giovedì 17 settembre 2015

Cuba, rivoluzione «bianca»



di Andrea Riccardi
Alla vigilia del viaggio di papa Francesco nell’isola caraibica ecco ripubblicato da Francesco Mondadori, per "I libri di Sant’Egidio", un testo di quasi vent’anni fa firmato da Jorge Mario Bergoglio, nel quale sono ben evidenziate le ragioni di una scommessa che oggi sta portando i suoi frutti. Si intitola Uno sguardo su Cuba. L’inizio del dialogo. Giovanni Paolo II e Fidel Castro e ha l’introduzione dello storico Andrea Riccardi (nella foto) della quale pubblichiamo un estratto. Un testo per capire le premesse di un dialogo che ha cambiato la storia. Gennaio 1998: Giovanni Paolo II va a Cuba e incontra Fidel Castro. È l’inizio di un itinerario, il cui compimento è la visita di Francesco a L’Avana nei prossimi giorni, dopo l’annuncio della fine dell’embargo statunitense, grazie anche alla discreta mediazione compiuta dal papa. Nel 1998 l’allora arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, pubblicò questo libro dopo una approfondita riflessione sul viaggio di Wojtyla a Cuba. Uno sguardo su Cuba che si pone alle radici della svolta di oggi.

Cuba è una realtà molto particolare per l’America Latina. Da un lato si identifica fortemente con la vicenda culturale e storica del continente ma, d’altra parte, ha una sua identità peculiare legata alla rivoluzione castrista del 1959 e al regime socialista da essa inaugurato e tutt’ora in vigore. Cuba è simile al mondo latino-americano, di cui è parte integrante, eppure è molto diversa. Non si tratta di un sistema politico-sociale imposto con l’intervento dell’Unione Sovietica, come nell’Est europeo. La rivoluzione cubana è autoctona, ma è divenuta un modello per tante rivoluzioni (spesso fallite) nel continente e altrove. È il regime socialista di più lunga durata in America Latina, ancora oggi in vita dopo il ritiro di Fidel Castro. 

Cuba socialista e rivoluzionaria ha rappresentato un mito e un ideale per non pochi latino-americani (specie delle giovani generazioni), ma anche un fantasma inquietante per governi e poteri stabiliti. Lo è stato per i presidenti americani, prima di Barack Obama. Eppure, anche tra chi non condivideva il sistema socialista (soprattutto latino-americani), Cuba ha raccolto simpatia per la sua resistenza agli Stati Uniti che dal 1962 hanno imposto l’embargo all’isola (gli Stati Uniti assorbivano fino a allora il 74% delle esportazioni cubane). Insomma Cuba, soprattutto in America Latina, è più rilevante delle sue dimensioni economiche o demografiche. Bergoglio ne è consapevole e sa come Cuba sia un test per i rapporti tra i Paesi latino-americani e gli Stati Uniti.

Papa Francesco sembra abbia detto al presidente americano Obama, in visita in Vaticano: «Se vuole la simpatia dei latinoamericani, risolva i problemi con Cuba». Così si è arrivati allo storico accordo del 14 dicembre 2014: la fine del blocco durato più di mezzo secolo. Raul Castro, in una pubblica riunione di Paesi latino-americani, ha riconosciuto che non si sarebbe arrivati all’incontro con gli Usa, senza la decisione di Obama, che si è diversificato dai suoi predecessori, «perché di umile origine». Papa Francesco ha avuto la funzione di mediatore discreto tra i due governi. Lui stesso, nel 1998, provocando una discussione sulla visita di Giovanni Paolo II nell’isola e pubblicando questo volume, aveva manifestato la convinzione di come la vicenda cubana fosse focale per i rapporti interamericani e nel mondo. E il passo di papa Wojtyla, quasi vent’anni fa, era il primo nel senso del disgelo. 

Il cardinale argentino, salito sulla cattedra di Pietro nel 2013, ha idee chiare su Cuba, sulla necessità del dialogo tra Chiesa e regime, e tra Chiesa e popolo, sull’assurdità del blocco realizzato dalle sanzioni. Da molti anni, è convinto della necessità di por fine all’isolamento dell’isola. Ai danni economici e politici di tale isolamento, aveva rimediato la collaborazione con il blocco socialista e con l’Unione Sovietica; ma, dopo l’89 e la fine del comunismo dell’Est europeo, era cominciata una stagione difficile per l’economia cubana. L’isolamento, a suo modo, aveva radicalizzato tante scelte politiche del regime. D’altra parte, per chi non accettava di vivere in una situazione difficile da un punto di vista economico e particolare da un punto di vista politico, c’era la via dell’emigrazione. 

Il viaggio di Giovanni Paolo II aveva voluto forzare l’isolamento di Cuba attraverso il dialogo: «È di estrema importanza l’apporto della visita di Giovanni Paolo II – si legge – perché in certo modo tale avvenimento implica che si tengano aperti i canali di comunicazione». È un punto decisivo della riflessione del gruppo di lavoro guidato da Bergoglio, che coglie il cuore della visita papale. Infatti l’espressione chiave del messaggio wojtyliano durante la visita è: «Che Cuba si apra al mondo e che il mondo si apra a Cuba!». 
La stampa occidentale aveva interpretato questo slogan e lo stesso viaggio del papa come una premessa alla fine del comunismo nell’isola sul modello della transizione polacca. Insomma la visita a Cuba non era che la riedizione dei viaggi papali in Polonia, tesi a stimolare lo spirito d’indipendenza della popolazione polacca. È quanto, ad esempio, temevano i cinesi, quando si parlava di un eventuale visita di Giovanni Paolo II in Cina, cioè il carattere 'eversivo' dell’impatto con la popolazione. Effettivamente erano timori esagerati. Infatti, il papa era troppo accorto per credere che la storia si ripetesse in questo modo. Lo stesso Fidel Castro conosceva la solidità del suo regime e le fragilità del suo Paese: non nutriva timori nei confronti del papa. Giovanni Paolo II voleva aiutare l’isola a costruire un rapporto nuovo col mondo e con gli Stati Uniti; far crescere la società cubana e aiutare la Chiesa cattolica. Senza mezze misure, condannò l’embargo: «Il popolo cubano non può vedersi privato dei vincoli con gli altri popoli». Non solo il governo, ma anche il popolo. 

Le osservazioni di Bergoglio su Cuba mostrano il grande interesse del mondo cattolico degli anni Novanta verso l’isola: si può dire che ci sia la ricerca di una via 'cattolica' o dialogante per uscire dal blocco internazionale che si è consolidato, indicata con il viaggio di Wojtyla. Del resto, nonostante alcuni momenti difficili tra il governo di Castro e la Santa Sede, non si sono mai interrotte le relazioni diplomatiche. Vari nunzi a Cuba, come monsignor Cesare Zacchi, hanno avuto un ruolo nell’appianare le difficoltà. Giovanni XXIII, all’epoca della rivoluzione castrista, ha vegliato per evitare che si ripetessero le spaccature dell’Est europeo. La rivoluzione cubana è avvenuta senza che fosse versato il sangue di nessun prete. 
Il clima tra Chiesa e Stato non è stato buono, ma niente di paragonabile ai Paesi dell’Est europeo. Limitazioni ci sono state per la Chiesa, per lo più ridotta alla vita cultuale. Tuttavia il regime non ha controllato le nomine o il clero. La figura di monsignor Carlos Manuel de Céspedes, discendente di una storica famiglia cubana, a lungo segretario della Conferenza episcopale, è stato spesso un tramite con il mondo del governo che lo rispettava. Il momento più difficile era stato quando il governo espulse centotrentadue preti (non cubani) nel 1961, dopo lo sbarco americano alla baia dei Porci. Ma, al momento della visita del papa, nel 1998, sembravano storie ormai lontane. 

Papa Francesco, da latinoamericano, ha realizzato quello che tanti avevano sognato prima di lui, anche grazie all’interlocuzione con il presidente Obama. Ha mostrato la forza del dialogo. Leggere queste pagine di riflessione sul viaggio di Giovanni Paolo II nel 1998 aiuta a capire meglio come Jorge Bergoglio guardasse da tempo con grande attenzione a Cuba, convinto che la Chiesa dovesse avere un ruolo in questo quadro. Oggi queste visioni divengono il programma e la realtà del suo pontificato.

Avvenire

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La missione della Chiesa a Cuba. Esserci, restare e perseverare 

(Emilio Aranguren Echeverría, Vescovo di Holguín) Presenza e azione. Perché l’esserci, il restare e il perseverare sono i segni tangibili di una chiara identità. Quella della nostra Chiesa locale, pronta a ricevere il «missionario della misericordia». La presenza di Papa Francesco nella diocesi di Holguín, gli incontri che avrà, le celebrazioni, tutto servirà a concretizzare la sua missione come successore di san Pietro. Il Pontefice renderà così ancora più profonda l’identità spirituale della Chiesa che è pellegrina a Cuba, una Chiesa che ha sempre vissuto, e ancora oggi vive, la vocazione di essere serva del suo popolo.
In un mondo come il nostro, del resto, la spiritualità ha pieno vigore se si manifesta come presenza attiva e come testimonianza. Ne è un esempio il comportamento di Maria alle nozze di Cana (cfr. Giovanni, 2, 1-11), caratterizzato appunto da due componenti: presenza e azione. Presenza è esserci, restare, perseverare tra la propria gente, come fa il pastore con il suo gregge. Una presenza costante, che trova la sua ragione d’essere non nelle circostanze storiche, ma nel dinamismo evangelico.
L’azione della Chiesa a Cuba risale al momento in cui Cristoforo Colombo, come rappresentante del Vecchio Mondo, toccò terra a Puerto Bariay, nella costa settentrionale della provincia di Holguín, nel 1492.
Di quel momento storico è però rimasta un’immagine — appare spesso in dipinti e murales — che offusca la verità dell’azione integrale della Chiesa in questi cinque secoli di storia: si vede in genere il colonizzatore accompagnato da un frate con la mano levata che regge un crocifisso e con lo sguardo rivolto a un indios inginocchiato ai suoi piedi, in segno di sottomissione. La storia però contrappone a questa immagine l’atteggiamento assunto da fra’ Bartolomeo de las Casas a favore della causa indigena, oltre a tante altre pagine che attestano la presenza profetica e caritativa della Chiesa di fronte alla schiavitù e ad altre realtà vissute dal popolo. È bene sottolineare la presenza attiva di molti missionari e missionarie che sono stati accanto ai malati e ai detenuti, hanno accolto gli orfani e gli indifesi, hanno offerto una casa agli anziani, hanno dato da mangiare a tanti senzatetto, e hanno soccorso bambini abbandonati. Tutto ciò attraverso istituzioni create appositamente (case per anziani, dispensari, lebbrosari, orfanotrofi, ospedali, centri di accoglienza) ma anche grazie a singoli interventi nelle case. Potremmo, a mo’ d’esempio, prendere come modello la figura del religioso cubano, beatificato di recente, Juan de Dios Olallo Valdés.
Del resto, molti archivi e biblioteche — sia ecclesiastici che pubblici — conservano pagine memorabili sull’azione svolta dalla Chiesa a favore dei bisognosi. A Cuba non si può parlare della storia nazionale senza menzionare le Figlie della carità di San Vincenzo de’ Paoli, i padri mercedari, i Fratelli ospedalieri di san Giovanni di Dio, le Piccole suore degli anziani, le Serve di Maria, le Ministre degli infermi e altre congregazioni religiose. Senza dimenticare il frate francescano José de la Cruz Espí (noto come padre Valencia) e tanti altri sacerdoti che hanno operato a livello locale.
Oggi le fondamenta della Chiesa che vive a Cuba, su cui poggiano la sua vocazione e la sua missione, sono le stesse che hanno sempre accompagnato la storia del popolo di Dio: presenza riconoscibile e azione amorevole verso il prossimo.
La vita dei pastori (vescovi, sacerdoti, diaconi permanenti), come pure quella dei religiosi e delle religiose, si svolge secondo questi parametri. E anche quella dei laici, i quali — oltre a vivere la loro vocazione specifica nella trasformazione della società, che inizia nella propria casa con la famiglia — offrono una straordinaria testimonianza nell’esercizio dei ministeri che svolgono nelle loro rispettive comunità.
È in questa dedizione — vissuta come missione al servizio del popolo — che si alimenta la ricchezza della Chiesa cubana. A Cuba, negli ultimi decenni, è cresciuta una spiritualità propria, figlia di un’esperienza pastorale che, alla luce del Vangelo, si basa su quattro valori del regno di Dio: i valori di ciò che è piccolo, limitato, anonimo e graduale.
Nella vita quotidiana ogni persona può essere soggetto attivo della misericordia verso il prossimo, mettendo in pratica il consiglio evangelico del «Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra» (Matteo, 6, 3). Ma ciò che risulta identitario e allo stesso tempo chiara testimonianza, è constatare come la comunità cristiana, inserita in un’area o in un quartiere, sia consapevole della sua vocazione e della sua missione attraverso le tre funzioni o azioni pastorali: catechetica-evangelizzatrice, liturgica-celebrativa e sociale-caritativa.
In particolare, nel campo della pastorale sociale a Cuba, ricordiamo le azioni specifiche, coordinate dalla pastorale della salute, svolte dalle comunità per dare assistenza ai malati, sia a domicilio che negli ospedali, o nelle case per anziani. Allo stesso modo i detenuti, oltre a essere visitati dai cappellani, ricevono anche il sostegno della pastorale penitenziaria nell’accompagnamento dei loro familiari. La pastorale contadina orienta l’azione di molti coltivatori, offrendo loro consigli nell’organizzazione dei piccoli terreni di cui dispongono. L’accoglienza del pellegrino fa poi parte del compito dei gruppi di mobilità umana e anche la Caritas svolge un grande servizio, non solo in situazioni di emergenza come quelle verificatesi in occasione degli uragani Ike nel 2008 e Sandy nel 2012, ma anche attraverso mense parrocchiali e programmi specifici rivolti ai bambini, alle loro famiglie, ai malati di Aids o di altre malattie che richiedono un’attenzione particolare.
L'Osservatore Romano

* Papa Francesco e Cuba. "Dialoghi tra Giovanni Paolo II e Fidel Castro". Libro a cura del cardinale Jorge Mario Bergoglio

(NdR - Riproponiamo, a cura di Francesco Gagliano, un'ampia sintesi dei capitoli del volumetto scritto da un gruppo argentino, sotto la guida del cardinale Jorge Mario Bergoglio in cui, qualche anni fa, gli autori riflettevano e analizzavano la visita a Cuba, nel 1998, di s. Giovanni Paolo II. L'avvicinarsi del viaggio di Francesco a Cuba rende molto attuali queste riflessioni.
(Francesco Gagliano) Quando l'attuale Papa Francesco era neo-arcivescovo di Buenos Aires, cattedra nella quale succedette al Primate cardinale Antonio Quarracino il 28 febbraio 1998, scrisse un piccolo libro (luglio 1998), articolato in diversi capitoli, dedicato alla visita storica di Giovanni Paolo II a Cuba tra il 21 e il 26 gennaio 1998.
Il volumetto, disponibile solo in lingua spagnola, da oltre un anno viene periodicamente citato, soprattutto da giornalisti o scrittori che hanno scritto biografie su Jorge Mario Bergoglio.
Si tratta però di un libro poco conosciuto e che spesso si presenta come "scritto dopo la visita di Bergoglio a Cuba dove si recò accompagnando Papa Wojtyla". 

Da diverse nostre indagini e richieste a persone ben informate non risulta che l'ex arcivescovo di Buenos Aires si sia mai recato in vita sua a Cuba. Alcune fonti affermano che era prevista la presenza di Bergoglio in concomitanza con la visita di Giovanni Paolo II ma, all'ultimo momento, il presule dovette sospendere il viaggio per il quale aveva chiesto il visto d'ingresso. Ma neance questo paricolare è vero.
Il testo del futuro Papa Francesco è incentrato quasi tutto sul magistero di Giovanni Paolo II a Cuba (omelie, discorsi, saluti) e si propone di sottolineare due aspetti: il dialogo non solo è possibile ma anche necessario e se questo dialogo sarà sincero e onesto darà frutti importanti per tutti.
Bergoglio elogia la lungimiranza e il coraggio di Papa Wojtyla e anticipa che prima o dopo questi frutti arriveranno. Al tempo stesso difende con fermezza la missione e il ruolo della Chiesa cattolica in Cuba senza limitarsi a ricordare le molte sofferenze che ha subito, ma evidenziando quanto questa chiesa può dare al suo popolo e alla nazione cubana dov'è pellegrina per volere di Cristo. Al tempo stesso in diversi momenti dello scritto di Bergoglio si leggono critiche ad alcuni aspetti importanti della Rivoluzione cubana e al sistema socialista, in particolare a tutto ciò che per scelta ideologica, programma politico o disposizione amministrativa ostacola "la dignità trascendente della persona umana". Vi sono anche nel testo - in linea con Papa Giovanni Paolo II, i vescovi cubani e statunitensi - dure critiche all'embargo e all'isolamento economico che Washington impone all'isola, critiche che si concludono con un incoraggiamento a lottare per rimuovere questa situazione che causa solo danno al popolo, in particolare ai più deboli.
La conclusione principale, "la lezione" del viaggio apostolico di Papa Wojtyla, è perentoria per Jorge Mario Bergoglio: nelle loro diversità Giovanni Paolo II e F. Castro si sono incontrati, hanno parlato, si sono ascoltati reciprocamente con affetto e rispetto, hanno aperto un dialogo, l'unica via vera e duratura per vivere insieme in armonia e collaborazione anche quando vi sono tra le parti opinioni o punti di vista differenti. In altre parole, Jorge Mario Bergoglio già 16 anni fa presentava in nuce gli stessi temi che affronta oggi. A Buenos Aires il suo pensiero e la sua analisi erano un auspicio. Ora, in Vaticano, l'auspicio è diventato esortazione e azione diplomatica.
"Il valore del dialogo"
Il “libro” di mons. Bergoglio dedicato al viaggio di Papa Wojtyla a Cuba (21 – 26 gennaio 1998) in realtà è una saggio breve elaborato dal “Gruppo di riflessione Centesimus Annus, diretto e coordinato dall’arcivescovo di Buenos Aires, mons. Jorge Mario Bergoglio”.
Il testo dunque è anche il frutto di un’elaborazione collettiva che come si legge nelle prime righe si propone, a partire della visita di Giovanni Paolo II a Cuba, di ripercorrere “l’itinerario missionario” del Papa polacco allo scopo di scoprire alcune costanti.
La principale di queste – nel Capitolo I, “Il valore del dialogo” - è un’azione pastorale del Pontefice molto precisa: “la crisi di valori che lui ha svelata” nella coscienza umana. “Per questo motivo, prosegue il volumetto, e sin dall’inizio del suo ministero pastorale (il Papa) ha dimostrato una disposizione piena ad aprire la Chiesa al dialogo considerandolo fertile affinché l’umanità - nel dialogo – si apre alla Chiesa in una incessante ricerca della verità. L’importanza e il valore di dialogo risiedono sul fatto, appunto, che la sua pratica rende possibile giungere alla verità fondata nel Vangelo. Il dialogo si oppone al monologo e conduce lo spirito nella ricerca della verità”.
Dopo diverse considerazioni sulla verità logica e la verità rivelata, per sottolineare che “il dialogo tra l’uomo e la Chiesa è possibile tramite il Vangelo”,  il testo prosegue: “Il Papa non solo è un portavoce, una persona che trasmette la parola di Cristo, ma è anche colui che riceve la voce del mondo, della società umana.
Il ruolo della Chiesa, in particolare del Vicario di Cristo, è quello di liberare, dialogare e partecipare, per costruire comunione tra gli uomini e la Chiesa”. (…) “Il dialogo inteso come canale di comunicazione tra la Chiesa e i Popoli, diventa uno strumento basilare per costruire la pace, promuovere la conversione e per creare fratellanza”.
“Così nel dialogo tra assenti, tra Giovanni Paolo II e Fidel Castro – prosegue il volumetto – il Papa ribadisce con fermezza la sua richiesta di libertà, dignità e democrazia per il popolo cubano, mente Fidel Castro mantiene in alto la bandiera dell’uguaglianza di trattamento per Cuba nello scenario internazionale nell’ambito anche delle relazioni economiche. Pensiamo che il risultato di questo dialogo si è trasformato potenzialmente in realtà tangibili di fronte alla volontà di voler concedere che ha dimostrato Fidel Castro – per esempio con la liberazione di prigionieri politici – e di fronte al desiderio papale di promuovere la fine delle barriere imposte a Cuba da parte dei superpoteri”.
Socialismo cubano: dialogo e verità – Missione della Chiesa
Il volumetto dedicato alla visita di Papa Wojtyla a Cuba nel 1998, dopo l’introduzione dedicata al “valore del dialogo”, si addentra specificamente nel caso cubano. “La ricerca della verità nel caso di Cuba – si legge – non poteva essere portata a compimento, né poteva essere consacrata, senza un approfondimento del dialogo tra i due discorsi: quello di Fidel Castro e quello di Giovanni Paolo II.
La missione del Papa  e la recezione di Fidel convergono nella implementazione di nuove metodologie che si devono applicare nella trasformazione politica, da un lato, e in quella evangelizzatrice dall’altro”. Questo dialogo e questa verità sono state sempre molto evidenziate da parte del Papa nel corso della visita.
Papa Wojtyla è “sempre disposto ad ascoltare ma in modo specifico desidera e necessita ascoltare la verità del popolo cubano, del suo Governo, della Rivoluzione, della religione e dei rapporti tra Stato e Chiesa”. In questa dinamica i due hanno parlato liberamente e ampiamente e si sono ascoltati reciprocamente. “E così si sono viste divergenze profonde e in altri casi convergenze basilari”. Da questo dialogo-incontro, possibile grazie alla Visita del Papa, J. M. Bergoglio ritiene che sia scaturito “un contributo di grande valore (…) perché si mantengono aperti i canali di comunicazione” e, al tempo stesso, Papa Wojtyla sottolinea la necessità del popolo cubano di poter godere dei diritti di cui è soggetto come la libertà di espressione e della capacità d’iniziativa e proposta nell’ambito sociale”. Per quanto riguarda la Chiesa si ricorda che non cerca né desidera potere, “non alza bandiere ideologiche, non propone un nuovo sistema economico e politico. La Chiesa in Cuba, attraverso la parola del Pontefice, offre con la sua presenza, la sua voce e la sua missione un cammino per la pace, la giustizia e la libertà vere”.
“Il popolo cubano deve essere capace di capitalizzare la visita del Papa. Non tutto sarà come prima dopo la sua partenza. Getterà radici il dialogo tra la Chiesa e le istituzioni cubane e ciò si traduce sempre in benessere per chi ne ha più bisogno: il popolo”, sottolinea l’arcivescovo Bergoglio che allunga lo sguardo sulla storia della Chiesa, sul “periodo speciale”, sull’embargo e l’isolamento economico e infine sulla globalizzazione. Ribadendo il magistero di Papa Wojtyla e dei vescovi cubani, mons. Bergoglio lancia un appello: “Il popolo cubano ha bisogno di vincere quest’isolamento e perciò Giovanni Paolo II esorta l’anima cristiana di Cuba, e la sua vocazione universale, ad aprirsi al mondo e, al medesimo tempo chiama il mondo ad avvicinarsi a Cuba, al suo popolo, ai suoi figli, che sono senza dubbio la sua ricchezza più grande”.
Successivamente nel paragrafo “confronto, coincidenze e tolleranza”, il volumetto si addentra nel rapporto cristianesimo-marxismo, in particolare alla luce di diverse dichiarazioni di Fidel Castro nell’arco di diversi anni, dall’inizio della Rivoluzione sino alla vigilia della visita di Giovanni Paolo II. Pur riconoscendo convergenze rilevanti, J. M. Bergoglio considera però che “il socialismo ha commesso un errore antropologico nel ritenere l’uomo solo una parte del tessuto sociale, limitando l’importanza dell’essere umano solo alla sua posizione sociale. Il bene della persona dunque viene subordinato al suo funzionamento nel meccanismo economico-sociale e ciò le fa perdere la sua opzione autonoma”.
Laicismo, marxismo e libertà religiosa. Le riforme urgenti che attendono i popoli
Le riflessioni di mons. Jorge Mario Bergoglio nel volumetto citato, si concludono con diverse considerazioni riguardo la democrazia, la laicità e la solidarietà. Fermo restando che il Papa si fa pellegrino nel mondo “per difendere in ogni luogo la dignità dell’uomo” a partire dalle verità di Cristo e del suo Vangelo, che la Chiesa deve custodire e annunciare, il testo approfondisce diverse dimensioni della piena e integrale presenza della Chiesa tra i popoli.
In questo contesto si sottolinea l’importanza “delle relazioni Stato/Chiesa” (…) che si devono sviluppare “in totale e cordiale armonia” poiché “l’uomo vive sia nell’ambito civile che in quello ecclesiale”. “Occorre ricordare sempre che il messaggio evangelico non si limita solo alla sfera del culto, della pratica religiosa, e che è sua missione illuminare tutto l’uomo, tutte e ciascuna delle azioni umane”. Lo scritto denuncia l’esistenza in diversi luoghi del mondo di “azioni meschine” che ostacolano la missione della Chiesa e ciò si fa appellandosi ad “una presunta libertà di coscienza (intesa come esproprio di ogni credenza religiosa) con l’intenzione di sostituire la necessità spirituale degli uomini nella ricerca della verità su Dio  con l'adesione a interessi temporali. Il laicismo prima e il marxismo dopo - prosegue il testo nella parte conclusiva – hanno imposto un dogmatismo che privilegia lo Stato come supremo valore della vita (…) e la dimensione religiosa resta relegata alla sfera della coscienza individuale”. Infine, il testo analizza le diverse alternative che si aprono per Cuba dopo la visita del Papa e prende in considerazione anche ipotesi giornalistiche che allora parlavano di possibile “alleanza” tra Chiesa e Governo per facilitare una transizione.
Ecco la riflessione finale dello scritto: “Il messaggio del Sommo Pontefice, indirizzato non solo al popolo cubano ma anche ai suoi massimi dirigenti, contiene una profonda riflessione sulla necessità di sostenere il cammino che consenta ai cittadini di Cuba la partecipazione nella vita civile del Paese. Per Cuba, e per altre Nazioni, occorrono piani per trasformare alcune istituzioni politiche, per sostituire regimi corrotti, dittatoriali o autoritari con (governi) democratici e partecipativi. La libera partecipazione dei cittadini nella gestione pubblica, la sicurezza del diritto, ormai sono requisiti imperativi, condizione necessaria per permettere lo sviluppo dell’uomo, di tutti gli uomini”.