venerdì 11 settembre 2015

Buoni maestri



John Henry Newman e la speranza nella vita cristiana. 

(Hermann Geissler) In un discorso su «La santità come criterio esemplare del principio cristiano», John Henry Newman approfondisce alcuni pensieri. Come è per lui usuale, parte dalla coscienza, da quell’istinto del cuore che «suggerisce all’uomo la differenza tra il bene e il male e costituisce il criterio per valutare i pensieri e le azioni» (Sermoni cattolici, 57). La luce della coscienza ci è data per guidare l’anima nel suo cammino verso il cielo, «per additarci il nostro dovere in ogni circostanza, per istruirci in particolare intorno alla natura del peccato, per renderci atti a giudicare tra tutte le diverse cose che ci si propongono, e sceverare il prezioso dal vile; per impedire che fossimo sedotti da ciò che ha un’apparenza grata e piacevole; per dissipare i sofismi della nostra ragione» (ibidem, 58).
Per essere in grado di compiere questa missione, la coscienza «ha bisogno di essere guidata e sostenuta; lasciata a se stessa, anche se, in un primo momento, si esprime secondo verità, tende in seguito a farsi incerta, ambigua e falsa. Per mantenersi sulla via del dovere, ha bisogno di buoni maestri e di buoni esempi» (ibidem, 57). Ora la tragedia, secondo Newman, sta nel fatto che questi necessari maestri ed esempi spesso ci mancano. Anche in Paesi che si vantano di essere cristiani, la luce nel cuore di tante persone si è fatta fioca e impotente, perché non hanno più un’idea chiara di Dio e di ciò che è vero, buono e bello. Per caratterizzare queste persone, Newman impegna un’immagine forte: assomigliano a uomini che vivono in caverne sotterranee: «Laggiù lavorano, laggiù prendono i loro piaceri, laggiù forse muoiono» (ibidem, 58). Esse non vedono mai la luce del giorno e, sebbene abbiano occhi come tutti, non possono formarsi un’idea esatta dello splendore radioso del sole, dei bei cieli inarcati, degli spazi azzurri, dei monti impervi, del verde ridente dei prati. E poiché non possono rimanere nelle tenebre, si creano delle proprie luci. Esse, infatti, per un bisogno della loro natura, devono poter levare lo sguardo verso qualche cosa di alto e, se non sanno nulla di Dio e dei suoi santi, si creano degli idoli che diventano oggetto della loro adorazione (cfr. Sermoni cattolici, 61).
Una prima luce-idolo, da tanti adorata e venerata, è la ricchezza terrena. Scrive Newman: «Il loro dio è mammona. Badate: non voglio dire, con questo, che ciascuno di loro si dia pena e s’affanni per arricchire, ma che tutti s’inchinano di fronte alla ricchezza. È infatti alla ricchezza che la gran maggioranza degli uomini rende un omaggio istintivo» (ibidem, 61). Molti sanno bene che non possono mai diventare ricchi, ma misurano la felicità dalla ricchezza, ritengono rispettabili i ricchi, cercano amici tra i ricchi, pensano che la ricchezza possa fare ogni cosa.
Newman menziona ancora una seconda luce-idolo. «La ricchezza — così afferma — è il primo idolo del nostro tempo. La notorietà è il secondo» (ibidem, 62). I moderni mezzi di comunicazione hanno aperto nuove possibilità per gli uomini di guadagnare prestigio e di farsi importanti agli occhi del mondo. «Oggi, la notorietà, la fama giornalistica sono, per la gran maggioranza, quello che l’eleganza e lo stile (per usare il linguaggio mondano) sono per coloro che appartengono più o meno intrinsecamente agli ambienti più elevati. La notorietà è diventata per la massa una specie di idolo, adorato di per se stesso» (ibidem, 62). Certo, non tutti possono arrivare alla notorietà, ma giudicano il valore di una persona a partire dalla sua notorietà, dalla sua fama pubblica, dal suo prestigio nel mondo.
Di fronte a queste luci-idolo, Newman esclama pieno di dolore: «Questi sono i tuoi dei, o Israele (cfr. Esodo, 32, 4). Ohimé! Questo grande e nobile popolo, nato per tendere a cose grandi, nato per venerare ciò che è elevato, guardatelo, ora, come s’aggira alla luce di torce nella caverna, o insegue i fuochi fatui delle paludi, incapace d’intendere se stesso e il proprio destino, la propria contaminazione, la propria miseria, perché è privo della luce dei grandi luminari del cielo» (Sermoni cattolici, 63). Ricchezza e notorietà non sono mali in sé, ma diventano mali se vengono venerati e adorati, se diventano idoli per gli uomini che vivono nelle caverne sotterranee e non conoscono la vera luce.
Ora, che cosa capita se gli uomini, per un intervento della provvidenza di Dio, giungono alla soglia della caverna e vedono la luce del giorno? «Quale mutamento per essi — scrive Newman — quando, per la prima volta, gli occhi della loro anima si dissuggellano e, con la vista che dà la grazia, cominciano a contemplare il sole di giustizia, Gesù, i cieli di angeli e arcangeli ove egli ha la sua dimora, la risplendente stella del mattino, che è la madre sua benedetta, le continue cascate e i fiotti di luce che si riversano sulla terra e nel toccarla si trasformano in un arcobaleno d’infiniti colori, che sono i suoi santi, e il mare sconfinato che è l’immagine della divina eternità! E poi, ancora, la placida luna notturna che è figura della sua Chiesa, e le stelle silenti, come pii e santi viandanti, che viaggiano in solitario pellegrinaggio verso il loro eterno riposo» (ibidem, 64).
Una simile esperienza di Tabor fanno coloro che sono disposti a uscire dalla caverna del pensiero mondano, egocentrico, autosufficiente e si aprono alla luce meravigliosa di Dio. Riconoscono che i veri criteri per valutare il bene non sono né la ricchezza, né l’influenza sociale, né il rango elevato, ma «la santità e i beni che l’accompagnano: la santa purezza, la santa povertà, la fortezza eroica, la pazienza, il sacrificio di sé per amore degli altri, la rinuncia al mondo, i favori del cielo, la protezione degli angeli, il sorriso della beata Vergine, i doni della grazia, gli interventi straordinari del miracolo, la comunione dei meriti» (ibidem, 65).
Uomini di questo genere mirano ad alti ideali. Essi, forse, non sono sempre capaci di mettere in pratica ciò che è buono, vero e giusto. Però conoscono quello che è vero, «sanno che cosa pensare, sanno come giudicare; hanno un modello che fornisce loro un criterio per giudicare dei principi di condotta, e, questo modello, è l’immagine del santo a formarlo nella loro mente» (ibidem, 65). Certo, i santi non cadono dal cielo, essi conoscono le tentazioni del mondo, ma combattono la buona battaglia della fede, vivono della grazia di Dio e vincono contro il male. I santi manifestano alle moltitudini «quel che Dio è capace di operare, quel che l’uomo è capace di essere» (ibidem, 69). Ci sono santi in tutti gli strati della società, nei vari stati di vita e nei più diversificati compiti nella Chiesa e nel mondo.
I santi sono molto diversi tra loro e spesso hanno ricevuto dei doni particolari. Non sempre possono essere un esempio per noi, «restano però in ogni caso il nostro modello del giusto e del bene. Sono stati così innalzati per essere un memoriale e un insegnamento: ci fan memoria di Dio, ci introducono nel mondo invisibile, ci apprendono che cosa Cristo ami, tracciano per noi la strada che conduce al cielo. Rappresentano, per noi che li contempliamo, quello che la ricchezza, la fama, il rango, il nome, significano per la moltitudine che vive nella caverna: sono l’oggetto della nostra venerazione e del nostro omaggio» (ibidem, 70). I santi, nei quali brilla la luce di Dio, sono un sicuro punto di riferimento per la nostra coscienza affinché possiamo distinguere il giusto dall’ingiusto, il bene dal male e lo Spirito di Dio dallo spirito del mondo. I santi, inoltre, ci spingono a compiere il bene, con il sostegno dell’aiuto di Dio.
Benedetto xvi, nella sua enciclica sulla speranza cristiana, ha sottolineato l’importanza dei santi. Scrive infatti: «Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente. Esse sono luci di speranza. Certo, Gesù Cristo è la luce per antonomasia, il sole sorto sopra tutte le tenebre della storia. Ma per giungere fino a Lui abbiamo bisogno anche di luci vicine — di persone che donano luce traendola dalla sua luce ed offrono così orientamento per la nostra traversata» (Spe salvi, n. 49). Se la nostra coscienza è incerta e non sa come agire in una situazione concreta, cerchiamo di pensare a una persona santa. Se riusciamo a far sorgere in noi un tale pensiero, quasi sempre riceviamo la luce e la forza per compiere il prossimo passo, sul nostro cammino di pellegrinaggio verso Dio e la vita eterna, la vita vera nella comunione dei santi.

L'Osservatore Romano