venerdì 14 agosto 2015

La corporeità nella luce dell’Assunta.

Comastri: "Papa Francesco si sente un figlio aggrappato alla mamma, Maria"

Il vicario generale del Papa per la Città del Vaticano commenta l’importanza della Solennità dell’Assunzione di Maria e il legame tra Bergoglio e la Madre di Dio 


Nella Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria in Cielo, domani, sabato 15 agosto, Papa Francesco reciterà l’Angelus alle 12 insieme ai fedeli riuniti in Piazza San Pietro. Questa festa - ha spiegato alla Radio Vaticana il cardinale Angelo Comastri, vicario generale del Papa per lo Stato della Città del Vaticano - "è particolarmente attuale, anche per la nostra società e per il momento che stiamo vivendo", dove "c’è un grande culto del corpo, una idolatria del corpo, ma purtroppo staccato dall’anima. È dall’anima bella che parte la bellezza del corpo! Maria era bella dentro; Maria era bella nei suoi sentimenti, Maria era bella nella sua umiltà, Maria era bella nella sua generosità, Maria era bella nella sua dedizione totale a suo Figlio, al Salvatore, ed è quella bellezza che in qualche modo è affiorata nel corpo e ha giustificato la sua assunzione".
Papa Francesco - afferma il cardinale - tutto questo "lo sa e lo crede e lo vive con la semplicità di un bambino, ed è questo un fatto molto bello, dal quale possiamo trarre grandi insegnamenti. Il Papa molto spesso fa riferimento alla nonna, perché doveva essere, in casa, l’anello della tradizione di fede – gli ha insegnato a pregare – un personaggio di riferimento della sua infanzia, dalla quale ha ricevuto sicuramente anche l’amore per la Madonna". Questa devozione, il Pontefice la esprime nelle formule più semplici. "Vedere il Papa che, quando torna da un viaggio, va a portare un mazzo di fiori a Santa Maria Maggiore: già questo fatto dice la sua semplicità", osserva Comastri. Ed - aggiunge - "essendo semplice", tale gesto "parla subito al cuore, trasmette subito il messaggio e ci dice con estrema chiarezza che il Papa si sente un figlio aggrappato alla mamma, un figlio che ha bisogno di raccontare alla mamma la sua storia, i suoi viaggi, le sue fatiche, i suoi impegni. Questo è il senso di quel mazzolino di fiori che lui porta sull’altare".
In particolare, Bergoglio ha portato a Buenos Aires e poi nel mondo la devozione alla "Madonna che scioglie i nodi". "Chi non ha qualche nodo nella vita?", domanda il cardinale, "chi non ha qualche nodo da sciogliere? Allora è bello immaginare Maria e immaginare la mamma come Colei che prende un groviglio e che, con pazienza, cerca di scioglierlo, di dipanarlo e di far ritornare la bellezza della vita normale, della vita che tutti vorremmo vivere. Io penso a un particolare della vita della Madonna: Maria a Cana. Un matrimonio, un nodo: viene a mancare il vino. E Maria scioglie il nodo. Ma lo fa con una delicatezza estrema. Maria si rivolge a Gesù, ma non dice: 'Devi fare un miracolo!', no. Lo stile di Maria è lo stile della delicatezza, lo stile dell’umiltà. Semplicemente dice: 'Figlio, non hanno più vino'. La risposta di Gesù è una risposta che sicuramente la Madonna in quel momento non poté capire in tutta la profondità ed era una prova di fede anche per Lei: 'Non è ancora giunta la mia ora'. Maria capì successivamente qual era l’ora di cui parlava Gesù in quel momento; ma la sua risposta è di una bellezza straordinaria. Maria non si scoraggia. Dice ai servi, semplicemente: 'Qualunque cosa vi dirà, voi fatela'. E questo abbandono semplice, umile è il terreno in cui sboccia il miracolo, il terreno in cui si scioglie il nodo".
Il vicario del Papa rileva infine come lo stesso Anno della Misericordia inizierà l’8 dicembre, Solennità dell’Immacolata Concezione: un modo per mettere il Giubileo sotto il manto protettore di Maria. "L’Immacolata è il progetto iniziale di Dio", dice Comastri, "Dio ci vorrebbe tutti immacolati, puri dentro, e questa bellezza originaria che, adesso è venuta a mancare nella storia per il peccato umano, è ricominciata con Maria. Aprendo il Giubileo della Misericordia nel giorno dell’Immacolata, il Papa ci dice: 'Questo è il sogno di Dio', e possiamo tutti fare un passo per avvicinarci al sogno di Dio".
"Lasciamoci condurre da Maria", è quindi l'invito del cardinale. "Lasciamoci portare da Lei: Maria ci indicherà la strada della misericordia, la strada nella quale possiamo recuperare tutti la bellezza che abbiamo perduto. Dio è pronto; la porta è aperta: entriamo!".

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Un senso oltre i sensi




(Maurizio Gronchi) Nel mezzo dell’estate, la celebrazione di Maria assunta, innalzata alla gloria del cielo in corpo e anima, ci offre l’occasione per avanzare qualche riflessione sulla nostra corporeità, sulla realtà che sperimentiamo, con lo sguardo rivolto al destino eterno che la Madre del Signore ha anticipato prendendo parte alla gloria del Figlio. 
Il corpo: niente di più concreto e immediato, tanto da attrarre o respingere, da curare o disprezzare, da cercare o fuggire, da amare o odiare. Complesso equilibrio, difficile armonia, sia nella prassi che nella teoria, quello tra esaltazione e sottovalutazione della corporeità. Non esiste un corpo uguale all’altro. Questa è la prima meraviglia, che muove alla scoperta dell’altro e di se stessi. Percepibile nel suo misterioso formarsi, continua e sorprendente nuova creazione, frammento e universo compiuto, il corpo è un mondo, la figura integrale della persona, percepita dallo sguardo e da tutti gli altri sensi, che ne veicolano il contatto, la conoscenza, l’intimità. Tuttavia, ciò che l’esperienza dice del corpo non è tutto. C’è bisogno di senso oltre i sensi, o meglio, si tratta di cercare il senso dei sensi. Che cosa significa il corpo? Da dove viene? Cosa farne? Quale sarà il suo ultimo destino? Sono domande che riguardano tutti i corpi, il proprio e quello altrui. Le risposte sono molteplici: il rispetto, la cura, la bellezza, la salute, la forza, il piacere, la fatica, il dolore, lo sport, il riposo.
Il cristianesimo, lungo la sua storia, spesso ne ha relativizzato l’importanza, in favore della dimensione interiore, spirituale, ovvero dell’anima invisibile. In verità, la fede cristiana trae origine da un evento di estrema corporeità — l’incarnazione di Dio — e tutto nella fede parla di corpo, dall’Eucaristia alla Chiesa, fino alla carne di Cristo che sono i poveri e gli ammalati. Il corpo di Gesù, vissuto, donato, crocifisso ed entrato nell’eternità di Dio è il mistero su cui poggia tutta l’esistenza credente. «È in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità», scrive san Paolo (Colossesi, 2, 9). Prendere sul serio la carne assunta e salvata da Gesù significa riabilitare l’integralità dell’essere umano, a partire dalla sua fragilità e vulnerabilità, al di là di ciò a cui talvolta si rischia di dare priorità, ovvero alla razionalità, alla integrità fisica, alla salute mentale. Anche il corpo parla, ha il suo linguaggio, specialmente quando la persona manca della perfezione dei sensi, è menomata, disabile, sia fisicamente che psichicamente. Dunque, il corpo, non solo nella sua bellezza e salute, ma anche nella sua sfigurazione dovuta all’imperfezione, alla malattia, al danno, merita di essere amato. Perciò Gesù si è paragonato al medico di cui hanno bisogno i malati (cfr. Matteo, 9, 12).
Così la stupefacente diversità di donna e uomo, l’evoluzione naturale di bambino, giovane, adulto, anziano, dal nascere al morire, annunciano che qui, nel corpo, la vita si compie. Questo è il luogo misterioso e stupendo dell’identità personale, schermo su cui si riflettono anima e cuore, specchio dell’essere, in cui ciò che siamo si esprime fino al vertice estremo di sé: l’amore e il dolore. Pertanto, ogni corpo esige irrinunciabile rispetto, meravigliata ammirazione, custodia premurosa, perché un giorno, quando avrà nuova vita oltre la morte, possa essere riconosciuto nella sua verità e bellezza infinita. Fino a allora siamo creature incomplete, che non nascono già fatte, ma bisognose di storia, di relazioni, di amore, di grazia e di perdono, per diventare pienamente se stesse.
Il corpo del Figlio di Dio, nella tenerezza della sua nascita nel tempo come nella sua vulnerabilità sulla croce, dischiude a ogni uomo questa speranza. I racconti evangelici conservano mirabilmente la testimonianza che il risorto porta con sé le ferite della passione, attestando così la permanenza trasfigurata della nostra vulnerabilità, quale segno del dolore ingiusto sopportato per amore di tutti. La fragilità, dunque, da motivo di vergogna e ostacolo da superare diviene sigillo dell’umanità antica e rinnovata dalla Pasqua del Signore, di cui Maria è partecipe in pienezza come prima tra le creature.

L'Osservatore Romano