venerdì 4 settembre 2015

Asta di taglie sulle teste dei feti di Planned Parenthood




di Federica Paparelli Thistle


Quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare. Per nulla spaventati dalle accuse che recentemente Planned Parenthood ha lanciato contro di loro, i giornalisti di Center For Medical Progress martedì mattina alle 7 della costa est hanno rilasciato un nuovo video, il nono che documenta lo scandalo della compravendita di parti di bambini abortiti, un reato federale punibile con la detenzione fino a 10 anni o una sanzione fino a 500mila dollari. Antefatto: il 27 agosto scorso Cecil Richards, CEO di Planned Parenthood, ha inviato una lettera ai leader del Congresso in risposta al fuoco di fila a cui la sua organizzazione è stata sottoposta a partire dal 14 luglio, giorno dell’uscita del primo degli exposé di CMP. La lettera è un capolavoro di contraddizioni: in modo stupefacente, la Richards da un lato nega che Planned Parenthood abbia alcuna parte nel commercio criminale denunciato nei video, ma allo stesso tempo lo difende, fino ad ammettere la sua esistenza e di esserne personalmente a conoscenza. Parla di un “coinvolgimento” delle cliniche nella ricerca su tessuti fetali, quando in realtà tutti sanno che Planned Parenthood di per sé non fa ricerca, non ha ricercatori fra il suo personale e non rientra nei suoi scopi. Quale altro “coinvolgimento” può avere se non nel fornire organi e parti dei bambini abortiti nelle sue cliniche? La Richards si dichiara orgogliosa della collaborazione di Planned Parenthood a questo tipo di ricerca, salvo poi assicurare al Congresso che solo l’1% delle sue cliniche è coinvolto. Se c’è da esserne così orgogliosi, perché limitarsi ad una percentuale così bassa? Le assicurazioni, comunque, continuano, affermando che al momento “solo una clinica” della California collabora alla ricerca su tessuti fetali “attraverso un’organizzazione per la fornitura di tessuti”, quindi con quel tipo di attività di raccolta e smembramento così ben documentata da CMP. Subito dopo, però, scrive che ce n’è un’altra nello stato di Washington. Quindi sono due, non una. In ultimo, ammette che al 14 luglio altre quattro cliniche praticavano la raccolta dei tessuti, due delle quali con dei “contratti” (parole testuali) con la Stem Express, con la quale i rapporti si sono interrotti a causa della controversia generata dai video. Sarebbe legittimo domandarsi perché, se si trattava di contratti perfettamente legali, come sostiene la Richards.
Alla quinta pagina della lettera si trova l’ammissione scottante dello scambio monetario: 60 dollari a campione è quello che attualmente riceve “un affiliato della California” che continua con la fornitura, 45-55 dollari era quello che ricevevano le cliniche che hanno chiuso con Stem Express. Si tratta di rimborsi, ça va sans dire. In ultimo, si parla di “adattamenti” nel metodo di esecuzione chirurgica dell’aborto: sono decisioni mediche, secondo la Richards, fatte nel corso dell’operazione, non cambiamenti di metodo. Tuttavia, in conclusione, dice che tali adattamenti “per facilitare la donazione di tessuti” avvengono raramente. Ma avvengono.
È a questi due punti che si appella Center For Medical Progress nella lettera aperta di risposta pubblicata il 31 agosto: David Daleiden, capo-progetto dell’organizzazione, afferma che queste due ammissioni sono la prova provata che 1)Planned Parenthood riceve compensi per i tessuti che fornisce, 2) contro la legge, altera le procedure abortive per massimizzare le quantità di campioni da poter rivendere e 3) i vertici di Planned Parenthood non solo sono a conoscenza di tutto questo, ma lo approvano anche.
Nella lettera, CMP invita il Congresso ad indagare a quale titolo vengano sborsati 60 dollari a campione, quando l’attività di dissezione, confezionamento e spedizione è gestita direttamente dalle organizzazioni che commerciano nella fornitura di tessuti, come ampiamente documentato da CMP (ricorderete la dottoressa Mary Gatter di Planned Parenthood parlare di una certa Heather, addetta dell’azienda che procura i tessuti, la quale faceva tutto e “noi non dobbiamo fare niente”). Tutto ciò che farebbe Planned Parenthood è ottenere il consenso della paziente alla donazione dei tessuti. Alla modica cifra di 60 dollari al foglio?
Queste due lettere sono solo le ultime mosse in una partita a scacchi per la vita che si sta svolgendo sotto gli occhi di tutti i cittadini degli Stati Uniti, quegli stessi che a novembre del 2016 saranno chiamati al voto, tanto che il taglio dei fondi a Planned Parenthood è diventato uno degli argomenti chiave nei dibattiti fra i candidati presidenziali del partito repubblicano.
Se vi siete persi gli ultimi affondi di CMP contro Planned Parenthood, ecco un sintetico aggiornamento. Nel video del 4 agosto si vede Melissa Farrell, direttrice del reparto ricerca di Planned Parenthood Gulf Coast, situato a Houston, Texas, affermare che le sue cliniche non avrebbero problemi a modificare le procedure chirurgiche per ottenere cadaveri intatti di bambini, il problema sarebbe “solo come contabilizzarli”. Questo non solo è illegale, ma mette anche a rischio la vita delle pazienti. Più avanti nel video, l’agghiacciante scena dell’infermiera che estrae da un frigorifero il cadavere di un bambino abortito, gemello di un altro, alla ventesima settimana di gestazione.
Nel video della settimana successiva parla Holly O’Donnell, ex dipendente di Stem Express, incaricata di prelevare i tessuti e gli organi di bambini abortiti direttamente all’interno della clinica di Planned Parenthood a Fresno. La O’Donnell dice che il consenso della paziente alla donazione dei tessuti non sempre veniva richiesto: «Se c’era un caso di gestazione avanzata, e tutti i tecnici dei prelievi ne avevano bisogno, a volte succedeva che semplicemente prendevano ciò che volevano. E queste madri non lo sanno. E non c’è modo che lo possano sapere». La ex dipendente descrive con minuzia di particolari lo stretto rapporto fra la Stem Express e le cliniche di Planned Parenthood, con documenti che riportano come l’attività di raccolta degli organi fosse coordinata direttamente con le capoinfermiere della clinica, al punto da procurarle campioni anche quando la paziente aveva negato il consenso.
Il 19 agosto, continua la testimonianza della O’Donnell, rivelando quello che tutti sospettavano avvenisse: l’uccisione dei feti nati vivi. Nelle sue parole, il terribile racconto del bambino nato vivo e fatto a pezzi nel laboratorio della clinica Planned Parenthood di San Jose, in California. L’ex dipendente di Stem Express parla della sua decisione di lasciare il lavoro quando le è stato chiesto di tagliare con le forbici il viso del bambino, il cui cuore ancora batteva, per poterne estrarre il cervello intatto.
Già David Daleiden alla CNN aveva dichiarato che ogni volta che viene inviato un feto intatto ai centri di ricerca, si è in presenza di un bambino nato vivo: normalmente, infatti, l’aborto richiede l’uso di farmaci, come la digossina, che inducono la morte del bambino prima dell’estrazione dall’utero materno (se così non fosse sarebbe reato), tuttavia la digossina danneggia i tessuti del feto, rendendoli così inutilizzabili ai fini di ricerca. Ergo, i feti inviati ai laboratori devono essere stati uccisi in qualche altro modo, preservandone però l’integrità dei tessuti. Le leggi federali e dello stato della California impongono che il bambino nato vivo dopo un aborto sia trattato esattamente come un bambino nato per vie naturali. La California inoltre proibisce ogni forma di sperimentazione su feti nati con un battito cardiaco riconoscibile.
Il penultimo video è di una settimana fa, è la volta di Cate Dyer, CEO di Stem Express, la società che procura pezzi di bambini abortiti ai laboratori di ricerca. La Dyer dice di ricevere “un sacco” di feti intatti da vendere ai laboratori, quegli stessi “campioni” intatti che finiscono nelle mani dei tecnici di Stem Express con il cuore che ancora batte. Nel video parla di un grande volume di tessuti che smercia poi in giro per il Paese, ma tanto non basta, dice di avere bisogno di “altri 50 fegati al mese”. Spiega che “lavoriamo con quasi un centinaio di cliniche e comunque ce ne servono di più”. Al termine del video, aggiunge che “Planned Parenthood ha un grande volume, perché è un’istituzione basata sul volume” (Planned Parenthood dichiara da sempre che gli aborti rappresentano soltanto il 3% delle attività delle cliniche). La Dyer racconta con leggerezza agghiacciante del “confezionamento” che Stem Express fa per i laboratori, che quasi non vogliono sapere da dove provengono i campioni (“Abbiamo bisogno di arti, ma non devono esserci attaccati mani e piedi”, dicono), quindi richiedono femori senza tessuto muscolare intorno. Riporta, quasi con fastidio, le reazioni dei tecnici di Stem Express, che in questi casi “danno di matto” quando devono fare a pezzi i resti dei bambini abortiti. E con umorismo osceno, scherza sulle teste di bambini inviate intatte ai laboratori, perché il cervello «è la cosa più difficile del mondo da spedire». Parla, inoltre, del suo grande problema con le cliniche di Planned Parenthood: tutti i campioni inutilizzabili perché contaminati. Spesso da lievito ma anche da streptococco, al punto che si chiede come sia possibile che operino in quelle condizioni. In ultimo, conferma che il suo rapporto con le cliniche è per queste economicamente vantaggioso: chiede infatti a uno degli attori: «Ha la sensazione che ci siano cliniche che sono rimaste scottate, che pensano che stanno facendo tutto questo lavoro per la ricerca e non gli ha portato nessun profitto? Non è quello che ho visto io».
Veniamo quindi al video dell’altro ieri, uscito quasi in concomitanza con la lettera aperta al Congresso, che contiene riferimenti proprio a quanto mostrano le immagini. La CEO Richards, senza nominarlo direttamente, parlava nella sua lettera di “un affiliato della California” che continua a fornire tessuti per la ricerca attraverso un’azienda intermediaria: Daleiden e compagni hanno identificato questo affiliato nel gruppo Planned Parenthood Pacific Southwest, per esclusione, poiché nella lettera si dice che ha anche un separato rapporto con l’Università della California. La telecamera nascosta di CMP riprende proprio la conversazione della dottoressa Katharine Sheehan, a capo di questa branca di Planned Parenthood fino al 2013.
L’escamotage usato da CMP è il solito: due attori avvicinano la Sheehan proponendosi come agenti di una start-up per la fornitura di tessuti biologici. La Sheehan è quasi dispiaciuta di dover respingere l’offerta, affermando di avere già un rapporto decennale con un’altra azienda, la Advanced Bioscience Resources, Inc. (ABR, per brevità): «Abbiamo quasi rinegoziato il contratto», aggiunge, come a giustificarsi.
Chi è ABR? Secondo i giornalisti pro-life, si tratterebbe dell’azienda con cui Planned Parenthood ha lavorato più a lungo, addirittura fin dal 1989, con contratti per la fornitura di tessuti fetali. Segue una schermata che mostra un listino prezzi di ABR datato 1° gennaio 2015 in cui al primo posto figurano, fra la merce in vendita, i cadaveri di bambini abortiti (quindi campioni intatti), venduti per 550 dollari o 340, a seconda che siano precedenti o successivi alla dodicesima settimana.
La conversazione continua e prende una piega diversa quando uno degli attori offre di girare parte del compenso a Planned Parenthood, a titolo di ringraziamento, suscitando un’esclamazione di interesse della Sheehan, che sembra di avere afferrato al volo con il commento: «In modo da poter mettere un piede dentro e farlo suonare come un pro…[fitto?, n.d.r.]».
È quindi il turno di Perrin Larton, dipendente di ABR incaricata di gestire la raccolta dei campioni presso le cliniche di Planned Parenthood. Contattata dagli attori con la scusa di essere interessati all’acquisto di tessuti, la Larton descrive come la sua azienda si procura i cadaveri dei bambini abortiti, raccontando un episodio che ha tutte le sembianze della nascita di un feto ancora vivo: «Mi sono capitate donne che sono arrivate e andate in sala operatoria e uscite dopo tre minuti. E io faccio: “Che succede?”, “Oh, sì, il feto era già nel canale vaginale, appena abbiamo messo dentro i ferri, è cascato fuori”». Ed è sempre lei che assicura la qualità del prodotto offerto, mai trattato con la famosa digossina.
L’ABR, però, non sembra così aggressiva come la Stem Express: la Larton, infatti, chiarisce che lo scopo non è ottenere feti ancora vivi, che sono stati in grado di inviare al massimo 2 campioni in tre mesi, perché molti dei feti abortiti non arrivano intatti, a differenza di quello che raccontava la Dyer della compagnia rivale, che invece parlava di grandi quantità. Sempre la Larton spiega che la sua compagnia si accontenta di ricevere pezzi del fegato, quando la Stem Express sembra essere alla ricerca di organi intatti, e si lamenta di come le cliniche non facciano i suoi interessi, perché, parole sue, i feti escono a pezzi dalla sala operatoria, in quanto estratti ancora in posizione podalica.
Non è quello che abbiamo sentito raccontare dalla dottoressa Nucatola, e nemmeno dalla Dyer di Stem Express. È infatti da quest’ultima che, nel video, sentiamo un’ulteriore spiegazione di come possono essere andate le cose. Sembrerebbe che l’ingresso di Stem Express nelle cliniche di Planned Parenthood abbia cambiato molti rapporti fra il colosso degli aborti e l’ABR: inizialmente l’ABR non pagava le cliniche per il prelievo dei tessuti, riporta la Dyer, la quale in precedenza lavorava proprio per questa azienda e poi si è messa in proprio fondando la rivale Stem Express. Lei stessa racconta di come sarebbe riuscita a mettere il famoso piede dentro pagando le cliniche per ogni campione, il che giustificherebbe la maggiore collaborazione di Planned Parenthood, così come riportato dalla dottoressa Nucatola. L’ABR, tuttavia, non si sarebbe lasciata mettere da parte: la Dyer, infatti, nel video accuserebbe la ABR di avere a libro paga del personale di Planned Parenthood, in modo che questi garantiscano all’azienda l’esclusiva sul prelievo dei campioni dei bambini abortiti. E, quando è così, lamenta la Dyer, non riesci a entrare.
Lo scoop del video di martedì, quindi, sarebbe proprio questo: all’interno delle commissioni dirigenti di Planned Parenthood ci sarebbero persone al centro di un conflitto di interessi considerevole. Membri di un’azienda che si occupa della salute delle donne (o almeno così dichiara), che si ritroverebbero con un ruolo da consulenti in un’altra organizzazione, la quale invece mira alla raccolta dei campioni a discapito della salute delle pazienti.
Il tutto testimonierebbe, inoltre, che Planned Parenthood sia al centro di una battaglia commerciale fra aziende, che, tra le altre cose, forniscono tessuti anche ad organizzazioni finanziate con i soldi delle tasse dei contribuenti americani, come il National Institute of Health. Una lotta all’ultimo dollaro per contendersi pezzi di bambini, messi all’asta al migliore offerente. A questo punto sembra veramente che tagliare i fondi al colosso degli aborti non sia neanche lontanamente sufficiente. È ora che il Congresso metta fine a questo mercato criminale.
03/09/2015 La Croce quotidiano