PADRE MARIO PEZZI
IL GIUBILEO 2025
Carissimi fratelli,
In preparazione al Giubileo dell’anno 2025, in questa catechesi all’inizio del corso,
con l’aiuto del Signore cercherò di presentare alcuni aspetti particolari del nuovo
Evento, con cui il Signore ci viene nuovamente incontro, per comunicarci il suo
Amore e la sua Misericordia.
Vi confesso che anche quest’anno, mi sono trovato in tribolazione per sintetizzare,
in poche pagine e in poco tempo, tutta la ricchezza che comporta una Catechesi sul
Giubileo 2025.
Spero nella vostra comprensione, per le lacune che troverete nel testo che ho
preparato, riducendo al minimo i riferimenti al Giubileo, presentando solamente
alcuni aspetti, come un invito a conoscere personalmente soprattutto la Bolla di
Indizione per il Giubileo dell'anno 2025 scritta da Papa Francesco.
IL GIUBILEO DELL’ANNO 2025
Penso che parecchi di voi abbiate già ascoltato la Catechesi di inizio corso
dell’anno 1999, in preparazione al grande Giubileo dell’anno 2000. Nella catechesi
di quest’anno ne farò presente alcuni degli aspetti più importanti, perché possiamo
accogliere con gratitudine questo dono che ci offre il Signore.
Bolla di Indizione del Giubileo nell’anno 2025 Spes non Confundit 2
Papa Francesco, nella Bolla di Indizione del Giubileo 2025, scrive: “«Spes non
confundit», «La speranza non delude» (Rm 5,5). Nel segno della speranza
l’apostolo Paolo infonde coraggio alla comunità cristiana di Roma”. “Per tutti,
possa essere un momento di incontro vivo e personale con il Signore Gesù, «Porta»
di salvezza (cfr. Gv 10,7.9); con Lui, che la Chiesa ha la missione di annunciare
sempre, ovunque e a tutti quale «nostra speranza» (1Tm 1,1)” (1). «Giustificati
dunque per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù
2Papa Francesco, Spes non Confundit, Dato a Roma, presso San Giovanni in Laterano, 9 maggio 2024
Cristo. Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia
nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio. [...]
La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori
per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,1-2.5). (2)
INTRODUZIONE
Data l’ampiezza dell’esposizione sul Giubileo ho pensato di suddividere questa
catechesi in due parti.
In una prima parte cercherò di esporre alcuni aspetti più significativi sul
Giubileo rivelati da Dio al popolo di Israele, per bocca di Mosè, tramandati nel
libro del Levitico. Ringrazio in modo particolare don Francesco Voltaggio per la
sua assistenza e collaborazione nella stesura di questa prima parte, e anche Don
Ezechiele Pasotti per le sue osservazioni e formattazione del testo.
In una seconda parte: presenterò come la Chiesa ha recepito e trasmesso il
Giubileo dal popolo di Israele per tutta la Chiesa, cercando di illustrare alcune delle
parole chiavi: termini come le indulgenze, il pellegrinaggio, la Porta: che nella
nostra nuova epoca possono evocare tempi ormai sorpassati o medioevali.
Il Giubileo del Popolo di Israele
Per presentare e prepararci al Giubileo del prossimo anno 2025, il Signore
quest’anno mi ha ispirato di ricorrere al Libro del Levitico, dove dopo la
Rivelazione del Sinai nel Libro dell’Esodo, si descrivono le norme del Culto che
Dio ha dato al popolo di Israele, per bocca di Mosè.
Ho cercato di partire da quanto indicato dal Signore al popolo di Israele per
mostrare l’intima connessione a quel popolo scelto da Dio, con i Giubilei celebrati
durante i secoli nella Chiesa Cattolica.
Ho voluto sottolineare questo stretto collegamento tra l'Antico e il Nuovo
Testamento, ispirandomi a due testi che ne confermano l’intima connessione anche
con la celebrazione del prossimo Giubileo 2025:
Il libro dell’Apocalisse al capitolo 21 così descrive la Gerusalemme celeste.
L’angelo mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da
Dio, risplendente della gloria di Dio. La città è cinta da un grande e alto muro
con dodici porte: sulle quali sono scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli
d’Israele. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali
sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello (Ap 21,10-14).
Ho voluto presentare quest’immagine, per sottolineare che, per far parte della
Gerusalemme celeste, bisogna entrare dalle dodici porte: sulle quali sono scritti, i
nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele, ma che è fondata sui dodici Apostoli
dell’Agnello.
Così come esplicita San Paolo nella lettera agli Efesini:
Fratelli, voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e
familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti,
avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù. In lui tutta la costruzione
cresce ben ordinata per essere Tempio Santo nel Signore; in lui anche voi
venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello
Spirito (Ef 2,19-22).
DAL LIBRO DEL LEVITICO
Prima di entrare nel libro del Levitico, richiamo alcuni testi dal libro dell'Esodo e
dal libro dei Numeri, come introduzione.
La rivelazione di Dio sul monte Sion: il Decalogo.
Dopo la manifestazione sul Monte Sinai, Dio consegna a Mosè, le due Tavole
incise con i Dieci Comandamenti, il Decalogo, o le 10 Parole, come ci ripeteva
Carmen, perché più che comandi, in realtà, sono delle norme, quasi come
indicazioni stradali, per percorrere il cammino della Vita. Perché Dio è Dio della
vita, e non dei morti. Infatti, nel libro del Deuteronomio il Signore afferma:
«Io ti ho posto davanti la vita e la morte, scegli dunque la vita, perché viva
tu e la tua discendenza, amando il Signore tuo Dio, obbedendo alla sua voce
e tenendoti unito a lui, poiché è lui la tua vita e la tua longevità, per poter così
abitare sulla terra che il Signore ha giurato di dare ai tuoi padri, Abramo,
Isacco e Giacobbe» (Dt. 30, 19-20)
Conclusione dell’Alleanza
In seguito, “Mosè scrisse tutte le parole del Signore, poi si alzò di buon mattino
e costruì un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù d’Israele.
Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi
come sacrifici di comunione, per il Signore.
Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l’altra metà
sull’altare. Quindi prese il libro dell’Alleanza e lo lesse alla presenza del popolo.
Dissero: «Quanto il Signore ha ordinato, noi lo faremo e lo eseguiremo!».
Allora Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: «Ecco il sangue
dell’alleanza, che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste
parole!» (Es 24, 4-8)
E dopo aver consegnato le tavole dell’Alleanza, il Signore sancisce il patto
dell’Alleanza con il popolo. Proclamando per bocca di Mosè al popolo: “se vorrete
ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me la proprietà
tra tutti i popoli, perché mia è tutta la terra. Voi sarete per me un Regno di Sacerdoti,
una nazione santa” “Tutto il popolo rispose insieme e disse: quanto il Signore ha
detto noi lo faremo” (Es. 19,5-8).
In seguito, volendo che la sua GLORIA abitasse in un Tabernacolo tra il popolo,
“Il Signore disse a Mosè: ordina agli israeliti... essi mi faranno un santuario e io
abiterò in mezzo a loro eseguirete ogni cosa secondo quanto ti mostrerò secondo il
modello della dimora e il modello di tutti i suoi arredi” (Es 25,1.8-9), dando precisi
ordini sui materiali e le modalità della sua costruzione, sulla quale il Signore farà
riposare la sua Gloria, la sua Presenza, per guidare il popolo, di notte sotto forma
di una colonna di fuoco e di giorno sotto forma di una colonna di nube
La santità di Dio in un popolo di peccatori
Per comprendere come la santità di Dio possa essere presente in mezzo a un
popolo peccatore è necessario comprendere il significato della parola “Santo”.
Nel libro del Deuteronomio il Signore proclama: «Ascolta Israele, Il Signore è il
nostro Dio, il Signore è uno solo, tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore,
con tutta l’anima e con tutte le forze» (Dt 6, 4-9)
Nella Sacra Scrittura, il termine “Santo” significa “essere separato” o “Unico”.
Dio, come Creatore di tutte le cose e Autore della vita, è separato da ogni altra
cosa. Ma essendo Dio Santo, lo deve essere anche lo spazio intorno a lui, per
manifestare la sua Bontà, la Vita, la Purezza e la Giustizia.
«Stabilirò la mia dimora in mezzo a voi e non vi respingerò. Camminerò in
mezzo a voi, sarò vostro Dio e voi sarete il mio popolo» (Lv 26,11-12).
Ma Dio sa di abitare in mezzo a un popolo peccatore infedele e non si
scandalizza dei loro peccati. Sa che sono peccatori e che lo tradiranno, ma non
tollera che vadano alla Tenda della sua presenza in stato di impurità rituale,
oggi lo chiameremmo in stato di peccato.
La purezza rituale (Lv 11–16)
Per questo, nella sua misericordia, per bocca di Mosè, Dio detta al popolo alcune
norme da osservare per presentarsi alla sua presenza, dopo aver offerto alcuni
sacrifici per il perdono dei peccati e così essere purificati.
Un israelita poteva diventare impuro in diversi modi: entrando in contatto con
malattie della pelle, oppure toccando muffe o cadaveri, ovvero con tutto quanto era
associato alla mortalità e alla perdita della vita. Perché la morte è l’opposto della
santità di Dio, in quanto l’essenza di Dio è la Vita.
Altra causa di impurità, era il consumo alimentare di certi animali, non attenersi alle
leggi del cibo kosher o norme igieniche. Queste e altre norme erano per ricordare a
Israele che la santità di Dio doveva interessare tutte le aree della loro vita. Gli
israeliti sono chiamati a vivere in modo diverso dai cananei, a prendersi cura dei
poveri anziché ignorarli, ad avere un alto livello di integrità sessuale e promuovere
la giustizia in tutta la loro terra.
I Sacerdoti: mediatori tra Dio e il popolo di Israele
In vista della purificazione, Dio ordina a Mosè di consacrare Aronne e i suoi figli,
come Sacerdoti, mediatori tra Dio e il popolo.
“Il Signore parlò a Mosè: procurati balsami pregiati, ne farai l'olio per
l'unzione sacra...Ungerai anche Aronne e i suoi figli e li consacrerai
perché esercitino il mio sacerdozio. Agli israeliti dirai: questo sarà per
voi l'olio dell'unzione sacra per le vostre generazioni (Es.30, 1. 30-31)”
Il libro del Levitico stabilisce pertanto i requisiti per essere consacrati Sacerdoti:
essi devono avere un alto livello di santità morale e rituale, in quanto
rappresentanti del popolo davanti a Dio e viceversa.
Il Signore ordina a Mosè di consacrare con l’olio sacro, Aronne, e i suoi figli
come sacerdoti, facendo presente l'importanza di vivere santamente alla presenza
di Dio: «In coloro che mi stanno vicino, mi mostrerò Santo e alla presenza di
tutto il popolo sarò glorificato» (Lv 10,3).
Per avere un’idea dell’importanza della santità dei Sacerdoti, il Levitico ci presenta
un fatto terribile: subito dopo la consacrazione della famiglia di Aronne, due dei
suoi figli, Nadab e Abiu, piombano in modo irruento nella Tenda alla presenza di
Dio, infrangendo palesemente le norme del Signore. Per tale ragione, vengono
divorati dal fuoco (cf. Lv 10,1-2). Questo fatto ci fa presente l’importanza di
vivere alla presenza di un Dio Santo. Egli è Bontà pura, ma diventa pericoloso
per coloro i quali si ribellano e insultano la sua Santità.
Per questo è fondamentale che i sacerdoti d’Israele diventino santi e con loro
anche il popolo d’Israele.
Il Levitico presenta vari modi in cui Dio aiuta Israele, popolo peccatore, a vivere
alla sua santa Presenza.
Prima di proseguire desidero leggervi un testo dalla Omelia del Papa emerito
Benedetto XVI, sulla interpretazione dell'osservanza delle Leggi e le Norme nell’
Antico Testamento, parlando di San Giuseppe “che era giusto” (Mt.1, 19).3
"San Giuseppe è un giusto, esemplare ancora dell’Antico
Testamento. Ma qui vi è un pericolo e insieme una promessa, una porta
aperta". "Il pericolo è che, se la Parola di Dio è sostanzialmente
Legge, l’uomo rimane in sé stesso, cerca di perfezionarsi, di essere un
perfetto. La promessa invece è: possiamo anche vedere queste
prescrizioni, come espressione della volontà di Dio, nella quale Dio
parla con me, io parlo con Lui. Entrando in questa legge entro in
dialogo con Dio, imparo il volto di Dio, comincio a vedere Dio e così
sono in cammino verso la parola di Dio in persona, verso Cristo. E
un vero giusto, come san Giuseppe è così: per lui la legge non è
semplice osservanza di norme, ma si presenta come una parola di
amore, un invito al dialogo, e la vita secondo la parola è entrare in
questo dialogo e trovare dietro le norme e nelle norme l’amore di Dio,
capire che tutte queste norme non valgono per sé stesse, ma sono regole
dell’amore, servono perché l’amore cresca in me. Così si capisce che
finalmente tutta la legge è solo amore di Dio e del prossimo”.
Alla luce di questa riflessione, possiamo comprendere come i grandi profeti
suscitati da Dio al tempo dell'Esilio di Babilonia, ricevono la missione di Dio
di smascherare una osservanza rituale, esteriore ipocrita, mentre si
sfruttava il debole e il povero, e profetizzano un nuovo Mosè che avrebbe
posto il suo spirito e scritte le sue leggi nei nostri cuori. E’ il pericolo della
ipocrisia, in cui tutti possiamo cadere, esteriormente sembriamo buoni e giusti,
ma dal nostro cuore nascono le passioni, contro cui dobbiamo costantemente
combattere.
3 Angela Ambrogetti, Da una omelia del Papa emerito Benedetto XVI, nella cappella del Monastero Mater
Ecclesiae, 27 dicembre 2013. Registrato e trascritto dalle Memores Domini che l’assistevano e pubblicato da
un giornale tedesco con l'approvazione della Fondazione Vaticana Ratzinger (ACI Stampa).
I sacrifici rituali (Lv 1–7)
Per poter accedere alla presenza di Dio nella Tenda, è necessario anzitutto offrire
diversi sacrifici, sia per alimentare la comunione del Popolo con Dio, sia in
riparazione dei propri peccati individuali e comunitari, in modo da ottenere la
purezza rituale per presentarsi al suo cospetto.
Simbologia del sangue
Prima di parlare dei sacrifici è necessario parlare della simbologia del sangue.
Nella lettera agli Ebrei San Paolo scrive che secondo la legge quasi tutte le cose
vengono purificate con il sangue e senza spargimento di sangue non esiste perdono
(Eb. 9, 22).4
Il sangue era per gli ebrei, ma anche per tutti gli orientali antichi, la sede della vita.
Nel libro della Genesi, è scritto: «Soltanto non mangerete la carne con la sua
vita, cioè con il suo sangue» (Gen 9,4) Versare sangue umano era punito con la
morte, perché l’uomo è fatto ad immagine di Dio e la sua vita, che è nel sangue,
è per conseguenza sacra. Si aveva il diritto di uccidere gli animali e di mangiarli
a condizione di non consumare il loro sangue, perché la vita appartiene a Dio.
Il sangue degli animali durante i sacrifici veniva trattato secondo le prescrizioni
rituali (Lv 3,8).
Per comprendere l’importanza del sacrificio mediante lo spargimento del
sangue, è necessario ricorrere al sacrificio di Isacco, il figlio della promessa.
Nel libro della Genesi è scritto: Abramo stese la mano e prese il coltello per
immolare suo figlio. Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse:
«Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». L’angelo disse: «Non stendere la mano
contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai
rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio». Allora Abramo alzò gli occhi e vide un
ariete impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l'ariete e
lo offrì in olocausto invece del figlio. Abramo chiamò quel luogo: «Il Signore
provvede», perciò oggi si dice: «Sul monte il Signore provvede» (Gen 22,11-14)
Nel sacrificio di Isacco, Dio ha provvisto un ariete da sacrificare al suo posto.
In prefigurazione del sacrificio di Gesù Cristo che ha accettato di essere
sacrificato al nostro posto. Questo aspetto di “Sostituzione Vicaria” sarà
4 V. Nota Bibbia Ger. 9,22, “Così l'altare, i sacerdoti, il leviti, il popolo peccatore, la madre dopo il parto.”
fondamentale per comprendere il cuore del Giubileo che celebreremo nell’anno
2025.
Un Salmo dice «per quanto un uomo faccia non potrà mai sfuggire dal sepolcro».
(cf. Sal 49,9-10). Il Signore non avrebbe mai accettato che un uomo offrisse il suo
stesso sangue in riparazione dei suoi peccati uccidendosi, per questo nella sua
misericordia ha offerto il suo stesso Figlio fatto uomo perché, essendo Figlio di
Dio, distruggesse il potere della morte offrendo il suo stesso corpo per la nostra
salvezza. Gesù Cristo è morto al nostro posto e risorgendo ha perdonato tutti i nostri
peccati e ci ha dato lo Spirito Santo per diventare figli di Dio.
Questa sostituzione vicaria, come vedremo, comporta anche da parte nostra la
necessità della riparazione del danno mortale causato dai nostri peccati.
A causa di questa necessità, il Signore per mezzo di Mosè aveva stabilito diversi
sacrifici per ottenere la purezza rituale prima di entrare alla sua Presenza, nella
Tenda.
Alcuni sacrifici erano stati stabiliti per ringraziare Dio, restituendogli, in beni
naturali simbolici, ciò che Dio stesso gli aveva donato in precedenza, altri
sacrifici offrendo il sangue di animali, a seconda della gravità del peccato da
riparare.
Il grande Giorno dell’Espiazione: Yom Kippur
Oltre ai sacrifici per i peccati individuali, il Signore ha ordinato una volta
all’anno che i peccati del popolo venissero perdonati pubblicamente
attraverso la celebrazione dello Yom Kippur.
E così una volta all’anno il Sommo Sacerdote prendeva due capri: uno di questi
fungeva da offerta di purificazione ed espiazione per i peccati del popolo, mentre
l’altro veniva chiamato “capro espiatorio”: il Sommo Sacerdote confessava i
peccati d’Israele e li collocava simbolicamente su questo capro, che era cacciato e
fatto morire nel deserto. Ancora una volta, si tratta di un’immagine molto
evocativa del desiderio di Dio di rimuovere il peccato e le sue conseguenze dal
suo popolo, affinché possa vivere in pace con Lui.
Le feste, la santificazione del tempo
Nella sua Sapienza, il Signore non solamente si è rivelato con prodigi, ma si è anche
preoccupato di dare norme specifiche affinché il popolo d’Israele potesse fare
presente ciclicamente gli eventi di salvezza mediante la Celebrazione di feste e
solennità annuali, come Memoriali dei suoi interventi e della sua Presenza in
mezzo al popolo: le 7 feste annuali di Israele (Lv 26-27), e cioè la Pasqua, i pani
azzimi, le primizie, le settimane/Pentecoste, la festa delle Trombe, il primo
giorno del settimo mese (Lv 23-24), il giorno dell’Espiazione YOM KIPPUR, la
festa dei Tabernacoli.
Ognuna di esse racconta un aspetto differente della storia di come Dio li avesse
liberati dalla schiavitù in Egitto e guidati attraverso il deserto fino alla terra
promessa: celebrando regolarmente queste festività gli israeliti avrebbero
ricordato la loro vera identità e chi fosse Dio per loro.
Il Calendario Liturgico fa così rivivere ogni anno la Presenza salvatrice di Dio,
fino al momento della pienezza dei tempi, quando Dio invierà il suo Figlio fatto
uomo, nato da donna sotto la legge (cf. Gal 4, 4-5).
La Rivelazione, mediante tali feste e solennità, evidenzia l’importanza della
santificazione del tempo. Il Giubileo ha una stretta relazione con lo shabbàt, con
varie feste ebraiche e soprattutto con tale santificazione del tempo.
Il Giubileo
«Conterai sette settimane di anni, cioè sette volte sette anni; queste sette
settimane di anni faranno un periodo di quarantanove anni. Al decimo giorno
del settimo mese, farai echeggiare il suono del corno; nel giorno
dell'espiazione farete echeggiare il corno per tutta la terra» (Lv 25, 8-9)
Il Giubileo deriva dalla parola ebraica yovèl, che significa “corno di ariete”. Tale
corno d’ariete, che è chiamato shofàr, risuonava durante il giubileo e
specialmente nei giorni intorno allo Yom Kippùr, annunciava l’inizio dell’anno
giubilare, nel Giorno dell’Espiazione, il decimo giorno del settimo mese. Esso
richiama la voce di Dio sul Sinai, che è chiamata «voce di shofàr» (Es 19,19). Lo
shofàr è pertanto la voce dell’alleanza. Il suono dello shofàr rappresenta anche
la voce della misericordia di Dio, in primo luogo perché si suonava nel Giubileo,
nel cinquantesimo anno, l’anno di misericordia, nel quale erano condonati i
debiti e rimessi in libertà gli schiavi; in secondo luogo, perché ricorda il
sacrificio di Isacco. In sua sostituzione, Dio provvide un ariete (cf. Gen 22,13).
Questo corno d’ariete, quindi, è un memoriale della misericordia di Dio, e del
fatto che egli non ha voluto la nostra morte, ma ha provveduto per noi e al
nostro posto una vittima di salvezza: in tale ariete è prefigurato il Messia,
Cristo.
L’evento del Giubileo è descritto nel capitolo 25 del Levitico, ove viene delineato
come un periodo speciale di riposo e libertà che si celebra ogni cinquantesimo
anno.
Il Giubileo è anzitutto un anno di riposo. Nel corso dell’anno giubilare, la terra
deve essere lasciata a riposo, Ciò significa che il popolo non è padrone della
terra né del suo lavoro: unico Signore è Adonai e l’uomo deve vivere nella
verità che egli non è signore della propria vita, né della sua terra, né del lavoro
delle sue mani. È quindi un anno di fiducia nella grazia e nella Provvidenza
divina.
Il Giubileo è anche un anno di remissione dei debiti e delle proprietà. Uno dei
suoi aspetti più importanti è proprio il ripristino delle proprietà alla famiglia che
originariamente era sua proprietaria. Ciò significava che le terre vendute per
necessità dovevano essere restituite ai loro proprietari originari. Questo
meccanismo garantiva che la disuguaglianza economica non diventasse
permanente.
Il Giubileo ordina anche la liberazione degli schiavi: gli schiavi tra gli israeliti
dovevano essere liberati durante l’anno giubilare. Questo rifletteva l’importanza
della libertà personale e la dignità umana nella società ebraica.
Il Giubileo è un invito alla libertà
Il Giubileo invita quindi alla libertà, in particolare alla liberazione da ogni forma
di schiavitù o oppressione. Non si trattava di una liberazione meramente sociale ed
economica (come oggi la teologia della liberazione), ma soprattutto di una
liberazione spirituale e morale, connessa all’idea di un nuovo inizio per tutti.
Il Giubileo serviva anche come un tempo per fare memoriale e ricordare al
popolo d’Israele la sua dipendenza da Dio e la sua storia di redenzione,
specialmente dalla schiavitù in Egitto. Era un invito a riconciliarsi con Dio e
con i fratelli, rinnovando il patto dell’alleanza.
Gesù Cristo, il “Giubileo” definitivo
Nel Vangelo secondo Matteo, Gesù dopo la proclamazione delle Beatitudini
afferma: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la legge o i profeti non sono
venuto per abolire ma per dare compimento» (Mt 5, 17)
E San Paolo, nella lettera agli Ebrei, esplicita il compimento in Gesù Cristo, di
quanto prefigurato nell'Antico Testamento.
«Avendo infatti la Legge solo un'ombra dei beni futuri e non la realtà stessa
delle cose, non ha il potere di condurre alla perfezione. Per questo,
entrando nel mondo, Cristo dice:
“Tu non hai voluto né sacrificio né offerta,
un corpo invece mi hai preparato.
Non hai gradito
né olocausti né sacrifici per il peccato.
Allora ho detto: Ecco, io vengo
- poiché di me sta scritto nel rotolo del libro -
per fare, o Dio, la tua volontà”.
non abolisce ma da compimento, non elimina, non sostituisce, ma porta a
pienezza, perfeziona (porta a termine) il vero “sacrificio”, la vera salvezza
Con ciò stesso egli abolisce il primo sacrificio per stabilirne uno nuovo.
«Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo
dell'offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre. Poiché
con un’unica oblazione egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono
santificati» (Eb 10,1-8).
Con la sua obbedienza al Padre, ha sconfitto, nella sua carne, il pungiglione della
morte, la disobbedienza di Adamo:
«Pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua
uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo
e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio
l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché
nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e
ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre» (Fil
2,6-11).
Nella Sinagoga di Nazareth
Nella Sinagoga di Nazareth, dopo il Battesimo nelle acque del Giordano,
confermato dalla voce del Padre come “figlio prediletto” e dalla Presenza dello
Spirito Santo, sotto forma di Colomba, Gesù proclama la profezia di Isaia:
Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’Unzione,
e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio,
per proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
per rimettere in libertà gli oppressi,
e predicare un anno di grazia del Signore (Lc 4,18-19).
Conclude affermando:
Oggi si è adempiuta questa Scrittura
che voi avete udita con i vostri orecchi (Lc 4,21).
Il Giubileo5
celebra la «pienezza dei tempi» manifestatasi in Cristo, «Alfa e
Omega» (Ap 1,8; 21,6; 22,13), Signore del tempo e della storia. Ciò spiega
perché per Origene, ad esempio afferma che «il Giubileo appare come il più
insondabile di tutti i “sacramenti” della Scrittura»
6
.
In senso profetico, il Giubileo anticipa la venuta di un tempo di salvezza
universale. Nel Nuovo Testamento, Gesù stesso annuncia l’«anno di grazia del
Signore» (Lc 4,18-19), richiamando l’immagine del Giubileo e indicando che la
sua missione è il compimento ultimo di quella liberazione e restaurazione
promessa.
Gesù Cristo è il primogenito della nuova creazione e dell’umanità rinnovata, il
Nuovo Adamo. Egli inaugura l’anno dell’eterno Giubileo. Dopo aver
proclamato a Nazaret «l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,19), apparso in Galilea,
annuncia l’avvento del Regno dei Cieli e la possibilità di entrare nella teshuvà:
«Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 4,17). Egli è l’autobasilèia,
5 La parola Giubileo deriva dall’ebraico “Yobel” che nel linguaggio scritturistico indica
inizialmente l’ariete e poi il corno dell’ariete con il cui suono si annunciava l’anno Giubilare
nel giorno dell’espiazione.
6 Così J. Daniélou, Messaggio evangelico e cultura ellenistica, Bologna 1975, p. 562.
“il regno di Dio in persona”, come afferma Origene. Con Gesù ha inizio la
«pienezza dei tempi» (Gal 4,4; Ef 1,10; Eb 9,26), il Giubileo eterno definitivo.
Con il suo ministero apostolico, Gesù Cristo, che si conclude con la sua Passione,
Morte, Resurrezione, e con la sua Ascensione al Cielo, partecipando alla Gloria di
Dio nel Suo corpo glorioso, mediante l’Effusione dello Spirito Santo, nella Festa
della Pentecoste, perpetuerà annualmente nella Chiesa, la Celebrazione dei
Misteri della Redenzione. Il Signore non solo è intervenuto nella storia mediante
i suoi interventi, ma ha dato a questi eventi un valore che va al di là dei nostri
limiti di tempo e di spazio, per cui nelle Celebrazioni e nelle Festività, nella
celebrazione della Parola di Dio, come in tutti i Sacramenti e, per la Potenza che
ha conferito ai Dodici Apostoli, in comunione con Pietro, Egli continua la sua
opera di salvezza in ogni generazione.
È in questa luce che nel prossimo Giubileo, il Signore stesso viene al nostro
incontro, per salvarci da questa generazione che lo ha abbandonato
pubblicamente. Mediante il suo amore e la sua misericordia viene a cercarci, per
riprendere questa generazione sulle sue spalle come la pecora perduta e come ha
accolto il figlio prodigo il Padre che non smise mai di amarlo.
Nel Nuovo Testamento, dopo la professione di Simon Pietro: «Tu sei il Cristo,
il Figlio del Dio vivente», Gesù gli disse:
«Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo
hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei
Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli
inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei
cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò
che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli".
E l'evangelista San Giovanni afferma, che Gesù risorto, apparendo ai suoi discepoli
disse: “Pace a voi. Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi”. dopo aver
detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i
peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”.
Attraverso una rapida visione storica, vediamo ora, come dal tempo degli Atti degli
Apostoli, il Perdono dei peccati, si è trasmesso attraverso il Sacramento della
riconciliazione con Dio, nelle diverse epoche della Chiesa, fino alla prassi dei nostri
giorni.
Il Sacramento della Penitenza alla fine del VI sec.7
Nell’Antico Testamento, chiunque avesse peccato contro Dio, con l’apostasia,
o contro la vita, uccidendo una persona, o avesse commesso adulterio, era
condannato a morte. Per questo Dio nel suo amore aveva disposto alcuni i riti
di purificazione, per peccati meno gravi, affinché ottenuta la purezza rituale
richiesta, i sacerdoti e il popolo potessero entrare nella Sacra Tenda alla sua
Presenza.
Nel Nuovo Testamento gli Apostoli trasmettono ai loro successori il potere di
perdonare i peccati.
Dalle prime catechesi, Kiko e Carmen parlando del Sacramento della Penitenza, ci
hanno esposto la severità e complessità della Penitenza durante i primi secoli.
«Nella riconciliazione penitenziale, ammessa una sola volta in vita, si
richiedeva una disposizione penitenziale che manifestasse il profondo
desiderio di ritornare alla relazione con Dio e con la comunità e un
cambio di vita già manifesta nelle opere.
Di fronte alla gravità della mancanza dell’apostasia (uno dei tre peccati gravi
che comportavano la scomunica, assieme all’omicidio e all’adulterio) e il
conseguente danno recato alla propria vita divina ricevuta nel Battesimo, e
alla comunità, e l’offesa resa alla santità di Dio, si vede la necessità di
espiare adeguatamente il danno causato
Una volta constatato l’atteggiamento di conversione si può accedere a ricevere
la penitenza, per mezzo della quale, allo stesso tempo si cerca di proteggere
il battezzato nella sua debolezza, di fronte alla possibilità di ritornare a
cadere, senza più possibilità di essere sottomesso alla pratica della penitenza
data la sua unicità, si stabilisce che sia sottomesso alla pratica della
penitenza per il resto della sua vita e che alla fine di essa gli sia data la
riconciliazione piena con la Chiesa».
Con la scomunica (sospensione dalla Comunità) si cercava di impedire un
rilassamento nella fede in un tempo di instabilità sociale e religiosa frutto
delle costanti persecuzioni da parte dell’Impero, di fronte alla possibilità di
cadere nell’apostasia o nell’eresia.
Con il passare del tempo, questa rigidità si attenua imponendo la scomunica dalla
comunità, per un tempo di alcuni anni, secondo la gravità del peccato commesso.
7
) Questa parte è tratta dalla tesi dottorale: La formazione del Sacramento della Penitenza,
un ritorno alla prassi battesimale della Tradizione antica (Sec III-VII), di Don Rino Rossi,
Pontificia Università Gregoriana, 1997.
LA CONFIGURAZIONE RITUALE DELLA PENITENZA
Alla fine delle persecuzioni, all'inizio dell'epoca di Costantino, e l'entrata delle
masse nella chiesa il catecumenato a poco a poco sparisce, e con il passare degli
anni si va configurando un rituale della Penitenza pubblica, che giunge alla sua
massima strutturazione al tempo del Sacramentario Gelasiano8
. Ecco i tre momenti
fondamentali dalla penitenza pubblica:
A) AMMISSIONE ALLA PENITENZA PUBBLICA (AMMISSIONE ALL’ORDO
PAENITENTIUM)
La domanda di essere ammesso alla penitenza pubblica era fatta generalmente in
presenza del Vescovo, testa della comunità ecclesiale.
L’ammissione alla penitenza pubblica e la imposizione degli atti penitenziali a essa
inerenti erano realizzati il Mercoledì delle Ceneri, tempo in cui la comunità
cristiana apriva il periodo penitenziale della Quaresima ed entrava in un forte
periodo penitenziale; liturgicamente si preparava alla celebrazione del mistero
pasquale, fonte del perdono dei peccati.
Questa ammissione era concretizzata ritualmente con una orazione sui penitenti in
segno di accoglienza e di accompagnamento da parte della comunità durante il
processo penitenziale, chiedendo a Dio il suo aiuto e il perdono dei peccati.
B) Sviluppo del tempo di penitenza
I penitenti erano ubicati in un luogo riservato per loro nella assemblea liturgica.
Partecipavano ad alcune azioni liturgiche anche se non potevano partecipare
all’Eucarestia. Il cammino penitenziale era percorso in forma analoga, sia dai
catecumeni che dai penitenti, questo si rifletteva in alcune orazioni eucologiche che
fanno riferimento sia al battesimo che alla riconciliazione.
c) Riconciliazione dei penitenti
La conclusione del processo penitenziale era realizzata all’interno di una
celebrazione eucaristica il Giovedì Santo al mattino. In essa il diacono chiamava
8
Il “Sacramentarium Gelasianum”, che raccoglie la tradizione della Chiesa di Roma, e si
caratterizza per sobrietà e precisione dottrinale, è stato compilato probabilmente agli inizi
del sec. VII).
il penitente che, uscito dal suo posto (Ordo Paenitentium), si prostrava per terra
davanti al vescovo in segno di indegnità e di supplica di misericordia.
In seguito, il Diacono sollecitava dal Vescovo la riconciliazione per il penitente. Il
Vescovo dopo aver esaminato e ricordato al penitente la gravità del peccato,
procedeva a riconciliarlo usando alcune formule deprecatorie in cui si chiedeva a
Dio il perdono dei peccati seguite dalla imposizione delle mani da parte del
Vescovo.
Dopo questo rito di riconciliazione si procedeva a reintegrarlo pienamente alla
comunità, ciò che si esprimeva nella partecipazione al mistero eucaristico che
concludeva la celebrazione
Venuto meno il Catecumenato appare un modo nuovo di celebrare la
Penitenza9
Nel 589 i Padri della Chiesa di Spagna, riuniti a Toledo per un sinodo, avvertono
la necessità di porre la loro attenzione su una pratica nuova 10 che andava
diffondendosi:
La nuova pratica si attuava così: un fedele, consapevole d’aver commesso un
peccato d’una certa gravità (col tempo si cominciarono a confessare anche
peccati non gravi), andava da un prete e gli confessava il proprio peccato,
dichiarandosi disposto a espiare la propria colpa con un’adeguata «pena», che
poteva consistere in una somma di soldi, o un'adeguata «azione penitenziale».
Il prete gli assegnava, allora, la «penitenza» (detta tariffa, donde la qualifica di
«penitenza tariffata» data a questa prassi celebrativa), quale era indicata nel
Penitenziale (manuale a uso dei confessori che conteneva l’elenco dei peccati e
delle pene/tariffe corrispondenti). Eseguita l'opera penitenziale il fedele
veniva riconciliato.
11
9 Si riprende dal libro “Indulgenza, storia e significato”, di A. Catella e A. Grillo, da pag.16
in poi.
10 A causa dei primi monaci itineranti Celtici.
11 La penitenza tariffata o a tariffa, in uso già dal sec. VI e che provoca un certo disagio
a un orecchio moderno, non era una tassa da pagare al sacerdote per ottenere il perdono, ma
l'entità della pena da scontare (satisfactio) per essere riammesso nella comunione
ecclesiale. La commutazione, o equivalenza, era la possibilità di "comporre", cioè
cambiare lunghi periodi di penitenza (a volte eccedenti la durata stessa della vita) con
Appare così un nuovo modo di celebrare il Sacramento della Penitenza;
confessione, imposizione della penitenza, esecuzione della medesima,
riconciliazione: tutto avviene al termine di un periodo penitenziale,
privatamente e ripetutamente.
Il gesto celebrativo coinvolge il singolo fedele e il sacerdote. È importante però
rilevare che questo processo di purificazione – seppure in modalità differenti da
quelle assai esplicite in vigore nella Chiesa antica – è pensato sempre come
qualcosa che si svolge in un quadro ecclesiale, sorretto dalla preghiera della
Chiesa, intesa a chiedere il dono della conversione, a sostenere il cammino di
penitenza, come «aiuto allo sforzo soggettivo di penitenza del peccatore».12
Sviluppo ecclesiastico dal decimo secolo in poi:
Nel secolo X, la diffusione dei monasteri benedettini, in Europa, dal
Monastero di Cluny, favoriscono il nascere dei nuovi villaggi attorno ai
monasteri, che formeranno il primo germe nello sviluppo ecclesiastico delle
parrocchie, e della formazione culturale e religiosa, fondamento della civiltà
occidentale.
Ma in poco tempo questa riforma favorisce anche la corruzione a causa dei
commerci navali, nelle esportazioni di vari beni in altri paesi. Come reazione il
Signore, suscita San Francesco d'Assisi e l'ordine francescano che predica un
ritorno alla povertà, e alla vita cristiana secondo il Vangelo. Lo stesso secolo
Dio suscita San Domenico di Guzman, che, attraverso l'ordine dei
Domenicani, diventa un punto di riferimento per la crescita religiosa e
culturale, come anche nella lotta contro le eresie che si diffondono
Arriviamo così all'anno 1299, in cui soprattutto i cittadini di Roma vivevano in
un clima di timore per l'entrata nel nuovo secolo, con la diffusione gli oracoli
celebrazioni di messe, con atti più intensi ma meno gravosi e infine anche con contributi
pecuniari. (Nuova Edizione dell’Enchiridion Indulgentiarum, 17 Settembre 1999).
Questa prassi, che a prima vista può sembrare strana, è ancora attuale ai nostri giorni
nell’ambito dei processi penali. A determinati reati, infatti, corrispondono determinate
pene stabilite nel Codice penale. Non è raro il caso di sentire ancora oggi condanne di 200
o 300 o più anni di carcere. Come è anche usuale al giorno di oggi ottenere un
alleggerimento di determinate pene, pagando risarcimenti in soldi.
12 Da notare come dopo il Concilio Vaticano II, si è cercato di recuperare nella II Forma del Rito della
Penitenza, “Rito per la riconciliazione di più penitenti con la confessione e la soluzione
individuale”.
di grandi calamità. E in questo contesto che nasce il primo Giubileo nella
chiesa cattolica
L’Indulgenza legata agli Anni Giubilari
«L’origine dell’indulgenza non è dovuta a un fenomeno spontaneo, ma è
stato preparato e partorito all’interno di quella prassi penitenziale che la
Chiesa ha sempre conosciuto»13
«Storicamente il Giubileo nasce all’ombra della “grande indulgenza” che il
popolo di Roma chiese al Papa. Secondo i commentatori dell’epoca,
l’occasione immediata del Giubileo si concretizzò nel dicembre 1299 quando
tra il popolo iniziò a formarsi la convinzione che nell’anno centenario –
l’anno 1300 - i pellegrini alla basilica di San Pietro avrebbero ottenuto una
“pienissima remissione dei peccati”, vale a dire “l’indulgenza”. La notizia
arrivò a Papa Bonifacio VIII che il 22 febbraio 13000 promulgò il la bolla
“Antiquorum habet fide relatio” in cui concedeva “in virtù della pienezza
della potestà apostolica un’indulgenza di tutti i peccati, non solo piena e
più abbondante, ma pienissima”». (Fisichella, p.115)
Papa Clemente VI, nella Bolla “Unigenitus Dei” di indizione dell’Anno Santo del
1345, espliciterà la dottrina della indulgenza plenaria legata alla celebrazione
dell’Anno Giubilare: il tesoro inesauribile
«Avendoci Cristo riscattati a prezzo non di cose corruttibili come l’oro e
l’argento, ma con il suo sangue prezioso, ne è derivato alla Chiesa un
tesoro inesauribile, per di più arricchito dai meriti della beata Madre di Dio
e di tutti gli eletti... In verità ha disposto che questo tesoro, non riposto in un
fazzoletto, non nascosto in un campo, venisse dispensato ai fedeli tramite il
beato Pietro, detentore delle chiavi del cielo, e tutti i suoi successori sulla
terra, ed ha stabilito che, per motivi giusti e ragionevoli, venisse
misericordiosamente distribuito, sia in modo generale che speciale sia in
favore di una totale o parziale remissione della pena temporale contratta con
i peccati, a coloro che veramente si pentono e confessano».
Papa Alessandro VI, per l’Anno Santo del 1500 concede che l’indulgenza plenaria
sia applicata in suffragio per le anime del purgatorio:
«a quanti visiteranno con devozione secondo le modalità stabilite le basiliche
e chiese già indicate e in loro suffragio, obbedendo a quanto ordinato dai
penitenzieri o da qualcuno di loro, depositeranno l’elemosina nella cassetta
che, posta all'interno della basilica di San Pietro, raccoglie le offerte per la
riparazione della basilica stessa» (Papa Alessandro VI, Bolla “Inter curas
multiplices”, del 20 Dicembre 1499).
13 I segni del Giubileo, di Mons. Rino Fisichella, Edizioni San Paolo 1999.
Lutero critica le Indulgenze14
Fu proprio in quella occasione che si scatenò la controversia sulle indulgenze che
ebbe in Lutero il massimo esponente. Il 1° novembre 1517 nella pubblicazione
delle famose 95 “tesi di Wittenberg” egli muove una dura requisitoria contro le
indulgenze. Era del tempo la famosa frase: «Appena il denaro suona nella
cassetta, l’anima è liberata dal fuoco del purgatorio»
15
.
Lutero, nelle sue celebri 95 tesi del 1517 sulle indulgenze, sosteneva che esse non
avevano valore davanti a Dio, essendo unicamente una remissione della pena
canonica da parte della Chiesa; negava inoltre l’esistenza di un tesoro di grazia
di Cristo e dei santi da cui la Chiesa avrebbe potuto attingere. Tuttavia, attenuava
la sua contestazione mettendo sotto accusa il modo in cui le indulgenze venivano
predicate: «Se si fosse predicato bene, secondo lo spirito e il sentimento del papa,
quelle difficoltà sarebbero svaporate da sé medesime» (Tesi 91). Aggiungeva
comunque che è meglio soffrire volentieri le pene dei peccati che non sottrarvisi
mediante le indulgenze.
16
Il Concilio di Trento riconferma la dottrina sulle Indulgenze17
“Nel Concilio di Trento, il 4 Dicembre 1563, viene approvato il “Decretum de
indulgentiis” con il quale i Padri definiscono la dottrina e fugano le critiche mosse
dalla polemica luterana:
«Le indulgenze – affermano – sono molto salutari per il popolo cristiano»
e sono nell’errore quanti pensano che «esse siano inutili o che non possano
essere concesse dalla Chiesa».
Il Concilio di Trento, in effetti, veniva a chiarificare che il perdono dei peccati,
mediante l’assoluzione sacramentale, non comportava necessariamente anche la
14
“Il dono dell’indulgenza”, Sussidio del Comitato Nazionale per il grande Giubileo 2000,
Mons. Marcello Semeraro, Vescovo di Oria, pag.12.
15 Non è questo il momento né il luogo per approfondire questa controversia sulle indulgenze
che conteneva elementi veri, in reazione a una presentazione talora magica delle indulgenze.
«Rievocando quei fatti nella sua allocuzione del 28 Gennaio 1983 ai Vescovi della Baviera,
Giovanni Paolo II avvertirà che l’interpretazione del mistero della redenzione a partire dalla
serietà e dalla gioia della penitenza e della conversione doveva avere anche un carattere
ecumenico: quello, cioè, di mostrare che le indulgenze non vogliono essere nient’altro che
una risposta concreta alla verità fondamentale della fede secondo cui tutta la vita cristiana
è un costante cammino di penitenza» (Op. cit., pag. 12)
16 Nuova Edizione dell’Enchiridion Indulgentiarum, 17 Settembre 1999.
17 I segni del Giubileo, di Mons. Rino Fisichella, Ed. San Paolo 1999, pag. 118 e ss.
remissione delle conseguenze del peccato. Dio, insomma, rimane sempre libero,
ma concede alla Chiesa la possibilità di intervenire con le sue forme proprie per
ottenere che al perdono del peccato possa seguire anche il perdono delle sue
conseguenze. (Riparazione)
Dopo il Concilio di Trento il rischio di «cosificazione» e di «quantificazione»,
(specialmente in soldi), non fu del tutto evitato18
.
Assistiamo così al sorgere di un cumulo di indulgenze legate a opere sempre
minori; al sorgere delle «indulgenze plenarie» e «indulgenze parziali»,
computate in riferimento alle «penitenze tariffate» in cui erano descritti gli anni
richiesti per scontare la pena di determinati peccati gravi.
L’indulgenza finì per essere «praticata» e «pensata» come realtà la cui essenza
non aveva più alcun rapporto con la celebrazione ecclesiale della penitenza, ma
come realtà a sé stante, talora praticata esteriormente senza una corrispondente
conversione interiore.
La Chiesa: Corpo mistico di Cristo (Lumen Gentium)
Per comprendere il significato delle indulgenze, elargite durante agli anni del
Giubileo, penso sia necessario considerare prima l'immagine della Chiesa,
come Corpo visibile di Cristo risorto, recuperata Padri Conciliari del Vaticano
II.
E’ una delle riscoperte principali esposte nella Costituzione dogmatica Lumen
Gentium. Di fatto già nel Capitolo 1, sul “Il Mistero della Chiesa”, tra le immagini
della Chiesa la definisce: Corpo mistico di Cristo. E citando la lettera ai Corinti,
afferma:
Come tutte le membra del corpo umano, anche se numerose, non formano
che un solo corpo così i fedeli in Cristo (cfr. 1Cor 12,12). Anche nella
struttura del corpo mistico di Cristo vige una diversità di membri e di uffici.
Lo Spirito, unificando il corpo con la sua virtù e con l’interna connessione
dei membri, produce e stimola la carità tra i fedeli. E quindi se un membro
soffre, soffrono con esso tutte le altre membra; se un membro è onorato, ne
gioiscono con esso tutte le altre membra (cfr. 1Cor 12,26) (LG.n.7).
E San Paolo nel capitolo quarto della lettera agli Efesini esplicita:
18
Da “L’indulgenza”, Op. cit., pagg. 21-22.
“Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete
stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede,
un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce
per mezzo di tutti ed è presente in tutti. E sollecita: ‘Cerchiamo di crescere
in ogni cosa verso di lui, che è il Capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben
compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura,
secondo l’energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in
modo da edificare se stesso nella carità’” (Ef 4,1-16)
In fine, al Capitolo7 della Lumen Gentium: sull’indole escatologica della Chiesa
peregrinante e sua Unione con la Chiesa celeste, i Padri Conciliari affermano:
“La Chiesa, alla quale tutti siamo chiamati in Cristo Gesù e nella quale per
mezzo della grazia di Dio acquistiamo la santità, non avrà il suo compimento
se non nella gloria celeste, quando verrà il tempo in cui tutte le cose saranno
rinnovate (cfr. Ap 3,21), e col genere umano anche tutto l’universo, il quale è
intimamente congiunto con l’uomo e per mezzo di lui arriva al suo fine,
troverà nel Cristo la sua definitiva perfezione (cfr. Ef 1,10; Col 1,20) (LG.
n. 48).
Per questo nostro Signore, autore e perfezionatore della fede, nel sermone della
montagna dice: «Siate dunque perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste»
(Mt 5,48)
Nei diversi generi e professioni della vita una unica santità è coltivata da
quanti sono mossi dallo Spirito di Dio e, obbedienti alla voce del Padre e
adorando in spirito e verità Dio Padre, camminano al seguito del Cristo
povero, umile e carico della croce, per meritare di essere partecipi della sua
gloria (LG. n.41)
La Madre di Gesù, come in cielo, in cui è già glorificata nel corpo e
nell'anima, costituisce l'immagine e l'inizio della Chiesa che dovrà avere il
suo compimento nell'età futura, così sulla terra brilla ora innanzi al
peregrinante popolo di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione,
fino a quando non verrà il giorno del Signore (cfr. 2 Pt 3,10). (Lg, 68)
Papa Paolo VI ripropone in forma rinnovata la dottrina sulle Indulgenze
All’indomani del Concilio Vaticano II, Papa Paolo VI ripropone in forma rinnovata
la dottrina sulle Indulgenze, promulgando la Costituzione Apostolica
“Indulgentiarium doctrina”.19
In essa, pur riconoscendo gli “abusi” riguardo alla
19 I segni del Giubileo, di M. Rino Fisichella, Op. cit., pag. 118-119.
dottrina delle indulgenze, ne approfondisce il significato e l’importanza nella vita
cristiana.
“Purtroppo, nell’uso delle indulgenze si infiltrarono talvolta degli abusi, sia
perché a causa di concessioni non opportune e superflue veniva avvilito il potere
delle chiavi e la soddisfazione penitenziale veniva abolita, sia perché a causa di
illeciti profitti veniva infamato il nome di indulgenza. Ma la Chiesa, condanna
con anatema quanti asseriscono l’inutilità delle indulgenze e negano il potere
esistente nella chiesa di concederle».20
Il fine dell’indulgenza poi «non è solo quello di aiutare i fedeli a scontare le
pene del peccato, ma anche di spingerli a compiere opere di pietà, di
penitenza e di carità, specialmente quelle che giovano all’incremento della
fede e al bene comune» (n. 8).
Se poi i fedeli offrono le indulgenze in suffragio dei defunti coltivano in
modo eccellente la carità e, mentre elevano la mente al cielo, ordinano più
saggiamente le cose terrene” (n. 8). 21
Papa Giovanni Paolo II, nella Bolla «Incarnationis mysterium»
Papa Giovanni Paolo II, nella Bolla di indizione del grande Concilio dell'anno
2000, «Incarnationis mysterium»
22
, ci ha lasciato una spiegazione moto chiara sul
significato delle Indulgenze: riguardo al perdono mediante la confessione e
l’assoluzione, e riguardo alle pene, cioè gli effetti negativi sugli altri.
Il perdono comporta un reale cambiamento di vita
“Il perdono comporta un reale cambiamento di vita. Fin dall’antichità,
tuttavia, la Chiesa è sempre stata profondamente convinta che il perdono,
concesso gratuitamente da Dio, implica come conseguenza un reale
cambiamento di vita, una progressiva eliminazione del male interiore, un
rinnovamento della propria esistenza.
L'atto sacramentale doveva essere unito ad un atto esistenziale, con una
reale purificazione della colpa, che appunto si chiama penitenza.
L'avvenuta riconciliazione con Dio, infatti, non esclude la permanenza di
alcune conseguenze del peccato dalle quali è necessario purificarsi”.
È precisamente in questo ambito che acquista rilievo l’indulgenza, mediante
la quale viene espresso il «dono totale della misericordia di Dio» (16). Con
20 (Costituzione apostolica Indulgentiarum Doctrina, Nuova edizione, del 1967).
21 Alla Costituzione Apostolica “Indulgentiarum Doctrina”, segue la pubblicazione dell’“Enchiridion
Indulgentiarum”.
22 Bolla «Incarnationis mysterium» di Papa Giovanni Paolo II per il Grande Giubileo del 2000.
l’indulgenza al peccatore pentito è condonata la pena temporale per i
peccati già rimessi quanto alla colpa (9).
“Il peccato, infatti, per il suo carattere di offesa alla santità e alla giustizia
di Dio, come pure di disprezzo dell'amicizia personale che Dio ha per l'uomo,
ha una duplice conseguenza: In primo luogo, se grave,
23 esso comporta la
privazione della comunione con Dio e, di conseguenza, l'esclusione dalla
partecipazione alla vita eterna. Al peccatore pentito, tuttavia, Dio nella sua
misericordia concede il perdono del peccato grave e la remissione della
«pena eterna» che ne conseguirebbe.
In secondo luogo, «ogni peccato, anche veniale,
24 provoca un attaccamento
malsano alle creature che ha bisogno di purificazione, sia quaggiù, sia dopo
la morte, nello stato chiamato Purgatorio. Tale purificazione libera dalla
cosiddetta «pena temporale» del peccato», espiata la quale viene a
cancellarsi ciò che osta alla piena comunione con Dio e con i fratelli” (10).
Come vediamo in questa prima parte dell’esposizione sull’Indulgenza, il Papa
si rifà all’antica tradizione della Chiesa, ricollegando l’Indulgenza al
Sacramento della Penitenza.
Le pene temporali
Il perdono dei peccati non toglie le conseguenze del peccato in noi, le “pene
temporali” per cui si esige un lavoro di purificazione.
Il termine “pena temporale o eterna”, come pure i termini “soddisfazione” o
“riparazione”, non vanno intesi in senso giuridico, come se la pena fosse qualcosa
da scontare per chi commette un reato, ma in senso esistenziale. Come vedremo
più avanti, il Papa in una Catechesi sul “Cielo”, afferma che oggi “il linguaggio
23 “Il peccato è anzitutto offeso a Dio, rottura della comunione con lui. Nello stesso tempo, esso attenta alla
comunione con la Chiesa. Come peccato mortale è offesa a Dio, in quanto rende vano il piano di Amore e
di felicità per ciascuno di noi, distrugge la carità nel cuore dell’uomo a causa di una violazione grave della
Legge di Dio; distoglie l’uomo da Dio, che è il suo fine ultimo e la sua beatitudine, preferendo a lui un bene
inferiore.
Perché vi sia un peccato sia mortale si richiede che concorrano tre condizioni: «È peccato mortale quello che
ha per oggetto una materia grave e che, inoltre, viene commesso con piena consapevolezza e deliberato
consenso» (CCC1850).
24 Il peccato veniale indebolisce la carità; manifesta un affetto disordinato per dei beni creati; ostacola i
progressi dell'anima nell’esercizio delle virtù e nella pratica del bene morale; merita pene temporali. Il
peccato veniale deliberato e che sia rimasto senza pentimento ci dispone poco a poco a commettere il
peccato mortale. Tuttavia, il peccato veniale non rompe l’alleanza con Dio. È umanamente riparabile con la
grazia di Dio: «L’uomo non può non avere almeno peccati lievi, fin quando resta nel corpo. Tuttavia, non devi
dar poco peso a questi peccati, che si definiscono lievi. Tu li tieni in poco conto quando li soppesi, ma che
spavento quando li numeri! Molte cose leggere, messe insieme, ne formano una pesante: molte gocce
riempiono un fiume e così molti granelli fanno un mucchio. Quale speranza resta allora? Si faccia anzitutto la
Confessione... » (Sant’Agostino) (CCC 1863).
personalistico riesce a esprimere meno impropriamente” e in modo nuovo e più
comprensibile per noi i contenuti della Tradizione.
Se ad esempio un fratello avanti nel cammino, cade in un peccato di adulterio,
si pente sinceramente e si confessa, con la decisione di rompere quella situazione
di peccato, riceve il perdono nel Sacramento della Penitenza. Ma questo non è
sufficiente. C’è un cammino di riparazione del male provocato alla moglie, ai figli,
ai familiari, alla comunità. Ferite profonde, che si guariscono lentamente e
progressivamente, con atti di rinuncia agli assalti della tentazione, accettando di
soffrire per circoncidere il cuore, ponendo atti per manifestare amore a Dio e alla
moglie. Questo processo di recupero dell’amore di Dio, si chiama appunto “pena
temporale”, in quanto è un processo che comporta l’accettazione di determinate
sofferenze e rinunce per amore. Quindi la “pena temporale” non è una sanzione
estrinseca che la Chiesa impone di soddisfare, ma è una esigenza intrinseca alla
conversione. In questo processo di conversione è aiutato e sostenuto dalla
Chiesa in modo particolare con il dono dell’indulgenza, che è una partecipazione
gratuita e più intensa alla santità della Chiesa: di Cristo, Capo, della Vergine Maria
e dei Santi.
Per questo il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna:
L’assoluzione toglie il peccato, ma non porta rimedio a tutti i disordini
che il peccato ha causato. Risollevato dal peccato, il peccatore deve ancora
recuperare la piena salute spirituale. Deve dunque fare qualcosa di più per
riparare le proprie colpe: deve «soddisfare» in maniera adeguata o «espiare»
i suoi peccati. Questa soddisfazione si chiama anche «penitenza» (CCC
1459).
Per la remissione della pena temporale, l’indulgenza non costituisce una via
facilior, una «scorciatoia», rispetto alla conversione ordinaria. Essa
rappresenta invece l’aiuto solenne dell’amore mistico del corpo di Cristo
offerto alla debolezza del peccatore pentito, affinché egli possa realizzare una
conversione profonda ed efficace. Se è vero che la grazia di Dio non
sostituisce ma promuove e sollecita la libertà dell’uomo, è altrettanto vero
che l'indulgenza non sostituisce il difficile lavorio dell'amore e non è quindi il
cancellamento «più facile» delle pene dei peccati; essa è piuttosto l'aiuto
della Chiesa volto a favorire l'opera sempre difficile dell'amore.
L’indulgenza non facilita sostituendo e prendendo il posto della conversione,
bensì favorendo la conversione stessa.
A questa luce si comprende che l’indulgenza è un aiuto per riparare il peccato, e
le ferite provocate su di se stessi e sugli altri.
L’Indulgenza e il Cammino Neocatecumenale
In questo insegnamento sul significato dell’Indulgenza, vediamo confermato
quanto il Signore ha operato e sta operando in noi attraverso il Cammino
neocatecumenale al quale Dio ci ha chiamati, e ne risalta la sua attualità per la
Chiesa.
Fin dalle prime catechesi, infatti, sin dall’Annuncio del Kerygma, di fronte alla
crisi del Sacramento della Penitenza nella Chiesa di oggi, il Cammino ha rimesso
al centro di questo sacramento la conversione, mettendo al loro giusto posto altri
aspetti del Sacramento, come la confessione dei peccati e la penitenza che
avevano preso il sopravvento.
Nel Cammino Neocatecumenale anche in noi è iniziato un cammino graduale e
progressivo di penitenza, cioè di discesa, di illuminazione e di spoliazione
dell’uomo vecchio e di rivestimento dell’uomo nuovo.
Grazie alle tappe e agli scrutini, nel perseverante ascolto nella Celebrazione della
Parola di Dio, nella settimanale celebrazione della Eucarestia e nella celebrazione
periodica del Sacramento della Penitenza, la Chiesa attraverso il ministero del
Vescovo, dei presbiteri e dei catechisti, come vera Madre ha cominciato in noi quel
processo di gestazione a una fede più matura con la stessa cura con cui gestiva
alla vita nuova i catecumeni nella Chiesa primitiva, e assisteva con la sua
intercessione i peccatori pentiti nel loro cammino di ritorno e di riconciliazione
con Dio e con i fratelli.
Terminato l’itinerario neocatecumenale, questo processo di purificazione da
parte di Dio in noi, non è cessato, ma il combattimento quotidiano continua,
anzi si fa sempre più serio, e per questo abbiamo sempre bisogno di essere
sorretti ed aiutati dalla materna assistenza della Chiesa che soprattutto in
occasione di questo Grande Giubileo ci apre i suoi “tesori di grazia” nella
Comunione dei Santi. A questa luce si comprende come la partecipazione
personale alle Celebrazioni della Parola e dell'Eucaristia settimanali, come
anche alle convivenze della comunità, agli Annunci dei tempi forti dell’anno
Liturgico, non sono degli opzionali o facoltativi, ma sono necessari per potere
alimentare la vita nuova che cresce in noi fino al momento in cui il Signore ci
chiama se.
Vorrei fare qui un richiamo anche ai Presbiteri e ai catechisti del pericolo della
infiltrazione, soprattutto nei diversi passaggi, di una mentalità sentimentale,
negli scrutini. I criteri di discernimento, sul cambiamento della vita nei rapporti con
gli altri, con se stessi e con Dio, derivano dalla Parola di Dio, che è vera e vuole il
nostro bene. A volte, per farsi sentimenti di pietà, non osiamo dire la verità e con
questo ritardiamo l'autentica conversione dei fratelli a Gesù Cristo.
La comunione dei Santi anticipata nella vita della Comunità
La Rivelazione, d’altra parte, insegna che, nel suo cammino di conversione, il
cristiano non si trova solo. In Cristo e per mezzo di Cristo la sua vita viene
congiunta con misterioso legame alla vita di tutti gli altri cristiani nella
soprannaturale unità del Corpo mistico.
Si instaura così tra i fedeli un meraviglioso scambio di beni spirituali, in forza
del quale la santità dell'uno giova agli altri ben al di là del danno che il peccato
dell'uno ha potuto causare agli altri.
Esistono persone che lasciano dietro di sé come un sovrappiù di amore, di
sofferenza sopportata, di purezza e di verità, che coinvolge e sostiene gli altri. E la
realtà della «vicarietà», sulla quale si fonda tutto il mistero di Cristo. Il suo amore
sovrabbondante ci salva tutti.
Nondimeno fa parte della grandezza dell’amore di Cristo non lasciarci nella condizione
di destinatari passivi, ma coinvolgerci nella sua opera salvifica e, in particolare, nella
sua passione. “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri
corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto
spirituale (Rm, 12,1).
E nella lettera ai Colossesi, confessa: «Do compimento a ciò che manca ai
patimenti di Cristo nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa»
(1,4).
Questa profonda realtà è mirabilmente espressa anche in un passo dell'Apocalisse,
in cui si descrive la Chiesa come la sposa rivestita di un semplice abito di lino
bianco, di lino puro splendente. E san Giovanni dice: «La veste di lino sono le
opere giuste dei santi» (Ap 19, 8). Nella vita dei santi viene, infatti, tessuto il bisso
splendente, che è l’abito dell'eternità.
Un avvertimento fraterno
A questo proposito, mi permetto di dare una stoccatina a quelli che in Comunità si
lamentano e dicono: «Ah, ma io non mi sento nulla, nella mia Comunità, non
faccio niente, non sono catechista, non sono ostiario, non sono cantore». Ma tu sei
un Membro del Corpo di Cristo eletto per divenire figlio di Dio in Cielo: e ti
pare poco? La bellezza delle nostre Comunità, è scoprire carismi nascosti. Nella
mia comunità c’era una sorella molto umile e semplice che era cieca, faceva parte
di una famiglia di ciechi. Solo una delle sorelle vedeva e le accudiva. Questa
sorella, faceva delle risonanze alla Parola di Dio, che ci stupiva tutti. Vari, anche
teologi, che hanno partecipato alle nostre Celebrazioni, sono rimasti stupiti dalla
profondità delle risonanze. I nostri fratelli conoscono la Parola di Dio, più di tanti
teologi, perché portano in sé la parola di Dio fatta carne nella propria vita. Per
cui, tutte queste forme di lamentele e piagnistei dicendo: ma io non sono nessuno,
non faccio niente in comunità, non corrisponde a realtà. Perché tutti, anche quel
fratello ammalato o che sta morendo, tutti cooperiamo alla santificazione del
Corpo. Ecco questa è la realtà della comunione! Per cui, uniti alla Chiesa, grazie ai
meriti acquistati da Gesù Cristo, dalla Vergine Maria, da tutti i santi, viviamo già
comunione tra la Chiesa nella Gloria, gli Angeli, i Santi, le Vergini, i Martiri, e alla
Chiesa che è in purificazione al purgatorio, e alla Chiesa che è ancora pellegrina
sulla terra, o militante, e uniti al creato stesso che soffre assieme a noi in attesa
della manifestazione dei figli di Dio.
In questo modo anche noi nelle nostre comunità cooperiamo alla salvezza di questa
generazione e come ci ha detto il signore ci prepariamo un tesoro di salvezza e di
santità in cielo.
Termino sottolineando che nella grandezza del suo Amore, il Signore ha voluto
coinvolgerci nella sua opera salvifica. Questo è molto importante, perché ci
illumina sul cammino che ci rimane da compiere sulla terra e sulla missione alla
quale ci chiama. chiamati nella Chiesa, come esplicita il Catechismo della Chiesa
Cattolica, secondo cui
Da una parte è vero che: «La giustificazione ci è stata meritata dalla Passione di
Cristo, e ci è accordata mediante il Battesimo, sacramento della fede» (CCC 1992),
ma è altrettanto vero che: «la giustificazione stabilisce la collaborazione tra la
grazia di Dio e la libertà dell’uomo. Sant'Agostino usa un'espressione molto bella
al riguardo, dicendo: «Dio, che ti ha creato senza di te, non può salvarti senza di
te» (Sermo CLXIX, 13). E non certo perché non ne abbia la capacità – è
onnipotente! – ma perché, essendo amore, rispetta fino in fondo la nostra libertà.
(Papa Francesco, Angelus, 15 Ottobre 2023).
La nostra collaborazione si esprime nell’assenso della fede alla Parola di Dio
che lo chiama alla conversione, e nella cooperazione della carità alla mozione dello
Spirito Santo, che lo previene e lo custodisce:
Dio tocca il cuore dell’uomo con l’illuminazione dello Spirito Santo, in
modo che né l’uomo resterà assolutamente inerte subendo quell’ispirazione,
che certo può anche respingere, né senza la grazia divina, con la sua libera
volontà, potrà prepararsi alla giustizia dinanzi a Dio» (CCC 1993).
In questo processo lo Spirito Santo è il maestro interiore (CCC 1995). Egli ci
dona la grazia che è una partecipazione alla vita di Dio (CCC 1997).
La libera iniziativa di Dio richiede la libera risposta dell’uomo; infatti, Dio
ha creato l’uomo a propria immagine, dandogli, con la libertà, il potere di
conoscerlo e di amarlo L’anima può entrare solo liberamente nella
comunione dell’amore (CCC 2002).
Dio ha liberamente disposto di associare l’uomo all’opera della sua grazia
(CCC 2008).
Il «tesoro della Chiesa»: le opere buone dei santi. Non ci salviamo da soli!
Tutto viene da Cristo, ma poiché noi apparteniamo a lui, anche ciò che è nostro
diventa suo e acquista una forza che risana. Ecco cosa si intende quando si parla
del «tesoro della Chiesa», che sono le opere buone dei santi.
Pregare per ottenere l’indulgenza significa entrare in questa comunione spirituale
e quindi aprirsi totalmente agli altri.
Anche nell’ambito spirituale, infatti, nessuno vive per se stesso. E la salutare
preoccupazione per la salvezza della propria anima viene liberata dal timore e
dall'’egoismo solo quando diviene preoccupazione anche per la salvezza
dell'altro.
25È la realtà della comunione dei santi, il mistero della «realtà vicaria»,
della preghiera, come via di unione con Cristo e con i suoi santi. Egli ci prende con
25 “Molti pensano: basta che mi salvi, non è necessario che sia un santo. Che non sia necessario essere un santo
che fa miracoli, la cui santità sia riconosciuta dalla Chiesa ufficialmente, è certo; ma per andare in cielo è
necessario intraprendere il cammino della salvezza, e questo non è altro che il cammino stesso della santità: in
cielo non ci saranno che santi, sia quelli entrati immediatamente dopo la propria morte, sia quelli che abbiano
avuto il bisogno di essere purificati nel purgatorio. P. R. Garrigou-Lagrange, nella Prefazione al suo libro “Le
tre età della Vita spirituale”
sé per tessere insieme con lui la candida veste della nuova umanità, la veste di lino
splendente della Sposa di Cristo.
«Poiché tutti i credenti formano un solo corpo, il bene degli uni è comunicato
agli altri...» (CCC 947).
Sotto la mozione dello Spirito Santo e della carità, possiamo in seguito
meritare per noi stessi e per gli altri le grazie utili per la nostra
santificazione, per l’aumento della grazia e della carità, come pure per il
conseguimento della vita eterna...Tutte queste grazie e questi beni sono
oggetto della preghiera cristiana. Essa provvede al nostro bisogno della grazia
per le azioni meritorie (CCC 2010).
I segni del Giubileo
L'istituto del Giubileo nella sua storia si è arricchito di segni che attestano la fede
ed aiutano la devozione del popolo cristiano. Ce ne parla Papa Francesco nella bolla
di indizione del Giubileo 2025:
Il pellegrinaggio26
“Il pellegrinaggio esprime un elemento fondamentale di ogni evento
giubilare. Mettersi in cammino è tipico di chi va alla ricerca del senso della
vita. Il pellegrinaggio a piedi favorisce molto la riscoperta del valore del
silenzio, della fatica, dell’essenzialità. Anche nel prossimo anno i pellegrini
di speranza non mancheranno di percorrere vie antiche e moderne per
vivere intensamente l’esperienza giubilare. Nella stessa città di Roma, inoltre,
saranno presenti itinerari di fede, in aggiunta a quelli tradizionali delle
catacombe e delle Sette Chiese.
Le chiese giubilari, lungo i percorsi e nell’Urbe, potranno essere oasi di
spiritualità dove ristorare il cammino della fede e abbeverarsi alle sorgenti
della speranza, anzitutto accostandosi al Sacramento della
Riconciliazione, insostituibile punto di partenza di un reale cammino di
conversione.
Varcare la soglia
6. “L’Anno Santo 2025, è giunto il tempo di un nuovo Giubileo, nel quale
spalancare ancora la Porta Santa per offrire l’esperienza viva dell’amore di
Dio, che suscita nel cuore la speranza certa della salvezza in Cristo. Nello
stesso tempo, questo Anno Santo orienterà il cammino verso un’altra
ricorrenza fondamentale per tutti i cristiani: nel 2033, infatti, si celebreranno
i duemila anni della Redenzione compiuta attraverso la passione, morte e
risurrezione del Signore Gesù. Siamo così dinanzi a un percorso segnato da
26 Dalla Bolla di Papa Francesco per Giubileo 2025
grandi tappe, nelle quali la grazia di Dio precede e accompagna il popolo
che cammina zelante nella fede, operoso nella carità e perseverante nella
speranza (cfr. 1Ts 1,3).
Sostenuto da una così lunga tradizione e nella certezza che questo Anno
giubilare potrà essere per tutta la Chiesa un’intensa esperienza di grazia e
di speranza, stabilisco che la Porta Santa della Basilica di San Pietro in
Vaticano sia aperta il 24 dicembre del presente anno 2024, dando così
inizio al Giubileo Ordinario. La domenica successiva, 29 dicembre 2024,
aprirò la Porta Santa della mia cattedrale di San Giovanni in Laterano, che
il 9 novembre di quest’anno celebrerà i 1700 anni della dedicazione. A
seguire, il 1° gennaio 2025, Solennità di Maria Santissima Madre di Dio, verrà
aperta la Porta Santa della Basilica papale di Santa Maria Maggiore. Infine,
domenica 5 gennaio sarà aperta la Porta Santa della Basilica papale di San
Paolo fuori le Mura. Queste ultime tre Porte Sante saranno chiuse entro
domenica 28 dicembre dello stesso anno”.
Preparazione e Anno Giubilare 2025: disposizioni
“Stabilisco inoltre che domenica 29 dicembre 2024, in tutte le cattedrali e
concattedrali, i Vescovi diocesani celebrino la santa Eucaristia come solenne
apertura dell’Anno giubilare, secondo il Rituale che verrà predisposto per
l’occasione. Il pellegrinaggio da una chiesa, scelta per la collectio, verso la
cattedrale sia il segno del cammino di speranza che, illuminato dalla Parola
di Dio, accomuna i credenti. In esso si dia lettura di alcuni brani del
presente Documento e si annunci al popolo l’Indulgenza Giubilare, che
potrà essere ottenuta secondo le prescrizioni contenute nel medesimo
Rituale per la celebrazione del Giubileo nelle Chiese particolari. Durante
l’Anno Santo, che nelle Chiese particolari terminerà domenica 28 dicembre
2025, si abbia cura che il Popolo di Dio possa accogliere con piena
partecipazione sia l’annuncio di speranza della grazia di Dio sia i segni che ne
attestano l’efficacia.
Il Giubileo Ordinario terminerà con la chiusura della Porta Santa della
Basilica papale di San Pietro in Vaticano il 6 gennaio 2026, Epifania del
Signore. Possa la luce della speranza cristiana raggiungere ogni persona, come
messaggio dell’amore di Dio rivolto a tutti! E possa la Chiesa essere testimone
fedele di questo annuncio in ogni parte del mondo!”.
Papa Francesco al termine della bolla di indizione del Giubileo 2025 invita a riscoprire
vari segni di speranza. Tra i tanti Segni dei tempi per cui pregare durante il Giubileo,
ricorda la speranza per la pace nel mondo, l'apertura alla vita, mediante la
maternità e paternità responsabile, la vicinanza a tanti fratelli e sorelle anziani più
deboli e soli, l'auspicio di un miglior trattamento dei carcerati con proposte di
amnistia, di condono della pena. Mentre in loro aiuto stabilisce di aprire una Porta
Santa in un carcere, perché sia per loro un simbolo che invita a guardare all’avvenire
con speranza e con rinnovato impegno di vita. Raccomanda la vicinanza e la cura
dei giovani, molti dei quali privi di speranza quando il futuro è incerto, impermeabile
ai loro sogni, tentati dall'illusione delle droghe il rischio della trasgressione e la
ricerca dell'effimero facendoli scivolare in baratri oscuri spingendoli a compiere
gesti autodistrutti.
Al termine ci invita a “sperare contro ogni speranza” (Rm.4, 18) come il nostro Padre
Abramo, invitandoci ad alzare i nostri occhi al Cielo: noi che crediamo in colui che ha
risuscitato dai morti, Gesù Nostro Signore, il quale è stato messo a morte per i nostri
peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione.
“Lasciamoci fin d’ora attrarre dalla speranza e permettiamo che attraverso di
noi diventi contagiosa per quanti la desiderano. Possa la nostra vita dire loro:
«Spera nel Signore, sii forte, si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore»
(Sal 27,14). Possa la forza della speranza riempire il nostro presente, nell’attesa
fiduciosa del ritorno del Signore Gesù Cristo, al quale va la lode e la gloria ora
e per i secoli futuri (Spe Salvi, n. 25)” .
Finita la catechesi, vi lascio come ricordo questo brano tratto dalle “conferenze
di San Tommaso d’Aquino”, che ho trovato nell'ufficio delle letture durante le
scorse vacanze, preparando questa catechesi.
Mi sazierò quando apparirà la tua gloria 27
Quando saranno compiuti tutti i nostri desideri, cioè nella vita eterna, la fede
cesserà. Non sarà più oggetto di fede tutta quella serie di verità che nel «Credo» si
chiude con le parole: «vita eterna. Amen».
La prima cosa che si compie nella vita eterna è l’unione dell’uomo con Dio.
Dio stesso, infatti, è il premio e il fine di tutte le nostre fatiche: «Io sono il tuo
scudo, e la tua ricompensa sarà molto grande» (Gen 15,1). Questa unione poi
consiste nella perfetta visione: «Ora vediamo come in uno specchio, in maniera
confusa; ma allora vedremo faccia a faccia» (1Cor 13,12).
La vita eterna inoltre consiste nella somma lode, come dice il profeta: «Giubilo
e gioia saranno in essa, ringraziamenti e inni di lode» (Is 51,3). Consiste ancora
nella perfetta soddisfazione del desiderio. Ivi, infatti, ogni beato avrà più di
quanto ha desiderato e sperato. La ragione è che nessuno può in questa vita
appagare pienamente i suoi desideri, né alcuna cosa creata è in grado di colmare le
aspirazioni dell’uomo. Solo Dio può saziarlo, anzi andare molto al di là, fino
all’infinito. Per questo le brame dell’uomo si appagano solo in Dio, secondo
quanto dice Agostino: «Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è senza pace
fino a quando non riposa in te».
I santi, nella patria, possederanno perfettamente Dio. Ne segue che giungeranno
all’apice di ogni loro desiderio e che la loro gloria sarà superiore a quanto
speravano. Per questo dice il Signore: «Prendi parte alla gioia del tuo Signore» (Mt
25,21); e Agostino aggiunge: Tutta la gioia non entrerà nei beati, ma tutti i beati
entreranno nella gioia. «Mi sazierò quando apparirà la tua gloria» (Sal 16,15
Volg.); ed anche: «Egli sazia di beni il tuo desiderio» (Sal 102,5 Volg.). Tutto
quello che può procurare felicità, là è presente e in sommo grado. Se si cercano
godimenti, là ci sarà il massimo e più assoluto godimento, perché si tratta del
bene supremo, cioè di Dio: «Dolcezza senza fine alla tua destra» (Sal 15,11).
La vita eterna infine consiste nella gioconda fraternità di tutti i santi. Sarà una
comunione di spiriti estremamente deliziosa, perché ognuno avrà tutti i beni di
tutti gli altri beati. Ognuno amerà l’altro come se stesso e perciò godrà del
bene altrui come proprio.
Così il gaudio di uno solo sarà tanto maggiore, quanto più grande sarà la gioia
di tutti gli altri beati.
27 Mi sazierò quando apparirà la tua Gloria, Dalle «Conferenze» di san Tommaso d’Aquino,
sacerdote.