martedì 22 ottobre 2024

CONVIVENZA DI INIZIO CORSO Porto S. Giorgio, 26 settembre – 29 settembre 2024. Catechesi del padre Mario

 



Catechesi di P. Mario: “Il Giubileo 2025” 

- Preghiera (P. Mario) 

Bene, allora cercherò con l’aiuto del Signore di dire quello che ho potuto  approfondire sul Giubileo del 2025. Vari di voi avranno ascoltato, nel 1999, la  catechesi per il grande Giubileo dell'anno 2000.  

Prima di tutto, devo dire che sono stato molto contento delle risposte che avete  dato, perché avete toccato il centro; il centro è, che attraverso la Croce il Signore ci  santifica, attraverso le tribolazioni, al contrario di quanto si pensa nel mondo che non  sa leggere attraverso i segni che il Signore ci dà. Questo è un grande dono che il  Signore ci ha fatto.  

Ogni giubileo è indetto dal Papa, con una bolla. Si chiama Bolla di Indizione. Papa Francesco in preparazione dell'anno del Giubileo 2025, ha emesso la bolla  intitolata “La speranza non delude”, Spes non confundit”. Citando S. Paolo, dice:  la speranza non delude. Nel segno della speranza, Paolo infonde coraggio alle  comunità di Roma del suo tempo. Dice il Papa: “Per tutti possa essere un momento  di incontro vivo e personale con il Signore Gesù «Porta» di salvezza (cfr. Gv 10,7.9);  con Lui la Chiesa annuncia questa nostra speranza che è fondata sulla nostra fede. La  fede è il fondamento di quello che speriamo. L'esperienza di fede che facciamo in  questo tempo fonda la speranza e la speranza poi non delude, perché l'amore di Dio 

è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, come dice la lettera ai  Romani (Rm 5,1-2.5).  

Per parlare di questo Giubileo, il Signore mi ha ispirato - penso forse non lo  so, vedremo se me lo conferma - di ricorrere al libro del Levitico dove si parla come  è nato, perché è nato il Giubileo nel Popolo di Israele. Perché esiste un legame tra il  Giubileo del 2025 e quello proposto da Dio, nel libro del Levitico: c'è uno così stretto  legame, che vorrei evidenziarlo, citando due testi dal Nuovo Testamento.  

Scusate, quest’anno non farò una esposizione sistematica come altri anni, ma  farò una esposizione tipo “flash mescolano fatti passati, futuri e presenti. un back” che successione di testi passati e attuali, come ni film moderni. Nella speranza che al  termine, lo Spirito Santo completi in voi il quadro, nel comprendere man mano i  termini principali del Giubileo, soprattutto per i giovani delle nuove generazioni sono 

termini che suonano al passato o addirittura a medioevo e invece sono molto attuali. Allora inizio citando un testo, sulla città Santa, dal libro dell’ Apocalisse :  

“L’angelo mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da  Dio, risplendente della gloria di Dio. La città è cinta da un grande e alto muro  con dodici porte: sulle quali sono scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli  d’Israele. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali  sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello” (Ap 21,10-14). 

Ho voluto presentare quest’immagine, per sottolineare che, per far parte della  Gerusalemme celeste, bisogna entrare dalle dodici porte: sulle quali sono scritti, i  nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele, ma che è fondata sui dodici Apostoli  dell’Agnello”. 

Così come esplicita San Paolo nella lettera agli Efesini: 

“Fratelli, voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e  familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti,  avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù. In lui tutta la costruzione  cresce ben ordinata per essere Tempio Santo nel Signore; in lui anche voi  venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello  Spirito” (Ef 2,19-22). 

“Diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito”. Questo è lo scopo della  Iniziazione Cristiana. Dalle esperienze che avete dato voi cominciate ad essere  abitazione di Dio in questa generazione, fatta carne. Per questo San Pietro dice noi  siamo “pietre vive” del Tempio di Dio. 

Allora, per comprendere il Giubileo, ricorro brevissimamente ad alcuni  passi dell'esodo e anche dei Numeri e del Deuteronomio, prima di entrare nel  Levitico.  

Dopo l'esodo, Dio porta il suo popolo al Sinai per rivelarsi. Nell libro del  Deuteronomio dice: 

«Io ti ho posto davanti la vita e la morte, scegli dunque la vita, perché viva  tu e la tua discendenza, amando il Signore tuo Dio, obbedendo alla sua voce e  tenendoti unito a lui, poiché è lui la tua vita e la tua longevità, per poter così 

abitare sulla terra che il Signore ha giurato di dare ai tuoi padri, Abramo, Isacco  e Giacobbe» (Dt. 30, 19-20) 

Nella rivelazione sul Sinai, il Signore ordita a Mosè di costruire un altare ai  piedi del monte con 12 stelle e incarica di offrire degli olocausti come sacrifici di  comunione per il Signore. In questo sacrificio, dopo aver dato le tavole dell’alleanza  scritte come scritte sulla pietra, Mosè prende la metà del sangue dell’olocausto, dei  sacrifici, lo mise in tanti catini e con metà del sangue unge i lati dell'altare e con  l'altra metà sparge sul popolo. Il Signore dice: «Ecco il sangue dell’alleanza che il  Signore ha concluso con voi sulla base di queste dieci parole!» (Es 24, 4-8) In  seguito, attraverso Mosè dice “se vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia  alleanza, sarete per me un regno di sacerdoti, una nazione santa”. E il popolo  risponde: “Tutto il popolo rispose insieme e disse: quanto il Signore ha detto noi lo  faremo” (Es. 19,5-8), sempre nell’Esodo. Come avete sottolineato voi che è Dio che  ci chiama e ci chiama a partecipare della sua santità. Non come si pensava una volta:  io devo essere santo, no! È Dio che si manifesta. Siccome, oltre a manifestarsi a fare  l'alleanza, Dio decide di mettere la sua dimora in mezzo al popolo, di mettere la sua  gloria in un ambiente separato, santo, dove nel santo di santi si custodiscano le tavole  dell'alleanza e tutto attorno si crei uno spazio staccato dalle abitazioni del popolo.  Ordina Mosè la costruzione di un tabernacolo. Mi faranno un santuario, io abiterò in  mezzo a loro.  

Il Signore disse a Mosè: ordina agli israeliti… essi mi faranno un santuario e  io abiterò in mezzo a loro, eseguirete ogni cosa secondo quanto ti mostrerò secondo  il modello della dimora e il modello di tutti i suoi arredi” (Es 25,1.8-9), perché il  Signore vuole far riposare la sua Gloria, la sua Presenza, per guidare il popolo, di  notte sotto forma di una colonna di fuoco e di giorno sotto forma di una colonna di 

nube che si appoggia sul tabernacolo.  

Ma come fa un Dio santo ad abitare in mezzo a un popolo peccatore? È  quello che abbiamo sperimentato tutti nella nostra vita. Come è possibile? Perché nel  libro del Deuteronomio il Signore Dice: «Ascolta Israele, Il Signore è il nostro Dioil Signore è uno solo, tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta  l’anima e con tutte le forze» (Dt 6, 4-9). 

Santo vuol dire “essere separato”. Dio, come Creatore e Padre è “Unico”, l’origine, l’Autore della nostra vita. Ma essendo Dio Santo, vuole che anche  l’ambiente in cui abita sia separato da dove vive il popolo peccatore che lo tradirà.  Lui sa che lo tradirà, che sarà infedele. 

«Stabilirò la mia dimora in mezzo a voi e non vi respingerò. Camminerò in  mezzo a voi, sarò vostro Dio e voi sarete il mio popolo» (Lv 26,11-12). 

Dio sa di abitare in mezzo a un popolo infedele e non si scandalizza dei loro  peccati.  

L’unica cosa che Dio chiede è che: quando qualcuno trasgredisce le norme date  attraverso Mosè, si rende impuro e pertanto non può presentarsi alla sua presenza nel santuario. È necessario che prima si purifichi dal suo peccato. Perché Dio è Dio  della vita, e attraverso queste norme, insegna ed educa il popolo che per presentarsi

a Lui, bisogna essere purificati dalle impurezze, che sono segni di morte. Non per  nulla, anche noi oggi, in ogni Celebrazione Eucaristica, il Celebrante Fratelli, per  celebrare degnamente i santi misteri, riconosciamo i nostri peccati: in pensieri,  parole, opere e omissioni, per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa.  

Per questo San Paolo dirà: “Quale unione tra la luce e le tenebre? 15 Quale intesa  tra Cristo e Beliar? (2Cr. 6, 14-15) Perché Dio viva in noi, non è possibile che vivano  in noi, Gesù Cristo e il demonio.  

Per rendere possibile la santità di Dio in mezzo a un popolo di peccatori, Dio ha  dato a Mosè le due tavole dei 10 Comandamenti. Come ci spiegava molto bene  Carmen, i 10 comandamenti non vanno interpretati in senso giuridico non fare  questo o non fare quello ma piuttosto come 10 parole dateci dall'amore di Dio come  una segnaletica che ci indica il Cammino della vita: sta attento, ama il Signore Dio  tuo, santifica le tue feste, venera i tuoi genitori, non rubare, non uccidere, non  adulterare, non dire falsa testimonianza, perché, se fai queste cose vai nella morte. È  per il nostro bene che ce lo dice, per amore ci avvisa. 

Allora, se qualcuno pecca – e tutti noi pecchiamo - come potrà mai presentarsi  alla presenza di Dio?  

Nella sua misericordia, per bocca di Mosè, Dio detta al popolo alcune norme da  osservare per presentarsi alla sua presenza, dopo aver offerto alcuni sacrifici per  il perdono dei peccati e così essere purificati.  

Un israelita poteva diventare impuro in diversi modi: entrando in contatto con  malattie della pelle, oppure toccando muffe o cadaveri, tutte in realtà connesse con  la morte, e la morte è l’opposto della santità di Dio, in quanto l’essenza di Dio è la  Vita.  

Molte altre norme legate hai cibi kosher o norme igieniche, aiutavano il popolo  d'israele a ricordare che la santità di Dio doveva interessare tutte le aree della loro  vita. Gli israeliti Infatti erano chiamati a vivere in modo diverso dai Cananei, a  prendersi cura dei poveri anziché ignorarli, e ad avere un alto livello di integrità  sessuale e promuovere la giustizia in tutta la loro terra. 

In vista della purificazione, Dio ordina a Mosè di consacrare Aronne e i suoi figli,  come Sacerdoti, mediatori tra Dio e il popolo. 

“Il Signore parlò a Mosè: procurati balsami pregiati, ne farai l'olio per  l'unzione sacraUngerai anche Aronne e i suoi figli e li consacrerai perché  esercitino il mio sacerdozio. Agli israeliti dirai: questo sarà per voi l'olio  dell'unzione sacra per le vostre generazioni (Es.30, 1. 30-31)” 

Il libro del Levitico stabilisce pertanto i requisiti per essere consacrati Sacerdoti: essi  devono avere un alto livello di santità morale e rituale, in quanto rappresentanti del  popolo davanti a Dio e viceversa.  

Il Signore ordina a Mosè di consacrare con lolio sacro, Aronne, e i suoi figli come  sacerdoti, facendo presente l'importanza di vivere santamente alla presenza di Dio:  «In coloro che mi stanno vicino, mi mostrerò Santo e alla presenza di tutto il  popolo sarò glorificato» (Lv 10,3). 

Per avere un’idea dell’importanza della santità dei Sacerdoti, il Levitico ci presenta  un fatto terribile: subito dopo la consacrazione della famiglia di Aronne, due dei suoi  figli, Nadab e Abiu, piombano in modo irruento nella Tenda alla presenza di Dio,  infrangendo palesemente le norme del Signore. Per tale ragione, vengono divorati  dal fuoco (cf. Lv 10,1-2). Questo fatto ci fa presente l’importanza di vivere alla  presenza di un Dio Santo. Egli è Bontà pura, ma diventa pericoloso per coloro i  quali si ribellano e insultano la sua Santità.  

Per questo è fondamentale che i sacerdoti d’Israele diventino santi e con loro  anche il popolo d’Israele.  

Il Levitico presenta vari modi in cui Dio aiuta Israele, popolo peccatore, a vivere  alla sua santa Presenza

Per questo motivo Dio ordina a Mosè: “osserverai questo rito per consacrarli  al mio sacerdozio” (Es. 29, 1). “Procurati balsami pregiati, ne farai l'olio per  l'unzione sacraUngerai anche Aronne e i suoi figli e li consacrerai perché  esercitino il mio sacerdozio. Agli israeliti dirai: questo sarà per voi l'olio dell'unzione  sacra per le vostre generazioni (Es.30, 22-33)”. Con questo olio sarà consacrato anche  il re, oltre ai sacerdoti. Questo per dire l’importanza di vivere santamente alla  presenza di Dio  

Il libro del Levitico stabilisce pertanto i requisiti per essere consacrati  Sacerdoti: essi devono avere un alto livello di santità morale e rituale, in quanto  rappresentanti del popolo davanti a Dio e viceversa. Dice Dio  

«In coloro che mi stanno vicino, mi mostrerò Santo e alla presenza di tutto  il popolo sarò glorificato» (Lv 10,3).  

Un segno di questo è che, quando introducono l'arca dell'alleanza nella tenta  del Santo dei Santi, due figli di Aronne, Nadab e Abiu, entrano e vanno a sbattere  contro l’arca, infrangendo palesemente le norme del Signore. Per tale ragione,  vengono divorati dal fuoco (cf. Lv 10,1-2). Muoiono all’istante. In seguito, dirà al  popolo: non salite sul monte altrimenti morirete. Questo fatto ci fa presente  l’importanza di vivere alla presenza di un Dio Santo. Egli è Bontà pura, ma  diventa pericoloso per coloro i quali si ribellano e insultano la sua Santità.  

Riguardo all'interpretazione del significato della legge i dei comandamenti,  vorrei fare una precisazione, citando un’omelia di Papa Benedetto XVI. In un’omelia  su San Giuseppe, che l’evangelizza Matteo chiama “Uomo Giusto” (Mt.1, 19),  spiega: 

San Giuseppe è un giusto, esemplare (che appartiene) ancora dell’Antico  Testamento. Ma qui vi è un pericolo e insieme una promessa, una porta  aperta”.  

È immagine dell’uomo giusto dell’Antico Testamento. Perché S. Giuseppe,  quando si sposa con Maria, non ha ancora Gesù bambino, siamo ancora nell'Antico.  Di fronte a questa definizione di “Uomo Giusto” ci sono due pericoli: 

"Il pericolo è che, se la Parola di Dio è (intesa) sostanzialmente come Legge,  l’uomo cerca di perfezionarsi, ma mai sarà santo, sarà un buon esecutore, obbediente  alla legge, ma se la prende non come legge ma come parola di Dio e la compie per 

amore a Dio, allora si avvicina a Dio. Giuseppe è un vero giusto: per lui la legge  non è semplice osservanza di norme, ma si presenta come una parola di amore,  un invito al dialogo, e la vita secondo la parola è entrare in questo dialogo e trovare  dietro le norme e nelle norme, l’amore di Dio. 

Per questo i grandi profeti, quando l'osservanza diventerà rituale e formale, ma  contraria alla vita, per cui i signorotti sfruttano i deboli, vivono alle spalle degli altri  e poi vanno al Tempio e osservano la legge, offrono i sacrifici, tutti i profeti li  condannano, perché non è questo quello che Dio vuole. E per questo i grandi profeti  richiamano il popolo, dopo la deportazione in Babilonia, ad amare Dio con il cuore.  E profetizzano un nuovo profeta che non scriverà più la sua legge su delle tavolema dentro ai nostri, cuori ciò che si compirà con Gesù Cristo. 

Ancora siamo nell’Antico Testamento. Allora abbiamo detto che per  presentarsi alla presenza di Dio chi pecca ha la possibilità di chiedere perdono, di  offrire alcuni sacrifici rituali, sia in riparazione dei propri peccati individuali e in  un certo giorno, Yom Kippur, per quelli della comunità.  

Però, prima di parlarvi di questo, vorrei far presente la simbologia del sangue che voi già sapete. Però lo facciamo presente. Il sangue per gli ebrei, come anche per  i popoli orientali antichi, era considerato come la vita, la fonte della vita. Per questo  Dio anzitutto proibisce di offrire sacrifici umani, come usavano fare i popoli vicini  idolatri, inoltre ordina di mangiare certi animali, solo dopo aver sparso il loro sangue.  Proibisce di uccidere qualsiasi uomo, perché fatto a immagine di Dio e la sua vita,  che è nel sangue e per conseguenza sacra, appartiene solo a Dio.  

Per comprendere l’importanza del sacrificio mediante lo spargimento del  sangue - lo farà presente anche S. Paolo: “Secondo la legge, infatti, quasi tutte le cose  vengono purificate con il sangue, e senza spargimento di sangue non esiste  perdono. 

Per aiutarci a comprenderne il significato, è necessario ricorrere ad Abramo ed al  sacrificio di Isacco, il figlio della promessa.  

Abramo, come sapete, il Signore, dopo avergli dato il figlio, quando è già  cresciuto, gli chiede come prova di fede, Per comprovare se si fida di lui, gli chiede  di sacrificare l'unico figlio, che gli ha donato. È una prova e lui parte con il figlio,  salgono sul monte. Il figlio dice: Papà, dove è la legna? Dov'è la vittima? Abramo  risponde al figlio: sul monte Dio provvederà (Gen 22,11-14). E arrivati alla cima,  del monte, Abramo, stende il figlio sulla legna, alza il coltello per immolarlo, e gli  appare un angelo, che gli ordina: “Abramo, non stendere la mano contro il ragazzo,  non fargli alcun male. Io so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato il tuo unico  figlio. Abramo alza gli occhi e vede un ariete impigliato con le corna in un cespuglio.  Andò a prendere l’ariete e lo offrì in olocausto al posto del figlio. Per questo oggi si  dice: sul monte il Signore provvede!” (Gen.22, 13-14) 

Nel sacrificio di Isacco, Dio ha provvisto un ariete da sacrificare al suo  posto. In prefigurazione del sacrificio di Gesù Cristo che ha accettato di essere  sacrificato al nostro posto, per i nostri peccati. Questo aspetto di “Sostituzione  Vicaria”, l’ ariete è figura di Cristo. Perché? Perché Gesù Cristo ha dovuto farsi 

uomo ed offrirsi lui al nostro posto? Perché dopo il peccato originale, non esisteva  nessun uomo che avrebbe potuto salvarci dal se stesso. Difatti il Salmo dice Salmo:  “Per quanto un uomo faccia, non potrà mai sfuggire dal sepolcro” (cf. Sal 49,9-10).  Nessuno! Quando Pietro dice: io andrò a morire per te. Gesù gli risponde: calma,  calma! Poi lo tradisce. Era necessario dice Gesù Cristo, che il Figlio di Dio si facesse  uomo per offrire la sua vita nel suo corpo, per tutti noi e non pagare, ma riconciliare  con il Padre l’umanità, che era schiava sotto il potere di Satana e della morte.  

Allora capite perché nel tempo dell'antico testamento il Signore ordina a Mosè  di offrire sacrifici per il perdono dei peccati. C'erano molti tipi di sacrifici, di  ringraziamento, offrendo i frutti della terra, come facciamo noi nell’offertorio della  Celebrazione Eucaristica, quando diciamo: offriamo questo pane, questo vino, frutto  del nostro lavoro, perché diventino il Corpo e Sangue di Cristo. Facevano anche dei  sacrifici di comunione, offrendo dei pani sacri, per esempio, o dei frutti dei prodotti  della terra o sacrifici di animali a seconda della gravità del peccato. Una volta fatto il  sacrificio, potevano entrare alla presenza di Dio e pregare, parlare con Dio. Ma se  fossero entrati in stato di peccato, sarebbero morti. Per i sacrifici privati, per questo  oltre ad Aronne ed ai suoi figli sacerdoti, il Signore stabilisce i Leviti, che aiutano in  questo servizio.  

Scusate sei ho dovuto restringere, sono stato costretto ad esporre solo alcuni  aspetti, il resto lo potete sempre integrare voi. Mi sono limitato solo ad alcuni accenni.  

Oltre a questi sacrifici individuali che si facevano in certi momenti, il Signore  istituisce il giorno dell'espiazione del popolo, come popolo, il giorno dello Yom  Kippur che come sappiamo, ci ha spiegato molte volte Carmen, il sommo sacerdote  prendeva due capri, uno fungeva da offerta di purificazione, espiazione per i peccati  e l'altro era chiamato capro espiatorio: il Sommo Sacerdote confessava i peccati  d’Israele sul capro espiatorio e lo cacciava nel deserto per morire, espressione del  desiderio di Dio di rimuovere il peccato e l’altro veniva immolato. Sacrificio ed  olocausto per il perdono dei peccati.  

Ma, oltre a questo, oltre ai suoi interventi che sono tutti interventi nella storia,  la rivelazione del Monte Sinai, prima l'esodo dal Mar Rosso, passaggio del mare al  monte Sinai, la terra promessa, tutti gli interventi di Dio, poi la consegna della legge,  i tabernacoli, ecc. Tutti gli interventi di Dio nel tempo, nella nostra storia mantengono  un valore trascendente che supera il tempo e lo spazio, cioè noi ragioniamo con le  categorie di tempo e spazio, ma Dio è al di là del tempo e dello spazio. Per questo  Papa Benedetto XVI alcune volte diceva: quando noi parliamo di Dio, siamo come  dei bambini che balbettano, perché la realtà supera più di quello che le nostre parole  cercano di dire.  

Nella sua bontà infinita il signore ha disposto le Feste, per commemorare ogni  anno, i suoi interventi di salvezza. Vi ricordate come ogni volta che il Signore  interveniva, a favore dei nostri padri Abramo, Isacco, Giacobbe: costruivano una stele  formata da pietra per ricordarsi perpetuamente dove il Signore si era manifestato a  loro. E così Signore stabilisce delle feste cicliche di ogni anno per far presente ogni  anno la sua presenza del popolo. E nascono le feste della Pasqua, i pani azzimi, le  primizie, le settimane/Pentecoste, la festa delle Trombe, il giorno dell’Espiazione 

YOM KIPPUR, la festa dei Tabernacoli. Ognuna di queste feste faceva presente un  aspetto differente della storia, come Dio li avesse liberati dalla schiavitù in Egitto e guidati attraverso il deserto fino alla terra promessa: celebrando queste  festività gli israeliti avrebbero ricordato la loro vera identità e chi fosse Dio per  loro, ogni anno, di anno in anno.  

Questa tradizione passerà poi al nostro Calendario Liturgico. Il signore non  solamente è intervenuto a nostro favore, ma nella sua Sapienza divina ha trovato la  forma di continuare la sua Presenza salvatrice in mezzo a noi, fino alla pienezza  dei tempi quando invierà il suo Figlio, fatto uomo, nato da donna, sotto la legge.  

A questo fine nel libro del levitico Levitico, stabilisce: 

«Conterai sette settimane di anni, cioè sette volte sette anni; queste sette  settimane di anni faranno un periodo di quarantanove anni. Al decimo giorno  del settimo mese, farai echeggiare il suono del corno; nel giorno  dell’espiazione farete echeggiare il corno per tutta la terra» (Lv 25, 8-9) 

che annuncerà lo Yom Kippur ed annuncerà anche il Giubileo. Perché un “corno di  ariete”?. Perché un corno d’ariete, che è chiamato shofàr, risuonava durante il  giubileo e specialmente nei giorni intorno allo Yom Kippùr, annunciava l’inizio  dell’anno giubilare. Esso richiama la voce di Dio sul Sinai, che è chiamata «voce di  shofàr» (Es 19,19). Lo shofàr è pertanto la voce dell’alleanza. Il suono dello  shofàr rappresenta anche la voce della misericordia di Dio, che ha provveduto la  vittima al nostro posto. 

In questo anno di Giubileo, nel cinquantesimo anno, l’anno di misericordia,  nel quale erano condonati i debiti e rimessi in libertà gli schiavi, ricordava il  sacrificio di Isacco. In sua sostituzione, Dio provvide un ariete (cf. Gen 22,13).  Questo corno d’ariete, quindi, è un memoriale della misericordia di Dio, che non  ha voluto la nostra morte, ma ha provveduto per noi e al nostro posto una vittima  di salvezza: in tale ariete è prefigurato il Messia, Cristo

Il tempo Giubileo è un periodo speciale di riposo e libertà

Il Giubileo è anzitutto un anno di riposo. Riposo anche per la terra, che non  si doveva coltivare per tutto l’anno ma si doveva provvedere con il raccolto  dell’anno precedente. Il popolo doveva essere cosciente che non è padrone della  terra né del suo lavoro: unico Signore è l’Adonai e l’uomo deve vivere nella verità  che egli non è signore della propria vita, né della sua terra, né del lavoro delle  sue mani. La precarietà in cui viviamo noi è un aiuto del Signore. È quindi un anno  di fiducia nella grazia e nella Provvidenza divina. 

È anche un anno di remissione dei debiti e delle proprietà. Uno dei suoi  aspetti più importanti è proprio il ripristino delle proprietà alla famiglia che  originariamente era sua proprietaria. Ciò significava che le terre vendute per necessità  dovevano essere restituite ai loro proprietari originari. Questo meccanismo garantiva 

che la disuguaglianza economica non diventasse permanente. 

Il Giubileo ordina anche la liberazione degli schiavi: gli schiavi tra gli israeliti  dovevano essere liberati durante l’anno giubilare. Questo rifletteva l’importanza  della libertà personale e la dignità umana nella società ebraica.

Il Giubileo invita quindi alla libertà, in particolare alla liberazione da ogni  forma di schiavitù o oppressione, ma soprattutto di una liberazione spirituale e  morale, connessa all’idea di un nuovo inizio per tutti

Il Giubileo serviva anche come un tempo per fare memoriale e ricordare al  popolo d’Israele la sua dipendenza da Dio e la sua storia di redenzione, specialmente  dalla schiavitù in Egitto. Era un invito a riconciliarsi con Dio e con i fratellirinnovando il patto dell’alleanza

Adesso arriviamo finalmente al compimento del Giubileo.  

È molto importante nel Vangelo di Matteo che Gesù Cristo dopo la  proclamazione delle Beatitudini afferma: «Non pensate che io sia venuto ad abolire  la legge o i profeti non sono venuto per abolire ma per dare compimento» (Mt 5,  17). Tutto l’Antico Testamento era prefigura di quello che sarebbe avvenuto in Gesù  Cristo. 

E San Paolo, nella lettera agli Ebrei capitolo 10, esplicita il compimento in  Gesù Cristo, di quanto prefigurato nell'Antico Testamento,  

«Avendo infatti la Legge solo un'ombra dei beni futuri e non la realtà stessa  delle cose, non ha il potere di condurre alla perfezione, alla santità di Dio. Per  questo, entrando nel mondo, Cristo dice:  

Tu non hai voluto né sacrificio né offerta

un corpo invece mi hai preparato

Non hai gradito 

né olocausti né sacrifici per il peccato

Allora ho detto: Ecco, io vengo 

- poiché di me sta scritto nel rotolo del libro

per fare, o Dio, la tua volontà”. 

Esplicita più avanti “la volontà del Padre è che io dia la vita eterna”. Con  questo abolisce i primi sacrifici e stabilisce il vero “sacrificio”, la vera salvezza. Per  quella volontà che siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù  Cristo fatto una volta per sempre perché con un’unica oblazione e gli ha reso perfetti  per sempre quelli che vengono santificati. In un altro passaggio dice perché ha offerto  se stesso con spirito eterno, quindi una sola volta per tutta l’eternità, con la sua  obbedienza al Padre, ha sconfitto nella sua carne il pungiglione della morte, la  disobbedienza di Adamo: pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro  geloso, la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, umiliò se stesso fino a  essere obbediente fino alla morte e morte di Croce. Per questo Dio l'ha esaltato, gli  ha dato il Nome che è al di sopra di ogni altro nome. 

Nella Sinagoga di Nazareth, dopo il Battesimo nelle acque del Giordano,  confermato dalla voce del Padre come “figlio prediletto” e dalla Presenza dello  Spirito Santo, sotto forma di Colomba, Gesù proclama la profezia di Isaia:  

Lo Spirito del Signore è sopra di me;  

per questo mi ha consacrato con l’Unzione,  

e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, 

per proclamare ai prigionieri la liberazione  

e ai ciechi la vista;  

per rimettere in libertà gli oppressi,  

e predicare un anno di grazia del Signore (Lc 4,18-19).  

Conclude affermando:  

Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi (Lc  4,21). 

Il Giubileo celebra la «pienezza dei tempi» manifestatasi in Cristo, «Alfa  e Omega» (Ap 1,8; 21,6; 22,13), Signore del tempo e della storia. Ciò spiega perché  per Origene, ad esempio afferma che «il Giubileo appare come il più insondabile  di tutti i “sacramenti” della Scrittura» perché anticipa la venuta di un tempo di  salvezza universale. Gesù stesso annuncia l’«anno di grazia del Signore» (Lc 4,18- 19), richiama l’immagine del Giubileo e indicando che la sua missione è il  compimento ultimo di quella liberazione e restaurazione promessa, e va di  villaggio in villaggio annunciando: “convertitevi il Regno di Dio è vicino, credete al  Vangelo”. Con Lui ha inizio la pienezza dei tempi. 

Il Signore ha disposto che ogni anno noi celebrassimo, nell’anno liturgico, tutti  i misteri della sua salvezza per unirci sempre di più a lui stesso e vivere nei nostri  cuori.  

Per questo, perpetuerà annualmente nella Chiesa, la Celebrazione dei  Misteri della Redenzione.  

È in questa luce che nel prossimo Giubileo, il Signore stesso viene al nostro  incontro, per salvarci da questa generazione che lo ha abbandonato  pubblicamente. Iniqua e perversa, dice Pietro. Uscite da queste generazioni iniqua e  perverse, mediante il suo amore che viene a cercarci, a metterci su le sue spalle come  la pecora perduta e come il Padre del figliol prodigo ha accolto suo figlio con una  festa e per questo ha dato il potere a Pietro: “A te darò le chiavi del regno dei cieli:  tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai  sulla terra sarà sciolto nei cieli”. Apparendo risorto agli apostoli nel Cenacolo dice:  “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li  rimetterete, resteranno non rimessi”. Questo è il grande dono che ci fa Gesù Cristo,  non più sacrifici rituali per il perdono ma il Sacramento della riconciliazione che ci  ha lasciato. 

Ora passiamo a vedere un poco come nella storia – brevemente perché già per  il Giubileo del 2000 ho fatto la storia – vi darò degli spunti. Come è arrivato a noi  questo Sacramento della Penitenza?  

Come sappiamo, nell’Antico Testamento per i tre peccati più gravi che sono  l’apostasia, l’omicidio, uccidere una persona, e l’adulterio, rompere l’amore  coniugale, erano condannati a morte. Questa tradizione passa alla Chiesa primitiva  nei primi secoli perché nella Chiesa primitiva, dopo il battesimo, se uno incorreva in  questi peccati gravi, in uno di questi peccati gravi era scomunicato dalla comunità, in  vista della sua conversione, perché si rendesse conto della gravità che aveva fatto  rispetto a Dio, rifiutando il suo amore gratuito e alla comunità dando scandalo per cui  era ammesso alla penitenza in genere in fin di vita, alla fine, prima di morire per paura 

che se rientrava nella comunità, ricadesse per debolezza. Questo è stato il primo  atteggiamento. 

Con la scomunica (sospensione dalla Comunità) si cercava di impedire un  rilassamento nella fede in un tempo di instabilità sociale e religiosa frutto delle  costanti persecuzioni da parte dell’Impero, di fronte alla possibilità di cadere  nell’apostasia o nell’eresia. C’erano i lapsi, coloro che per debolezza apostatavano  mettendo l’incenso a Cesare e dopo volevano ritornare. Per misericordi certe chiese  li hanno riammessi, comprendendo la debolezza difronte la paura della morte.  

Alla fine delle persecuzioni, all'inizio dell'epoca di Costantino, e l'entrata  delle masse pagane nella chiesa - dove la Chiesa si sforza di evangelizzare attraverso  la loro religiosità naturale, abbiamo già parlato di questo processo - il catecumenato  a poco a poco sparisce, e con il passare degli anni si va configurando l’Ordo  Paenitentium. Che vuol dire? Il Mercoledì delle Ceneri, chi aveva commesso peccati  veniva fatto uscire dalla comunità cristiana, scomunicato fino al Giovedì Santo se in  questo periodo dava i segni di vera conversione. Finché non davano questi segni non  venivano riammessi il Giovedì Santo. I primi tempi questo era preso molto sul serio  ed erano accompagnati dalla preghiera dei fedeli. Coloro che entravano nell’Ordo dei  Paenitentium si radunavano fuori della Chiesa – per questo nascono gli atrii – in  ginocchio e i fedeli che passavano pregavano per loro perché potessero recuperare la  vita divina, l’intimità con il Signore.  

La conclusione del processo penitenziale era realizzata all’interno di una  celebrazione eucaristica il Giovedì Santo al mattino. In essa il diacono chiamava il  penitente che, uscito dal suo posto (Ordo Paenitentium), si prostrava per terra davanti  al vescovo in segno di indegnità e di supplica di misericordia. 

In seguito, il Diacono sollecitava dal Vescovo la riconciliazione per il  penitente. Il Vescovo dopo aver esaminato e ricordato al penitente la gravità del  peccato, procedeva a riconciliarlo usando alcune formule deprecatorie in cui si  chiedeva a Dio il perdono dei peccati seguite dalla imposizione delle mani da parte  del Vescovo. 

Dopo questo rito di riconciliazione si procedeva a reintegrarlo pienamente  alla comunità, ciò che si esprimeva nella partecipazione al mistero eucaristico che  concludeva la celebrazione 

Più tardi, nel 589,nel Sinodo di Toledo, appare una nuova pratica di  confessarsi. Questa rigidità si va allentando, questa nuova formula che appare cioè  un fedele quando peccava si rivolgeva ad un prete, un presbitero e chiedeva  l'assoluzione, consapevole di aver commesso un peccato di una certa gravità,  cominciano a confessarsi da un prete che lo assolve dichiarandosi disposto a espiare  la propria colpa con un’adeguata «pena». 

Vedremo la distinzione tra essere assolti dal peccato e le pene che ne  conseguono. Ogni peccato crea dei disastri, delle ferite. Tu puoi essere pentito, il prete  ti assolve ma devi, in un certo modo riparare, al male che hai fatto. Allora sorge la «penitenza tariffata», cioè a certi peccati – dato che si diffonde, come vedremo  dopo, attraverso gli ordini monastici questa prassi allora si crea un ordine penitenziale  dove a ciascun peccato, per facilitare, è applicata una tariffa che può essere in 

penitenza digiuni, pellegrinaggi, mesi di conversione o in soldi. Tutto avviene al  termine di un tempo penitenziale appoggiato sempre dalla preghiera della comunità.  Come avete detto anche voi, è molto importante il sostegno della comunità, non siamo  soli, siamo chiamati a diventare santi in comunità non da soli.  

Nel secolo X, si diffondono i monasteri benedettini, in Europa, creati da  S.Benedetto, e arrivano al loro fulgore con il Monastero di Cluny. Questo monastero  ha un grande successo e diventa un centro commerciale. Perché succede? Perché  grazie ai benedettini che hanno creato le abazie in tutta Europa, attorno si sono  raccolti i contadini, nascono dei nuovi villaggi attorno ai monasteri, cominciano ad  insegnargli a seminare, piantare, ecc. e così è nata la civiltà occidentale, piano piano,  grazie ai monaci. Questo cosa ha portato? Che coltivare i campi, lavorare, produce  frutti e i frutti producono commercio, il commercio diventa internazionale. E in poco  tempo la corruzione entra nella Chiesa. Come reazione il Signore, suscita San  Francesco d'Assisi e l'ordine francescano; nel 1200 appare S.Franscesco che invita  ad un ritorno alla povertà, e alla vita cristiana secondo il Vangelo radicale e manda  i suoi frati a predicare, prendendo botte. Nello stesso secolo Dio suscita San  Domenico di Guzman, che viene a Roma e si converte e forma l’ordine dei  predicatori. Grazie a queste due colonne, S.Francesco e S.Domenico, la Chiesa  riprende fiato.  

Arriviamo così all'anno 1300: cosa succede? Nel 1299 la città di Roma vive  nel terrore, per questa corruzione che era diffusa, con rapine, sfruttamento dei poveri,  ecc.  

La prima indulgenza, come sapete, l’ha istaurata S.Francesco di Assisi, il  perdono di Assisi ma quello ufficiale nasce nel 1350. Entrando nell’anno 1300 cosa  succede? Tra il popolo cominciò a formarsi la convinzione che nell’anno centenario  1300 si sarebbe potuto ottenere “pienissima remissione dei peccati”, erano pieni di  paura, si faceva profezie, pensavano che entrando nel 1300 chissà cosa sarebbe  accaduto, la fine del mondo, ecc. allora tra i pellegrini alla basilica di San Pietro si  diffonde la voce che andando a S.Pietro il Papa Bonifacio VIII avrebbe concesso  “l’indulgenza” plenaria di tutti i peccati. Così se fossero avvenuti tutti i disastri,  sarebbero andati certamente in paradiso. Questa notizia arrivò a Papa Bonifacio VIII che il 22 febbraio 1300 promulgò il la bolla “Antiquorum habet fide relatio” in cui  concedeva “in virtù della pienezza della potestà apostolica un’indulgenza di tutti  i peccati, non solo piena e più abbondante, ma pienissima”». (Fisichella, p.115). Sarà  spiegata bene da Papa Clemente VI, nella Bolla “Unigenitus Dei” di indizione  dell’Anno Santo del 1345, che espliciterà la dottrina della indulgenza plenaria legata alla celebrazione dell’Anno Giubilare: il tesoro inesauribile 

«Avendoci Cristo riscattati a prezzo non di cose corruttibili come l’oro e  l’argento, ma con il suo sangue prezioso, ne è derivato alla Chiesa un tesoro  inesauribile, per di più arricchito dai meriti della beata Madre di Dio e di tutti gli  eletti… In verità ha disposto che questo tesoro, non riposto in un fazzoletto, non  nascosto in un campo, ma venisse dispensato ai fedeli tramite il beato Pietro e i  suoi successori, detentori delle chiavi del cielo, ed ha stabilito che venisse  misericordiosamente distribuito, sia in modo generale che speciale sia in favore di 

una totale o parziale remissione della pena temporale contratta con i peccati, a  coloro che veramente si pentono e si confessano». 

Cioè, con l'indulgenza si ottiene dopo lo perdono e anche di tutte le pene che  si distinguevano in pene temporali e pene eterne, che poi si qualificheranno.  

Papa Alessandro VI, per l’Anno Santo del 1500 estende che l’indulgenza  plenaria sia applicata in suffragio per le anime del purgatorio: cioè se uno fa il  giubileo per se stesso, se ne fa un altro secondo le indicazioni del Papa a Roma o nelle  chiese locali può applicare questo tesoro ad un defunto, alla mamma, alla nonna a chi  vuole lui. 

Fu proprio in questa occasione che sorse Lutero e la controversia sulle  indulgenze. 

Lutero critica le indulgenze nelle famose “tesi di Wittenberg” 1595, muove  una dura requisitoria contro le indulgenze. E diffonde questa frase: «Appena il  denaro suona nella cassetta, l’anima è liberata dal fuoco del purgatorio». 

Fa una esagerazione ma noi sappiano che dietro ci sono altri motivi, anche di  tipo politico ed economico. Già l’Inghilterra aveva provato a staccarsi dalla Chiesa  cattolica a causa delle tasse da versare al Vaticano. Questo non piaceva molto. Anche  i principi della Germania non erano disposti a pagare le tasse. Questi sono i veri  motivi che ci sono dietro. E’ vero anche che ci sono state delle esagerazioni, cose da  correggere.  

Lutero, nelle sue celebri 95 tesi del 1517 sulle indulgenze, sosteneva che esse  non avevano valore davanti a Dio, essendo unicamente una remissione della pena  canonica da parte della Chiesa; negava inoltre l’esistenza di un tesoro di grazia di  Cristo e dei santi da cui la Chiesa avrebbe potuto attingere. Tuttavia, attenuava la sua  contestazione mettendo sotto accusa il modo in cui le indulgenze venivano predicate:  «Se si fosse predicato bene, secondo lo spirito e il sentimento del papa, quelle  difficoltà sarebbero svaporate da sé medesime» (Tesi 91). Aggiungeva comunque che  è meglio soffrire volentieri le pene dei peccati che non sottrarvisi mediante le  indulgenze

Ma il Concilio di Trento, il 4 Dicembre 1563, viene approvato il “Decretum  de indulgentiis” conferma il valore delle indulgenze, afferma che: 

«Le indulgenze – affermano – sono molto salutari per il popolo cristiano». 

Il Concilio di Trento, in effetti, veniva a chiarificare che il perdono dei  peccati, mediante l’assoluzione sacramentale, non comportava necessariamente  anche la remissione delle conseguenze del peccato. Dio, insomma, rimane sempre  libero, ma concede alla Chiesa la possibilità di intervenire con le sue forme proprie  per ottenere che al perdono del peccato possa seguire anche il perdono delle sue  conseguenze. (Riparazione) 

Dopo il Concilio di Trento il rischio di «cosificazione» e di  «quantificazione», (specialmente in soldi), non fu del tutto evitato. 

Assistiamo così al sorgere di un cumulo di indulgenze legate a opere sempre  minori. Lo sconto della pena era penitenza, scomunica o digiuno, pellegrinaggi. 

Adesso si tramuta tutto in offerte o preghiere, una preghiera 3000 anni di purgatorio  in meno. Una pratica indulgenza di 5000 anni, ecc., una elemosina 5000 anni, ecc.  

Per di più, alcuni signorotti facoltosi, che avevano commesso peccati gravi e  avrebbero dovuto scontare una pena gravosa, hanno cominciato ad utilizzare alcuni  dei loro dipendenti, pagandoli in denaro, se accettavano di scontare la pena dovuta,  a nome loro 

Allora qui ci sono gli abusi e l’indulgenza finì per essere «praticata» e  «pensata» come realtà la cui essenza non aveva più alcun rapporto con la  celebrazione ecclesiale della penitenza, ma come realtà a sé stante, talora praticata  esteriormente senza una corrispondente conversione interiore

Per comprendere questo, io faccio presente un momento quello che per voi  stiamo vivendo nelle comunità che avete detto nelle risposte al questionario. Una  realtà riscoperta da Concilio Vaticano II che nella Lumen Gentium, tra le immagini  della Chiesa scopre la Chiesa come il corpo di Cristo e dice:  

tutte le membra del corpo umano, anche se numerose, non formano che un solo  corpo in una diversità di membri e di uffici. Lo Spirito, unificando il corpo con  l’interna connessione dei membri, produce e stimola la carità tra i fedeli; se un  membro soffre, soffrono con esso tutte le altre membra; se un membro è onorato,  ne gioiscono con esso tutte le altre membra (cfr. 1Cor 12,26) (LG.n.7).  

E San Paolo nel capitolo quarto della lettera agli Efesini esplicita: 

“Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza; un solo Signore. Un  solo Dio Padre di tutti

quello che noi stiamo vivendo per grazia di Dio 

Cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il Capo, Cristo, dal quale  tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni  giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in  modo da edificare se stesso nella carità’” (Ef 4,1-16) 

In fine, al Capitolo7 della Lumen Gentium fa presente l’indole escatologica della  Chiesa peregrinante. 

Siamo uniti alla Chiesa celeste, alla Chiesa purgante e la Chiesa militante sulla  terra, c’è una unione di meriti e di grazie  

nei diversi generi e professioni della vita, ecc. 

E arriviamo ai nostri tempi. 

Papa Paolo VI ripropone in forma rinnovata la dottrina sulle Indulgenze 

Papa Paolo VI riconosce gli “abusi” riguardo alla dottrina delle indulgenzesoprattutto nel secolo XVII e XVIII e poi fino al ‘900, fino alla rinnovazione del  Concilio Vaticano II.

Paolo VI riconosce gli abusi, perché a causa di concessioni non opportune e  superflue veniva avvilito il potere delle chiavi di Pietro. Ma la Chiesa, condanna  con anatema quanti asseriscono l’inutilità delle indulgenze e negano il potere  esistente nella chiesa di concederle». 

Il fine dell’indulgenza poi «non è solo quello di aiutare i fedeli a scontare le pene  del peccato, ma anche di spingerli a compiere opere di pietà, di penitenza e di  carità… 

E si possono applicare in suffragio dei defunti (n. 8).  

Questo lo spiega molto bene  

Papa Giovanni Paolo II, nella Bolla «Incarnationis mysterium»  

Papa Giovanni Paolo II, nella Bolla di indizione del grande Concilio  dell'anno 2000, «Incarnationis mysterium», ci ha lasciato una spiegazione  molto chiara sul significato delle Indulgenze

Il perdono comporta un reale cambiamento di vita 

“Il perdono comporta un reale cambiamento di vita. Fin dall’antichità, il  perdono, concesso gratuitamente da Dio, implica come conseguenza un reale  cambiamento di vita, una progressiva eliminazione del male interiore.  

L'avvenuta riconciliazione con Dio, infatti, non esclude la permanenza di  alcune conseguenze del peccato dalle quali è necessario purificarsi”.  

È precisamente in questo ambito che acquista rilievo l’indulgenza, mediante  la quale viene espresso il «dono totale della misericordia di Dio» (16). Con  l’indulgenza al peccatore pentito è condonata la pena temporale per i  peccati già rimessi quanto alla colpa (9). 

Il peccato, infatti, per il suo carattere di offesa alla santità e alla giustizia  di Dio, ha una duplice conseguenza: In primo luogo, se grave, esso comporta  la privazione della comunione con Dio e, di conseguenza, l'esclusione dalla  partecipazione alla vita eterna. Al peccatore pentito, tuttavia, Dio nella sua  misericordia concede il perdono del peccato grave e la remissione della  «pena eterna» che ne conseguirebbe. 

In secondo luogo, «ogni peccato, anche veniale, provoca un attaccamento  malsano alle creature che ha bisogno di purificazione, sia quaggiù, sia dopo  la morte, nello stato chiamato Purgatorio. Tale purificazione libera dalla  cosiddetta «pena temporale» del peccato», espiata la quale viene a  cancellarsi ciò che osta alla piena comunione con Dio e con i fratelli” (10). 

Quindi Giovanni Paolo II collega il perdono dei peccati e l’espiazione o  riparazione dei danni creati ai vicini. 

Le pene temporali 

Noi ci scandalizziamo delle tariffe messe dalle indulgenze, ma questo è  praticato oggi dal Codice civile e penale in Italia. Avete mai sentito dire che uno è 

condannato per 500 anni? Mai sentito? Si condanna al carcere perpetuo, più 300 anni  o 500 anni: si usa, è nominale ma c’è. La Chiesa ha applicato una norma anche del  Diritto civile.  

Se ad esempio un fratello avanti nel cammino, cade in un peccato di  adulterio, si pente sinceramente e si confessa, con la decisione di rompere quella  situazione di peccato, riceve il perdono nel Sacramento della Penitenza. Ma questo  non è sufficiente.  

Questo io lo praticavo già quando confessavo all’inizio del Cammino nelle  parrocchie. Se veniva uno, e mi diceva di avere un’amante, non gli dicevo solo: “Io  ti perdono” ma “Tu devi essere curato, devi lasciare quella donna altrimenti non ti  posso dare l’assoluzione. Vai al Cammino neocatecumenale”, gli dicevo. Non posso  illuderlo con l’assoluzione.  

C’è un cammino di riparazione del male provocato alla moglie, ai figli, ai  familiari, alla comunità, accettando di soffrire per circoncidere il cuore,  

per cui la “pena temporale” non è una sanzione estrinseca che la Chiesa  impone di soddisfare, ma è una esigenza intrinseca alla conversione. In questo  processo di conversione è aiutato e sostenuto dalla Chiesa in modo particolare con  il dono dell’indulgenza, e dalla comunità che ti aiuta con la sua preghiera. Quindi  conviene dare un tempo di stare lontano dalla comunità, come facciamo molte volte:  “Stai lontano dalla comunità un anno, vai a messa tutti i giorni, prega il Rosario, e  dopo se dai i segni di conversione sarai riammesso.  

Per questo il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna: 

L’assoluzione toglie il peccato, ma non porta rimedio a tutti i disordini  che il peccato ha causato. Risollevato dal peccato, il peccatore deve ancora  recuperare la piena salute spirituale. Deve dunque fare qualcosa di più per  riparare le proprie colpe: deve «soddisfare» in maniera adeguata o «espiare» 

i suoi peccati. Questa soddisfazione si chiama anche «penitenza» (CCC  1459). 

Per la remissione della pena temporale, l’indulgenza non costituisce una via  facilior, una «scorciatoia», rispetto alla conversione ordinaria. Essa  rappresenta invece l’aiuto solenne dell’amore mistico del corpo di Cristo, della  comunità, offerto alla debolezza del peccatore pentito, affinché egli possa  realizzare una conversione profonda ed efficace. Se è vero che la grazia di  Dio non sostituisce ma promuove e sollecita la libertà dell’uomo, quello che  Dio più rispetta è la nostra libertà, non può attuare nulla senza la libertà, senza  la libertà non esiste l’amore. Allora 

è piuttosto l'aiuto della Chiesa volto a favorire l'opera sempre difficile di  ricostruire l'amore, favorendo la conversione stessa.  

Adesso arriviamo già alle indulgenze e al Cammino Neocatecumenale, perché  nel Cammino noi già facciamo tutto questo. Io ho voluto esplicitarlo  collegando l’Antico Testamento alla Tradizione della Chiesa per vedere che  già lo stiamo facendo, e come.

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padre Mario:

Ieri ho fatto molti salti. Capisco  che nel 1999, quando ho fatto la catechesi per il grande Giubileo del 2000, ero più  giovane, la colpa non è mia, sono nato in quell’anno e adesso sono più vecchio e più  difficile concentrarsi, sintetizzare… Confido nella comunione dei santi nelle nostre  comunità. Cercherò di leggere così non mi perdo. Bisogna accettare i limiti. Siamo  arrivati a l’indulgenza e il Cammino Neocatecumenale.  

In questo insegnamento sul significato dell’Indulgenza, vediamo confermato quanto il Signore ha operato e sta operando in noi attraverso il Cammino  neocatecumenale al quale Dio ci ha chiamati, e ne risalta la sua attualità per la Chiesa.  

Fin dalle prime catechesi, sin dall’Annuncio del Kerygma, di fronte alla crisi  del Sacramento della Penitenza, Carmen ha fatto un’ottima catechesi ponendo al  centro al posto della confessione che è un elemento, ha messo la conversione, della  conversione fanno parte confessione dei peccati, il proposito di commetterlo più la penitenza

Nel Cammino Neocatecumenale anche in noi è iniziato un cammino  graduale e progressivo di discesa, di illuminazione e di spoliazione dell’uomo  vecchio e di rivestimento dell’uomo nuovo.  

Grazie alle tappe e agli scrutini, alla Celebrazione della Parola di Dio, nella  settimanale celebrazione della Eucarestia e alla celebrazione periodica del 

Sacramento della Penitenza, la Chiesa attraverso il ministero del Vescovo, dei  presbiteri e dei catechisti, come vera Madre ha cominciato in noi quel processo di  gestazione a una fede più matura con la stessa cura con cui gestiva alla vita nuova  i catecumeni nella Chiesa primitiva, e assisteva con la sua intercessione i  peccatori pentiti nel loro cammino di ritorno

Terminato l’itinerario neocatecumenale, questo processo di purificazione non è cessato, ma il combattimento quotidiano continua, anzi si fa sempre più  serio, e per questo abbiamo sempre bisogno di essere sorretti ed aiutati dalla  materna assistenza della Chiesa che soprattutto in occasione di questo Grande  Giubileo ci apre i suoi “tesori di grazia” nella Comunione dei Santi. A questa luce  si comprende come la partecipazione personale alle Celebrazioni della Parola e  dell'Eucaristia settimanali, come anche alle convivenze della comunità, agli  Annunci dei tempi forti dell’anno Liturgico, non sono degli opzional - posso o non  posso andare - facoltativi, ma sono necessari – chiaramente se sei impedito perché  ammalato o a letto sarà aiutato dai fratelli che ogni tanto vanno a pregare con lui, ma  tu non lasci mai le lodi, il breviario – ma sono necessari per potere alimentare la vita  nuova che cresce in noi fino al momento in cui il Signore ci chiama se

Vorrei fare qui un richiamo anche ai Presbiteri e ai catechisti del pericolo  della infiltrazione, soprattutto nei diversi passaggi, di una mentalità sentimentale, negli scrutini - poveretto, lo dobbiamo capire, lo dobbiamo rispettare. I criteri di  discernimento, sul cambiamento della vita nei rapporti con gli altri, con sé stessi e  con Dio, il criterio viene dalla Parola di Dio, come faceva S.Pacomio che ha messo  come regola la parola di Dio nelle sue comunità. A volte, per farsi sentimenti di pietà,  non osiamo dire la verità e con questo ritardiamo l'autentica conversione dei fratelli  a Gesù Cristo. Soprattutto anche per ammettere i seminaristi al diaconato, al  presbiterato. Avvolte si dubita: nel dubbio è meglio non andare avanti, dice S.Paolo.  Per fare un esempio: un medico che vede un paziente che ha un bubbone con il pus,  se è un sentimentale cosa fa? Poveretto, ti fa male, va bene ti do una pomata e ti passa.  Questo è sentimentale, ha paura di far soffrire. Un vero medico prende il bisturi e  taglia, ti farà male ma poi guarisce sicuramente. Non dobbiamo perdere la radicalità  del vangelo soprattutto negli scrutini. Se uno non ha un cambio di vita è meglio farlo  aspettare, non perde nulla, c’è la vita eterna.  

La Rivelazione, d’altra parte, insegna che, nel suo cammino di conversioneil cristiano non si trova solo. In Cristo e per mezzo di Cristo la sua vita viene  congiunta con misterioso legame alla vita di tutti gli altri cristiani nella soprannaturale  unità del Corpo mistico. Al tempo del devozionismo, c’era di aspirare a diventare  santo: io santo. Oggi la comunità è chiamata a diventare santa.  

Si instaura così tra i fratelli un meraviglioso scambio di beni spirituali, siamo  come dei vasi comunicanti: il corpo di Cristo ha varie funzioni, varie congiunture,  articolazioni ma dove scorre la stessa linfa e lo stesso sangue che è quello di Cristo  che ci unisce. Ciascuno porta la sua partecipazione Particolare e necessaria  all’edificazione del corpo di Cristo. C’è uno scambi di beni, la santità di uno giova a  tutti gli altri, il peccato di uno – anche se è nascosto – ricade su tutto il corpo. Questo  soprattutto nella comunità. 

Nondimeno fa parte della grandezza dell’amore di Cristo non lasciarci nella  condizione di destinatari passivi, ma coinvolgerci nella sua opera salvifica e, in  particolare, nella sua passione. Per questo avete detto bene nelle esperienze:  l’efficacia della croce, la croce ci unisce di più a Gesù Cristo, ci spoglia. Dice S.Paolo: 

“Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi  come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale  (Rm, 12,1). 

Lo chiama culto. Il Padre cerca i veri adoratori, coloro che adorano Dio in  Spirito e verità.  

In un altro passo dice: 

«Do compimento a ciò che manca ai patimenti di Cristo nella mia carnea favore del suo corpo che è la Chiesa» (1,4). 

Cristo è glorioso ma nella Chiesa suo corpo sulla terra continua a soffrire  divisioni, scandali. Siamo chiamati a partecipare, ad assumere questa sofferenza uniti  a Gesù Cristo.  

Questa profonda realtà è mirabilmente espressa anche in un passo  dell'Apocalisse, in cui si descrive la Chiesa come la sposa rivestita di un semplice  abito di lino bianco, di lino puro splendente. E S.Giovanni dice: «La veste di lino  sono le opere giuste dei santi» (Ap 19, 8). Nella vita dei santi viene, infatti, tessuto  il bisso splendente, che è l’abito dell'eternità. 

Qui vorrei fare un piccolo ammonimento perché nelle comunità si trovano dei  fratelli che si lamentano e dicono: «Ah, ma io non mi sento nulla, nella mia  Comunità, non faccio niente, non sono catechista, non sono ostiario, non sono  cantore». 

Ma tu sei un Membro del Corpo di Cristo eletto per divenire figlio di Dio  in Cielo: e ti pare poco? Questa è una falsità, una tentazione del demonio: sempre  puoi offrire le tue sofferenze, sempre puoi cooperare all’edificazione. Anche un  ammalato costretto a letto: da molto di più di un catechista che magari pensa di  realizzarsi predicando bene, avendo gli applausi. È tutto futile. Il signore ha una sua  misura per misurare la realtà. Il regno di Dio ha delle leggi economiche diverse dalle  nostre. Tutto è prezioso, ogni lacrima è preziosa. Per cui nessuno dica: io non servo  a nulla, non sono niente. Tu sei chiamato a diventare figlio di Dio. Ti pare poco  diventare figlio di Dio per l’eternità?  

Adesso vi spiego un altro concetto molto importante tratto dal Catechismo  della Chiesa Cattolica, ci illumina sul cammino che ci rimane da compiere sulla terra,  fino al momento in cui ci chiama il Signore. Il catechismo dice:  

Da una parte è vero che: «La giustificazione ci è stata meritata dalla Passione  di Cristo, e ci è accordata mediante il Battesimo, sacramento della fede» (CCC 1992),  ma è altrettanto vero che: «la giustificazione stabilisce la collaborazione tra la grazia  di Dio e la libertà dell’uomo. Dio ci ama ma tocca a noi rispondere, accogliere il suo  amore o rifiutarlo o resistere. Dice Sant'Agostino: «Dio, che ti ha creato senza di te,  non può salvarti senza di te» (Sermo CLXIX, 13). L’ho ripetuto molte volte: il 

cammino non è una catena di montaggio si entra pagani e si esce cristiani. NO! Tu  puoi fare tutto il cammino con l’ombrello e non cambia niente. Hai osservato  formalmente tutto ma c’è un dialogo che Dio stabilisce nel suo amore e che ci parla  dentro il cuore, le mozioni dello Spirito Santo. E non certo perché non ne abbia la  capacità – è onnipotente! – ma perché, essendo amore, rispetta fino in fondo la  nostra libertà. (Papa Francesco, Angelus, 15 Ottobre 2023). 

La nostra collaborazione si esprime nell’assenso della fede alla Parola di  Dio e nella cooperazione della carità alla mozione dello Spirito Santo, che lo previene  e ci spinge. Questa è una tragedia oggi perché la civiltà che ci circonda, soprattutto  per i giovani , non dà il tempo di pensare, sempre legati al telefonino, al tablet, ai  giochi, quasi ci impedisce di riflettere, si seguono le mode, si fa quello che vogliono  gli altri. E’ molto importante che nella trasmissione della fede nelle lodi del mattino 

aiutiamo i nostri figli, i nostri nipoti, ad entrare in se stessi a pensare a ciò che stanno  vivendo ed a ascoltare, avere tempi di ascolto della Parola di Dio. Non ascolto  passivo: sì vado in comunità tanto per. Ma sollecitare un ascolto attivo in cui si risponde. 

Dio tocca il cuore dell’uomo con l’illuminazione dello Spirito Santo, in  modo che né l’uomo resterà assolutamente inerte, può anche respingere, ma senza la  grazia divina, non potrà prepararsi alla giustizia dinanzi a Dio» (CCC 1993). Richiede  la nostra partecipazione.  

In questo processo lo Spirito Santo è il maestro interiore (CCC 1995). Una  volta si diceva che c’è una grazia “preveniente” e una grazia che “attua”. Vuol dire  che lo Spirito Santo ti dà una ispirazione – se hai dei momenti di raccoglimento anche  mentre lavi i piazzi o mentre non riesci a dormire – lo Spirito Santo parla. Importante  è ascoltarlo e seguirlo perché la grazia “preveniente” ti facilita e di dona la forza di  compiere quello che ti ha ispirato. 

La libera iniziativa di Dio richiede la libera risposta dell’uomo; infatti, Dio ha  creato l’uomo a propria immagine, dandogli, con la libertà, il potere di conoscerlo e  di amarlo L’anima può entrare solo liberamente nella comunione dell’amore (CCC 2002). 

Dio ha liberamente disposto di associare l’uomo all’opera della sua grazia (CCC 2008). Come nel fidanzamento: se non c’è la libertà, se è imposto, se non è  voluto è falso, non c’è amore; così Dio vuole il nostro amore nella nostra libertà. Poi  un’altra cosa: non ci salviamo da soli. Si diceva: io voglio farmi santo.  

Non ci salviamo da soli! 

Tutto viene da Cristo, ma poiché noi apparteniamo a lui, anche ciò che è nostro  diventa suo e acquista una forza che risana. Ecco cosa si intende quando si parla del  «tesoro della Chiesa», che sono le opere buone dei santi.  

Pregare per ottenere l’indulgenza significa entrare in questa comunione spirituale.  

Anche nell’ambito spirituale, infatti, nessuno vive per se stesso. Ce lo ha  ricordato Kiko: è morto e risorto perché chi vive non viva più per se stesso. La mia 

santificazione: no! E la salutare preoccupazione per la salvezza della propria anima  viene liberata dal timore e dall'’egoismo solo quando diviene preoccupazione anche  per la salvezza dell'altro. Dove sono tutti coloro che ti ho affidato, chiederà Dio  quando arriveremo davanti a Lui. È un targum che dice che i pagani si attaccheranno  ai filatteri, le frange degli scialli della preghiera degli ebrei. Quando un ebreo arriva  in paradiso Dio gli domanda: dove sono quelli che io ti ho affidato? Se uno si  preoccupa solo della sua salvezza, non piace a Dio perché il suo amore è per tutti gli  uomini anche per i peccatori, per i nemici, per tutti. 

«Poiché tutti i credenti formano un solo corpo, il bene degli uni è comunicato  agli altri...» (CCC 947). 

Sotto la mozione dello Spirito Santo e della carità, possiamo in seguito  meritare per noi stessi e per gli altri le grazie utili per la nostra santificazione, per  l’aumento della grazia e della carità, come pure per il conseguimento della vita  eterna…Tutte queste grazie e questi beni sono oggetto della preghiera cristiana. Di  fatti sempre diciamo, come ci ha insegnato il Signore: Padre Nostro. E preghiamo per  tutti.  

Adesso vi voglio dare alcune chiavi particolari tratte dalla Bolla di Papa  Francesco e poi finiremo con una considerazione finale di S.Tommaso. 

Il Giubileo è caratterizzato da tre parola: le indulgenze – che abbiamo parlato  prima – il pellegrinaggio e varcare la porta.  

Papa Francesco nella bolla di indizione del Giubileo 2025 dice: 

Il pellegrinaggio 

Il pellegrinaggio esprime un elemento fondamentale di ogni evento giubilare.  Mettersi in cammino è tipico di chi va alla ricerca del senso della vita. Il  pellegrinaggio a piedi favorisce molto la riscoperta del valore del silenzio, della  fatica, dell’essenzialità. Conosco alcuni che fanno i pellegrinaggi a Santiago a piedi,  tanti chilometri al giorno, arrivano con i piedi rotti ma contenti. In silenzio. Non fare  turismo, andando in macchina, in silenzio, pregando, contemplando, meditando. Ci  suggerisce di fare questo anche a noi, sia andando da una chiesa all’altra in  meditazione, in preghiera, non parlottando, in raccoglimento interiore. Se lo fai da  turista è meglio che non lo faccia. Anche nel prossimo anno i pellegrini di speranza non mancheranno di percorrere vie antiche e moderne per vivere intensamente  l’esperienza giubilare. Nella stessa città di Roma, inoltre, saranno presenti itinerari  di fede, andando a piedi da una basilica all’altra, dal Vaticano a S.Maria Maggiore,  da S.Giovanni in Laterano a S.Paolo. Forza ai romani ma anche agli altri. Questo lo  lasciamo a voi. Più fate meglio è. Il Signore agiste dentro di noi.  

Nelle chiese giubilari, lungo i percorsi e nell’Urbe, potranno essere oasi di  spiritualità dove ristorare il cammino della fede e abbeverarsi alle sorgenti della  speranza, anzitutto accostandosi al Sacramento della Riconciliazione, insostituibile punto di partenza di un reale cammino di conversione. Questo è il  pellegrinaggio che è un simbolo della nostra vita che ha momenti di fatica ma anche  di consolazioni interiori.


Varcare la soglia 

Sapete che si apre la porta del Giubileo nella Basilica di S. Pietro.  

La Porta Santa della Basilica di San Pietro in Vaticano sia aperta il 24  dicembre del presente anno 2024, dando così inizio al Giubileo Ordinario. La  domenica successiva, 29 dicembre 2024, aprirò la Porta Santa della mia cattedrale  di San Giovanni in Laterano, che il 9 novembre di quest’anno celebrerà i 1700 anni  della dedicazione. A seguire, il 1° gennaio 2025, Solennità di Maria Santissima  Madre di Dio, verrà aperta la Porta Santa della Basilica papale di Santa Maria  Maggiore. Infine, domenica 5 gennaio sarà aperta la Porta Santa della Basilica  papale di San Paolo fuori le Mura. Queste ultime tre Porte Sante saranno chiuse  entro domenica 28 dicembre dello stesso anno”. 

Cosa vuol dire varcare la porta. Si identifica con quello che dice il Signore: Io  sono la porta, solo chi entra attraverso di me è mio discepolo”. Quelli al di fuori di  me sono tiranni e despoti. Io sono il buon pastore, le mie pecore conoscono la mia  voce. Passare la porta vuol dire consegnarsi a Gesù Cristo, riconoscere che lui è il  Signore, l’unico Signore della nostra vita.  

Preparazione e Anno Giubilare 2025: disposizioni 

“Stabilisco inoltre che domenica 29 dicembre 2024, in tutte le cattedrali e  concattedrali, i Vescovi diocesani celebrino la santa Eucaristia come solenne  apertura dell’Anno giubilare, secondo il Rituale che verrà predisposto per  l’occasione. Il pellegrinaggio da una chiesa, scelta per la collectio, verso la  cattedrale sia il segno del cammino di speranza che, illuminato dalla Parola di Dio,  accomuna i credenti. In esso si dia lettura di alcuni brani del presente Documento e si annunci al popolo l’Indulgenza Giubilare, che potrà essere ottenuta secondo  le prescrizioni contenute nel medesimo Rituale. Queste prescrizioni sono la  confessione, la comunione, la preghiera del Padre Nostro e Ave Maria e Gloria per il  Papa, entrare nella porta santa dopo un pellegrinaggio. Con questo si riceve  l’indulgenza plenaria. C’è anche l’indulgenza temporale e quella totale, eterna in  modo che, se vai sotto una macchina subito dopo vai in paradiso. Ma non ti puoi  organizzare per questo. 

Papa Francesco al termine della bolla di indizione del Giubileo 2025 invita a  riscoprire vari segni di speranza. Tra i tanti Segni dei tempi per cui pregare durante il  Giubileo, ricorda la speranza per la pace nel mondo, l'apertura alla vita, mediante  la maternità e paternità responsabile, la vicinanza a tanti fratelli e sorelle anziani  più deboli e soli, l'auspicio di un miglior trattamento dei carcerati con proposte  di amnistia, di condono della pena. Mentre in loro aiuto stabilisce di aprire una  Porta Santa in un carcere, perché sia per loro un simbolo che invita a guardare  all’avvenire con speranza e con rinnovato impegno di vita. Raccomanda la  vicinanza e la cura dei giovani, molti dei quali privi di speranza quando il futuro  è incerto, impermeabile ai loro sogni, tentati dall'illusione delle droghe il rischio  della trasgressione e la ricerca dell'effimero facendoli scivolare in baratri oscuri  spingendoli a compiere gesti autodistrutti

Al termine ci invita a “sperare contro ogni speranza” (Rm.4, 18) come il nostro  Padre Abramo, invitandoci ad alzare i nostri occhi al Cielo: noi che crediamo in colui  che ha risuscitato dai morti, Gesù Nostro Signore, il quale è stato messo a morte per  i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione. 

“Lasciamoci fin d’ora attrarre dalla speranza e permettiamo che attraverso di  noi diventi contagiosa per quanti la desiderano. Possa la nostra vita dire loro: «Spera  nel Signore, sii forte, si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore» (Sal 27,14).  Anche per la gente che ci è vicina, atea o contro la chiesa: coraggio, prega il Signore,  confida in Lui Possa la forza della speranza riempire il nostro presente, nell’attesa  fiduciosa del ritorno del Signore Gesù Cristo, al quale va la lode e la gloria ora e per  i secoli futuri (Spe Salvi, n. 25)” . 

Ma vorrei aggiungere uno zuccherino per finire. L’ho trovato nel breviario  mentre preparavo questa catechesi. Ho trovato uno scritto di San Tommaso  d’Aquino”, famoso come teologo ma poco come intimo del Signore e ci apre il suo  cuore. 

Quando saranno compiuti tutti i nostri desideri, cioè nella vita eterna, la fede  cesserà. Non sarà più oggetto di fede tutta quella serie di verità che nel «Credo» si  chiude con le parole: «vita eterna. Amen». 

La prima cosa che si compie nella vita eterna è l’unione dell’uomo con Dio

Dio stesso, infatti, è il premio e il fine di tutte le nostre fatiche: «Io sono il tuo  scudo, e la tua ricompensa sarà molto grande» (Gen 15,1). Questa unione poi  consiste nella perfetta visione: «Ora vediamo come in uno specchio, in maniera  confusa; ma allora vedremo faccia a faccia» (1Cor 13,12). 

La vita eterna inoltre consiste nella somma lode, come dice il profeta:  «Giubilo e gioia saranno in essa, ringraziamenti e inni di lode» (Is 51,3). Consiste  ancora nella perfetta soddisfazione del desiderio. Ivi, infatti, ogni beato avrà più  di quanto ha desiderato e sperato. La ragione è che nessuno può in questa vita  appagare pienamente i suoi desideri, né alcuna cosa creata è in grado di colmare le  aspirazioni dell’uomo. Solo Dio può saziarlo, anzi andare molto al di là, fino  all’infinito. Per questo le brame dell’uomo si appagano solo in Dio, secondo quanto  dice Agostino: «Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è senza pace fino a  quando non riposa in te».

I santi, nella patria, possederanno perfettamente Dio. Ne segue che  giungeranno all’apice di ogni loro desiderio e che la loro gloria sarà superiore a  quanto speravano. Per questo dice il Signore: «Prendi parte alla gioia del tuo Signore»  (Mt 25,21); e Agostino aggiunge: Tutta la gioia non entrerà nei beati, ma tutti i  beati entreranno nella gioia. «Mi sazierò quando apparirà la tua gloria» (Sal 16,15  Volg.); ed anche: «Egli sazia di beni il tuo desiderio» (Sal 102,5 Volg.). Tutto quello  che può procurare felicità, là è presente e in sommo grado. Se si cercano godimenti,  là ci sarà il massimo e più assoluto godimento, perché si tratta del bene supremo,  cioè di Dio: «Dolcezza senza fine alla tua destra» (Sal 15,11). 

La vita eterna infine consiste nella gioconda fraternità di tutti i santi. Sarà  una comunione di spiriti estremamente deliziosa, perché ognuno avrà tutti i beni di  tutti gli altri beati. Ognuno amerà l’altro come sé stesso e perciò godrà del bene  altrui come proprio

Così il gaudio di uno solo sarà tanto maggiore, quanto più grande sarà la  gioia di tutti gli altri beati. 

Amen e così sia