativo dovrebbe cominciare il 4 agosto in Commissione salute della Camera dei deputati. I vescovi, nello specifico, lanciano un appello ai “legislatori cristiani” affinché facciano fallire l’iniziativa del Governo. Depenalizzare l’aborto in caso di violenza «vuol dire rinunciare alla protezione dei più deboli e indifesi e rappresenta un atto di resa dello Stato davanti al flagello delle aggressioni sessuali alle donne», sottolineano, sollecitando i legislatori del Paese a promuovere leggi giuste e a non collaborare con un provvedimento sull’interruzione volontaria di gravidanza. «Sosteniamo che l’aborto non è di per sé un’azione terapeutica per salvare la vita di una madre in pericolo, anche quando la morte della persona concepita è una possibilità prevista, non voluta, non ricercata», affermano, spiegando che, «in caso di morte non desiderata della creatura né causata da una pratica direttamente orientata a salvare la madre in situazione di rischio, non si può parlare di aborto». Per quanto riguarda invece le donne vittime di stupro, «non è umano lasciarle da sole a vivere il dramma subito, come non è altrettanto umano privare della vita l’essere più indifeso e innocente, suo figlio». La Chiesa cattolica cilena rileva la necessità di uno Stato e una società «attivi e presenti» nel sostenere le madri e i loro figli.
In Cile — riferisce l’Efe — l’aborto terapeutico è stato legale per circa cinquant’anni, fino al 1989, quando il regime di Augusto Pinochet lo proibì in maniera assoluta.
Le parti principali della dichiarazione dei presuli sono state pubblicate ieri in un inserto a pagamento su alcuni quotidiani per iniziativa di organizzazioni non governative contrarie all’aborto. Vi è contenuto un «urgente appello alla coerenza» rivolto ai legislatori cattolici e l’annuncio che alle prossime elezioni l’episcopato ricorderà ai fedeli «di non dare il voto a candidati che abbiano appoggiato il disegno di legge sull’aborto». Secondo i firmatari (cinque vescovi), in pratica la proposta governativa «apre la porta all’aborto libero» e un parlamentare cattolico «non ha il diritto morale di approvare tale iniziativa legale».
Richiamando il messaggio El derecho humano a una vida digna para todos, invitano al «rispetto» e alla «considerazione» per ogni persona che si trova ad affrontare la realtà dell’aborto, che quasi sempre deriva da una situazione di grande sofferenza. I presuli riconoscono che i casi previsti dalla legge in discussione sono particolarmente drammatici e che riguardano «un dolore vissuto al limite», ma al tempo stesso affermano che «l’aborto non comporta mai una cura da quelle esperienze traumatiche e non è mai terapeutico». Impegnati a «lavorare per una società senza esclusioni», sottolineano di voler «aggiungere bimbi non ancora nati all’elenco, non breve, di persone e gruppi che il Cile lascia ai margini e che, come segnalato da Papa Francesco, sembrano poter essere scartati». Sul dibattito relativo alla legge sull’aborto è intervenuto, nelle settimane scorse, anche l’arcivescovo di Concepción, Fernando Natalio Chomalí Garib, sottolineando la particolare, e spesso insostituibile, rilevanza sociale delle opere assistenziali promosse in Cile dalla comunità cattolica, e stigmatizzando l’ipotesi di sospensione del supporto pubblico nel caso tali istituzioni si rifiutassero di applicare la pratica abortiva. Il presule ha chiesto al Governo di «riconoscere l’immenso lavoro fatto dalla Chiesa a favore della vita e della gente».

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Il cardinale arcivescovo di Boston sul traffico di organi legato alle attività abortive. Dove vince la cultura del profitto

Pratiche che «negano il rispetto dovuto all’umanità e alla dignità della vita umana»: nel dibattito sorto negli Stati Uniti a seguito della diffusione di una serie di video che dimostrano come «Planned Parenthood» svolgesse attraverso le sue organizzazioni nazionali pratiche abortive illegali e commercializzasse parti di feti umani, si inserisce anche l’intervento delcardinale Sean Patrick O’Malley, arcivescovo di Boston e presidente del Comitato delle attività pro vita della Conferenza episcopale statunitense. Citando Papa Francesco, il porporato ha spiegato che «l’aborto è il prodotto di una mentalità del profitto, di una cultura dell’usa e getta che, attualmente, hanno schiavizzato i cuori e le menti di tante persone».

Secondo O’Malley — la cui dichiarazione è stata diffusa sul sito in rete dell’episcopato e ripresa da numerose agenzie di stampa — i recenti casi di cronaca richiamano l’attenzione «su due temi di ampia portata» che coinvolgono anche le istituzioni della società: l’aborto, definito «un attacco diretto alla vita umana nella sua condizione più vulnerabile», e la pratica, «ormai standard», di ottenere tessuti e organi fetali tramite l’aborto. Entrambe queste pratiche, ribadisce, non rispettano l’umanità e la dignità della vita umana.
L’opposizione all’aborto non deve però escludere un atteggiamento compassionevole verso chi ha commesso un errore. Il cardinale O’Malley ricorda che quanti hanno vissuto questo trauma «possono trovare accoglienza, compassione ed assistenza grazie al Progetto Rachele, portato avanti dalla Chiesa cattolica». Partito nel 1984 nell’arcidiocesi di Milwaukee, con il tempo è diventato l’apostolato dei vescovi per la guarigione spirituale dopo l’interruzione di gravidanza. Oggi, i «Progetti Rachele» (che possono contare anche sulla testimonianza di numerose donne che hanno scelto di non abortire) sono attivi in più di cento diocesi statunitensi e in diversi Paesi del mondo. Il nome dell’iniziativa deriva dalle sacre Scritture: «Rachele piange i suoi figli, e non vuole essere consolata per i suoi figli, perché non sono più» (Geremia, 31, 15).
Diversi Stati e anche il Congresso degli Stati Uniti hanno annunciato inchieste su «Planned Parenthood», considerata — riferisce l’Aica — la “multinazionale dell’aborto” più grande del mondo, che riceve più di mezzo milione di dollari all’anno di finanziamento pubblico attraverso le tasse.
L'Osservatore Romano