venerdì 18 settembre 2015

Per gli ultimi e per i potenti



Un fitto programma attende il Pontefice a New York. Filo comune

(Timothy Michael Dolan, Cardinale, arcivescovo di New York) Non erano trascorse nemmeno due ore da quando Jorge Bergoglio si era affacciato per la prima volta dal balcone centrale della basilica di San Pietro ed era stato presentato al mondo come Papa Francesco che la domanda mi venne posta per la prima volta. Durante una conferenza stampa organizzata in fretta e furia, un giornalista di New York alzò la mano e chiese: «Che cosa ha detto a Papa Francesco dopo la sua elezione? Lo ha invitato a venire a New York?».Fu solo la prima delle centinaia di volte che mi è stato chiesto «Il Papa verrà a New York?». E di fatto, prima di tornare a casa dopo la bella messa che ha inaugurato il suo ministero petrino, ho detto a Francesco ciò che sapevo essere la verità: la gente di questa arcidiocesi e, di fatto, di tutta New York e degli Stati Uniti, avrebbe accolto con entusiasmo e gioia il vescovo di Roma. 
Ci siamo dedicati alla programmazione per più di un anno: prima in modo informale, quando abbiamo appreso che avrebbe partecipato all’Incontro mondiale delle famiglie a Philadelphia, poi ufficialmente, quando abbiamo ricevuto la buona notizia che sarebbe venuto nella nostra arcidiocesi. Un filo comune ha però attraversato tutti i nostri progetti: in che modo possiamo far sentire la gente più vicina al Successore di Pietro, e come possiamo far sperimentare a Papa Francesco la gioia e la vitalità di una Chiesa molto viva?
Quando nel 2009 sono stato nominato arcivescovo di New York, molti amici della mia città natale di Saint Louis, come anche di Milwaukee, dove ho servito per sette felici anni come arcivescovo, mi hanno messo in guardia contro la grande città fredda e impersonale, dove la fede era una cosa poco più che improvvisata, una reliquia di un passato lontano. Ammetto che le loro parole mi avevano spinto a domandarmi quali potenziali difficoltà avrei dovuto affrontare!
È stata una piacevole sorpresa, per me, scoprire molto presto che i miei benintenzionati amici avevano torto. La fede a New York non solo è ancora viva, ma sta anche prosperando! Sperimento questa fede in azione ogni volta che entro in una delle nostre scuole cattoliche e osservo l’impegno dei nostri insegnanti, amministratori e genitori, che collaborano tutti per offrire un’educazione accademica e religiosa eccellente a bambini di ogni origine, o quando visito uno dei nostri numerosi programmi degli organismi caritativi cattolici, dove ci occupiamo dei bisogni delle persone affamate o senzatetto, o dei nuovi arrivati nel nostro Paese. Sperimento però questa fede nella maniera più forte quando entro in una delle nostre trecento parrocchie per pregare con la gente, specialmente la più bella delle preghiere, il santo sacrificio della messa. 
È questa fede la cosa che sono più ansioso di condividere con Papa Francesco quando sarà qui con noi a New York. Egli ha catturato l’attenzione del mondo ricordando in modo semplice, e tuttavia profondo, che la Chiesa deve sempre estendere l’amore e la misericordia di Dio a tutti coloro che incontra; che dobbiamo sempre mettere la gente al primo posto, non le strutture o le istituzioni; e, prendendo in prestito la sua famosa analogia, che la Chiesa deve essere come un ospedale da campo, prendendosi cura dei feriti che ci circondano. Tante delle cose di cui ha parlato il Papa si stanno già realizzando qui a New York, ma penso che la sua presenza ci ispirerà a fare ancora di più per compiere questa missione.
Sono già state fatte tantissime ipotesi su ciò che il Papa dirà quando si rivolgerà al Congresso o parlerà alle Nazioni Unite. In qualche modo, tutte queste speculazioni sembrano voler fare apparire la visita di Papa Francesco come un’estensione della campagna presidenziale che è già in pieno corso: favorirà i democratici o i repubblicani? Quale partito ne trarrà beneficio? In che modo influenzerà la corsa per la Casa Bianca?
Tutto ciò è comprensibile, ma è completamente fuori bersaglio. Papa Francesco viene come pastore che vuole conoscere meglio il suo gregge. Ci sfiderà e ci ispirerà, ci guiderà nella preghiera. Sebbene la sua permanenza a New York sarà relativamente breve — circa 38 ore — difficilmente ci sarà un momento di tregua. Oltre al suo discorso alle Nazioni Unite, Francesco ci guiderà nella preghiera dei vespri nella cattedrale di Saint Patrick, da poco restaurata e riaperta; visiterà il memoriale dell’11 settembre, dove parteciperà a un incontro multireligioso per la pace; visiterà una scuola a East Harlem per incontrare i bambini in un’aula scolastica; trascorrerà del tempo con immigranti e nuovi arrivati negli Stati Uniti che sono stati aiutati dalle Charities cattoliche; e celebrerà la messa con circa 27.000 persone nel Madison Square Garden. È un programma davvero fitto!
New York è stata benedetta dalle quattro precedenti visite papali del beato Papa Paolo VI (1965), Papa san Giovanni Paolo II (1979 e 1995), e Papa Benedetto XVI (2008). Sento tantissimi racconti di persone che ricordano le proprie esperienze. «Ero con Paolo VI allo Yankee Stadium», oppure: «Ho visto passare Giovanni Paolo e mi ha salutato con la mano!», o ancora: «Papa Benedetto ha baciato il mio piccolo davanti a Saint Patrick!». So che la presenza di Papa Francesco tra noi, anche se solo per pochi giorni, avrà un impatto profondo sul popolo di Dio qui a New York. 
Ed è questa la nostra più fervente speranza: che questo pastore possa rinnovare, ispirare, sfidare e incoraggiare il cuore e l’anima dei newyorchesi!


*

L’eloquente itinerario del Papa negli Stati Uniti d’America. Per gli ultimi e per i potenti



(Joseph Kurtz, Arcivescovo di Louisville e presidente della Conferenza degli Stati Uniti d'America) Come tanti, anch’io sono colmo di gioia ed eccitazione per l’imminente visita di Francesco negli Stati Uniti. I Papi non visitano come turisti. Viaggiano per rafforzare e sostenere i fedeli cattolici e per offrire a tutti una potente testimonianza. Queste visite pastorali sono una tradizione profonda, e lui sta seguendo le orme dei Papi moderni che lo hanno preceduto in questo. Ogni incontro porta momenti emozionanti. E, cosa più importante, col tempo, quando si guarda indietro, è possibile riconoscere i frutti che inevitabilmente ne nascono.Papa Francesco viene come pastore — il nostro capo pastore — per stare tra la sua gente. Come pastore, è evidente che lo stare vicino agli altri e confortarli — in particolare coloro che stanno ai margini — gli infonde energia! Ed è contagioso. Il Papa è qui anche come un profeta e, come i profeti del passato, ci chiama a una conversione duratura e al cambiamento. Papa Francesco ci esorta continuamente a un servizio gioioso, generoso, in Cristo e per mezzo di Lui. Se vogliamo essere discepoli, dobbiamo portare i segni del nostro impegno: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Giovanni, 13, 35). Il Papa ci ricorda che il nostro amore per Dio, incontrato in profondità nella preghiera e nei sacramenti, deve spingerci a compiere gesti amorevoli gli uni verso gli altri. 
Ho visto in prima persona i grandi sforzi compiuti a Washington, New York e Philadelphia (e anche nell’ambito della nostra Conferenza episcopale) per prepararsi e per accogliere il Santo Padre. Tantissima gente sta aspettando la sua visita, e sono persone di tutte le fedi. Molti lo incontreranno, ma anche chi non potrà partecipare potrà seguire ogni evento in diretta tramite la rete (usccb.org).
L’occasione principale della visita del Papa negli Stati Uniti è la sua partecipazione all’Incontro mondiale delle famiglie. Da dicembre fino a mercoledì scorso, Papa Francesco ha dedicato le catechesi delle udienze generali proprio alla famiglia. Le sue riflessioni sono davvero straordinarie, in esse egli esprime molto bene il disegno profondo e permanente di Dio su matrimonio e famiglia, ricorda che la misericordia e la protezione amorevole di Dio vanno incontro a tutti e, che per le coppie, vivere la bellezza del matrimonio nella vita familiare è difficile, ma può trasformare il mondo che ci circonda. 
Oggi più che mai, abbiamo bisogno di rafforzare le famiglie e imparare gli uni dagli altri come intrecciare le verità della nostra fede nel tessuto della nostra vita quotidiana. Non è un compito facile. Ma a tale riguardo trovo molto incoraggianti lo straordinario programma e le catechesi sviluppati dagli organizzatori dell’incontro mondiale di Philadelphia. 
Per il suo viaggio, Papa Francesco ha scelto momenti che sottolineeranno la chiamata universale a costruire solidarietà e comunione. Nell’enciclica Laudato si’ egli ha scritto a chiare lettere che tutto è collegato e che quindi, mentre cerchiamo di proteggere la nostra casa comune di fronte alla crisi ecologica, dobbiamo anche dimostrare un’attenzione reciproca autentica su tutti gli altri fronti. Dobbiamo difendere la vita sin dai suoi primi istanti e proteggere e sostenere sempre le persone vulnerabili. 
Papa Francesco parlerà direttamente a persone molto potenti e famose nel nostro Paese e nel mondo. Ma incontrerà anche persone molto povere, che forse attraversano la vita senza essere mai notate o trattate, anche solo in modo semplice, secondo la loro dignità donata da Dio. Questa straordinaria giustapposizione non è una contraddizione. Nessuno è tanto potente da poter essere esentato dal sentire il grido dei poveri. Allo stesso modo, nessuno è tanto insignificante da poter essere scartato. Ognuno ha un ruolo intenso da svolgere nell’opera che Dio dischiude intorno a noi. Abbiamo bisogno gli uni degli altri per adempiere la nostra chiamata a essere «una sola famiglia umana» (Laudato si’, 52).
Penso che i momenti in cui il Papa visiterà il centro caritativo cattolico a Washington e l’istituto correzionale a Philadelphia avranno la stessa intensità dei suoi discorsi al Congresso e alle Nazioni Unite. La Conferenza episcopale degli Stati Uniti d’America è da molto tempo impegnata a favore dei nostri fratelli e le nostre sorelle più poveri, come anche di quanti sono colpiti da un sistema giuridico penale che ora, come ammettono in tanti, necessita di una riforma. Perciò siamo immensamente grati che il programma del Papa preveda queste soste.
La Chiesa e i fedeli negli Stati Uniti sono al servizio delle persone ai margini, sia nel nostro Paese che nel mondo. Papa Francesco, ad esempio, è molto esplicito quando parla del diritto alla libertà religiosa, dell’importanza di riconoscere ovunque alle persone di poter vivere la propria fede con le parole e con le azioni. In ciò i cattolici sono chiamati a impegnarsi pubblicamente, e l’itinerario del Papa sottolinea proprio quanto sia importante che la Chiesa parli direttamente dei bisogni del nostro mondo. Il nostro impegno è quello di dare testimonianza alla sacra dignità della persona umana, e di assicurare che i fedeli possano esprimersi secondo le loro credenze, che hanno la loro sorgente nella persona di Gesù Cristo. E poiché il Papa visiterà tre città che in tempi diversi sono state le capitali degli Stati Uniti, queste preoccupazioni avranno una vera risonanza.


*

L'Osservatore Romano
(Dionisio García Ibañez, Arcivescovo di Santiago de Cuba e presidente della Conferenza episcopale) Per la Chiesa cubana è una grazia che tre Papi siano venuti a esercitare il loro ministero a Cuba e a lasciarci il loro magistero. Francesco verrà come “missionario della misericordia” a comunicarci la verità su Dio, sull’uomo, sulla Chiesa. Tutti noi abbiamo bisogno di sperimentare la misericordia di Dio. Abbiamo molte ferite da sanare, in tutti gli ambiti della vita, personali, sociali, familiari. Molte famiglie sono divise da tante cose, altre sono separate, chi nel Paese chi fuori, e a volte a dividerle sono i diversi modi di pensare. Noi cubani abbiamo davvero bisogno di sperimentare la misericordia, il perdono, la riconciliazione per costruire una patria che si fondi sulla giustizia e sulla fraternità.