martedì 29 ottobre 2024

Il fascino oscuro di Halloween



Nella sua opera “Il fascino oscuro di Halloween. Domande e risposte”, Francesco Bamonte, vicepresidente dell’Aie – Associazione internazionale degli esorcisti -, illustra l’evoluzione e il deterioramento di questa celebrazione che ha origini pagane ed è diventata una festa non solo commerciale, ma anche una ricorrenza che i satanisti hanno caricato di simbolismo e solennità molto perniciosi. Per questo non ne vanno sottovalutati i rischi né ostentata la banalizzazione, magari in nome di uno sdoganamento che ci metta al riparo da accuse di integralismo o isteria religiosa. I pericoli spirituali, ahinoi, esistono e agiscono anche senza la piena adesione delle vittime agli scopi malefici della celebrazione.

«”Halloween è pieno di simbolismi legati al mondo dell’orrore, della morte, dell’occulto e del demoniaco”, spiega Bamonte nella presentazione della sua opera “Il fascino oscuro di Halloween”», leggiamo sulle pagine di Infocatolica. L’opera di recente pubblicazione, risale al mese scorso, è strutturata come un’intervista, o come il catechismo che procede per domande precise e risposte altrettanto puntuali, e si basa su un’ampia raccolta di dati, proprio per offrire risorse concrete e non semplici quanto fumose suggestioni. Lo scopo degli autori, Alberto Castaldini, portavoce dell’Aie e l’esorcista Francesco Bamonte, è quello di offrire uno strumento solido e chiaro per sacerdoti, famiglie e tutti gli educatori che abbiano a cuore la salute integrale dei giovani.

Spesso in ambito cattolico si fa riferimento alla avvenuta cristianizzazione della festa, che ha origini celtiche e che la Chiesa antica ha fatto seguire dalla celebrazione di Ognissanti, ma forse si liquida troppo rapidamente la riconquista che, per via commerciale e per importazione dagli Usa, il fronte occultista e satanista ha realizzato e continua a perseguire.«Padre Bamonte ricorda il processo di cristianizzazione nelle isole britanniche, luogo d’origine di questa festa dalle radici pagane. Con l’avvento del Cristianesimo, la solennità di Tutti i Santi venne istituita come celebrazione principale, mantenendo solo alcuni elementi delle antiche usanze, ora dotati di un accento salvifico e rinnovatore. Negli Stati Uniti, però, la reinterpretazione di questa tradizione ha trasformato Halloween in una festa consumistica, svuotandola progressivamente del suo contenuto religioso. Così, “Halloween si è ritrovato radicato nella magia, nell’orrore e nella morte”, in contrapposizione al cristianesimo, che si affida a un Dio che, attraverso Cristo, dona serenità, speranza, pace e gioia, anche nei momenti difficili della vita».

È proprio grazie allo svuotamento del suo significato religioso in relazione alla salvezza di Cristo che le infiltrazioni pagane e sataniste hanno potuto realizzarsi, quasi imperterrite. Quello che l’opera intende fare, quindi, è ridare consapevolezza ai credenti non soltanto dei pericoli che si corrono, ma anche e soprattutto della potestà salvifica di Dio che, attraverso i misteri della redenzione, ha sconfitto il maligno e continua a combattere la battaglia di retroguardia di una guerra che il principe di questo mondo sa di aver perso. Lo abbiamo sempre visto anche nelle guerre “umane”: la fine ufficiale delle ostilità e il primo dopo guerra sono spesso momenti nei quali esplode la violenza casa per casa, si dà sfogo alla crudeltà e molti innocenti ne pagano il prezzo. Spiega Bamonte come «“la celebrazione di Halloween oggi sembra essere strettamente legata a realtà oscure e oscure come la stregoneria e il satanismo”. Cita, ad esempio, il movimento neopagano Wicca, che celebra Samhain – considerato l’inizio del nuovo anno della stregoneria – nella notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre. Inoltre, Halloween rappresenta per i satanisti la loro celebrazione principale e l’inizio del loro anno satanico, il che rende questa data un fenomeno inquietante». 

E questo costituisce un pericolo oggettivo e per così dire svincolato dalle intenzioni di chi vi si trova coinvolto a scopo ludico perché «di fatto (la persona, ndr) si mette in comunione con questa corrente spirituale maligna, con questo flusso oscuro e dannoso attraverso il quale senza rendersene conto, vengono avvolti come da un alone di oscurità, divenendo di conseguenza più vulnerabili all’azione ordinaria e straordinaria del demonio, con tutte le conseguenze dannose che ciò comporta per la loro vita. “Noi esorcisti conosciamo bene queste situazioni di sofferenza”, avverte il sacerdote». Come cristiani, e soprattutto come adulti responsabili dell’educazione di bambini e giovani, siamo tenuti a considerare il fenomeno nella sua realtà – ne parliamo diffusamente nel numero di ottobre di ottobre nella nostra rivista  (qui per abbonarsi)-  e a mettere in atto le misure necessarie per proteggere chi ci è affidato. Il pericolo principale risiede proprio nel potere attrattivo che il male esercita sulla creatura umana, come suggerisce il titolo del libro e come spiega lo stesso esorcista nella sua intervista per Interris:

«Qual è il fascino oscuro di Halloween? “Il Male esercita un’attrattiva, soprattutto quando si maschera di potere o si camuffa con il divertimento, la trasgressione e l’occultismo. In Halloween questi elementi sono fusi assieme: la festa, lo scherzo, la spensieratezza vengono usati per introdurre a una mentalità magico-esoterica. Il passo verso l’occultismo e i suoi ‘poteri’ è breve. Quello che oggi sperimentano i più piccoli (lo scherzetto, il gioco, la mascherata), una volta raggiunta l’età giovanile o adulta li introdurrà a una dimensione ben diversa”». Si tratta di un fascino perverso, poiché storna le nostre emozioni e la nostra volontà da ciò che naturalmente ci chiama senza sforzo, ovvero il bello, il buono e il vero. Ciò che nella visione che la fede ci apre è solo il promemoria della nostra provvisoria corruttibilità, e diventa magari un benefico memento mori, nell’immaginario che l’occultismo promuove diventa abitudine all’orrido, alla deformità, all’angoscia, alla disperazione.

Riguardo all’affollarsi in tutti gli angoli dello spazio sociale di maschere, scheletri, falci insanguinate, zombie, padre Bamonte osserva: «È una pericolosa e ricercata normalizzazione. Halloween esalta la bruttezza e celebra il macabro, inoculando nella mente dei più piccoli e dei giovani l’orrido. In questo modo li indirizza in qualche modo al male. Perché se li si orienta al brutto e all’oscuro, si indica una direzione opposta a ciò che è buono e vero, e quindi a Dio che è la fonte del vero, del buono e del bello. In Paradiso, dove regna la beatitudine, tutto è bello e luminoso. All’Inferno, dove regnano l’odio e la disperazione, tutto è brutto e tenebroso». La guerra contro il peccato e la morte è vinta, non c’è possibilità di altri esiti: non facciamoci allora trovare in mezzo a queste violenze da guerra civile e contribuiamo, semmai, a diffondere il modo di vivere di chi riconosce e partecipa del regno di Dio presente qui e ora.

lunedì 28 ottobre 2024

CUANDO DORMÍA: CATEQUESIS SOBRE EL CANTO

 


CUANDO DORMÍA: CATEQUESIS SOBRE EL CANTO

 

CANTAR DE LOS CANTARES -RESONANCIAS BIBLICAS

AUSENCIA Y BÚSQUEDA DEL AMADO: 5,2-8

Emiliano Jiménez Hernández

 

a) Mientras dormía, Mi corazón velaba

Tras la plenitud de gozo en el encuentro del huerto, vuelve la noche y la separación. Mientras peregrinamos por este mundo, el amor se vive en tensión entre la presencia y la ausencia, el encuentro la búsqueda, gozando de las primicias del Espíritu y esperando la visión eterna cara a cara, sin que la noche siga al día (Ap 21,25; 22,5). Ahora, con la embriaguez llega el sueño: Yo dormía, dice la esposa después del banquete con el Esposo y los amigos. No es un sueño común, se trata de un sueño particular. En el sueño normal, quien duerme no está despierto y quien está despierto no duerme. Lo uno pone fin a lo otro; el sueño y la vigilia se excluyen mutuamente. Aquí, en cambio, ocurre algo insólito: Yo dormía, pero mi corazón velaba: "Con toda mi alma te anhelo en la noche, y con todo mi espíritu te busco por la mañana" (Is 26,9). Es el sueño de Jacob en Jarán con la cabeza recostada sobre una piedra, donde su corazón despierto contempla la escala que une cielo y tierra (Gén 28,10ss). Es el sueño de Elías bajo la retama del desierto, cuando se le aparece el ángel del Señor y le dice: "Levántate y come que el camino hasta el Horeb es largo" (1Re 19,lss).

Comenta Gregorio de Nisa: La esposa, embriagada por el vino del esposo, cae en el sueño. Los sentidos, con que ha buscado las cosas terrenas, se han cerrado, pero su corazón sigue en vela, a la espera del Amado, según su consejo: "Estén ceñidos vuestros lomos y las lámparas encendidas, y sed como hombres que esperan a que su Señor vuelva de la boda, para que, en cuanto llegue y llame, al instante le abran. Dichosos los siervos, que el señor al venir encuentre despiertos, os aseguro que se ceñirá, los hará sentarse a la mesa y, yendo de uno a otro, les servirá" (Lc

 12,35-37). La esposa se asemeja a los ángeles, que aguardan que vuelva el Señor de la boda con los hombres. Están sentados, vigilantes, a las puertas del cielo, para abrirle apenas llegue para ser coronado como rey de la gloria (Sal 23,7-10). El Señor vuelve como rey glorioso al reino de los cielos, donde es acogido con aclamaciones. Vuelve como esposo que sale de su tálamo (Sal 18,6) después de haber celebrado las bodas con la virgen (2Cor 11,12) que, mediante la regeneración del agua bautismal, ha dejado de ser una meretriz en pos de la idolatría (Ez 16,15ss). A nosotros, muertos para el mundo, se nos invita a vivir despiertos en los atrios de nuestro santuario interior, esperando la vuelta del Señor de la gloria.

Ahora bien, cada texto de la Escritura contiene innumerables significados: "No es ésta una palabra vacía para nosotros" (Dt 32,47). "Como un martillo golpea la roca" (Jr 23,29) y la rompe en muchos fragmentos, así también de cada palabra de la Escritura se desprenden muchos significados: "Una cosa ha dicho Dios, dos he escuchado: porque de Dios es la potencia" (Sal 62,12).

Yo dormía se puede entender de otra manera. Después de los hechos salvadores del Exodo, Israel pecó; se durmió y el Señor lo entregó en manos de Nabuconosor, rey de Babilonia, que lo llevó al exilio. En el exilio los hijos de Israel eran como un hombre adormilado que no sabe despertarse de su sueño. La voz del Espíritu les amonestaba mediante los profetas para despertarlos del sueño de su corazón: "¡Despierta, despierta, Jerusalén!" (Is 51,17). "Despierta, despierta, levántate, Jerusalén prisionera" (Is 52,1s). Es el sueño del perezoso: "Un poco dormir, otro poco dormitar, otro poco tumbarse con los brazos cruzados; y llegará como vagabundo tu miseria y como un mendigo tu pobreza" (Pr 6,10s). Es el sueño de Jonás bajo la retama, que le lleva a desear la muerte (4,8s). Es el sueño de la tibieza, que amenaza al justo, que se cree rico y se duerme, perdiendo el celo de sus comienzos, exponiéndose a ser vomitado por el Señor (Ap 3,14ss). Es el sueño de Israel en su espera del Mesías, es el sueño de las vírgenes necias, que se quedan fuera del banquete de bodas por no tener aceite en las alcuzas (Mt 25,1ss). "Velad y orad, dice el Señor a sus discípulos, para no caer en tentación, porque el espíritu está pronto, pero la carne es débil" (Mt 26,41).


b) la voz del Amado


Tras el encuentro luminoso vuelve la noche. La amada duerme, pero el amor no duerme, se mantiene en vela. De repente se oye una voz conocida, que hace saltar el corazón: es el Amado que golpea a la puerta: "Mira que estoy a la puerta llamo; si uno me oye y abre, entraré en su casa y cenaremos juntos" (Ap 3,20). ¡Dichosos los siervos a quienes su Señor encuentre así! (Lc 12,43). Ellos oirán la voz del Amado apenas llegue llame: La voz de mi Amado que llama.

Cada día empieza todo de nuevo. La esposa, que ha alejado de sí el cierzo y ha atraído el soplo del Espíritu; que ha visto florecer las granadas en su jardín y ha preparado al Señor de la creación la mesa del banquete donde no había ningún manjar impuro (He 10,15), pues Dios todo lo había purificado: la mirra, el pan untado con miel, el vino mezclado con la leche; la que ha oído al Esposo decirle: "Eres toda bella, y no hay mancha alguna en ti"; ahora, ésta misma se encuentra como si le esperase por primera vez. Escucha su voz con la emoción de la primera vez. Toda estremecida exclama: ¡La voz de mi Amado que llama! Cada vez es nueva la voz del Amado: "Si alguien cree conocer algo, aún no lo conoce como se debe" (1Cor 8,2).

Moisés comenzó a gozar de la visión de Dios en la luz (Ex 19,3) y después Dios le habló desde la densa nube (Ex 19,9; 20,21). En el conocimiento de Dios pasamos de la luz a la nube, del conocimiento aparente al conocimiento oscuro de su misterio insondable; cuanto más se acerca el hombre a Dios más se adentra en la nube de su misterio, descubriendo la falsedad de todas las imágenes de Dios, que antes se ha formado, hasta llegar a la fe desnuda, que confiesa que Dios es Dios. De las cosas visibles pasamos a las invisibles. La amada, de etapa en etapa, pasa de ser negra, por la ignorancia de la idolatría, a la purificación interior de la fe. Dicho de otro modo, su carrera hacia Dios la hace ser, primero, como yegua y, luego, volar como paloma hasta posarse a la sombra del manzano, entrando en la nube donde se une con el Esposo.

Aunque el Esposo se haya dejado ver en tantas ocasiones, sin embargo, sigue dándose a conocer a través de su voz. Siempre que uno se acerca a la fuente de la Escritura, que es el manantial que al principio brotó de la tierra y regó todo el suelo (Gén 2,6), experimenta la maravilla de su novedad inagotable. Aunque pase siglos sentado junto ella, bebiendo de ella y contemplándola manar, nunca descubrirá todos sus veneros


 escondidos. Su agua salta hasta la vida eterna. Siendo fuente de agua viva, siempre está manando agua nueva. Cada día sacia y cada día suscita la sed, para beber de nuevo de ella. La esposa se admira y estremece cada vez que oye la voz del Amado.

Cada día el Esposo deja oír su voz: ¡Ábreme! Y da a la amada las llaves para abrirle la puerta. Las llaves son los nombres que le da: hermana mía, amiga mía, paloma mía, mi perfecta. Si uno quiere abrir las puertas del alma para que entre el rey de la gloria (Sal 23,7-9), ha de hacerse hermano suyo, acogiendo su palabra y haciendo la voluntad del Padre (Mc 2,35); amigo suyo, para que le revele todos los misterios del Padre (Jn 15,15); paloma suya perfecta, que no en la carne, sino en el Espíritu (Rom 8,4ss). Con estas llaves se abre al Esposo, cuya cabeza destila el rocío y el relente de la noche, con que arroja del seno de la tierra las sombras de la muerte (Is 26,19). Tomó entonces la palabra el Señor dijo: "¡Arrepentíos convertíos!" (Jr 3,12s). Abre tu boca, grita (Lam 2,18s), hermana mía, amada mía, Asamblea de Israel, que eres como una paloma por la perfección de tus obras. Mira que mis cabellos están llenos de tus lágrimas, empapados de rocío; y mis rizos están llenos del relente de tus ojos, pues "llora que llora por la noche Jerusalén y las lágrimas surcan sus mejillas" (Lam 1,2).

Los rizos de su cabellera están perlados del relente de la noche, impregnados de rocío como el vellón de Gedeón (Ju 6,37-40). Llegando de noche, en el tiempo de la prueba, el esposo se deja sentir como indicio de las bendiciones de Dios para la amada: "Seré como rocío para Israel, que florecerá como el lirio y hundirá sus raíces como el Líbano. Sus ramas se desplegarán y su esplendor será como el del olivo" (Os 14,6s). En un ambiente seco como el de Palestina, el rocío es signo de bendición (Gén 27,28), es un don divino precioso (Job 38,28; Dt 33,13), símbolo del amor de Dios (Os 14,6) y señal del amor entre los hombres (Sal 133,3); es también principio de resurrección: "Revivirán tus muertos, tus cadáveres revivirán, despertarán y darán gritos de júbilo los moradores del polvo; porque rocío luminoso es tu rocío, y la tierra echará de su seno las sombras" (Is 26,19). El vellón es el seno de María en el que cae el rocío divino del Espíritu Santo que engendra a Cristo. La liturgia sirio-maronita canta:


Oh Cristo, Verbo del Padre, tú has descendido como lluvia sobre el campo de la Virgen y como grano de trigo perfecto, has aparecido allí donde ningún sembrador había jamás sembrado y te has convertido en alimento del mundo... Nosotros te glorificamos, Virgen Madre de Dios, vellón que absorbió el rocío celestial, campo de trigo bendecido para saciar el hambre del mundo.

Gotas de rocío, que caen de los rizos de la Cabeza, Cristo, sobre su cuerpo, la Iglesia, son las palabras de sus apóstoles. Son simples gotas de rocío de la fuente inagotable de la Palabra. Pablo no se cansa de repetir: "Parcial es nuestra ciencia, parcial nuestra profecía. Cuando venga lo perfecto desaparecerá lo parcial" (1 Cor 13, 9-10; Flp 3,13). La fuente es inagotable; siempre queda en ella agua para apagar la sed: "Jesús, puesto en pie, grita: Si alguno tiene sed, venga a mí y beba el que cree en mí" (Jn 7,37).

Cristo resucitado encuentra a los discípulos con las puertas cerradas por el miedo. El llama, les anuncia la paz y les muestra las manos y el costado (Jn 20, l9ss). Ocho días después vuelve y dice a Tomás: Ábreme tu corazón con la llave de la fe, "ven, acerca aquí tu dedo, mete tu mano en mi costado y no seas incrédulo, sino creyente". Y con Tomás nos dice a nosotros: "Dichosos los que no han visto y han creído". Tocar a Cristo o ser tocado por Cristo es lo que estremece las entrañas hasta la confesión de fe: "¡Señor mío y Dios mío!" (1Jn 20,24ss).

En el oficio de santa Catalina de Siena se dice: Ábreme, hermana mía, que has llegado a ser coheredera de mi reino; amada mía, que has llegado a conocer los profundos misterios de mi verdad; tú que has sido enriquecida con la donación de mi Espíritu; tú que has sido purificada de toda mancha con mi sangre. Sal del reposo de la contemplación y consagra tu vida a dar testimonio de mi verdad.


c) La mano en la cerradura

Me he quitado la túnica, ¿cómo voy a ponérmela de nuevo? Me he lavado los pies, ¿cómo volver a mancharlos? La Asamblea de Israel respondió a los profetas: Ya he sacudido de mí el yugo de sus mandamientos (Lam 1,8) y he dado culto al abominio de las naciones, ¿cómo podría atreverme a volver a Él? Le responden los profetas: El Señor, en su amor, te encontró desnuda y te

 cubrió con la túnica blanca de la santidad (Ez 16; Ex 28,39-40; 29,8; 39,7; 40 14); estabas bella como una palmera, como la virgen Tamar vestida con la túnica de hija de rey (2Sam 13,18). ¿Cómo te has quitado la túnica nupcial, volviendo a quedar desnuda (Gén 3,7)? ¿Es que ya no esperas al esposo, que siempre llega a la hora que menos se piensa? Escucha: En medio de la noche se oyó una voz: "¡Ya está aquí el novio! ¡Salid a su encuentro!" (Mt 25,6.21). ¡Pobre esposa que se ha quitado la túnica, con que la revistió el Amado! ¿Cómo podrá ponérsela de nuevo? Imposible para ella, pues se trata de la túnica de gloria del Señor (Sal 104,1). Sólo de él puede recibir "los vestidos blancos para cubrirse y que no quede al descubierto la vergüenza de su desnudez. Sé, pues ferviente arrepiéntete. Mira que estoy a la puerta llamo; si alguno oye mi voz y me abre la puerta, entraré en su casa y cenaré con él y él conmigo" (Ap 3,18ss).

Como hija de Abraham, en vez de pensar en sus pies, debería pensar en los pies del viajero que visita su tienda: "Permitid que os traiga un poco de agua, os lavaréis los pies y reposaréis a la sombra de este árbol" (Gén 18,4). Como se siente pura, porque se ha lavado los pies, ignora que necesita que el Amado la lave toda entera para ser realmente pura de todas sus inmundicias: "Cuando haya lavado el Señor la inmundicia de las hijas de Sión y haya limpiado las manchas de sangre del interior de Jerusalén, entonces extenderá Yahveh sobre el monte de Sión el resplandor de su gloria" (Is 4,4ss). Por ello el Señor le responde por medio de los profetas: Yo también he quitado mi Shekinah de en medio de ti (Ez 10,18s), ¿cómo podría volver? Puesto que tú has hecho obras malas y yo he santificado mis pies de tu impureza, ¿cómo podría volver a mancharlos en medio de ti con tus obras malas? ¿Has olvidado mi palabra "Éste es el lugar de la planta de mis pies, aquí habitaré en medio de los hijos de Israel para siempre y no contaminarán más mí santo Nombre con sus prostituciones" (Ez 43,7)?

La frialdad de la esposa frente a su fiel esposo refleja la frialdad de Israel en tantos momentos de su historia. Pero Dios, en su fidelidad, insiste, mete la mano en el agujero de la cerradura de la puerta, hasta estremecer las entrañas de la amada. "Vino a su casa y los suyos no le recibieron. Pero a todos los que la recibieron les dio poder de hacerse hijos de Dios" (Jn 1,11s). El Señor, cuyas entrañas maternas se estremecen ante la amada (Jr 4,19; 31,20; Is 16,11; 49,15), insiste sin cansancio: ¡Hijos míos!

Abridme un resquicio de penitencia como el ojo de una aguja y Yo abriré puertas tan grandes que podrán pasar por ellas carros camellos. "Cesad en vuestras malas acciones sabed que Yo soy Dios" (Sal 46,11). Es suficiente abrir un pequeño resquicio para que el Amado meta sus manos, estremezca nuestras entrañas y nos haga saltar del lecho. Un resquicio de conversión, un zureo de arrepentimiento le basta al Amado: "andarán por los montes, como palomas de los valles, gimiendo cada uno por sus culpas" (Ez 7,16), "zureando sin cesar como palomas, porque fueron muchas nuestras rebeldías frente a ti" (Is 59,11s). "A la tarde, a la mañana, al mediodía me quejo y gimo: él oye mi clamor" (Sal 55,18). El Señor está cerca de quien, con corazón contrito y humillado (Sal 51,19), "desahoga ante él su alma en pena"(1Sam 1,15s). "Mira, Señor, que estoy en angustia, me hierven las entrañas, el corazón se me retuerce dentro, pues he sido muy rebelde" (Lam 1,20s).

La confesión del propio pecado cambia radicalmente todo: La esposa ha escuchado la voz del Amado y le ha obedecido: se ha hecho hermana suya, amiga, paloma, perfecta. Se ha quitado la túnica de pieles, con que se había revestido después del pecado (Gén 3,21) y ha lavado el polvo de sus pies (Jn 13,10). En Cristo se ha quitado el velo de su corazón: "Sólo en Cristo desaparece el velo, puesto sobre los corazones. Cuando uno se convierte al Señor se arranca el velo" (2Cor 3,14-16). La redención de Cristo libra totalmente del pecado y hace innecesario el velo, que sólo cubría el pecado, sin eliminarlo. El hombre viejo es el que necesita del velo; quien se ha despojado de él se ha revestido del hombre nuevo (Col 3,9) no se corrompe siguiendo la seducción de las concupiscencias, pues está revestido del Hombre Nuevo, creado según Dios en justicia y santidad (Ef 4,22ss), es decir, está revestido de Jesucristo (Rom 13,14), que dejó en la tumba el sudario y las vendas, con que antes se había revestido (Jn 20,6-7).

La esposa, que se ha despojado de la túnica, no desea ponérsela de nuevo; le basta estar revestida de Jesucristo; le basta una sola túnica (Mt 10,10). Quienes han recibido la túnica blanca del bautismo, no pueden volver a revestirse de la túnica del pecado. Dos túnicas, la de Cristo y la del pecado, son inconciliables (2Cor 6,4). Y menos aún echar un remiendo nuevo en la túnica vieja, pues se haría un desgarrón y la situación sería peor que antes (Mc 2,21). Quien se ha revestido de la túnica luminosa, que mostró el Señor en su transfiguración (Mt 17,2), ¿como puede

aceptar vestir el andrajoso vestido del borracho el fornicador (Pr 23,21)?

Quien se ha lavado los pies para pisar la tierra santa (Ex 3,5), ¿cómo va a mancharlos otra vez? Moisés, que preparó las vestiduras sacerdotales según el modelo celeste que se le mostró en el Monte (Ex 28,4ss), no preparó sandalias para los pies. El sacerdote, que camina sobre tierra santa, no puede llevar en sus pies calzado de animales muertos. Por ello el Señor prohíbe a sus discípulos llevar sandalias (Mt 10,10) o caminar sobre el camino de los paganos (Mt 10,5). El Señor es el camino, por donde marchan quienes se han despojado de la vestidura del hombre muerto. La esposa ha comenzado a caminar por esa vía; el Señor le ha lavado los pies y se los ha secado (Jn 13,5), ¿cómo volver a ensuciarlos? Quien, por el bautismo, ha sido lavado, apoya sus pies sobre la roca y no sobre el fango: "Me sacó de la fosa fatal, del fango cenagoso; asentó mis pies sobre la roca, consolidó mis pasos" (Sal 39,3). La roca es el Señor (1Cor 10,4), que es luz (Jn 1,4; 8,12) y verdad (Jn 14,6), incorruptibilidad (1 Cor 15,53-57) y justicia (1 Cor 1,30), virtudes con que está empedrada la vía de la santidad. Quien camina por esta vía, sin desviarse ni a derecha ni a izquierda, encuentra al Señor: Mi Amado metió la mano por la cerradura y se me estremecieron las entrañas. La voz del Amado le hace presente. Un pequeño resquicio es suficiente para que él meta su mano y toque en lo más íntimo al alma. La mano o potencia de Dios hace exultar, estremece el ser del hombre, como saltó de gozo Juan en el seno de su madre ante la presencia del Señor en el seno de María (Lc 1,44). Es la exultación de los ciegos, cojos, leprosos y muertos a los que el Señor curó tocándoles con la potencia de su mano.


d) Le busqué y no le hallé

Me levanté para abrir a mi Amado y mis manos destilaron mirra, mirra fluida mis dedos, en el pestillo de la cerradura. Cuando sentí fuerte contra mí el golpe de la potencia del Señor, me arrepentí de mis obras, ofrecí sacrificios e hice subir el incienso de los aromas ante el Señor. Pero no fue acogida mi ofrenda, porque el Señor había cerrado frente a mí las puertas de la conversión: "Aunque grito y gimo, Él sofoca mi oración. Ha interceptado mis caminos con bloques de piedra, ha obstruido mis senderos" (Lam 3,8s). El Señor corrige a quien ama: "Que te enseñe tu propio daño, que tus apostasías te escarmienten;

 reconoce y ve lo malo y amargo que te resulta dejar a Yahveh tu Dios" (Jr 2,19). La gloria de Dios se ha alejado y ahora te toca caminar hacia el exilio "amargado, con quemazón de espíritu, mientras la mano de Dios pesa fuertemente sobre ti" (Ez 3,15s). Pero no desesperes, pues la mirra que destilan tus manos exhala el perfume del arrepentimiento. La mirra del sacrificio fluye sobre tus manos y las purifica. Ellas serán transformadas en fuentes de oro para la ofrenda del incienso en honor del Señor (Nm 7,84ss).

Si las puertas de la oración están cerradas, no lo están las de las lágrimas: "Escucha mi oración, oh Dios, inclina tu oído a mi lamento; no seas sordo a mis lágrimas" (Sal 39,13). La oración es como una cisterna, la penitencia como el mar; la cisterna está a veces abierta, a veces cerrada; pero el mar está siempre abierto, o sea, las puertas de la penitencia están siempre abiertas. Me levanté para abrir a mi Amado con el arrepentimiento; y mis manos gotearon mirra por la amargura de mi pecado. "Y Yahveh se arrepintió del mal" (Ex 32,14). La oración y las lágrimas conmueven al Señor: "Todo el que invoque el nombre del Señor será salvo" (JI 3,5). Di con el corazón: "me levanté para abrir a mi Amado". Me levanté de mi pecado para abrir a mi Amado con el arrepentimiento; mis manos gotearon mirra por la amargura y mis dedos destilaron mirra, pues el Señor pasó por alto tu rebelión "y se arrepintió del mal" (Ex 32,14); en verdad Israel puede decir: "Yo soy de mi Amado y Él me busca con deseo" (Cant 7,11). Nosotros somos débiles, pero oteamos y esperamos todos los días la salvación de parte del Señor. Y cada día declaramos dos veces que su Nombre es único, cuando decimos: "Escucha, Israel, Yahveh es nuestro Dios, Yahveh es único" (Dt 6,4).

La amada se levanta. Y mientras sus dedos levantan la manija de la cerradura, siente el perfume que ha dejado en ella la mano del Amado. Los dedos de la amada quedan impregnados del aroma del Amado. La mirra, con su olor fuerte y penetrante, es el perfume preferido del Amado, que visita a la amada en la noche, no para entrar donde ella, sino para sacarla del sueño. Por ello le deja un signo tangible de su venida: la mirra fluida de sus manos. Cuando el Amado metió la mano por la cerradura, a la esposa se le estremecieron las entrañas. El toque de amor del Amado la levantó y sus manos destilaron mirra. Ésta es la experiencia de todo el que se une al Señor. No es posible que él se una a nosotros, si antes no damos muerte a los miembros

terrenos (Col 3,5) y nos despojamos del velo de la carne (2Cor 3,16). De este modo las manos destilan mirra, se hacen fuente de mirra, llenando todos los dedos. Me levanté, porque había sido sepultada con él en la bautismo para la muerte. La resurrección no puede darse en quien no muere, es decir, en quien no da muerte a su hombre de pecado con todas sus pasiones.

Con la muerte del hombre viejo se da muerte a todas las pasiones; los dedos destilan mirra, es decir, la mortificación de las pasiones. La palabra dedos especifica las diversas formas, distintas unas de otras, de las pasiones. Es como si dijera: con la fuerza de la resurrección he dado muerte a los miembros terrenos (Col 3,5); pues ni es suficiente dar muerte a la intemperancia, si se alimenta el orgullo, la envidia, la ira, la ambición o cualquier otra pasión; si una vive en el interior, no es posible que los dedos destilen mirra. Si el grano de trigo no muere, no brota la espiga (1Jn 12,24). La muerte precede a la vida; sólo por la muerte se llega a la vida. Por ello, el Señor dice: "Yo doy la muerte y la vida" (Dt 32,39). Así Pablo, muriendo, vivía (2Cor 6,9-10); cuando estaba débil, entonces era fuerte (2Cor 12,10); encadenado, seguía su carrera (He 20,22-24): "pues llevamos este tesoro en vasos de barro para que aparezca que una fuerza tan extraordinaria es de Dios y no de nosotros. Llevamos siempre en nuestro cuerpo el morir de Jesús, a fin de que la vida de Jesús se manifieste en nuestro cuerpo. De modo que la muerte actúa en nosotros, mas en vosotros la vida" (2Cor 4,7ss).

Por la muerte, pues, llegamos a la vida. Su muerte nos levanta de la muerte, pues con su muerte es vencida la muerte. El hombre, creado a imagen de Dios, recibió de él el hálito de la vida (Gén 2,7), le dio además el Paraíso, que con su fertilidad alimentaba esa vida (Gén 2,9), y el mandamiento de Dios como ley de vida, pues prohibía al hombre morir (Gén 2,16-17). Pero junto al árbol de la vida estaba el árbol, cuyo fruto era la muerte, fruto que Pablo llamó pecado, al decir que "el fruto del pecado es la muerte" (Rom 6,23). El árbol era bello, pues todo pecado tiene siempre su placer, sea el de la ira, el de concupiscencia o cualquier otro; era bello, pero dañino, como "la miel que destilan los labios de la extraña, que es dulce al paladar, pero al fin es amargo como ajenjo, mordaz como espada de dos filos" (Pr 5,3-4). De este modo fue engañado el hombre, comiendo del fruto prohibido, y el pecado le llevó a la muerte. El hombre gustó la

 muerte; perdió la vida. Acogió en sí una vida que es muerte; nuestra auténtica vida quedó, por tanto, muerta. Por ello, cuando el hombre se une a Cristo, da muerte a esa muerte que lleva en sí y recobra la vida perdida. Sólo muriendo a la vida del pecado recobra la vida (Rom 6,11). Por ello la esposa, al levantarse con la llegada del Esposo, muestra que sus manos destilan mirra, porque ha muerto al pecado y vive para quien es su vida (1Jn 14,6). El discípulo de Cristo vive esta muerte cada día (1Cor 15,31), experimentando así "el poder de la resurrección del Señor y la comunión en sus padecimientos hasta hacerse semejante a él en su muerte, tratando de llegar a la resurrección de entre los muertos" (Flp 3,10-11).


e) Herida de amor

Abrí a mi Amado, pero Él ya no estaba. El alma se me salió en su huida. Le busqué y no le hallé, le llamé, y no me respondió. Abrí a mi Amado, lo busqué, pero él había quitado su Shekinah de en medio de mí. Mi alma, en su ausencia, anheló oír la voz de sus palabras. Busqué su gloria y no la encontré; oré delante de Él, pero oscureció el cielo con nubes y no escuchó mi oración: "Te has envuelto en una nube, para que no pase la oración" (Lam 3,44). Al abrir la puerta, me encontré con el vacío. El Amado se había disuelto como una sombra (Sal 144,4). Pero el amor se enciende y la amada sale en busca del Amado por las calles y plazas de la ciudad desierta. A sus llamadas sólo responde el silencio. Como mujer perdida, vagabunda, recorre la ciudad. De pronto, en una esquina, me encontraron los guardias que hacen la ronda en la ciudad. Me golpearon, me hirieron, me despojaron del manto los guardias de la muralla. Pero nada puede alejar a la amada del amor de su vida: ni la tribulación, ni la angustia, ni la persecución, ni el hambre, la desnudez, los peligros, la espada, ni la muerte, ni la vida, ni otra criatura alguna podrá separarla del amor de Dios, manifestado en Cristo Jesús, Señor nuestro (Rom 8,35ss). Ella sigue buscando al Amado, llamando en su auxilio a las hijas de Jerusalén. La voz del Amado ha suscitado la sed irresistible de su palabra: "He aquí que vienen días en que yo mandaré hambre a la tierra, no hambre de pan ni sed de agua, sino de oír la palabra de Dios. Entonces vagarán de mar a mar, de norte a levante andarán errantes en busca de la palabra de Dios, pero no la encontrarán" (Am 8,11-12).

 Me agarraron los caldeos, que guardaban las calles y cerraban el cerco alrededor de la ciudad de Jerusalén. Mataron a algunos de los míos a espada; a otros los condujeron a la esclavitud. Y quitaron la diadema del reino del cuello de Sedecías, rey de Judá, lo llevaron a Ribla, cegaron sus ojos, los hombres de Babilonia, que asediaban la ciudad y guardaban los caminos (2Re 25,1-7). "De la planta del pie a la cabeza no hay en ella cosa sana: golpes, magulladuras y heridas frescas, ni cerradas, ni vendadas, ni ablandadas con aceite. Ha quedado la hija de Sión como cobertizo en viña, como choza en pepinar, como ciudad sitiada" (Is 1,6ss). "Por cuanto son altivas las hijas de Sión y caminan con el cuello estirado guiñando los ojos, y andan a pasitos menudos, haciendo tintinear las ajorcas de los pies, el Señor rapará sus cabezas, desnudará sus vergüenzas y arrancará sus adornos: ajorcas, diademas, pendientes, pulseras, velos, trajes, mantos, chales, vestidos de gasa y de lino..." (Is 3,16ss).

El Amado llega llama; con su mano estremece levanta a la esposa, pero pasa adelante, sin detenerse jamás, invitando a la esposa a salir de sí misma, a seguirle, a buscarle en las calles y plazas, en la vida. La llave que abre el pestillo de la cerradura de la puerta estrecha (Mt 7,14) es la fe viva, que actúa en la caridad (Gál 5,6; ICor 13,2ss; Sant 2,14ss). Son las llaves que el Señor da a quien tiene la fe de Pedro (Mt 16,16-19). Con su huida el Esposo no abandona a la esposa, sino que la arrastra en pos de él. ¡Dichoso quien sale de s1 siguiendo al Esposo! El Señor guardará sus entradas y salidas (Sal 120,8). Cristo mismo se presenta como la puerta, de modo que "quien entra por mí, estará a salvo, entrará y saldrá" (Jn 10,9; 14,6).

La experiencia de la esposa es la misma de Moisés. Cuando quiso ver el rostro de Dios, Dios pasó ante él siguió adelante, sin detenerse (Ex 33,19-23). Deslumbrado por la visión de Dios, Moisés caminó de gloria en gloria, hasta el final de su vida. Ya desde el comienzo prefirió el oprobio de Cristo a los tesoros de Egipto (Heb 11,25-26) y estimó más sufrir con el pueblo de Dios que el placer momentáneo del pecado. Arriesgó su vida, dando muerte el egipcio, para defender al israelita (Ex 2,11-12). Luego su oído fue iluminado gracias a los rayos de la luz (Ex 3,1 ss); para ello descalzó sus pies de todo revestimiento egipcio; destruyó con el bastón las serpientes de Egipto (7,12); liberó de la esclavitud del Faraón al Pueblo de Dios, al que guió mediante la nube (13,21), dividió en dos partes el mar (14,21-31), sumergió en las aguas la tiranía, hizo dulces las aguas amargas (15,25),

 golpeó la roca (17,6), se sació del pan de los ángeles (Sal 77,25), oyó las trompetas de los cielos (19,19), subió al monte que estaba envuelto en llamas (19,20ss), penetrando dentro de la nube (24,18), en cuya oscuridad se hallaba Dios (20,21), recibió el testamento (31,18), su rostro quedó radiante, pues en él brillaba la luz inaccesible del Señor (34,29-35)... Su vida fue un caminar continuo de teofanía en teofanía. Y, sin embargo, su deseo del Señor no quedó nunca saciado. Aunque Dios hablaba con él "cara a cara" (Ex 33,11), "boca a boca" (Nú 12,8), aún suplica: "Si realmente he hallado gracia a tus ojos, hazme saber tu camino, para que yo te conozca y halle gracia a tus ojos" (Ex 33,13). Y el Señor pasó ante él, pero antes le metió en la hendidura de la roca, le tapó los ojos con la mano, y sólo logró ver las espaldas, después que Él hubo pasado (Ex 33,21-23). A Dios sólo se le ve de espaldas, sólo lo ve quien le sigue. Dios nunca se deja apresar. Está siempre de paso, en pascua. Es el comienzo del Cántico espiritual de san Juan de la Cruz: "¿Adónde te escondiste, Amado, y me dejaste con gemido? Como el ciervo huiste habiéndome herido; salí tras ti clamando, y eras ido"
Aunque diga que buscó al Amado y no lo halló, le llamó no la respondió, no es inútil su salida tras el Esposo. Las palabras: Me encontraron los guardias que hacen la ronda en la ciudad. Me golpearon, me hirieron, me despojaron del manto los guardias de la muralla, no son un lamento, sino las palabras con que la esposa se gloría, como Pablo, mostrando sus trofeos por seguir a Cristo: "Porque pienso que a nosotros, los apóstoles, Dios nos ha asignado el último puesto, como condenados a muerte. Nosotros, necios por seguir a Cristo, débiles, despreciados, hasta el presente pasamos hambre, sed y desnudez. Somos abofeteados, andamos errantes" (1Cor 4,9ss). "Nos recomendamos en todo como ministros de Dios: con mucha constancia en tribulaciones, necesidades, angustias, en azotes, cárceles, sediciones, en fatigas, desvelos, ayunos." (2Cor 6,4ss). "De cualquier cosa que alguien presuma, yo más que ellos. Más trabajos, cárceles y azotes; en peligros de muerte. Si hay que gloriarse, me gloriaré en mis flaquezas. Con sumo gusto seguiré gloriándome sobre todo en mis flaquezas, para que habite en mí la fuerza de Cristo. Por eso me complazco en mis flaquezas, en las injurias, en las necesidades, en las persecuciones, y las angustias sufridas por Cristo" (2Cor 11,11-12,10). "¡Dios me libre de gloriarme si no es en la cruz de nuestro Señor Jesucristo, por el cual el mundo está crucificado para mí y

 yo para el mundo! En adelante nadie me moleste, pues llevo sobre mi cuerpo las señales de Jesús" (Gál 6,14-17). Las cicatrices de los malos tratos sufridos por Cristo (2Cor 4,10; Col 1,24) son más gloriosas que cualquier otra señal en la carne (Flp 3,7).

Los siervos del Guardián de Israel, que encuentran a la esposa, la despojan del velo, que cubría su cabeza y sus ojos, impidiéndola correr sin tropezar y ver al esposo (Gn 24,65). El poder del Espíritu arranca el velo al discípulo de Cristo, para que camine con libertad: "Cuando uno se convierte al Señor, se arranca el velo. Porque el Señor es Espíritu, y donde está el Espíritu del Señor, allí está la libertad. Por eso nosotros, que con el rostro descubierto reflejamos como en un espejo la gloria del Señor, nos vamos transformando en esa misma imagen cada vez más gloriosos: así es como actúa el Señor, que es Espíritu" (2Cor 3,16-18). A esta transformación se ordenan los golpes y heridas de los guardias: "No ahorres corrección al niño, que no se va a morir porque le castigues con la vara. Con la vara le castigarás y librarás su alma de la muerte" (Pr 23,13-14). El Señor mismo "hiere para sanar" (Dt 32,39). Por ello la esposa puede decir: "Tu vara y tu cayado me consuelan" (Sal 22,4). Con la vara del Señor se atraviesa el valle oscuro y se prepara el fiel para participar en la mesa divina, donde es ungido con el óleo y bebe del cáliz el vino puro, que produce la "sobria embriaguez".

El alma se me salió en su huida, pero quien pierde su alma por Cristo, la guarda para la vida eterna (Jn 12,25). Los profetas los apóstoles, guardias apostados día noche sobre Jerusalén (Is 62,6), me encontraron y golpearon con su palabra, pues no callan hasta restablecer a Jerusalén como alabanza de toda la tierra (Is 62,6-7). Gracias a sus golpes "estoy herida de amor""llevo en mi cuerpo las señales de Jesucristo" (Gál 6,17). Con las señales de Cristo en el cuerpo, con el rostro descubierto, despojada del velo, en mí se refleja, como en un espejo, la gloria del Señor (2Cor 3,18).

Os conjuro, hijas de Jerusalén, si encontráis a mi Amado, ¿qué le diréis? Que estoy enferma de amor. La amada ha descubierto que, sola, no puede encontrar al Amado. Necesita implorar a las hijas de Jerusalén, sus compañeras, que le busquen con ella, que la acompañen en su búsqueda, que intercedan por ella ante el Amado, que le digan que está herida, enferma de amor. "Pastores los que fuerdes allá por el otero, si por ventura

 vierdes aquel que yo más quiero, decidle que adolezco, peno y muero" (S. Juan de la Cruz).

 

 

 

 

 

 

 

CATEQUESIS CONVIVENCIA DE SHEMA A CUANDO DORMIA

 

Me gustaría decir dos palabras sobre este canto. Este canto que es todo él palabra de Dios, dice: “Cuando dormía, más mi corazón velaba, la voz de mi amado sentí”. “Cuanto dormía” significa cuando me alienaba, cuando perdía la vida durmiendo; “pero mi corazón velaba”, es decir, no era feliz. Mi corazón, que ha sido creado por Dios (como dice san Agustín) sólo podrá reposar en Dios; por tanto buscaba alguna otra cosa.

 

Entonces, en esta situación en que me encontraba, sentí la voz de mi amado. Todos nosotros nos encontramos en esta situación: caminando, trabajando, con nuestras cosas, con nuestros problemas cotidianos, sintiéndonos poco satisfechos interiormente, de manera que la voz de mi amado, la voz de Jesucristo, por medio de la catequesis, por medio de esta convivencia, sentí.»

 

«Y esta voz me ha dicho: “Ábreme, paloma; déjame entrar, hermana mía”. Los hebreos dicen en el Talmud que el Señor necesita que nosotros abramos un poco la puerta, aunque sea una abertura tan pequeña como un alfiler; porque si nosotros no abrimos la puerta (dice el Talmud, que es el comentario rabínico a la Torá, a la Escritura), no somos nosotros los que permanecemos cerrados; sino que es Dios el que permanece cerrado.»

 

«Puesto que Dios es amor, tiene necesidad de transmitirse, de entrar en nosotros. Si el hombre le cierra la puerta; le cierra su corazón, Dios permanece cerrado. Dios no se realiza (si se puede
 decir así). Dios tiene necesidad absoluta de entrar en ti, porque Dios te ama con todo su corazón.»

 

«Dios, para convencerte de que le abras la puerta, no sólo te tienta diciéndote: “Ábreme, mis rizos están cargados del rocío de la noche, quiero hacer el amor contigo”. En esta imagen, que presenta a Dios como un esposo, que quiere entrar donde la esposa, es también Dios mismo, que trata de abrir introduciendo la mano por la abertura de la puerta, tratando de alcanzar el cerrojo de la puerta para abrirla. Cuando la amada ve la mano de su amado, todas sus vísceras se estremecen e inmediatamente se levanta para abrir la puerta y sus manos destilan mirra exquisita, sobre el pestillo.

 

Pero al abrir la puerta sucede una cosa extraña, que quizás no entendamos: el amado se ha ido, ya no está. Este acontecimiento en lugar de desalentar a la amada, le hace morir todavía más de amor; el alma se viene abajo, se siente destruida; después de haber sido capaz de despertar del sueño, que ha sido capaz de ponerse en marcha, sucede que el amado se ha marchado. Y entonces sale a buscarlo a la carrera, pregunta a todos los que se encuentra, porque se muere de amor, porque comienza a sentir amor, un amor que ha nacido tal vez para el placer.»


«Lo llama, lo busca por las plazas y por los campos y el amado no aparece; entonces la encuentran los guardias que hacen la ronda de la muralla, la golpean, la desnudan, la violan.

 

Esto es algo que nosotros tenemos que experimentar. ¿Por qué?

Aunque tal vez alguno de vosotros, hoy y en este camino ha sentido que esta palabra se tiene que cumplir, porque la esposa, al final del canto dice: “Oh, si tú fueses mi hermano, te podría abrazar sin provocar escándalo” y entonces yo te podría besar como una hermana besa a su hermano cuando regresa de un largo viaje y le encuentra en la puerta. “Os conjuro, hijas de Jerusalén, si encontráis a mi amado decidle que muero de amor”. Porque, hermanos, lo que nos cura no es ser amados, sino ser capaces de amar. Esta es la obra del Señor: os pone en marcha hasta que sintáis amor, con persecuciones, etc., y buscaréis a Dios.

 

No importará que te encuentres a los guardias de la muralla y que te desnuden, que te hagan sufrir, que la vida se transforme en un drama, cuando te des cuenta que en ti ha nacido un amor inmenso hacia Jesucristo, que se expresa en el amor a los hermanos. Esta frase: “Si tú fueses mi hermano…” se realiza en la comunidad cristiana. En Jesucristo. Dios se ha hecho nuestro hermano; y en la Iglesia podemos besar a Jesucristo en el beso de la paz, porque sabemos ontológicamente que los hermanos de la Iglesia son los hermanos de Jesucristo, son el mismo Jesucristo.»

 

«Si vosotros no entendéis esto ni que lo importante no es ser amado, sino ser capaces de amar, entonces no entenderéis nada de nuestra existencia y por qué en un cierto punto sentimos y después de improviso ya no sentimos, porqué suceden ciertas cosas que nos parecen horribles. Cantamos, hermanos, este canto.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CATEQUESIS CONVIVENCIA DE 2DO. ESCRUTINIO A CUANDO DORMIA


Este canto nos dice algo importante, necesario para todos los que estamos aquí, y es bueno repetirlo incluso si ya lo sabéis.»

 

«Dice: "Mi corazón velaba mientras yo dormía”. Esta es una forma de hacer ver que todos dormimos en la vida, tratando de ser felices a nuestro modo, alienándonos y buscando nuestra felicidad. Nuestro corazón vela, pero no es feliz. Así como dice San Agustín: "Mi corazón ha sido creado por Dios y está inquieto hasta que descanse en Ti".»

 

«En efecto, nuestro corazón vela porque aunque tengas una casita en la montaña, un automóvil, incluso si ganas bastante, en verdad no eres feliz. Tu corazón vela y tú estás dormido con el fútbol, la televisión, el viaje al campo, y en realidad no eres feliz. En estos acontecimientos que vive el hombre, en uno cualquiera de ellos, Dios nos ha encontrado, escuchamos la voz del amado que llama como un enamorado a su esposa. Esta es la imagen de la llamada de Dios: un amado que trata de seducir, que tienta a la amada para que le abra; la invita, de noche, a abrir la puerta, a dejarle entrar. Dice el Talmud acerca de este texto que dice: "Ábreme, paloma; ábreme hermana", que si el hombre no abre siquiera un poquito, ni siquiera una rendija fina como una aguja, Dios permanece cerrado porque Dios, la esencia misma de Dios, es amar, es transcender, es donarse a nosotros, a la criatura que ha creado. Si el hombre no abre la puerta, Dios permanece bloqueado. No es el hombre quien permanece cerrado; es Dios quien permanece, por decirlo así, frustrado, según el modo rabínico de hablar, paradójico para que la gente lo entienda mejor.»

 

«Dios está deseando unirse al hombre, amarle. Pero lo curioso de todo esto es que Dios no sólo te habla en la catequesis, habla a tu espíritu y te ha despertado, sino que también introduce la mano por la rendija de la puerta para tratar de abrir el pestillo y actúa para conmoverte: te ha hecho sentir cosas maravillosas en la catequesis o no sé qué.»

 

«Hasta el punto que te ha obligado incluso a levantarte de tu sueño e ir a abrir la puerta. Lo paradójico es que cuando se abre la puerta, el Amado no está allí. El Amado se ha ido. ¡Bien! Incluso me ha obligado a levantarme y ahora no está. ¿Por qué no está? Exactamente por esto, porque el amor, desde que te
 levantaste hasta que abriste la puerta y viste que no estaba, que Jesucristo no estaba allí, el amor no ha disminuido, el amor ha crecido hasta el punto que saliste a preguntar "¿Dónde estás?" diciendo: "Hijas de Jerusalén, si encontráis a mi amado, decidle que muero de amor". Y buscando al amado ha llegado la persecución. Y te han despojado, te han golpearon tanto que tú, como la amada, has dicho: "Si fueras mi hermano, podría besarte sin escandalizar". Es decir: en Jesús, Dios se ha hecho nuestro hermano; y, en el abrazo de la paz, nosotros los cristianos podemos abrazarle y darnos cuenta de esto: besar a Jesucristo en los hermanos de la comunidad.»

 

«Porque lo importante no es ser amado, sino amar, llegar a amar. Por esto, el camino que Dios está haciendo contigo es llevarte al Amor. 

 

Dios también escapa de tu vida, desaparece, para que descubras que no sólo el pan vive en el hombre, sino de cada palabra que sale de la boca de Dios. Muchas veces, dejas la comunidad creyendo que aquí no te dan mucho, y tratas de vivir del pan, pero luego vuelves a la comunidad porque no solo de pan vive el hombre, porque no te satisface todo lo que tienes en la vida, sino que hay algo que realmente extrañas.»

 

«Digo estas cosas porque quizás alguien, muy sentimental, ve que Jesucristo se ha ido y no siente nada y no sabe por qué. Yo os invito siempre a la sabiduría, a la iluminación de vuestra historia, a no ser -como os dije ayer- ciegos como ladrillos, cabreados porque todo os sale mal, sin tener absolutamente ninguna iluminación, en una actitud de constante murmuración del corazón. Prestad atención porque por esta actitud de constante murmuración del corazón, Dios ha castigado a su pueblo y ellos no entraron en su descanso. Ni siquiera Moisés. Y San Pablo dice que esto ha sucedido por nosotros.

 

Cantamos este canto.

 

martedì 22 ottobre 2024

CONVIVENZA DI INIZIO CORSO Porto S. Giorgio, 26 settembre – 29 settembre 2024. CATECHESI ORIGINALE SCRITTA.

 




PADRE MARIO PEZZI

IL GIUBILEO 2025


Carissimi fratelli,

In preparazione al Giubileo dell’anno 2025, in questa catechesi all’inizio del corso,

con l’aiuto del Signore cercherò di presentare alcuni aspetti particolari del nuovo

Evento, con cui il Signore ci viene nuovamente incontro, per comunicarci il suo

Amore e la sua Misericordia.

Vi confesso che anche quest’anno, mi sono trovato in tribolazione per sintetizzare,

in poche pagine e in poco tempo, tutta la ricchezza che comporta una Catechesi sul

Giubileo 2025.

Spero nella vostra comprensione, per le lacune che troverete nel testo che ho

preparato, riducendo al minimo i riferimenti al Giubileo, presentando solamente

alcuni aspetti, come un invito a conoscere personalmente soprattutto la Bolla di

Indizione per il Giubileo dell'anno 2025 scritta da Papa Francesco.


IL GIUBILEO DELL’ANNO 2025


Penso che parecchi di voi abbiate già ascoltato la Catechesi di inizio corso

dell’anno 1999, in preparazione al grande Giubileo dell’anno 2000. Nella catechesi

di quest’anno ne farò presente alcuni degli aspetti più importanti, perché possiamo

accogliere con gratitudine questo dono che ci offre il Signore.

Bolla di Indizione del Giubileo nell’anno 2025 Spes non Confundit 2

Papa Francesco, nella Bolla di Indizione del Giubileo 2025, scrive: “«Spes non

confundit», «La speranza non delude» (Rm 5,5). Nel segno della speranza

l’apostolo Paolo infonde coraggio alla comunità cristiana di Roma”. “Per tutti,

possa essere un momento di incontro vivo e personale con il Signore Gesù, «Porta»

di salvezza (cfr. Gv 10,7.9); con Lui, che la Chiesa ha la missione di annunciare

sempre, ovunque e a tutti quale «nostra speranza» (1Tm 1,1)” (1). «Giustificati

dunque per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù


2Papa Francesco, Spes non Confundit, Dato a Roma, presso San Giovanni in Laterano, 9 maggio 2024



Cristo. Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia

nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio. [...]

La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori

per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,1-2.5). (2)


INTRODUZIONE


Data l’ampiezza dell’esposizione sul Giubileo ho pensato di suddividere questa

catechesi in due parti.

In una prima parte cercherò di esporre alcuni aspetti più significativi sul

Giubileo rivelati da Dio al popolo di Israele, per bocca di Mosè, tramandati nel

libro del Levitico. Ringrazio in modo particolare don Francesco Voltaggio per la

sua assistenza e collaborazione nella stesura di questa prima parte, e anche Don

Ezechiele Pasotti per le sue osservazioni e formattazione del testo.

In una seconda parte: presenterò come la Chiesa ha recepito e trasmesso il

Giubileo dal popolo di Israele per tutta la Chiesa, cercando di illustrare alcune delle

parole chiavi: termini come le indulgenze, il pellegrinaggio, la Porta: che nella

nostra nuova epoca possono evocare tempi ormai sorpassati o medioevali.

Il Giubileo del Popolo di Israele

Per presentare e prepararci al Giubileo del prossimo anno 2025, il Signore

quest’anno mi ha ispirato di ricorrere al Libro del Levitico, dove dopo la

Rivelazione del Sinai nel Libro dell’Esodo, si descrivono le norme del Culto che

Dio ha dato al popolo di Israele, per bocca di Mosè.

Ho cercato di partire da quanto indicato dal Signore al popolo di Israele per

mostrare l’intima connessione a quel popolo scelto da Dio, con i Giubilei celebrati

durante i secoli nella Chiesa Cattolica.

Ho voluto sottolineare questo stretto collegamento tra l'Antico e il Nuovo

Testamento, ispirandomi a due testi che ne confermano l’intima connessione anche

con la celebrazione del prossimo Giubileo 2025:

Il libro dell’Apocalisse al capitolo 21 così descrive la Gerusalemme celeste.

L’angelo mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da

Dio, risplendente della gloria di Dio. La città è cinta da un grande e alto muro

con dodici porte: sulle quali sono scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli


d’Israele. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali

sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello (Ap 21,10-14).

Ho voluto presentare quest’immagine, per sottolineare che, per far parte della

Gerusalemme celeste, bisogna entrare dalle dodici porte: sulle quali sono scritti, i

nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele, ma che è fondata sui dodici Apostoli

dell’Agnello.

Così come esplicita San Paolo nella lettera agli Efesini:

Fratelli, voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e

familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti,

avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù. In lui tutta la costruzione

cresce ben ordinata per essere Tempio Santo nel Signore; in lui anche voi

venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello

Spirito (Ef 2,19-22).

DAL LIBRO DEL LEVITICO

Prima di entrare nel libro del Levitico, richiamo alcuni testi dal libro dell'Esodo e

dal libro dei Numeri, come introduzione.

La rivelazione di Dio sul monte Sion: il Decalogo.

Dopo la manifestazione sul Monte Sinai, Dio consegna a Mosè, le due Tavole

incise con i Dieci Comandamenti, il Decalogo, o le 10 Parole, come ci ripeteva

Carmen, perché più che comandi, in realtà, sono delle norme, quasi come

indicazioni stradali, per percorrere il cammino della Vita. Perché Dio è Dio della

vita, e non dei morti. Infatti, nel libro del Deuteronomio il Signore afferma:

«Io ti ho posto davanti la vita e la morte, scegli dunque la vita, perché viva

tu e la tua discendenza, amando il Signore tuo Dio, obbedendo alla sua voce

e tenendoti unito a lui, poiché è lui la tua vita e la tua longevità, per poter così

abitare sulla terra che il Signore ha giurato di dare ai tuoi padri, Abramo,

Isacco e Giacobbe» (Dt. 30, 19-20)


Conclusione dell’Alleanza

In seguito, “Mosè scrisse tutte le parole del Signore, poi si alzò di buon mattino

e costruì un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù d’Israele.

Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi

come sacrifici di comunione, per il Signore.

Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l’altra metà

sull’altare. Quindi prese il libro dell’Alleanza e lo lesse alla presenza del popolo.

Dissero: «Quanto il Signore ha ordinato, noi lo faremo e lo eseguiremo!».

Allora Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: «Ecco il sangue


dell’alleanza, che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste

parole!» (Es 24, 4-8)

E dopo aver consegnato le tavole dell’Alleanza, il Signore sancisce il patto

dell’Alleanza con il popolo. Proclamando per bocca di Mosè al popolo: “se vorrete

ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me la proprietà

tra tutti i popoli, perché mia è tutta la terra. Voi sarete per me un Regno di Sacerdoti,

una nazione santa” “Tutto il popolo rispose insieme e disse: quanto il Signore ha

detto noi lo faremo” (Es. 19,5-8).

In seguito, volendo che la sua GLORIA abitasse in un Tabernacolo tra il popolo,

“Il Signore disse a Mosè: ordina agli israeliti... essi mi faranno un santuario e io

abiterò in mezzo a loro eseguirete ogni cosa secondo quanto ti mostrerò secondo il

modello della dimora e il modello di tutti i suoi arredi” (Es 25,1.8-9), dando precisi

ordini sui materiali e le modalità della sua costruzione, sulla quale il Signore farà

riposare la sua Gloria, la sua Presenza, per guidare il popolo, di notte sotto forma

di una colonna di fuoco e di giorno sotto forma di una colonna di nube

La santità di Dio in un popolo di peccatori

Per comprendere come la santità di Dio possa essere presente in mezzo a un

popolo peccatore è necessario comprendere il significato della parola “Santo”.

Nel libro del Deuteronomio il Signore proclama: «Ascolta Israele, Il Signore è il

nostro Dio, il Signore è uno solo, tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore,

con tutta l’anima e con tutte le forze» (Dt 6, 4-9)

Nella Sacra Scrittura, il termine “Santo” significa “essere separato” o “Unico”.

Dio, come Creatore di tutte le cose e Autore della vita, è separato da ogni altra

cosa. Ma essendo Dio Santo, lo deve essere anche lo spazio intorno a lui, per

manifestare la sua Bontà, la Vita, la Purezza e la Giustizia.

«Stabilirò la mia dimora in mezzo a voi e non vi respingerò. Camminerò in

mezzo a voi, sarò vostro Dio e voi sarete il mio popolo» (Lv 26,11-12).

Ma Dio sa di abitare in mezzo a un popolo peccatore infedele e non si

scandalizza dei loro peccati. Sa che sono peccatori e che lo tradiranno, ma non

tollera che vadano alla Tenda della sua presenza in stato di impurità rituale,

oggi lo chiameremmo in stato di peccato.

La purezza rituale (Lv 11–16)

Per questo, nella sua misericordia, per bocca di Mosè, Dio detta al popolo alcune

norme da osservare per presentarsi alla sua presenza, dopo aver offerto alcuni

sacrifici per il perdono dei peccati e così essere purificati.


Un israelita poteva diventare impuro in diversi modi: entrando in contatto con

malattie della pelle, oppure toccando muffe o cadaveri, ovvero con tutto quanto era

associato alla mortalità e alla perdita della vita. Perché la morte è l’opposto della

santità di Dio, in quanto l’essenza di Dio è la Vita.

Altra causa di impurità, era il consumo alimentare di certi animali, non attenersi alle

leggi del cibo kosher o norme igieniche. Queste e altre norme erano per ricordare a

Israele che la santità di Dio doveva interessare tutte le aree della loro vita. Gli

israeliti sono chiamati a vivere in modo diverso dai cananei, a prendersi cura dei

poveri anziché ignorarli, ad avere un alto livello di integrità sessuale e promuovere

la giustizia in tutta la loro terra.

I Sacerdoti: mediatori tra Dio e il popolo di Israele

In vista della purificazione, Dio ordina a Mosè di consacrare Aronne e i suoi figli,

come Sacerdoti, mediatori tra Dio e il popolo.

“Il Signore parlò a Mosè: procurati balsami pregiati, ne farai l'olio per

l'unzione sacra...Ungerai anche Aronne e i suoi figli e li consacrerai

perché esercitino il mio sacerdozio. Agli israeliti dirai: questo sarà per

voi l'olio dell'unzione sacra per le vostre generazioni (Es.30, 1. 30-31)”

Il libro del Levitico stabilisce pertanto i requisiti per essere consacrati Sacerdoti:

essi devono avere un alto livello di santità morale e rituale, in quanto

rappresentanti del popolo davanti a Dio e viceversa.

Il Signore ordina a Mosè di consacrare con l’olio sacro, Aronne, e i suoi figli

come sacerdoti, facendo presente l'importanza di vivere santamente alla presenza

di Dio: «In coloro che mi stanno vicino, mi mostrerò Santo e alla presenza di

tutto il popolo sarò glorificato» (Lv 10,3).

Per avere un’idea dell’importanza della santità dei Sacerdoti, il Levitico ci presenta

un fatto terribile: subito dopo la consacrazione della famiglia di Aronne, due dei

suoi figli, Nadab e Abiu, piombano in modo irruento nella Tenda alla presenza di

Dio, infrangendo palesemente le norme del Signore. Per tale ragione, vengono

divorati dal fuoco (cf. Lv 10,1-2). Questo fatto ci fa presente l’importanza di

vivere alla presenza di un Dio Santo. Egli è Bontà pura, ma diventa pericoloso

per coloro i quali si ribellano e insultano la sua Santità.


Per questo è fondamentale che i sacerdoti d’Israele diventino santi e con loro

anche il popolo d’Israele.

Il Levitico presenta vari modi in cui Dio aiuta Israele, popolo peccatore, a vivere

alla sua santa Presenza.

Prima di proseguire desidero leggervi un testo dalla Omelia del Papa emerito

Benedetto XVI, sulla interpretazione dell'osservanza delle Leggi e le Norme nell’

Antico Testamento, parlando di San Giuseppe “che era giusto” (Mt.1, 19).3

"San Giuseppe è un giusto, esemplare ancora dell’Antico

Testamento. Ma qui vi è un pericolo e insieme una promessa, una porta

aperta". "Il pericolo è che, se la Parola di Dio è sostanzialmente

Legge, l’uomo rimane in sé stesso, cerca di perfezionarsi, di essere un

perfetto. La promessa invece è: possiamo anche vedere queste

prescrizioni, come espressione della volontà di Dio, nella quale Dio

parla con me, io parlo con Lui. Entrando in questa legge entro in

dialogo con Dio, imparo il volto di Dio, comincio a vedere Dio e così

sono in cammino verso la parola di Dio in persona, verso Cristo. E

un vero giusto, come san Giuseppe è così: per lui la legge non è

semplice osservanza di norme, ma si presenta come una parola di

amore, un invito al dialogo, e la vita secondo la parola è entrare in

questo dialogo e trovare dietro le norme e nelle norme l’amore di Dio,

capire che tutte queste norme non valgono per sé stesse, ma sono regole

dell’amore, servono perché l’amore cresca in me. Così si capisce che

finalmente tutta la legge è solo amore di Dio e del prossimo”.

Alla luce di questa riflessione, possiamo comprendere come i grandi profeti

suscitati da Dio al tempo dell'Esilio di Babilonia, ricevono la missione di Dio

di smascherare una osservanza rituale, esteriore ipocrita, mentre si

sfruttava il debole e il povero, e profetizzano un nuovo Mosè che avrebbe

posto il suo spirito e scritte le sue leggi nei nostri cuori. E’ il pericolo della

ipocrisia, in cui tutti possiamo cadere, esteriormente sembriamo buoni e giusti,

ma dal nostro cuore nascono le passioni, contro cui dobbiamo costantemente

combattere.


3 Angela Ambrogetti, Da una omelia del Papa emerito Benedetto XVI, nella cappella del Monastero Mater

Ecclesiae, 27 dicembre 2013. Registrato e trascritto dalle Memores Domini che l’assistevano e pubblicato da

un giornale tedesco con l'approvazione della Fondazione Vaticana Ratzinger (ACI Stampa).


I sacrifici rituali (Lv 1–7)

Per poter accedere alla presenza di Dio nella Tenda, è necessario anzitutto offrire

diversi sacrifici, sia per alimentare la comunione del Popolo con Dio, sia in

riparazione dei propri peccati individuali e comunitari, in modo da ottenere la

purezza rituale per presentarsi al suo cospetto.

Simbologia del sangue

Prima di parlare dei sacrifici è necessario parlare della simbologia del sangue.

Nella lettera agli Ebrei San Paolo scrive che secondo la legge quasi tutte le cose

vengono purificate con il sangue e senza spargimento di sangue non esiste perdono

(Eb. 9, 22).4

Il sangue era per gli ebrei, ma anche per tutti gli orientali antichi, la sede della vita.

Nel libro della Genesi, è scritto: «Soltanto non mangerete la carne con la sua

vita, cioè con il suo sangue» (Gen 9,4) Versare sangue umano era punito con la

morte, perché l’uomo è fatto ad immagine di Dio e la sua vita, che è nel sangue,

è per conseguenza sacra. Si aveva il diritto di uccidere gli animali e di mangiarli

a condizione di non consumare il loro sangue, perché la vita appartiene a Dio.

Il sangue degli animali durante i sacrifici veniva trattato secondo le prescrizioni

rituali (Lv 3,8).

Per comprendere l’importanza del sacrificio mediante lo spargimento del

sangue, è necessario ricorrere al sacrificio di Isacco, il figlio della promessa.

Nel libro della Genesi è scritto: Abramo stese la mano e prese il coltello per

immolare suo figlio. Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse:

«Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». L’angelo disse: «Non stendere la mano

contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai

rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio». Allora Abramo alzò gli occhi e vide un

ariete impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l'ariete e

lo offrì in olocausto invece del figlio. Abramo chiamò quel luogo: «Il Signore

provvede», perciò oggi si dice: «Sul monte il Signore provvede» (Gen 22,11-14)

Nel sacrificio di Isacco, Dio ha provvisto un ariete da sacrificare al suo posto.

In prefigurazione del sacrificio di Gesù Cristo che ha accettato di essere

sacrificato al nostro posto. Questo aspetto di “Sostituzione Vicaria” sarà

4 V. Nota Bibbia Ger. 9,22, “Così l'altare, i sacerdoti, il leviti, il popolo peccatore, la madre dopo il parto.”


fondamentale per comprendere il cuore del Giubileo che celebreremo nell’anno

2025.

Un Salmo dice «per quanto un uomo faccia non potrà mai sfuggire dal sepolcro».

(cf. Sal 49,9-10). Il Signore non avrebbe mai accettato che un uomo offrisse il suo

stesso sangue in riparazione dei suoi peccati uccidendosi, per questo nella sua

misericordia ha offerto il suo stesso Figlio fatto uomo perché, essendo Figlio di

Dio, distruggesse il potere della morte offrendo il suo stesso corpo per la nostra

salvezza. Gesù Cristo è morto al nostro posto e risorgendo ha perdonato tutti i nostri

peccati e ci ha dato lo Spirito Santo per diventare figli di Dio.

Questa sostituzione vicaria, come vedremo, comporta anche da parte nostra la

necessità della riparazione del danno mortale causato dai nostri peccati.

A causa di questa necessità, il Signore per mezzo di Mosè aveva stabilito diversi

sacrifici per ottenere la purezza rituale prima di entrare alla sua Presenza, nella

Tenda.

Alcuni sacrifici erano stati stabiliti per ringraziare Dio, restituendogli, in beni

naturali simbolici, ciò che Dio stesso gli aveva donato in precedenza, altri

sacrifici offrendo il sangue di animali, a seconda della gravità del peccato da

riparare.

Il grande Giorno dell’Espiazione: Yom Kippur

Oltre ai sacrifici per i peccati individuali, il Signore ha ordinato una volta

all’anno che i peccati del popolo venissero perdonati pubblicamente

attraverso la celebrazione dello Yom Kippur.

E così una volta all’anno il Sommo Sacerdote prendeva due capri: uno di questi

fungeva da offerta di purificazione ed espiazione per i peccati del popolo, mentre

l’altro veniva chiamato “capro espiatorio”: il Sommo Sacerdote confessava i

peccati d’Israele e li collocava simbolicamente su questo capro, che era cacciato e

fatto morire nel deserto. Ancora una volta, si tratta di un’immagine molto

evocativa del desiderio di Dio di rimuovere il peccato e le sue conseguenze dal

suo popolo, affinché possa vivere in pace con Lui.

Le feste, la santificazione del tempo

Nella sua Sapienza, il Signore non solamente si è rivelato con prodigi, ma si è anche

preoccupato di dare norme specifiche affinché il popolo d’Israele potesse fare

presente ciclicamente gli eventi di salvezza mediante la Celebrazione di feste e

solennità annuali, come Memoriali dei suoi interventi e della sua Presenza in

mezzo al popolo: le 7 feste annuali di Israele (Lv 26-27), e cioè la Pasqua, i pani

azzimi, le primizie, le settimane/Pentecoste, la festa delle Trombe, il primo

giorno del settimo mese (Lv 23-24), il giorno dell’Espiazione YOM KIPPUR, la

festa dei Tabernacoli.

Ognuna di esse racconta un aspetto differente della storia di come Dio li avesse

liberati dalla schiavitù in Egitto e guidati attraverso il deserto fino alla terra

promessa: celebrando regolarmente queste festività gli israeliti avrebbero

ricordato la loro vera identità e chi fosse Dio per loro.

Il Calendario Liturgico fa così rivivere ogni anno la Presenza salvatrice di Dio,

fino al momento della pienezza dei tempi, quando Dio invierà il suo Figlio fatto

uomo, nato da donna sotto la legge (cf. Gal 4, 4-5).

La Rivelazione, mediante tali feste e solennità, evidenzia l’importanza della

santificazione del tempo. Il Giubileo ha una stretta relazione con lo shabbàt, con

varie feste ebraiche e soprattutto con tale santificazione del tempo.

Il Giubileo


«Conterai sette settimane di anni, cioè sette volte sette anni; queste sette

settimane di anni faranno un periodo di quarantanove anni. Al decimo giorno

del settimo mese, farai echeggiare il suono del corno; nel giorno

dell'espiazione farete echeggiare il corno per tutta la terra» (Lv 25, 8-9)

Il Giubileo deriva dalla parola ebraica yovèl, che significa “corno di ariete”. Tale

corno d’ariete, che è chiamato shofàr, risuonava durante il giubileo e

specialmente nei giorni intorno allo Yom Kippùr, annunciava l’inizio dell’anno

giubilare, nel Giorno dell’Espiazione, il decimo giorno del settimo mese. Esso

richiama la voce di Dio sul Sinai, che è chiamata «voce di shofàr» (Es 19,19). Lo

shofàr è pertanto la voce dell’alleanza. Il suono dello shofàr rappresenta anche

la voce della misericordia di Dio, in primo luogo perché si suonava nel Giubileo,

nel cinquantesimo anno, l’anno di misericordia, nel quale erano condonati i

debiti e rimessi in libertà gli schiavi; in secondo luogo, perché ricorda il


sacrificio di Isacco. In sua sostituzione, Dio provvide un ariete (cf. Gen 22,13).

Questo corno d’ariete, quindi, è un memoriale della misericordia di Dio, e del

fatto che egli non ha voluto la nostra morte, ma ha provveduto per noi e al

nostro posto una vittima di salvezza: in tale ariete è prefigurato il Messia,

Cristo.

L’evento del Giubileo è descritto nel capitolo 25 del Levitico, ove viene delineato

come un periodo speciale di riposo e libertà che si celebra ogni cinquantesimo

anno.

Il Giubileo è anzitutto un anno di riposo. Nel corso dell’anno giubilare, la terra

deve essere lasciata a riposo, Ciò significa che il popolo non è padrone della

terra né del suo lavoro: unico Signore è Adonai e l’uomo deve vivere nella

verità che egli non è signore della propria vita, né della sua terra, né del lavoro

delle sue mani. È quindi un anno di fiducia nella grazia e nella Provvidenza

divina.

Il Giubileo è anche un anno di remissione dei debiti e delle proprietà. Uno dei

suoi aspetti più importanti è proprio il ripristino delle proprietà alla famiglia che

originariamente era sua proprietaria. Ciò significava che le terre vendute per

necessità dovevano essere restituite ai loro proprietari originari. Questo

meccanismo garantiva che la disuguaglianza economica non diventasse

permanente.

Il Giubileo ordina anche la liberazione degli schiavi: gli schiavi tra gli israeliti

dovevano essere liberati durante l’anno giubilare. Questo rifletteva l’importanza

della libertà personale e la dignità umana nella società ebraica.

Il Giubileo è un invito alla libertà

Il Giubileo invita quindi alla libertà, in particolare alla liberazione da ogni forma

di schiavitù o oppressione. Non si trattava di una liberazione meramente sociale ed

economica (come oggi la teologia della liberazione), ma soprattutto di una

liberazione spirituale e morale, connessa all’idea di un nuovo inizio per tutti.

Il Giubileo serviva anche come un tempo per fare memoriale e ricordare al

popolo d’Israele la sua dipendenza da Dio e la sua storia di redenzione,

specialmente dalla schiavitù in Egitto. Era un invito a riconciliarsi con Dio e

con i fratelli, rinnovando il patto dell’alleanza.

Gesù Cristo, il “Giubileo” definitivo

Nel Vangelo secondo Matteo, Gesù dopo la proclamazione delle Beatitudini

afferma: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la legge o i profeti non sono

venuto per abolire ma per dare compimento» (Mt 5, 17)

E San Paolo, nella lettera agli Ebrei, esplicita il compimento in Gesù Cristo, di

quanto prefigurato nell'Antico Testamento.

«Avendo infatti la Legge solo un'ombra dei beni futuri e non la realtà stessa

delle cose, non ha il potere di condurre alla perfezione. Per questo,

entrando nel mondo, Cristo dice:


“Tu non hai voluto né sacrificio né offerta,

un corpo invece mi hai preparato.


Non hai gradito


né olocausti né sacrifici per il peccato.

Allora ho detto: Ecco, io vengo

- poiché di me sta scritto nel rotolo del libro -

per fare, o Dio, la tua volontà”.


non abolisce ma da compimento, non elimina, non sostituisce, ma porta a

pienezza, perfeziona (porta a termine) il vero “sacrificio”, la vera salvezza

Con ciò stesso egli abolisce il primo sacrificio per stabilirne uno nuovo.

«Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo

dell'offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre. Poiché

con un’unica oblazione egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono

santificati» (Eb 10,1-8).

Con la sua obbedienza al Padre, ha sconfitto, nella sua carne, il pungiglione della

morte, la disobbedienza di Adamo:

«Pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua

uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo

e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso

facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio

l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché

nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e

ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre» (Fil

2,6-11).



Nella Sinagoga di Nazareth

Nella Sinagoga di Nazareth, dopo il Battesimo nelle acque del Giordano,

confermato dalla voce del Padre come “figlio prediletto” e dalla Presenza dello

Spirito Santo, sotto forma di Colomba, Gesù proclama la profezia di Isaia:

Lo Spirito del Signore è sopra di me;

per questo mi ha consacrato con l’Unzione,

e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio,

per proclamare ai prigionieri la liberazione

e ai ciechi la vista;

per rimettere in libertà gli oppressi,

e predicare un anno di grazia del Signore (Lc 4,18-19).

Conclude affermando:

Oggi si è adempiuta questa Scrittura

che voi avete udita con i vostri orecchi (Lc 4,21).

Il Giubileo5


celebra la «pienezza dei tempi» manifestatasi in Cristo, «Alfa e

Omega» (Ap 1,8; 21,6; 22,13), Signore del tempo e della storia. Ciò spiega

perché per Origene, ad esempio afferma che «il Giubileo appare come il più

insondabile di tutti i “sacramenti” della Scrittura»

6

.


In senso profetico, il Giubileo anticipa la venuta di un tempo di salvezza

universale. Nel Nuovo Testamento, Gesù stesso annuncia l’«anno di grazia del

Signore» (Lc 4,18-19), richiamando l’immagine del Giubileo e indicando che la

sua missione è il compimento ultimo di quella liberazione e restaurazione

promessa.

Gesù Cristo è il primogenito della nuova creazione e dell’umanità rinnovata, il

Nuovo Adamo. Egli inaugura l’anno dell’eterno Giubileo. Dopo aver

proclamato a Nazaret «l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,19), apparso in Galilea,

annuncia l’avvento del Regno dei Cieli e la possibilità di entrare nella teshuvà:

«Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 4,17). Egli è l’autobasilèia,


5 La parola Giubileo deriva dall’ebraico “Yobel” che nel linguaggio scritturistico indica

inizialmente l’ariete e poi il corno dell’ariete con il cui suono si annunciava l’anno Giubilare

nel giorno dell’espiazione.

6 Così J. Daniélou, Messaggio evangelico e cultura ellenistica, Bologna 1975, p. 562.



“il regno di Dio in persona”, come afferma Origene. Con Gesù ha inizio la

«pienezza dei tempi» (Gal 4,4; Ef 1,10; Eb 9,26), il Giubileo eterno definitivo.

Con il suo ministero apostolico, Gesù Cristo, che si conclude con la sua Passione,

Morte, Resurrezione, e con la sua Ascensione al Cielo, partecipando alla Gloria di

Dio nel Suo corpo glorioso, mediante l’Effusione dello Spirito Santo, nella Festa

della Pentecoste, perpetuerà annualmente nella Chiesa, la Celebrazione dei

Misteri della Redenzione. Il Signore non solo è intervenuto nella storia mediante

i suoi interventi, ma ha dato a questi eventi un valore che va al di là dei nostri

limiti di tempo e di spazio, per cui nelle Celebrazioni e nelle Festività, nella

celebrazione della Parola di Dio, come in tutti i Sacramenti e, per la Potenza che

ha conferito ai Dodici Apostoli, in comunione con Pietro, Egli continua la sua

opera di salvezza in ogni generazione.

È in questa luce che nel prossimo Giubileo, il Signore stesso viene al nostro

incontro, per salvarci da questa generazione che lo ha abbandonato

pubblicamente. Mediante il suo amore e la sua misericordia viene a cercarci, per

riprendere questa generazione sulle sue spalle come la pecora perduta e come ha

accolto il figlio prodigo il Padre che non smise mai di amarlo.

Nel Nuovo Testamento, dopo la professione di Simon Pietro: «Tu sei il Cristo,

il Figlio del Dio vivente», Gesù gli disse:

«Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo

hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei

Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli

inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei

cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò

che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli".

E l'evangelista San Giovanni afferma, che Gesù risorto, apparendo ai suoi discepoli

disse: “Pace a voi. Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi”. dopo aver

detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i

peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”.

Attraverso una rapida visione storica, vediamo ora, come dal tempo degli Atti degli

Apostoli, il Perdono dei peccati, si è trasmesso attraverso il Sacramento della

riconciliazione con Dio, nelle diverse epoche della Chiesa, fino alla prassi dei nostri

giorni.



Il Sacramento della Penitenza alla fine del VI sec.7

Nell’Antico Testamento, chiunque avesse peccato contro Dio, con l’apostasia,

o contro la vita, uccidendo una persona, o avesse commesso adulterio, era

condannato a morte. Per questo Dio nel suo amore aveva disposto alcuni i riti

di purificazione, per peccati meno gravi, affinché ottenuta la purezza rituale

richiesta, i sacerdoti e il popolo potessero entrare nella Sacra Tenda alla sua

Presenza.

Nel Nuovo Testamento gli Apostoli trasmettono ai loro successori il potere di

perdonare i peccati.

Dalle prime catechesi, Kiko e Carmen parlando del Sacramento della Penitenza, ci

hanno esposto la severità e complessità della Penitenza durante i primi secoli.

«Nella riconciliazione penitenziale, ammessa una sola volta in vita, si

richiedeva una disposizione penitenziale che manifestasse il profondo

desiderio di ritornare alla relazione con Dio e con la comunità e un

cambio di vita già manifesta nelle opere.

Di fronte alla gravità della mancanza dell’apostasia (uno dei tre peccati gravi

che comportavano la scomunica, assieme all’omicidio e all’adulterio) e il

conseguente danno recato alla propria vita divina ricevuta nel Battesimo, e

alla comunità, e l’offesa resa alla santità di Dio, si vede la necessità di

espiare adeguatamente il danno causato

Una volta constatato l’atteggiamento di conversione si può accedere a ricevere

la penitenza, per mezzo della quale, allo stesso tempo si cerca di proteggere

il battezzato nella sua debolezza, di fronte alla possibilità di ritornare a

cadere, senza più possibilità di essere sottomesso alla pratica della penitenza

data la sua unicità, si stabilisce che sia sottomesso alla pratica della

penitenza per il resto della sua vita e che alla fine di essa gli sia data la

riconciliazione piena con la Chiesa».

Con la scomunica (sospensione dalla Comunità) si cercava di impedire un

rilassamento nella fede in un tempo di instabilità sociale e religiosa frutto

delle costanti persecuzioni da parte dell’Impero, di fronte alla possibilità di

cadere nell’apostasia o nell’eresia.

Con il passare del tempo, questa rigidità si attenua imponendo la scomunica dalla

comunità, per un tempo di alcuni anni, secondo la gravità del peccato commesso.


7

) Questa parte è tratta dalla tesi dottorale: La formazione del Sacramento della Penitenza,

un ritorno alla prassi battesimale della Tradizione antica (Sec III-VII), di Don Rino Rossi,

Pontificia Università Gregoriana, 1997.




LA CONFIGURAZIONE RITUALE DELLA PENITENZA

Alla fine delle persecuzioni, all'inizio dell'epoca di Costantino, e l'entrata delle

masse nella chiesa il catecumenato a poco a poco sparisce, e con il passare degli

anni si va configurando un rituale della Penitenza pubblica, che giunge alla sua

massima strutturazione al tempo del Sacramentario Gelasiano8


. Ecco i tre momenti


fondamentali dalla penitenza pubblica:

A) AMMISSIONE ALLA PENITENZA PUBBLICA (AMMISSIONE ALL’ORDO

PAENITENTIUM)

La domanda di essere ammesso alla penitenza pubblica era fatta generalmente in

presenza del Vescovo, testa della comunità ecclesiale.

L’ammissione alla penitenza pubblica e la imposizione degli atti penitenziali a essa

inerenti erano realizzati il Mercoledì delle Ceneri, tempo in cui la comunità

cristiana apriva il periodo penitenziale della Quaresima ed entrava in un forte

periodo penitenziale; liturgicamente si preparava alla celebrazione del mistero

pasquale, fonte del perdono dei peccati.

Questa ammissione era concretizzata ritualmente con una orazione sui penitenti in

segno di accoglienza e di accompagnamento da parte della comunità durante il

processo penitenziale, chiedendo a Dio il suo aiuto e il perdono dei peccati.

B) Sviluppo del tempo di penitenza

I penitenti erano ubicati in un luogo riservato per loro nella assemblea liturgica.

Partecipavano ad alcune azioni liturgiche anche se non potevano partecipare

all’Eucarestia. Il cammino penitenziale era percorso in forma analoga, sia dai

catecumeni che dai penitenti, questo si rifletteva in alcune orazioni eucologiche che

fanno riferimento sia al battesimo che alla riconciliazione.

c) Riconciliazione dei penitenti

La conclusione del processo penitenziale era realizzata all’interno di una

celebrazione eucaristica il Giovedì Santo al mattino. In essa il diacono chiamava


8

Il “Sacramentarium Gelasianum”, che raccoglie la tradizione della Chiesa di Roma, e si

caratterizza per sobrietà e precisione dottrinale, è stato compilato probabilmente agli inizi

del sec. VII).


il penitente che, uscito dal suo posto (Ordo Paenitentium), si prostrava per terra

davanti al vescovo in segno di indegnità e di supplica di misericordia.

In seguito, il Diacono sollecitava dal Vescovo la riconciliazione per il penitente. Il

Vescovo dopo aver esaminato e ricordato al penitente la gravità del peccato,

procedeva a riconciliarlo usando alcune formule deprecatorie in cui si chiedeva a

Dio il perdono dei peccati seguite dalla imposizione delle mani da parte del

Vescovo.

Dopo questo rito di riconciliazione si procedeva a reintegrarlo pienamente alla

comunità, ciò che si esprimeva nella partecipazione al mistero eucaristico che

concludeva la celebrazione

Venuto meno il Catecumenato appare un modo nuovo di celebrare la

Penitenza9

Nel 589 i Padri della Chiesa di Spagna, riuniti a Toledo per un sinodo, avvertono

la necessità di porre la loro attenzione su una pratica nuova 10 che andava

diffondendosi:

La nuova pratica si attuava così: un fedele, consapevole d’aver commesso un

peccato d’una certa gravità (col tempo si cominciarono a confessare anche

peccati non gravi), andava da un prete e gli confessava il proprio peccato,

dichiarandosi disposto a espiare la propria colpa con un’adeguata «pena», che

poteva consistere in una somma di soldi, o un'adeguata «azione penitenziale».

Il prete gli assegnava, allora, la «penitenza» (detta tariffa, donde la qualifica di

«penitenza tariffata» data a questa prassi celebrativa), quale era indicata nel

Penitenziale (manuale a uso dei confessori che conteneva l’elenco dei peccati e

delle pene/tariffe corrispondenti). Eseguita l'opera penitenziale il fedele

veniva riconciliato.

11


9 Si riprende dal libro “Indulgenza, storia e significato”, di A. Catella e A. Grillo, da pag.16

in poi.

10 A causa dei primi monaci itineranti Celtici.

11 La penitenza tariffata o a tariffa, in uso già dal sec. VI e che provoca un certo disagio

a un orecchio moderno, non era una tassa da pagare al sacerdote per ottenere il perdono, ma

l'entità della pena da scontare (satisfactio) per essere riammesso nella comunione

ecclesiale. La commutazione, o equivalenza, era la possibilità di "comporre", cioè

cambiare lunghi periodi di penitenza (a volte eccedenti la durata stessa della vita) con


Appare così un nuovo modo di celebrare il Sacramento della Penitenza;

confessione, imposizione della penitenza, esecuzione della medesima,

riconciliazione: tutto avviene al termine di un periodo penitenziale,

privatamente e ripetutamente.

Il gesto celebrativo coinvolge il singolo fedele e il sacerdote. È importante però

rilevare che questo processo di purificazione – seppure in modalità differenti da

quelle assai esplicite in vigore nella Chiesa antica – è pensato sempre come

qualcosa che si svolge in un quadro ecclesiale, sorretto dalla preghiera della

Chiesa, intesa a chiedere il dono della conversione, a sostenere il cammino di

penitenza, come «aiuto allo sforzo soggettivo di penitenza del peccatore».12

Sviluppo ecclesiastico dal decimo secolo in poi:

Nel secolo X, la diffusione dei monasteri benedettini, in Europa, dal

Monastero di Cluny, favoriscono il nascere dei nuovi villaggi attorno ai

monasteri, che formeranno il primo germe nello sviluppo ecclesiastico delle

parrocchie, e della formazione culturale e religiosa, fondamento della civiltà

occidentale.

Ma in poco tempo questa riforma favorisce anche la corruzione a causa dei

commerci navali, nelle esportazioni di vari beni in altri paesi. Come reazione il

Signore, suscita San Francesco d'Assisi e l'ordine francescano che predica un

ritorno alla povertà, e alla vita cristiana secondo il Vangelo. Lo stesso secolo

Dio suscita San Domenico di Guzman, che, attraverso l'ordine dei

Domenicani, diventa un punto di riferimento per la crescita religiosa e

culturale, come anche nella lotta contro le eresie che si diffondono

Arriviamo così all'anno 1299, in cui soprattutto i cittadini di Roma vivevano in

un clima di timore per l'entrata nel nuovo secolo, con la diffusione gli oracoli


celebrazioni di messe, con atti più intensi ma meno gravosi e infine anche con contributi

pecuniari. (Nuova Edizione dell’Enchiridion Indulgentiarum, 17 Settembre 1999).

Questa prassi, che a prima vista può sembrare strana, è ancora attuale ai nostri giorni

nell’ambito dei processi penali. A determinati reati, infatti, corrispondono determinate

pene stabilite nel Codice penale. Non è raro il caso di sentire ancora oggi condanne di 200

o 300 o più anni di carcere. Come è anche usuale al giorno di oggi ottenere un

alleggerimento di determinate pene, pagando risarcimenti in soldi.

12 Da notare come dopo il Concilio Vaticano II, si è cercato di recuperare nella II Forma del Rito della

Penitenza, “Rito per la riconciliazione di più penitenti con la confessione e la soluzione

individuale”.


di grandi calamità. E in questo contesto che nasce il primo Giubileo nella

chiesa cattolica

L’Indulgenza legata agli Anni Giubilari


«L’origine dell’indulgenza non è dovuta a un fenomeno spontaneo, ma è

stato preparato e partorito all’interno di quella prassi penitenziale che la

Chiesa ha sempre conosciuto»13

«Storicamente il Giubileo nasce all’ombra della “grande indulgenza” che il

popolo di Roma chiese al Papa. Secondo i commentatori dell’epoca,

l’occasione immediata del Giubileo si concretizzò nel dicembre 1299 quando

tra il popolo iniziò a formarsi la convinzione che nell’anno centenario –

l’anno 1300 - i pellegrini alla basilica di San Pietro avrebbero ottenuto una

“pienissima remissione dei peccati”, vale a dire “l’indulgenza”. La notizia

arrivò a Papa Bonifacio VIII che il 22 febbraio 13000 promulgò il la bolla

“Antiquorum habet fide relatio” in cui concedeva “in virtù della pienezza

della potestà apostolica un’indulgenza di tutti i peccati, non solo piena e

più abbondante, ma pienissima”». (Fisichella, p.115)

Papa Clemente VI, nella Bolla “Unigenitus Dei” di indizione dell’Anno Santo del

1345, espliciterà la dottrina della indulgenza plenaria legata alla celebrazione

dell’Anno Giubilare: il tesoro inesauribile

«Avendoci Cristo riscattati a prezzo non di cose corruttibili come l’oro e

l’argento, ma con il suo sangue prezioso, ne è derivato alla Chiesa un

tesoro inesauribile, per di più arricchito dai meriti della beata Madre di Dio

e di tutti gli eletti... In verità ha disposto che questo tesoro, non riposto in un

fazzoletto, non nascosto in un campo, venisse dispensato ai fedeli tramite il

beato Pietro, detentore delle chiavi del cielo, e tutti i suoi successori sulla

terra, ed ha stabilito che, per motivi giusti e ragionevoli, venisse

misericordiosamente distribuito, sia in modo generale che speciale sia in

favore di una totale o parziale remissione della pena temporale contratta con

i peccati, a coloro che veramente si pentono e confessano».

Papa Alessandro VI, per l’Anno Santo del 1500 concede che l’indulgenza plenaria

sia applicata in suffragio per le anime del purgatorio:

«a quanti visiteranno con devozione secondo le modalità stabilite le basiliche

e chiese già indicate e in loro suffragio, obbedendo a quanto ordinato dai

penitenzieri o da qualcuno di loro, depositeranno l’elemosina nella cassetta

che, posta all'interno della basilica di San Pietro, raccoglie le offerte per la

riparazione della basilica stessa» (Papa Alessandro VI, Bolla “Inter curas

multiplices”, del 20 Dicembre 1499).

13 I segni del Giubileo, di Mons. Rino Fisichella, Edizioni San Paolo 1999.


Lutero critica le Indulgenze14

Fu proprio in quella occasione che si scatenò la controversia sulle indulgenze che

ebbe in Lutero il massimo esponente. Il 1° novembre 1517 nella pubblicazione

delle famose 95 “tesi di Wittenberg” egli muove una dura requisitoria contro le

indulgenze. Era del tempo la famosa frase: «Appena il denaro suona nella

cassetta, l’anima è liberata dal fuoco del purgatorio»

15

.


Lutero, nelle sue celebri 95 tesi del 1517 sulle indulgenze, sosteneva che esse non

avevano valore davanti a Dio, essendo unicamente una remissione della pena

canonica da parte della Chiesa; negava inoltre l’esistenza di un tesoro di grazia

di Cristo e dei santi da cui la Chiesa avrebbe potuto attingere. Tuttavia, attenuava

la sua contestazione mettendo sotto accusa il modo in cui le indulgenze venivano

predicate: «Se si fosse predicato bene, secondo lo spirito e il sentimento del papa,

quelle difficoltà sarebbero svaporate da sé medesime» (Tesi 91). Aggiungeva

comunque che è meglio soffrire volentieri le pene dei peccati che non sottrarvisi

mediante le indulgenze.

16


Il Concilio di Trento riconferma la dottrina sulle Indulgenze17

“Nel Concilio di Trento, il 4 Dicembre 1563, viene approvato il “Decretum de

indulgentiis” con il quale i Padri definiscono la dottrina e fugano le critiche mosse

dalla polemica luterana:

«Le indulgenze – affermano – sono molto salutari per il popolo cristiano»

e sono nell’errore quanti pensano che «esse siano inutili o che non possano

essere concesse dalla Chiesa».

Il Concilio di Trento, in effetti, veniva a chiarificare che il perdono dei peccati,

mediante l’assoluzione sacramentale, non comportava necessariamente anche la


14

“Il dono dell’indulgenza”, Sussidio del Comitato Nazionale per il grande Giubileo 2000,

Mons. Marcello Semeraro, Vescovo di Oria, pag.12.

15 Non è questo il momento né il luogo per approfondire questa controversia sulle indulgenze

che conteneva elementi veri, in reazione a una presentazione talora magica delle indulgenze.

«Rievocando quei fatti nella sua allocuzione del 28 Gennaio 1983 ai Vescovi della Baviera,

Giovanni Paolo II avvertirà che l’interpretazione del mistero della redenzione a partire dalla

serietà e dalla gioia della penitenza e della conversione doveva avere anche un carattere

ecumenico: quello, cioè, di mostrare che le indulgenze non vogliono essere nient’altro che

una risposta concreta alla verità fondamentale della fede secondo cui tutta la vita cristiana

è un costante cammino di penitenza» (Op. cit., pag. 12)

16 Nuova Edizione dell’Enchiridion Indulgentiarum, 17 Settembre 1999.

17 I segni del Giubileo, di Mons. Rino Fisichella, Ed. San Paolo 1999, pag. 118 e ss.


remissione delle conseguenze del peccato. Dio, insomma, rimane sempre libero,

ma concede alla Chiesa la possibilità di intervenire con le sue forme proprie per

ottenere che al perdono del peccato possa seguire anche il perdono delle sue

conseguenze. (Riparazione)

Dopo il Concilio di Trento il rischio di «cosificazione» e di «quantificazione»,

(specialmente in soldi), non fu del tutto evitato18

.


Assistiamo così al sorgere di un cumulo di indulgenze legate a opere sempre

minori; al sorgere delle «indulgenze plenarie» e «indulgenze parziali»,

computate in riferimento alle «penitenze tariffate» in cui erano descritti gli anni

richiesti per scontare la pena di determinati peccati gravi.

L’indulgenza finì per essere «praticata» e «pensata» come realtà la cui essenza

non aveva più alcun rapporto con la celebrazione ecclesiale della penitenza, ma

come realtà a sé stante, talora praticata esteriormente senza una corrispondente

conversione interiore.

La Chiesa: Corpo mistico di Cristo (Lumen Gentium)

Per comprendere il significato delle indulgenze, elargite durante agli anni del

Giubileo, penso sia necessario considerare prima l'immagine della Chiesa,

come Corpo visibile di Cristo risorto, recuperata Padri Conciliari del Vaticano

II.

E’ una delle riscoperte principali esposte nella Costituzione dogmatica Lumen

Gentium. Di fatto già nel Capitolo 1, sul “Il Mistero della Chiesa”, tra le immagini

della Chiesa la definisce: Corpo mistico di Cristo. E citando la lettera ai Corinti,

afferma:

Come tutte le membra del corpo umano, anche se numerose, non formano

che un solo corpo così i fedeli in Cristo (cfr. 1Cor 12,12). Anche nella

struttura del corpo mistico di Cristo vige una diversità di membri e di uffici.

Lo Spirito, unificando il corpo con la sua virtù e con l’interna connessione

dei membri, produce e stimola la carità tra i fedeli. E quindi se un membro

soffre, soffrono con esso tutte le altre membra; se un membro è onorato, ne

gioiscono con esso tutte le altre membra (cfr. 1Cor 12,26) (LG.n.7).

E San Paolo nel capitolo quarto della lettera agli Efesini esplicita:


18

Da “L’indulgenza”, Op. cit., pagg. 21-22.



“Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete

stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede,

un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce

per mezzo di tutti ed è presente in tutti. E sollecita: ‘Cerchiamo di crescere

in ogni cosa verso di lui, che è il Capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben

compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura,

secondo l’energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in

modo da edificare se stesso nella carità’” (Ef 4,1-16)

In fine, al Capitolo7 della Lumen Gentium: sull’indole escatologica della Chiesa

peregrinante e sua Unione con la Chiesa celeste, i Padri Conciliari affermano:

“La Chiesa, alla quale tutti siamo chiamati in Cristo Gesù e nella quale per

mezzo della grazia di Dio acquistiamo la santità, non avrà il suo compimento

se non nella gloria celeste, quando verrà il tempo in cui tutte le cose saranno

rinnovate (cfr. Ap 3,21), e col genere umano anche tutto l’universo, il quale è

intimamente congiunto con l’uomo e per mezzo di lui arriva al suo fine,

troverà nel Cristo la sua definitiva perfezione (cfr. Ef 1,10; Col 1,20) (LG.

n. 48).

Per questo nostro Signore, autore e perfezionatore della fede, nel sermone della

montagna dice: «Siate dunque perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste»

(Mt 5,48)

Nei diversi generi e professioni della vita una unica santità è coltivata da

quanti sono mossi dallo Spirito di Dio e, obbedienti alla voce del Padre e

adorando in spirito e verità Dio Padre, camminano al seguito del Cristo

povero, umile e carico della croce, per meritare di essere partecipi della sua

gloria (LG. n.41)

La Madre di Gesù, come in cielo, in cui è già glorificata nel corpo e

nell'anima, costituisce l'immagine e l'inizio della Chiesa che dovrà avere il

suo compimento nell'età futura, così sulla terra brilla ora innanzi al

peregrinante popolo di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione,

fino a quando non verrà il giorno del Signore (cfr. 2 Pt 3,10). (Lg, 68)

Papa Paolo VI ripropone in forma rinnovata la dottrina sulle Indulgenze

All’indomani del Concilio Vaticano II, Papa Paolo VI ripropone in forma rinnovata

la dottrina sulle Indulgenze, promulgando la Costituzione Apostolica

“Indulgentiarium doctrina”.19


In essa, pur riconoscendo gli “abusi” riguardo alla


19 I segni del Giubileo, di M. Rino Fisichella, Op. cit., pag. 118-119.



dottrina delle indulgenze, ne approfondisce il significato e l’importanza nella vita

cristiana.

“Purtroppo, nell’uso delle indulgenze si infiltrarono talvolta degli abusi, sia

perché a causa di concessioni non opportune e superflue veniva avvilito il potere

delle chiavi e la soddisfazione penitenziale veniva abolita, sia perché a causa di

illeciti profitti veniva infamato il nome di indulgenza. Ma la Chiesa, condanna

con anatema quanti asseriscono l’inutilità delle indulgenze e negano il potere

esistente nella chiesa di concederle».20

Il fine dell’indulgenza poi «non è solo quello di aiutare i fedeli a scontare le

pene del peccato, ma anche di spingerli a compiere opere di pietà, di

penitenza e di carità, specialmente quelle che giovano all’incremento della

fede e al bene comune» (n. 8).

Se poi i fedeli offrono le indulgenze in suffragio dei defunti coltivano in

modo eccellente la carità e, mentre elevano la mente al cielo, ordinano più

saggiamente le cose terrene” (n. 8). 21


Papa Giovanni Paolo II, nella Bolla «Incarnationis mysterium»

Papa Giovanni Paolo II, nella Bolla di indizione del grande Concilio dell'anno

2000, «Incarnationis mysterium»

22

, ci ha lasciato una spiegazione moto chiara sul

significato delle Indulgenze: riguardo al perdono mediante la confessione e

l’assoluzione, e riguardo alle pene, cioè gli effetti negativi sugli altri.

Il perdono comporta un reale cambiamento di vita


“Il perdono comporta un reale cambiamento di vita. Fin dall’antichità,

tuttavia, la Chiesa è sempre stata profondamente convinta che il perdono,

concesso gratuitamente da Dio, implica come conseguenza un reale

cambiamento di vita, una progressiva eliminazione del male interiore, un

rinnovamento della propria esistenza.

L'atto sacramentale doveva essere unito ad un atto esistenziale, con una

reale purificazione della colpa, che appunto si chiama penitenza.

L'avvenuta riconciliazione con Dio, infatti, non esclude la permanenza di

alcune conseguenze del peccato dalle quali è necessario purificarsi”.

È precisamente in questo ambito che acquista rilievo l’indulgenza, mediante

la quale viene espresso il «dono totale della misericordia di Dio» (16). Con


20 (Costituzione apostolica Indulgentiarum Doctrina, Nuova edizione, del 1967).

21 Alla Costituzione Apostolica “Indulgentiarum Doctrina”, segue la pubblicazione dell’“Enchiridion

Indulgentiarum”.

22 Bolla «Incarnationis mysterium» di Papa Giovanni Paolo II per il Grande Giubileo del 2000.



l’indulgenza al peccatore pentito è condonata la pena temporale per i

peccati già rimessi quanto alla colpa (9).

“Il peccato, infatti, per il suo carattere di offesa alla santità e alla giustizia

di Dio, come pure di disprezzo dell'amicizia personale che Dio ha per l'uomo,

ha una duplice conseguenza: In primo luogo, se grave,


23 esso comporta la

privazione della comunione con Dio e, di conseguenza, l'esclusione dalla

partecipazione alla vita eterna. Al peccatore pentito, tuttavia, Dio nella sua

misericordia concede il perdono del peccato grave e la remissione della

«pena eterna» che ne conseguirebbe.

In secondo luogo, «ogni peccato, anche veniale,


24 provoca un attaccamento

malsano alle creature che ha bisogno di purificazione, sia quaggiù, sia dopo

la morte, nello stato chiamato Purgatorio. Tale purificazione libera dalla

cosiddetta «pena temporale» del peccato», espiata la quale viene a

cancellarsi ciò che osta alla piena comunione con Dio e con i fratelli” (10).

Come vediamo in questa prima parte dell’esposizione sull’Indulgenza, il Papa

si rifà all’antica tradizione della Chiesa, ricollegando l’Indulgenza al

Sacramento della Penitenza.


Le pene temporali

Il perdono dei peccati non toglie le conseguenze del peccato in noi, le “pene

temporali” per cui si esige un lavoro di purificazione.

Il termine “pena temporale o eterna”, come pure i termini “soddisfazione” o

“riparazione”, non vanno intesi in senso giuridico, come se la pena fosse qualcosa

da scontare per chi commette un reato, ma in senso esistenziale. Come vedremo

più avanti, il Papa in una Catechesi sul “Cielo”, afferma che oggi “il linguaggio


23 “Il peccato è anzitutto offeso a Dio, rottura della comunione con lui. Nello stesso tempo, esso attenta alla

comunione con la Chiesa. Come peccato mortale è offesa a Dio, in quanto rende vano il piano di Amore e

di felicità per ciascuno di noi, distrugge la carità nel cuore dell’uomo a causa di una violazione grave della

Legge di Dio; distoglie l’uomo da Dio, che è il suo fine ultimo e la sua beatitudine, preferendo a lui un bene

inferiore.

Perché vi sia un peccato sia mortale si richiede che concorrano tre condizioni: «È peccato mortale quello che

ha per oggetto una materia grave e che, inoltre, viene commesso con piena consapevolezza e deliberato

consenso» (CCC1850).

24 Il peccato veniale indebolisce la carità; manifesta un affetto disordinato per dei beni creati; ostacola i

progressi dell'anima nell’esercizio delle virtù e nella pratica del bene morale; merita pene temporali. Il

peccato veniale deliberato e che sia rimasto senza pentimento ci dispone poco a poco a commettere il

peccato mortale. Tuttavia, il peccato veniale non rompe l’alleanza con Dio. È umanamente riparabile con la

grazia di Dio: «L’uomo non può non avere almeno peccati lievi, fin quando resta nel corpo. Tuttavia, non devi

dar poco peso a questi peccati, che si definiscono lievi. Tu li tieni in poco conto quando li soppesi, ma che

spavento quando li numeri! Molte cose leggere, messe insieme, ne formano una pesante: molte gocce

riempiono un fiume e così molti granelli fanno un mucchio. Quale speranza resta allora? Si faccia anzitutto la

Confessione... » (Sant’Agostino) (CCC 1863).


personalistico riesce a esprimere meno impropriamente” e in modo nuovo e più

comprensibile per noi i contenuti della Tradizione.

Se ad esempio un fratello avanti nel cammino, cade in un peccato di adulterio,

si pente sinceramente e si confessa, con la decisione di rompere quella situazione

di peccato, riceve il perdono nel Sacramento della Penitenza. Ma questo non è

sufficiente. C’è un cammino di riparazione del male provocato alla moglie, ai figli,

ai familiari, alla comunità. Ferite profonde, che si guariscono lentamente e

progressivamente, con atti di rinuncia agli assalti della tentazione, accettando di

soffrire per circoncidere il cuore, ponendo atti per manifestare amore a Dio e alla

moglie. Questo processo di recupero dell’amore di Dio, si chiama appunto “pena

temporale”, in quanto è un processo che comporta l’accettazione di determinate

sofferenze e rinunce per amore. Quindi la “pena temporale” non è una sanzione

estrinseca che la Chiesa impone di soddisfare, ma è una esigenza intrinseca alla

conversione. In questo processo di conversione è aiutato e sostenuto dalla

Chiesa in modo particolare con il dono dell’indulgenza, che è una partecipazione

gratuita e più intensa alla santità della Chiesa: di Cristo, Capo, della Vergine Maria

e dei Santi.

Per questo il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna:


L’assoluzione toglie il peccato, ma non porta rimedio a tutti i disordini

che il peccato ha causato. Risollevato dal peccato, il peccatore deve ancora

recuperare la piena salute spirituale. Deve dunque fare qualcosa di più per

riparare le proprie colpe: deve «soddisfare» in maniera adeguata o «espiare»

i suoi peccati. Questa soddisfazione si chiama anche «penitenza» (CCC

1459).

Per la remissione della pena temporale, l’indulgenza non costituisce una via

facilior, una «scorciatoia», rispetto alla conversione ordinaria. Essa

rappresenta invece l’aiuto solenne dell’amore mistico del corpo di Cristo

offerto alla debolezza del peccatore pentito, affinché egli possa realizzare una

conversione profonda ed efficace. Se è vero che la grazia di Dio non

sostituisce ma promuove e sollecita la libertà dell’uomo, è altrettanto vero

che l'indulgenza non sostituisce il difficile lavorio dell'amore e non è quindi il

cancellamento «più facile» delle pene dei peccati; essa è piuttosto l'aiuto

della Chiesa volto a favorire l'opera sempre difficile dell'amore.

L’indulgenza non facilita sostituendo e prendendo il posto della conversione,

bensì favorendo la conversione stessa.

A questa luce si comprende che l’indulgenza è un aiuto per riparare il peccato, e

le ferite provocate su di se stessi e sugli altri.


L’Indulgenza e il Cammino Neocatecumenale

In questo insegnamento sul significato dell’Indulgenza, vediamo confermato

quanto il Signore ha operato e sta operando in noi attraverso il Cammino

neocatecumenale al quale Dio ci ha chiamati, e ne risalta la sua attualità per la

Chiesa.

Fin dalle prime catechesi, infatti, sin dall’Annuncio del Kerygma, di fronte alla

crisi del Sacramento della Penitenza nella Chiesa di oggi, il Cammino ha rimesso

al centro di questo sacramento la conversione, mettendo al loro giusto posto altri

aspetti del Sacramento, come la confessione dei peccati e la penitenza che

avevano preso il sopravvento.

Nel Cammino Neocatecumenale anche in noi è iniziato un cammino graduale e

progressivo di penitenza, cioè di discesa, di illuminazione e di spoliazione

dell’uomo vecchio e di rivestimento dell’uomo nuovo.

Grazie alle tappe e agli scrutini, nel perseverante ascolto nella Celebrazione della

Parola di Dio, nella settimanale celebrazione della Eucarestia e nella celebrazione

periodica del Sacramento della Penitenza, la Chiesa attraverso il ministero del

Vescovo, dei presbiteri e dei catechisti, come vera Madre ha cominciato in noi quel

processo di gestazione a una fede più matura con la stessa cura con cui gestiva

alla vita nuova i catecumeni nella Chiesa primitiva, e assisteva con la sua

intercessione i peccatori pentiti nel loro cammino di ritorno e di riconciliazione

con Dio e con i fratelli.

Terminato l’itinerario neocatecumenale, questo processo di purificazione da

parte di Dio in noi, non è cessato, ma il combattimento quotidiano continua,

anzi si fa sempre più serio, e per questo abbiamo sempre bisogno di essere

sorretti ed aiutati dalla materna assistenza della Chiesa che soprattutto in

occasione di questo Grande Giubileo ci apre i suoi “tesori di grazia” nella

Comunione dei Santi. A questa luce si comprende come la partecipazione

personale alle Celebrazioni della Parola e dell'Eucaristia settimanali, come

anche alle convivenze della comunità, agli Annunci dei tempi forti dell’anno

Liturgico, non sono degli opzionali o facoltativi, ma sono necessari per potere

alimentare la vita nuova che cresce in noi fino al momento in cui il Signore ci

chiama se.


Vorrei fare qui un richiamo anche ai Presbiteri e ai catechisti del pericolo della

infiltrazione, soprattutto nei diversi passaggi, di una mentalità sentimentale,

negli scrutini. I criteri di discernimento, sul cambiamento della vita nei rapporti con

gli altri, con se stessi e con Dio, derivano dalla Parola di Dio, che è vera e vuole il

nostro bene. A volte, per farsi sentimenti di pietà, non osiamo dire la verità e con

questo ritardiamo l'autentica conversione dei fratelli a Gesù Cristo.

La comunione dei Santi anticipata nella vita della Comunità

La Rivelazione, d’altra parte, insegna che, nel suo cammino di conversione, il

cristiano non si trova solo. In Cristo e per mezzo di Cristo la sua vita viene

congiunta con misterioso legame alla vita di tutti gli altri cristiani nella

soprannaturale unità del Corpo mistico.

Si instaura così tra i fedeli un meraviglioso scambio di beni spirituali, in forza

del quale la santità dell'uno giova agli altri ben al di là del danno che il peccato

dell'uno ha potuto causare agli altri.

Esistono persone che lasciano dietro di sé come un sovrappiù di amore, di

sofferenza sopportata, di purezza e di verità, che coinvolge e sostiene gli altri. E la

realtà della «vicarietà», sulla quale si fonda tutto il mistero di Cristo. Il suo amore

sovrabbondante ci salva tutti.

Nondimeno fa parte della grandezza dell’amore di Cristo non lasciarci nella condizione

di destinatari passivi, ma coinvolgerci nella sua opera salvifica e, in particolare, nella

sua passione. “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri

corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto

spirituale (Rm, 12,1).

E nella lettera ai Colossesi, confessa: «Do compimento a ciò che manca ai

patimenti di Cristo nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa»

(1,4).

Questa profonda realtà è mirabilmente espressa anche in un passo dell'Apocalisse,

in cui si descrive la Chiesa come la sposa rivestita di un semplice abito di lino

bianco, di lino puro splendente. E san Giovanni dice: «La veste di lino sono le

opere giuste dei santi» (Ap 19, 8). Nella vita dei santi viene, infatti, tessuto il bisso

splendente, che è l’abito dell'eternità.


Un avvertimento fraterno

A questo proposito, mi permetto di dare una stoccatina a quelli che in Comunità si

lamentano e dicono: «Ah, ma io non mi sento nulla, nella mia Comunità, non

faccio niente, non sono catechista, non sono ostiario, non sono cantore». Ma tu sei

un Membro del Corpo di Cristo eletto per divenire figlio di Dio in Cielo: e ti

pare poco? La bellezza delle nostre Comunità, è scoprire carismi nascosti. Nella

mia comunità c’era una sorella molto umile e semplice che era cieca, faceva parte

di una famiglia di ciechi. Solo una delle sorelle vedeva e le accudiva. Questa

sorella, faceva delle risonanze alla Parola di Dio, che ci stupiva tutti. Vari, anche

teologi, che hanno partecipato alle nostre Celebrazioni, sono rimasti stupiti dalla

profondità delle risonanze. I nostri fratelli conoscono la Parola di Dio, più di tanti

teologi, perché portano in sé la parola di Dio fatta carne nella propria vita. Per

cui, tutte queste forme di lamentele e piagnistei dicendo: ma io non sono nessuno,

non faccio niente in comunità, non corrisponde a realtà. Perché tutti, anche quel

fratello ammalato o che sta morendo, tutti cooperiamo alla santificazione del

Corpo. Ecco questa è la realtà della comunione! Per cui, uniti alla Chiesa, grazie ai

meriti acquistati da Gesù Cristo, dalla Vergine Maria, da tutti i santi, viviamo già

comunione tra la Chiesa nella Gloria, gli Angeli, i Santi, le Vergini, i Martiri, e alla

Chiesa che è in purificazione al purgatorio, e alla Chiesa che è ancora pellegrina

sulla terra, o militante, e uniti al creato stesso che soffre assieme a noi in attesa

della manifestazione dei figli di Dio.

In questo modo anche noi nelle nostre comunità cooperiamo alla salvezza di questa

generazione e come ci ha detto il signore ci prepariamo un tesoro di salvezza e di

santità in cielo.

Termino sottolineando che nella grandezza del suo Amore, il Signore ha voluto

coinvolgerci nella sua opera salvifica. Questo è molto importante, perché ci

illumina sul cammino che ci rimane da compiere sulla terra e sulla missione alla

quale ci chiama. chiamati nella Chiesa, come esplicita il Catechismo della Chiesa

Cattolica, secondo cui

Da una parte è vero che: «La giustificazione ci è stata meritata dalla Passione di

Cristo, e ci è accordata mediante il Battesimo, sacramento della fede» (CCC 1992),

ma è altrettanto vero che: «la giustificazione stabilisce la collaborazione tra la

grazia di Dio e la libertà dell’uomo. Sant'Agostino usa un'espressione molto bella

al riguardo, dicendo: «Dio, che ti ha creato senza di te, non può salvarti senza di


te» (Sermo CLXIX, 13). E non certo perché non ne abbia la capacità – è

onnipotente! – ma perché, essendo amore, rispetta fino in fondo la nostra libertà.

(Papa Francesco, Angelus, 15 Ottobre 2023).

La nostra collaborazione si esprime nell’assenso della fede alla Parola di Dio

che lo chiama alla conversione, e nella cooperazione della carità alla mozione dello

Spirito Santo, che lo previene e lo custodisce:

Dio tocca il cuore dell’uomo con l’illuminazione dello Spirito Santo, in

modo che né l’uomo resterà assolutamente inerte subendo quell’ispirazione,

che certo può anche respingere, né senza la grazia divina, con la sua libera

volontà, potrà prepararsi alla giustizia dinanzi a Dio» (CCC 1993).

In questo processo lo Spirito Santo è il maestro interiore (CCC 1995). Egli ci

dona la grazia che è una partecipazione alla vita di Dio (CCC 1997).

La libera iniziativa di Dio richiede la libera risposta dell’uomo; infatti, Dio

ha creato l’uomo a propria immagine, dandogli, con la libertà, il potere di

conoscerlo e di amarlo L’anima può entrare solo liberamente nella

comunione dell’amore (CCC 2002).

Dio ha liberamente disposto di associare l’uomo all’opera della sua grazia

(CCC 2008).


Il «tesoro della Chiesa»: le opere buone dei santi. Non ci salviamo da soli!

Tutto viene da Cristo, ma poiché noi apparteniamo a lui, anche ciò che è nostro

diventa suo e acquista una forza che risana. Ecco cosa si intende quando si parla

del «tesoro della Chiesa», che sono le opere buone dei santi.

Pregare per ottenere l’indulgenza significa entrare in questa comunione spirituale

e quindi aprirsi totalmente agli altri.

Anche nell’ambito spirituale, infatti, nessuno vive per se stesso. E la salutare

preoccupazione per la salvezza della propria anima viene liberata dal timore e

dall'’egoismo solo quando diviene preoccupazione anche per la salvezza

dell'altro.


25È la realtà della comunione dei santi, il mistero della «realtà vicaria»,

della preghiera, come via di unione con Cristo e con i suoi santi. Egli ci prende con


25 “Molti pensano: basta che mi salvi, non è necessario che sia un santo. Che non sia necessario essere un santo

che fa miracoli, la cui santità sia riconosciuta dalla Chiesa ufficialmente, è certo; ma per andare in cielo è

necessario intraprendere il cammino della salvezza, e questo non è altro che il cammino stesso della santità: in

cielo non ci saranno che santi, sia quelli entrati immediatamente dopo la propria morte, sia quelli che abbiano

avuto il bisogno di essere purificati nel purgatorio. P. R. Garrigou-Lagrange, nella Prefazione al suo libro “Le

tre età della Vita spirituale”


sé per tessere insieme con lui la candida veste della nuova umanità, la veste di lino

splendente della Sposa di Cristo.

«Poiché tutti i credenti formano un solo corpo, il bene degli uni è comunicato

agli altri...» (CCC 947).

Sotto la mozione dello Spirito Santo e della carità, possiamo in seguito

meritare per noi stessi e per gli altri le grazie utili per la nostra

santificazione, per l’aumento della grazia e della carità, come pure per il

conseguimento della vita eterna...Tutte queste grazie e questi beni sono

oggetto della preghiera cristiana. Essa provvede al nostro bisogno della grazia

per le azioni meritorie (CCC 2010).


I segni del Giubileo

L'istituto del Giubileo nella sua storia si è arricchito di segni che attestano la fede

ed aiutano la devozione del popolo cristiano. Ce ne parla Papa Francesco nella bolla

di indizione del Giubileo 2025:

Il pellegrinaggio26

“Il pellegrinaggio esprime un elemento fondamentale di ogni evento

giubilare. Mettersi in cammino è tipico di chi va alla ricerca del senso della

vita. Il pellegrinaggio a piedi favorisce molto la riscoperta del valore del

silenzio, della fatica, dell’essenzialità. Anche nel prossimo anno i pellegrini

di speranza non mancheranno di percorrere vie antiche e moderne per

vivere intensamente l’esperienza giubilare. Nella stessa città di Roma, inoltre,

saranno presenti itinerari di fede, in aggiunta a quelli tradizionali delle

catacombe e delle Sette Chiese.

Le chiese giubilari, lungo i percorsi e nell’Urbe, potranno essere oasi di

spiritualità dove ristorare il cammino della fede e abbeverarsi alle sorgenti

della speranza, anzitutto accostandosi al Sacramento della

Riconciliazione, insostituibile punto di partenza di un reale cammino di

conversione.

Varcare la soglia

6. “L’Anno Santo 2025, è giunto il tempo di un nuovo Giubileo, nel quale

spalancare ancora la Porta Santa per offrire l’esperienza viva dell’amore di

Dio, che suscita nel cuore la speranza certa della salvezza in Cristo. Nello

stesso tempo, questo Anno Santo orienterà il cammino verso un’altra

ricorrenza fondamentale per tutti i cristiani: nel 2033, infatti, si celebreranno

i duemila anni della Redenzione compiuta attraverso la passione, morte e

risurrezione del Signore Gesù. Siamo così dinanzi a un percorso segnato da

26 Dalla Bolla di Papa Francesco per Giubileo 2025


grandi tappe, nelle quali la grazia di Dio precede e accompagna il popolo

che cammina zelante nella fede, operoso nella carità e perseverante nella

speranza (cfr. 1Ts 1,3).

Sostenuto da una così lunga tradizione e nella certezza che questo Anno

giubilare potrà essere per tutta la Chiesa un’intensa esperienza di grazia e

di speranza, stabilisco che la Porta Santa della Basilica di San Pietro in

Vaticano sia aperta il 24 dicembre del presente anno 2024, dando così

inizio al Giubileo Ordinario. La domenica successiva, 29 dicembre 2024,

aprirò la Porta Santa della mia cattedrale di San Giovanni in Laterano, che

il 9 novembre di quest’anno celebrerà i 1700 anni della dedicazione. A

seguire, il 1° gennaio 2025, Solennità di Maria Santissima Madre di Dio, verrà

aperta la Porta Santa della Basilica papale di Santa Maria Maggiore. Infine,

domenica 5 gennaio sarà aperta la Porta Santa della Basilica papale di San

Paolo fuori le Mura. Queste ultime tre Porte Sante saranno chiuse entro

domenica 28 dicembre dello stesso anno”.

Preparazione e Anno Giubilare 2025: disposizioni

“Stabilisco inoltre che domenica 29 dicembre 2024, in tutte le cattedrali e

concattedrali, i Vescovi diocesani celebrino la santa Eucaristia come solenne

apertura dell’Anno giubilare, secondo il Rituale che verrà predisposto per

l’occasione. Il pellegrinaggio da una chiesa, scelta per la collectio, verso la

cattedrale sia il segno del cammino di speranza che, illuminato dalla Parola

di Dio, accomuna i credenti. In esso si dia lettura di alcuni brani del

presente Documento e si annunci al popolo l’Indulgenza Giubilare, che

potrà essere ottenuta secondo le prescrizioni contenute nel medesimo

Rituale per la celebrazione del Giubileo nelle Chiese particolari. Durante

l’Anno Santo, che nelle Chiese particolari terminerà domenica 28 dicembre

2025, si abbia cura che il Popolo di Dio possa accogliere con piena

partecipazione sia l’annuncio di speranza della grazia di Dio sia i segni che ne

attestano l’efficacia.

Il Giubileo Ordinario terminerà con la chiusura della Porta Santa della

Basilica papale di San Pietro in Vaticano il 6 gennaio 2026, Epifania del

Signore. Possa la luce della speranza cristiana raggiungere ogni persona, come

messaggio dell’amore di Dio rivolto a tutti! E possa la Chiesa essere testimone

fedele di questo annuncio in ogni parte del mondo!”.


Papa Francesco al termine della bolla di indizione del Giubileo 2025 invita a riscoprire

vari segni di speranza. Tra i tanti Segni dei tempi per cui pregare durante il Giubileo,

ricorda la speranza per la pace nel mondo, l'apertura alla vita, mediante la

maternità e paternità responsabile, la vicinanza a tanti fratelli e sorelle anziani più

deboli e soli, l'auspicio di un miglior trattamento dei carcerati con proposte di

amnistia, di condono della pena. Mentre in loro aiuto stabilisce di aprire una Porta

Santa in un carcere, perché sia per loro un simbolo che invita a guardare all’avvenire

con speranza e con rinnovato impegno di vita. Raccomanda la vicinanza e la cura

dei giovani, molti dei quali privi di speranza quando il futuro è incerto, impermeabile

ai loro sogni, tentati dall'illusione delle droghe il rischio della trasgressione e la

ricerca dell'effimero facendoli scivolare in baratri oscuri spingendoli a compiere

gesti autodistrutti.

Al termine ci invita a “sperare contro ogni speranza” (Rm.4, 18) come il nostro Padre

Abramo, invitandoci ad alzare i nostri occhi al Cielo: noi che crediamo in colui che ha

risuscitato dai morti, Gesù Nostro Signore, il quale è stato messo a morte per i nostri

peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione.

“Lasciamoci fin d’ora attrarre dalla speranza e permettiamo che attraverso di

noi diventi contagiosa per quanti la desiderano. Possa la nostra vita dire loro:

«Spera nel Signore, sii forte, si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore»

(Sal 27,14). Possa la forza della speranza riempire il nostro presente, nell’attesa

fiduciosa del ritorno del Signore Gesù Cristo, al quale va la lode e la gloria ora

e per i secoli futuri (Spe Salvi, n. 25)” .

Finita la catechesi, vi lascio come ricordo questo brano tratto dalle “conferenze

di San Tommaso d’Aquino”, che ho trovato nell'ufficio delle letture durante le

scorse vacanze, preparando questa catechesi.

Mi sazierò quando apparirà la tua gloria 27

Quando saranno compiuti tutti i nostri desideri, cioè nella vita eterna, la fede

cesserà. Non sarà più oggetto di fede tutta quella serie di verità che nel «Credo» si

chiude con le parole: «vita eterna. Amen».

La prima cosa che si compie nella vita eterna è l’unione dell’uomo con Dio.

Dio stesso, infatti, è il premio e il fine di tutte le nostre fatiche: «Io sono il tuo

scudo, e la tua ricompensa sarà molto grande» (Gen 15,1). Questa unione poi

consiste nella perfetta visione: «Ora vediamo come in uno specchio, in maniera

confusa; ma allora vedremo faccia a faccia» (1Cor 13,12).

La vita eterna inoltre consiste nella somma lode, come dice il profeta: «Giubilo

e gioia saranno in essa, ringraziamenti e inni di lode» (Is 51,3). Consiste ancora

nella perfetta soddisfazione del desiderio. Ivi, infatti, ogni beato avrà più di

quanto ha desiderato e sperato. La ragione è che nessuno può in questa vita

appagare pienamente i suoi desideri, né alcuna cosa creata è in grado di colmare le

aspirazioni dell’uomo. Solo Dio può saziarlo, anzi andare molto al di là, fino

all’infinito. Per questo le brame dell’uomo si appagano solo in Dio, secondo

quanto dice Agostino: «Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è senza pace

fino a quando non riposa in te».

I santi, nella patria, possederanno perfettamente Dio. Ne segue che giungeranno

all’apice di ogni loro desiderio e che la loro gloria sarà superiore a quanto

speravano. Per questo dice il Signore: «Prendi parte alla gioia del tuo Signore» (Mt

25,21); e Agostino aggiunge: Tutta la gioia non entrerà nei beati, ma tutti i beati

entreranno nella gioia. «Mi sazierò quando apparirà la tua gloria» (Sal 16,15

Volg.); ed anche: «Egli sazia di beni il tuo desiderio» (Sal 102,5 Volg.). Tutto

quello che può procurare felicità, là è presente e in sommo grado. Se si cercano

godimenti, là ci sarà il massimo e più assoluto godimento, perché si tratta del

bene supremo, cioè di Dio: «Dolcezza senza fine alla tua destra» (Sal 15,11).

La vita eterna infine consiste nella gioconda fraternità di tutti i santi. Sarà una

comunione di spiriti estremamente deliziosa, perché ognuno avrà tutti i beni di

tutti gli altri beati. Ognuno amerà l’altro come se stesso e perciò godrà del

bene altrui come proprio.

Così il gaudio di uno solo sarà tanto maggiore, quanto più grande sarà la gioia

di tutti gli altri beati.

27 Mi sazierò quando apparirà la tua Gloria, Dalle «Conferenze» di san Tommaso d’Aquino,

sacerdote.