martedì 1 settembre 2015

Liturgia della Parola per la Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato



Vatican.va
Oggi, martedì 1° settembre 2015, nella Basilica Vaticana, alle ore 17, il Santo Padre Francesco presiederà la Liturgia della Parola in occasione della Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato, da lui istituita in data 6 agosto 2015.


Testo del libretto della Celebrazione (pdf)


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Questione ecologica e percorso spirituale nella «Laudato si’». Quell’incanto che apre le porte alla Verità


(Vincenzo Bertolone) Casa comune e sorella. E per di più, madre. Soltanto un innamorato del creato come Francesco d’Assisi avrebbe potuto chiamare madre la terra nel suo Cantico, eppure questa definizione ha volato attraverso i secoli ed è diventata il tema dominante di un’enciclica sociale di un Papa (il testo «si aggiunge al Magistero sociale della Chiesa», ricorda testualmente il n. 15 di Laudato si’). Il Cantico medievale che aveva individuato il «riflesso di Dio in tutto ciò che esiste» (87) ci propone ancora una peculiare «visione filosofica e teologica dell’essere umano e della creazione» (130). 
La ricognizione contemporanea viene svolta in atmosfera esplicitamente contemplativa, a tratti monastica, cercando il senso sia «nelle crepe del pianeta che abitiamo, quanto nelle cause più profondamente umane del degrado ambientale» (163). Una «prolungata riflessione, gioiosa e drammatica insieme» (246) che Papa Francesco, forte dell’esempio «bello e motivante» (10) del santo di Assisi, comincia dalla vera e propria protesta del pianeta, di cui egli ausculta i non pochi sintomi di malattia (2). Si tratta di riflettere sulla «nostra oppressa e devastata terra», inventariata, come se fosse un essere vivente, «fra i poveri più abbandonati e maltrattati» (2) da curare come tutto ciò che è debole e che viene proposto dall’enciclica come «una ecologia integrale» (10). Un approccio che richiede anche una progettazione educativa di lungo termine, la quale implica il ripensamento dei principali temi teologici (a cui viene dedicato l’intero sesto e ultimo capitolo). Il tutto è da considerare in un contesto mondiale di «debolezza della reazione politica internazionale» (54). Serve «una politica che pensi con una visione ampia, e che porti avanti un nuovo approccio integrale, includendo in un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti della crisi» (197).
Preso atto che non è un’enciclica verde, ma sociale, la convinzione di fondo è che siano «inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore» (10); o anche che «non può essere autentico un sentimento di intima unione con gli altri esseri della natura, se nello stesso tempo nel cuore non c’è tenerezza, compassione e preoccupazione per gli esseri umani» (91). Non è neppure un’enciclica ecologica, che magari propenda per questa o quella teoria soft o hard, di cui è costellata la discussione della bioetica della biosfera. Insomma, è una disamina della situazione della terra ammalata, condotta non soltanto con il parametro delle teorie scientifiche accreditate, ma dal «punto di vista del Dio» del primo e del nuovo Patto, cercando una risposta, insieme religiosa e umanamente condivisibile, che possa accomunare tutti coloro che ancora soffrono, terra compresa, in una sorta di appello universale a intraprendere finalmente una ecologia integrale, che comporti il superamento (come rammenta tutto il terzo capitolo dell’enciclica) del «paradigma tecnocratico dominante» (101) sia sulle coscienze dei singoli che «sull’economia e sulla politica» (109). L’intenzione, però, è più che interreligiosa ed ecumenica, in quanto la proposta è quella di «entrare in dialogo con tutti riguardo alla nostra casa comune» (3), peraltro sulla scia delle indicazioni precise degli ultimi Pontefici a partire da san Giovanni XXIII, che hanno comunque tenuto conto della «riflessione di innumerevoli scienziati, filosofi, teologi e organizzazioni sociali che hanno arricchito il pensiero della Chiesa su tali questioni» (7). A tutto ciò ora si aggiunge la presa d’atto di quanto anche altre confessioni cristiane e altre religioni dicono circa gli aspetti inediti della situazione ambientale.
Il metodo è quello del dialogo e del confronto universale, meglio, di una «nuova solidarietà universale» (14) che si realizza assumendo i risultati concreti della ricerca scientifica sulla biosfera per farli propri e per «dare una base di concretezza al percorso etico e spirituale» (15). Anche la tradizione giudeo-cristiana viene, ovviamente, interrogata, ma in situazione, cioè per verificare cosa dica il “punto di vista” di Dio e poter, poi, proporre un nuovo impegno ecologico «che, nelle sue diverse dimensioni, integri il posto specifico che l’essere umano occupa in questo mondo e le sue relazioni con la realtà che lo circonda» (15). Si apre in tal modo anche la possibilità del recupero della spiritualità cristiana specifica, da intendere come offerta di motivazioni che, secondo il Pontefice, muovono e ancora sono in grado di promuovere i cambiamenti auspicati. Ecco anche perché solamente dal n. 62 in poi vengono presentate le linee del “Vangelo della creazione”.
Si possono comprendere anche gli “assi portanti” dei capitoli (16), ovvero: l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta; la convinzione che tutto nel mondo sia intimamente connesso; la critica al nuovo paradigma e alle forme di potere che derivano dalla tecnologia; l’invito a cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso; il valore proprio di ogni creatura; il senso umano dell’ecologia; la necessità di dibattiti sinceri e onesti; la grave responsabilità della politica internazionale e locale (la proposta al n. 51 è quella di «un’etica delle relazioni internazionali»); la cultura dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita. I capitoli ideali della crisi ecologica in atto (occupano quasi la metà dell’enciclica) sono quelli posti sul tappeto anche dagli esperti. Inquinamento e rifiuti vengono correlati alla cosiddetta “cultura dello scarto” (n. 22); il clima viene guardato come “bene comune” (siamo nell’asse della dottrina sociale: al n. 156, «nozione di bene comune, un principio che svolge un ruolo centrale e unificante nell’etica sociale»); la progressiva penuria di acqua disponibile viene collegata al tema della «qualità dell’acqua disponibile per i poveri» (29); il depauperamento o l’estinzione delle risorse, o delle specie viventi, sono connessi alla questione della biodiversità, sulla base del criterio che «tutte le creature sono connesse tra loro» (42).
In ultima istanza, il paradigma, piuttosto che biocentrico, appare antropocentrico, che però non mette la ragione tecnica al di sopra della realtà (n. 115), anzi l’enciclica critica l’antropocentrismo deviato (n. 119) e il relativismo pratico (n. 122), prestando attenzione a quelle “fette di umanità” — i più deboli del pianeta che «sono la maggior parte del pianeta, miliardi di persone» (n. 49) — che più di altre risentono della cultura dello scarto sulla propria pelle, già povera, e percepiscono gli effetti dannosi della inequità sociale. Per coglierne la portata prorompente, non bisogna limitarsi ai dati provenienti dalle scienze esatte e dalla biologia, ma portarsi sul piano dell’essenza dell’umano, ovvero ri-acquisire lo stupore e la meraviglia, tipiche dell’occhio metafisico e religioso (n. 11). Difatti, non è possibile che «le scienze empiriche spieghino completamente la vita, l’intima essenza di tutte le creature e l’insieme della realtà» (n. 199). L’orizzonte è visibile grazie alla convinzione che «tutto è intimamente relazionato» (n. 137), «tutto è connesso» (n. 137), «tutto è in relazione» (n. 142). Non bisogna cedere acriticamente a degli automatismi, fossero anche di tipo economico (in questo senso si parla anche di «un’ecologia economica» al n. 141). Insomma, «proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale» (n. 13); implica altresì di «riparare tutto ciò che abbiamo distrutto» (n. 63). Di qui il bisogno non soltanto dei dati scientifici, tecnologici, economici, finanziari e politici, ma altresì delle «diverse ricchezze culturali dei popoli», fino «all’arte e alla poesia, alla vita interiore e alla spiritualità» (n. 63). La Chiesa cattolica si propone come versante affidabile del dibattito ambientale, nella certezza che «le convinzioni di fede offrano ai cristiani, e in parte anche ad altri credenti, motivazioni alte per prendersi cura della natura e dei fratelli e sorelle più fragili» (n. 64).
Ecco, allora, anche il senso dei grandi racconti biblici (con la difesa di una cultura religiosa che, se ben capita, certamente non ha favorito lo sfruttamento selvaggio della natura), nonché della letteratura successiva, soprattutto sapienziale, fino al cammino dell’universo nella pienezza di Dio, che è stata già raggiunta in Cristo risorto. Tutto finalizzato a recuperare uno sguardo sulla persona umana in relazione con gli altri e con il cosmo (n. 124). La questione ecologica è questione sociale. Vivere con sobrietà non significa né abuso delle cose né rifiutarne l’uso. Vuol dire imparare a considerare che le risorse terrestri non sono inesauribili e perciò vanno usate con parsimonioso rispetto. Un passaggio obbligato per tutti e per ciascuno, anche se non credente: come scriveva il romanziere Romano Battaglia, «l’incanto della natura, il mistero affascinante che l’avvolge sono forse l’unica chiave di cui disponiamo per cercare di aprire la porta che ci separa dalla Verità».
L'Osservatore Romano

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Oggi, Giornata mondiale di preghiera per il creato. Il patriarca Bartolomeo sulla salvaguardia del creato. Come il ricco stolto
L'Osservatore Romano
«Come cristiani ortodossi siamo stati istruiti dai padri della Chiesa a limitare per quanto possibile le nostre necessità. Al principio del consumismo contrapponiamo il principio dell’ascesi, limitando le necessità all’indispensabile. Questo non comporta privazione ma la razionalizzazione del consumo e la condanna etica dello spreco. “Quando dunque abbiamo di che mangiare e di che coprirci, accontentiamoci”(1 Timoteo, 6, 8)”, come ci esorta l’apostolo di Cristo». È l’invito contenuto nel messaggio del patriarca ecumenico, Bartolomeo, arcivescovo di Costantinopoli, diffuso in occasione della giornata mondiale di preghiera per la salvaguardia del creato. Lo stesso Cristo — sottolinea il primate ortodosso — «dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci e l’aver saziato con essi cinquemila uomini, oltre a donne e bambini, ha dato ordine di raccogliere ciò che era avanzato “perché nulla vada perduto” (Giovanni, 6, 12). Purtroppo le odierne società abbandonano la realizzazione di questo comandamento, essendosi date allo spreco e all’uso irragionevole a soddisfazione delle percezioni vanitose di prosperità».
Bartolomeo ricorda che il 1° settembre di ogni anno è stato dedicato, su iniziativa del patriarcato ecumenico («e recentemente anche della Chiesa cattolica romana»), alla preghiera per la protezione dell’ambiente naturale. Purtroppo «noi uomini, sia singolarmente sia nella totalità, ci comportiamo a volte in modo contrario. Vessiamo la natura in una maniera che i cambiamenti climatici e ambientali sopravvengono inaspettati e indesiderati».
Nel messaggio Bartolomeo ribadisce come «noi uomini siamo i distruttori della creazione con la nostra cupidigia, col nostro attaccamento alla terra, ai beni terrestri, che ci sforziamo continuamente di aumentare, come il “ricco stolto” del Vangelo. Dimentichiamo lo Spirito Santo, nel quale viviamo, ci muoviamo ed esistiamo».
Questi comportamenti possono tuttavia cambiare per ottenere risorse ed energia attraverso un’appropriata educazione: «Affrontare la crisi ecologica si può, risolvendola in modo concorde». Il patriarca cita poi Papa Francesco quando nell’enciclica Laudato si’ afferma che «La terra, nostra casa, sembra trasformarsi sempre più in un immenso deposito di immondizia» (21). Queste immondizie — aggiunge Bartolomeo — «non sono solo materiali, ma principalmente spirituali. Sono immondizie che provengono nella sostanza dai sentimenti emotivi dello stesso uomo. Noi tuttavia, come cristiani ortodossi, siamo chiamati a compiere, anche riguardo al tema della tutela di tutto il creato, un’opera evangelica, un’opera apostolica, a riaccendere cioè il lieto annuncio evangelico nell’attuale mondo sconvolto, a risvegliare la natura spirituale assonnata dell’uomo, a trasmettere un messaggio di speranza, di pace e di gioia: pace e gioia di Cristo».
Di qui l’invito «a risvegliare la mente, a liberarsi di pensieri emotivi e interessi personali, per vivere in armonia con il prossimo e con il creato».