venerdì 4 settembre 2015

Taizé e i giovani. Il segreto è ascoltarli




Aprirsi ai giovani per ascoltarli e condividere con essi la gioia e la certezza della presenza di Dio nella loro vita. Semplice? Non proprio se Paolo VI, nel dicembre 1972, ricevendo in udienza privata fratel Roger, gli chiedeva: «Se lei ha la chiave per comprendere i giovani, me la dia». Quella chiave, rispose al Pontefice il fondatore di Taizé, «vorrei averla, ma non ce l’ho e non l’avrò mai». L’episodio è stato ricordato oggi da Dimitra Koukoura, docente di omiletica al dipartimento di teologia dell’università «Aristotele» di Salonicco, nel suo intervento al seminario teologico internazionale su fratel Roger in corso a Taizé.

Il messaggio da trasmettere è naturalmente la fede, ma la chiave non c’è e il metodo resta indefinito. «La risposta a Papa Paolo VI — ha spiegato la relatrice — era esatta. A Taizé non si applica un metodo specifico per far credere i giovani. Non si adottano sistemi particolari per insegnare nuove strade di accesso alla conoscenza né si tirano conclusioni di un processo intellettuale confermate dall’esperienza, dall’osservazione o dal ragionamento logico». Roger «non ha dato corsi, non ha scritto manuali di teologia sistematica, non ha avuto a che fare con argomenti logici così spesso utilizzati come mezzi di persuasione e arrogante pretesa per provare l’esistenza di Dio. Egli stesso ha seguito le regole monastiche degli eremiti dell’Oriente e la loro metodologia». Questi ultimi «hanno pregato, si sono esercitati come degli atleti, si sono ritirati da tutto ciò che avrebbe potuto distrarli dall’impegno con Dio e si sono abbandonati al silenzio per ascoltare la sua voce che risuona nella loro vita, nella grandezza della natura, nella sofferenza degli uomini. È così che, a tempo debito, essi trasmettono tutto ciò che Dio rivela loro, attraverso la parola e le opere umane. Ciò che è trasmesso, dunque, è l’esperienza spirituale acquisita dalla rivelazione e non la realizzazione della loro razionalità limitata».
Il messaggio di Taizé è «testimoniare Dio vivente che abita in ogni persona e invitare i giovani a cercarlo e ad affidargli la propria vita». Per aprire i cuori e trasmettere la fede, i fratelli non hanno che «la preghiera e la bontà, la conoscenza del mondo moderno, l’amore, il sorriso, la comprensione e la volontà di ascoltare e di conversare». Si tratta di una conversazione — conclude Koukoura — che risponde a domande e a paure, che si pone sulla stessa lunghezza d’onda delle migliaia di corde del cuore, «perché i giovani vogliono innanzitutto parlare con qualcuno che dedichi loro del tempo, in maniera esclusiva, per ascoltarli. È per questo che ascolteranno a loro volta».
Fra gli interventi di oggi, quello del reverendo Hermen Shastri, segretario generale del Council of Churches of Malaysia, che ha parlato del messaggio di Taizé nel contesto asiatico, e quello del reverendo Edwin Arrison, che ha approfondito il pensiero di fratel Roger dal punto di vista sudafricano.

L'Osservatore Romano