Catechesi di P. Mario: “Il Giubileo 2025”
- Preghiera (P. Mario)
Bene, allora cercherò con l’aiuto del Signore di dire quello che ho potuto approfondire sul Giubileo del 2025. Vari di voi avranno ascoltato, nel 1999, la catechesi per il grande Giubileo dell'anno 2000.
Prima di tutto, devo dire che sono stato molto contento delle risposte che avete dato, perché avete toccato il centro; il centro è, che attraverso la Croce il Signore ci santifica, attraverso le tribolazioni, al contrario di quanto si pensa nel mondo che non sa leggere attraverso i segni che il Signore ci dà. Questo è un grande dono che il Signore ci ha fatto.
Ogni giubileo è indetto dal Papa, con una bolla. Si chiama Bolla di Indizione. Papa Francesco in preparazione dell'anno del Giubileo 2025, ha emesso la bolla intitolata “La speranza non delude”, “Spes non confundit”. Citando S. Paolo, dice: la speranza non delude. Nel segno della speranza, Paolo infonde coraggio alle comunità di Roma del suo tempo. Dice il Papa: “Per tutti possa essere un momento di incontro vivo e personale con il Signore Gesù «Porta» di salvezza (cfr. Gv 10,7.9); con Lui la Chiesa annuncia questa nostra speranza che è fondata sulla nostra fede. La fede è il fondamento di quello che speriamo. L'esperienza di fede che facciamo in questo tempo fonda la speranza e la speranza poi non delude, perché l'amore di Dio
è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, come dice la lettera ai Romani (Rm 5,1-2.5).
Per parlare di questo Giubileo, il Signore mi ha ispirato - penso forse non lo so, vedremo se me lo conferma - di ricorrere al libro del Levitico dove si parla come è nato, perché è nato il Giubileo nel Popolo di Israele. Perché esiste un legame tra il Giubileo del 2025 e quello proposto da Dio, nel libro del Levitico: c'è uno così stretto legame, che vorrei evidenziarlo, citando due testi dal Nuovo Testamento.
Scusate, quest’anno non farò una esposizione sistematica come altri anni, ma farò una esposizione tipo “flash mescolano fatti passati, futuri e presenti. un back” che successione di testi passati e attuali, come ni film moderni. Nella speranza che al termine, lo Spirito Santo completi in voi il quadro, nel comprendere man mano i termini principali del Giubileo, soprattutto per i giovani delle nuove generazioni sono
termini che suonano al passato o addirittura a medioevo e invece sono molto attuali. Allora inizio citando un testo, sulla città Santa, dal libro dell’ Apocalisse :
“L’angelo mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. La città è cinta da un grande e alto muro con dodici porte: sulle quali sono scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello” (Ap 21,10-14).
Ho voluto presentare quest’immagine, per sottolineare che, per far parte della Gerusalemme celeste, bisogna entrare dalle dodici porte: sulle quali sono scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele, ma che è fondata sui dodici Apostoli dell’Agnello”.
Così come esplicita San Paolo nella lettera agli Efesini:
“Fratelli, voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù. In lui tutta la costruzione cresce ben ordinata per essere Tempio Santo nel Signore; in lui anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito” (Ef 2,19-22).
“Diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito”. Questo è lo scopo della Iniziazione Cristiana. Dalle esperienze che avete dato voi cominciate ad essere abitazione di Dio in questa generazione, fatta carne. Per questo San Pietro dice noi siamo “pietre vive” del Tempio di Dio.
Allora, per comprendere il Giubileo, ricorro brevissimamente ad alcuni passi dell'esodo e anche dei Numeri e del Deuteronomio, prima di entrare nel Levitico.
Dopo l'esodo, Dio porta il suo popolo al Sinai per rivelarsi. Nell libro del Deuteronomio dice:
«Io ti ho posto davanti la vita e la morte, scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, amando il Signore tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui, poiché è lui la tua vita e la tua longevità, per poter così
abitare sulla terra che il Signore ha giurato di dare ai tuoi padri, Abramo, Isacco e Giacobbe» (Dt. 30, 19-20)
Nella rivelazione sul Sinai, il Signore ordita a Mosè di costruire un altare ai piedi del monte con 12 stelle e incarica di offrire degli olocausti come sacrifici di comunione per il Signore. In questo sacrificio, dopo aver dato le tavole dell’alleanza scritte come scritte sulla pietra, Mosè prende la metà del sangue dell’olocausto, dei sacrifici, lo mise in tanti catini e con metà del sangue unge i lati dell'altare e con l'altra metà sparge sul popolo. Il Signore dice: «Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di queste dieci parole!» (Es 24, 4-8) In seguito, attraverso Mosè dice “se vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza, sarete per me un regno di sacerdoti, una nazione santa”. E il popolo risponde: “Tutto il popolo rispose insieme e disse: quanto il Signore ha detto noi lo faremo” (Es. 19,5-8), sempre nell’Esodo. Come avete sottolineato voi che è Dio che ci chiama e ci chiama a partecipare della sua santità. Non come si pensava una volta: io devo essere santo, no! È Dio che si manifesta. Siccome, oltre a manifestarsi a fare l'alleanza, Dio decide di mettere la sua dimora in mezzo al popolo, di mettere la sua gloria in un ambiente separato, santo, dove nel santo di santi si custodiscano le tavole dell'alleanza e tutto attorno si crei uno spazio staccato dalle abitazioni del popolo. Ordina Mosè la costruzione di un tabernacolo. Mi faranno un santuario, io abiterò in mezzo a loro.
Il Signore disse a Mosè: ordina agli israeliti… essi mi faranno un santuario e io abiterò in mezzo a loro, eseguirete ogni cosa secondo quanto ti mostrerò secondo il modello della dimora e il modello di tutti i suoi arredi” (Es 25,1.8-9), perché il Signore vuole far riposare la sua Gloria, la sua Presenza, per guidare il popolo, di notte sotto forma di una colonna di fuoco e di giorno sotto forma di una colonna di
nube che si appoggia sul tabernacolo.
Ma come fa un Dio santo ad abitare in mezzo a un popolo peccatore? È quello che abbiamo sperimentato tutti nella nostra vita. Come è possibile? Perché nel libro del Deuteronomio il Signore Dice: «Ascolta Israele, Il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo, tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (Dt 6, 4-9).
Santo vuol dire “essere separato”. Dio, come Creatore e Padre è “Unico”, l’origine, l’Autore della nostra vita. Ma essendo Dio Santo, vuole che anche l’ambiente in cui abita sia separato da dove vive il popolo peccatore che lo tradirà. Lui sa che lo tradirà, che sarà infedele.
«Stabilirò la mia dimora in mezzo a voi e non vi respingerò. Camminerò in mezzo a voi, sarò vostro Dio e voi sarete il mio popolo» (Lv 26,11-12).
Dio sa di abitare in mezzo a un popolo infedele e non si scandalizza dei loro peccati.
L’unica cosa che Dio chiede è che: quando qualcuno trasgredisce le norme date attraverso Mosè, si rende impuro e pertanto non può presentarsi alla sua presenza nel santuario. È necessario che prima si purifichi dal suo peccato. Perché Dio è Dio della vita, e attraverso queste norme, insegna ed educa il popolo che per presentarsi
a Lui, bisogna essere purificati dalle impurezze, che sono segni di morte. Non per nulla, anche noi oggi, in ogni Celebrazione Eucaristica, il Celebrante Fratelli, per celebrare degnamente i santi misteri, riconosciamo i nostri peccati: in pensieri, parole, opere e omissioni, per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa.
Per questo San Paolo dirà: “Quale unione tra la luce e le tenebre? 15 Quale intesa tra Cristo e Beliar? (2Cr. 6, 14-15) Perché Dio viva in noi, non è possibile che vivano in noi, Gesù Cristo e il demonio.
Per rendere possibile la santità di Dio in mezzo a un popolo di peccatori, Dio ha dato a Mosè le due tavole dei 10 Comandamenti. Come ci spiegava molto bene Carmen, i 10 comandamenti non vanno interpretati in senso giuridico non fare questo o non fare quello ma piuttosto come 10 parole dateci dall'amore di Dio come una segnaletica che ci indica il Cammino della vita: sta attento, ama il Signore Dio tuo, santifica le tue feste, venera i tuoi genitori, non rubare, non uccidere, non adulterare, non dire falsa testimonianza, perché, se fai queste cose vai nella morte. È per il nostro bene che ce lo dice, per amore ci avvisa.
Allora, se qualcuno pecca – e tutti noi pecchiamo - come potrà mai presentarsi alla presenza di Dio?
Nella sua misericordia, per bocca di Mosè, Dio detta al popolo alcune norme da osservare per presentarsi alla sua presenza, dopo aver offerto alcuni sacrifici per il perdono dei peccati e così essere purificati.
Un israelita poteva diventare impuro in diversi modi: entrando in contatto con malattie della pelle, oppure toccando muffe o cadaveri, tutte in realtà connesse con la morte, e la morte è l’opposto della santità di Dio, in quanto l’essenza di Dio è la Vita.
Molte altre norme legate hai cibi kosher o norme igieniche, aiutavano il popolo d'israele a ricordare che la santità di Dio doveva interessare tutte le aree della loro vita. Gli israeliti Infatti erano chiamati a vivere in modo diverso dai Cananei, a prendersi cura dei poveri anziché ignorarli, e ad avere un alto livello di integrità sessuale e promuovere la giustizia in tutta la loro terra.
In vista della purificazione, Dio ordina a Mosè di consacrare Aronne e i suoi figli, come Sacerdoti, mediatori tra Dio e il popolo.
“Il Signore parlò a Mosè: procurati balsami pregiati, ne farai l'olio per l'unzione sacra…Ungerai anche Aronne e i suoi figli e li consacrerai perché esercitino il mio sacerdozio. Agli israeliti dirai: questo sarà per voi l'olio dell'unzione sacra per le vostre generazioni (Es.30, 1. 30-31)”
Il libro del Levitico stabilisce pertanto i requisiti per essere consacrati Sacerdoti: essi devono avere un alto livello di santità morale e rituale, in quanto rappresentanti del popolo davanti a Dio e viceversa.
Il Signore ordina a Mosè di consacrare con l’olio sacro, Aronne, e i suoi figli come sacerdoti, facendo presente l'importanza di vivere santamente alla presenza di Dio: «In coloro che mi stanno vicino, mi mostrerò Santo e alla presenza di tutto il popolo sarò glorificato» (Lv 10,3).
Per avere un’idea dell’importanza della santità dei Sacerdoti, il Levitico ci presenta un fatto terribile: subito dopo la consacrazione della famiglia di Aronne, due dei suoi figli, Nadab e Abiu, piombano in modo irruento nella Tenda alla presenza di Dio, infrangendo palesemente le norme del Signore. Per tale ragione, vengono divorati dal fuoco (cf. Lv 10,1-2). Questo fatto ci fa presente l’importanza di vivere alla presenza di un Dio Santo. Egli è Bontà pura, ma diventa pericoloso per coloro i quali si ribellano e insultano la sua Santità.
Per questo è fondamentale che i sacerdoti d’Israele diventino santi e con loro anche il popolo d’Israele.
Il Levitico presenta vari modi in cui Dio aiuta Israele, popolo peccatore, a vivere alla sua santa Presenza.
Per questo motivo Dio ordina a Mosè: “osserverai questo rito per consacrarli al mio sacerdozio” (Es. 29, 1). “Procurati balsami pregiati, ne farai l'olio per l'unzione sacra…Ungerai anche Aronne e i suoi figli e li consacrerai perché esercitino il mio sacerdozio. Agli israeliti dirai: questo sarà per voi l'olio dell'unzione sacra per le vostre generazioni (Es.30, 22-33)”. Con questo olio sarà consacrato anche il re, oltre ai sacerdoti. Questo per dire l’importanza di vivere santamente alla presenza di Dio
Il libro del Levitico stabilisce pertanto i requisiti per essere consacrati Sacerdoti: essi devono avere un alto livello di santità morale e rituale, in quanto rappresentanti del popolo davanti a Dio e viceversa. Dice Dio
«In coloro che mi stanno vicino, mi mostrerò Santo e alla presenza di tutto il popolo sarò glorificato» (Lv 10,3).
Un segno di questo è che, quando introducono l'arca dell'alleanza nella tenta del Santo dei Santi, due figli di Aronne, Nadab e Abiu, entrano e vanno a sbattere contro l’arca, infrangendo palesemente le norme del Signore. Per tale ragione, vengono divorati dal fuoco (cf. Lv 10,1-2). Muoiono all’istante. In seguito, dirà al popolo: non salite sul monte altrimenti morirete. Questo fatto ci fa presente l’importanza di vivere alla presenza di un Dio Santo. Egli è Bontà pura, ma diventa pericoloso per coloro i quali si ribellano e insultano la sua Santità.
Riguardo all'interpretazione del significato della legge i dei comandamenti, vorrei fare una precisazione, citando un’omelia di Papa Benedetto XVI. In un’omelia su San Giuseppe, che l’evangelizza Matteo chiama “Uomo Giusto” (Mt.1, 19), spiega:
“San Giuseppe è un giusto, esemplare (che appartiene) ancora dell’Antico Testamento. Ma qui vi è un pericolo e insieme una promessa, una porta aperta”.
È immagine dell’uomo giusto dell’Antico Testamento. Perché S. Giuseppe, quando si sposa con Maria, non ha ancora Gesù bambino, siamo ancora nell'Antico. Di fronte a questa definizione di “Uomo Giusto” ci sono due pericoli:
"Il pericolo è che, se la Parola di Dio è (intesa) sostanzialmente come Legge, l’uomo cerca di perfezionarsi, ma mai sarà santo, sarà un buon esecutore, obbediente alla legge, ma se la prende non come legge ma come parola di Dio e la compie per
amore a Dio, allora si avvicina a Dio. Giuseppe è un vero giusto: per lui la legge non è semplice osservanza di norme, ma si presenta come una parola di amore, un invito al dialogo, e la vita secondo la parola è entrare in questo dialogo e trovare dietro le norme e nelle norme, l’amore di Dio.
Per questo i grandi profeti, quando l'osservanza diventerà rituale e formale, ma contraria alla vita, per cui i signorotti sfruttano i deboli, vivono alle spalle degli altri e poi vanno al Tempio e osservano la legge, offrono i sacrifici, tutti i profeti li condannano, perché non è questo quello che Dio vuole. E per questo i grandi profeti richiamano il popolo, dopo la deportazione in Babilonia, ad amare Dio con il cuore. E profetizzano un nuovo profeta che non scriverà più la sua legge su delle tavole, ma dentro ai nostri, cuori ciò che si compirà con Gesù Cristo.
Ancora siamo nell’Antico Testamento. Allora abbiamo detto che per presentarsi alla presenza di Dio chi pecca ha la possibilità di chiedere perdono, di offrire alcuni sacrifici rituali, sia in riparazione dei propri peccati individuali e in un certo giorno, Yom Kippur, per quelli della comunità.
Però, prima di parlarvi di questo, vorrei far presente la simbologia del sangue che voi già sapete. Però lo facciamo presente. Il sangue per gli ebrei, come anche per i popoli orientali antichi, era considerato come la vita, la fonte della vita. Per questo Dio anzitutto proibisce di offrire sacrifici umani, come usavano fare i popoli vicini idolatri, inoltre ordina di mangiare certi animali, solo dopo aver sparso il loro sangue. Proibisce di uccidere qualsiasi uomo, perché fatto a immagine di Dio e la sua vita, che è nel sangue e per conseguenza sacra, appartiene solo a Dio.
Per comprendere l’importanza del sacrificio mediante lo spargimento del sangue - lo farà presente anche S. Paolo: “Secondo la legge, infatti, quasi tutte le cose vengono purificate con il sangue, e senza spargimento di sangue non esiste perdono.
Per aiutarci a comprenderne il significato, è necessario ricorrere ad Abramo ed al sacrificio di Isacco, il figlio della promessa.
Abramo, come sapete, il Signore, dopo avergli dato il figlio, quando è già cresciuto, gli chiede come prova di fede, Per comprovare se si fida di lui, gli chiede di sacrificare l'unico figlio, che gli ha donato. È una prova e lui parte con il figlio, salgono sul monte. Il figlio dice: Papà, dove è la legna? Dov'è la vittima? Abramo risponde al figlio: sul monte Dio provvederà (Gen 22,11-14). E arrivati alla cima, del monte, Abramo, stende il figlio sulla legna, alza il coltello per immolarlo, e gli appare un angelo, che gli ordina: “Abramo, non stendere la mano contro il ragazzo, non fargli alcun male. Io so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato il tuo unico figlio. Abramo alza gli occhi e vede un ariete impigliato con le corna in un cespuglio. Andò a prendere l’ariete e lo offrì in olocausto al posto del figlio. Per questo oggi si dice: sul monte il Signore provvede!” (Gen.22, 13-14)
Nel sacrificio di Isacco, Dio ha provvisto un ariete da sacrificare al suo posto. In prefigurazione del sacrificio di Gesù Cristo che ha accettato di essere sacrificato al nostro posto, per i nostri peccati. Questo aspetto di “Sostituzione Vicaria”, l’ ariete è figura di Cristo. Perché? Perché Gesù Cristo ha dovuto farsi
uomo ed offrirsi lui al nostro posto? Perché dopo il peccato originale, non esisteva nessun uomo che avrebbe potuto salvarci dal se stesso. Difatti il Salmo dice Salmo: “Per quanto un uomo faccia, non potrà mai sfuggire dal sepolcro” (cf. Sal 49,9-10). Nessuno! Quando Pietro dice: io andrò a morire per te. Gesù gli risponde: calma, calma! Poi lo tradisce. Era necessario dice Gesù Cristo, che il Figlio di Dio si facesse uomo per offrire la sua vita nel suo corpo, per tutti noi e non pagare, ma riconciliare con il Padre l’umanità, che era schiava sotto il potere di Satana e della morte.
Allora capite perché nel tempo dell'antico testamento il Signore ordina a Mosè di offrire sacrifici per il perdono dei peccati. C'erano molti tipi di sacrifici, di ringraziamento, offrendo i frutti della terra, come facciamo noi nell’offertorio della Celebrazione Eucaristica, quando diciamo: offriamo questo pane, questo vino, frutto del nostro lavoro, perché diventino il Corpo e Sangue di Cristo. Facevano anche dei sacrifici di comunione, offrendo dei pani sacri, per esempio, o dei frutti dei prodotti della terra o sacrifici di animali a seconda della gravità del peccato. Una volta fatto il sacrificio, potevano entrare alla presenza di Dio e pregare, parlare con Dio. Ma se fossero entrati in stato di peccato, sarebbero morti. Per i sacrifici privati, per questo oltre ad Aronne ed ai suoi figli sacerdoti, il Signore stabilisce i Leviti, che aiutano in questo servizio.
Scusate sei ho dovuto restringere, sono stato costretto ad esporre solo alcuni aspetti, il resto lo potete sempre integrare voi. Mi sono limitato solo ad alcuni accenni.
Oltre a questi sacrifici individuali che si facevano in certi momenti, il Signore istituisce il giorno dell'espiazione del popolo, come popolo, il giorno dello Yom Kippur che come sappiamo, ci ha spiegato molte volte Carmen, il sommo sacerdote prendeva due capri, uno fungeva da offerta di purificazione, espiazione per i peccati e l'altro era chiamato capro espiatorio: il Sommo Sacerdote confessava i peccati d’Israele sul capro espiatorio e lo cacciava nel deserto per morire, espressione del desiderio di Dio di rimuovere il peccato e l’altro veniva immolato. Sacrificio ed olocausto per il perdono dei peccati.
Ma, oltre a questo, oltre ai suoi interventi che sono tutti interventi nella storia, la rivelazione del Monte Sinai, prima l'esodo dal Mar Rosso, passaggio del mare al monte Sinai, la terra promessa, tutti gli interventi di Dio, poi la consegna della legge, i tabernacoli, ecc. Tutti gli interventi di Dio nel tempo, nella nostra storia mantengono un valore trascendente che supera il tempo e lo spazio, cioè noi ragioniamo con le categorie di tempo e spazio, ma Dio è al di là del tempo e dello spazio. Per questo Papa Benedetto XVI alcune volte diceva: quando noi parliamo di Dio, siamo come dei bambini che balbettano, perché la realtà supera più di quello che le nostre parole cercano di dire.
Nella sua bontà infinita il signore ha disposto le Feste, per commemorare ogni anno, i suoi interventi di salvezza. Vi ricordate come ogni volta che il Signore interveniva, a favore dei nostri padri Abramo, Isacco, Giacobbe: costruivano una stele formata da pietra per ricordarsi perpetuamente dove il Signore si era manifestato a loro. E così Signore stabilisce delle feste cicliche di ogni anno per far presente ogni anno la sua presenza del popolo. E nascono le feste della Pasqua, i pani azzimi, le primizie, le settimane/Pentecoste, la festa delle Trombe, il giorno dell’Espiazione
YOM KIPPUR, la festa dei Tabernacoli. Ognuna di queste feste faceva presente un aspetto differente della storia, come Dio li avesse liberati dalla schiavitù in Egitto e guidati attraverso il deserto fino alla terra promessa: celebrando queste festività gli israeliti avrebbero ricordato la loro vera identità e chi fosse Dio per loro, ogni anno, di anno in anno.
Questa tradizione passerà poi al nostro Calendario Liturgico. Il signore non solamente è intervenuto a nostro favore, ma nella sua Sapienza divina ha trovato la forma di continuare la sua Presenza salvatrice in mezzo a noi, fino alla pienezza dei tempi quando invierà il suo Figlio, fatto uomo, nato da donna, sotto la legge.
A questo fine nel libro del levitico Levitico, stabilisce:
«Conterai sette settimane di anni, cioè sette volte sette anni; queste sette settimane di anni faranno un periodo di quarantanove anni. Al decimo giorno del settimo mese, farai echeggiare il suono del corno; nel giorno dell’espiazione farete echeggiare il corno per tutta la terra» (Lv 25, 8-9)
che annuncerà lo Yom Kippur ed annuncerà anche il Giubileo. Perché un “corno di ariete”?. Perché un corno d’ariete, che è chiamato shofàr, risuonava durante il giubileo e specialmente nei giorni intorno allo Yom Kippùr, annunciava l’inizio dell’anno giubilare. Esso richiama la voce di Dio sul Sinai, che è chiamata «voce di shofàr» (Es 19,19). Lo shofàr è pertanto la voce dell’alleanza. Il suono dello shofàr rappresenta anche la voce della misericordia di Dio, che ha provveduto la vittima al nostro posto.
In questo anno di Giubileo, nel cinquantesimo anno, l’anno di misericordia, nel quale erano condonati i debiti e rimessi in libertà gli schiavi, ricordava il sacrificio di Isacco. In sua sostituzione, Dio provvide un ariete (cf. Gen 22,13). Questo corno d’ariete, quindi, è un memoriale della misericordia di Dio, che non ha voluto la nostra morte, ma ha provveduto per noi e al nostro posto una vittima di salvezza: in tale ariete è prefigurato il Messia, Cristo.
Il tempo Giubileo è un periodo speciale di riposo e libertà.
Il Giubileo è anzitutto un anno di riposo. Riposo anche per la terra, che non si doveva coltivare per tutto l’anno ma si doveva provvedere con il raccolto dell’anno precedente. Il popolo doveva essere cosciente che non è padrone della terra né del suo lavoro: unico Signore è l’Adonai e l’uomo deve vivere nella verità che egli non è signore della propria vita, né della sua terra, né del lavoro delle sue mani. La precarietà in cui viviamo noi è un aiuto del Signore. È quindi un anno di fiducia nella grazia e nella Provvidenza divina.
È anche un anno di remissione dei debiti e delle proprietà. Uno dei suoi aspetti più importanti è proprio il ripristino delle proprietà alla famiglia che originariamente era sua proprietaria. Ciò significava che le terre vendute per necessità dovevano essere restituite ai loro proprietari originari. Questo meccanismo garantiva
che la disuguaglianza economica non diventasse permanente.
Il Giubileo ordina anche la liberazione degli schiavi: gli schiavi tra gli israeliti dovevano essere liberati durante l’anno giubilare. Questo rifletteva l’importanza della libertà personale e la dignità umana nella società ebraica.
Il Giubileo invita quindi alla libertà, in particolare alla liberazione da ogni forma di schiavitù o oppressione, ma soprattutto di una liberazione spirituale e morale, connessa all’idea di un nuovo inizio per tutti.
Il Giubileo serviva anche come un tempo per fare memoriale e ricordare al popolo d’Israele la sua dipendenza da Dio e la sua storia di redenzione, specialmente dalla schiavitù in Egitto. Era un invito a riconciliarsi con Dio e con i fratelli, rinnovando il patto dell’alleanza.
Adesso arriviamo finalmente al compimento del Giubileo.
È molto importante nel Vangelo di Matteo che Gesù Cristo dopo la proclamazione delle Beatitudini afferma: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la legge o i profeti non sono venuto per abolire ma per dare compimento» (Mt 5, 17). Tutto l’Antico Testamento era prefigura di quello che sarebbe avvenuto in Gesù Cristo.
E San Paolo, nella lettera agli Ebrei capitolo 10, esplicita il compimento in Gesù Cristo, di quanto prefigurato nell'Antico Testamento,
«Avendo infatti la Legge solo un'ombra dei beni futuri e non la realtà stessa delle cose, non ha il potere di condurre alla perfezione, alla santità di Dio. Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice:
“Tu non hai voluto né sacrificio né offerta,
un corpo invece mi hai preparato.
Non hai gradito
né olocausti né sacrifici per il peccato.
Allora ho detto: Ecco, io vengo
- poiché di me sta scritto nel rotolo del libro -
per fare, o Dio, la tua volontà”.
Esplicita più avanti “la volontà del Padre è che io dia la vita eterna”. Con questo abolisce i primi sacrifici e stabilisce il vero “sacrificio”, la vera salvezza. Per quella volontà che siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo fatto una volta per sempre perché con un’unica oblazione e gli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati. In un altro passaggio dice perché ha offerto se stesso con spirito eterno, quindi una sola volta per tutta l’eternità, con la sua obbedienza al Padre, ha sconfitto nella sua carne il pungiglione della morte, la disobbedienza di Adamo: pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso, la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, umiliò se stesso fino a essere obbediente fino alla morte e morte di Croce. Per questo Dio l'ha esaltato, gli ha dato il Nome che è al di sopra di ogni altro nome.
Nella Sinagoga di Nazareth, dopo il Battesimo nelle acque del Giordano, confermato dalla voce del Padre come “figlio prediletto” e dalla Presenza dello Spirito Santo, sotto forma di Colomba, Gesù proclama la profezia di Isaia:
Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’Unzione,
e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio,
per proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
per rimettere in libertà gli oppressi,
e predicare un anno di grazia del Signore (Lc 4,18-19).
Conclude affermando:
Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi (Lc 4,21).
Il Giubileo celebra la «pienezza dei tempi» manifestatasi in Cristo, «Alfa e Omega» (Ap 1,8; 21,6; 22,13), Signore del tempo e della storia. Ciò spiega perché per Origene, ad esempio afferma che «il Giubileo appare come il più insondabile di tutti i “sacramenti” della Scrittura» perché anticipa la venuta di un tempo di salvezza universale. Gesù stesso annuncia l’«anno di grazia del Signore» (Lc 4,18- 19), richiama l’immagine del Giubileo e indicando che la sua missione è il compimento ultimo di quella liberazione e restaurazione promessa, e va di villaggio in villaggio annunciando: “convertitevi il Regno di Dio è vicino, credete al Vangelo”. Con Lui ha inizio la pienezza dei tempi.
Il Signore ha disposto che ogni anno noi celebrassimo, nell’anno liturgico, tutti i misteri della sua salvezza per unirci sempre di più a lui stesso e vivere nei nostri cuori.
Per questo, perpetuerà annualmente nella Chiesa, la Celebrazione dei Misteri della Redenzione.
È in questa luce che nel prossimo Giubileo, il Signore stesso viene al nostro incontro, per salvarci da questa generazione che lo ha abbandonato pubblicamente. Iniqua e perversa, dice Pietro. Uscite da queste generazioni iniqua e perverse, mediante il suo amore che viene a cercarci, a metterci su le sue spalle come la pecora perduta e come il Padre del figliol prodigo ha accolto suo figlio con una festa e per questo ha dato il potere a Pietro: “A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”. Apparendo risorto agli apostoli nel Cenacolo dice: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”. Questo è il grande dono che ci fa Gesù Cristo, non più sacrifici rituali per il perdono ma il Sacramento della riconciliazione che ci ha lasciato.
Ora passiamo a vedere un poco come nella storia – brevemente perché già per il Giubileo del 2000 ho fatto la storia – vi darò degli spunti. Come è arrivato a noi questo Sacramento della Penitenza?
Come sappiamo, nell’Antico Testamento per i tre peccati più gravi che sono l’apostasia, l’omicidio, uccidere una persona, e l’adulterio, rompere l’amore coniugale, erano condannati a morte. Questa tradizione passa alla Chiesa primitiva nei primi secoli perché nella Chiesa primitiva, dopo il battesimo, se uno incorreva in questi peccati gravi, in uno di questi peccati gravi era scomunicato dalla comunità, in vista della sua conversione, perché si rendesse conto della gravità che aveva fatto rispetto a Dio, rifiutando il suo amore gratuito e alla comunità dando scandalo per cui era ammesso alla penitenza in genere in fin di vita, alla fine, prima di morire per paura
che se rientrava nella comunità, ricadesse per debolezza. Questo è stato il primo atteggiamento.
Con la scomunica (sospensione dalla Comunità) si cercava di impedire un rilassamento nella fede in un tempo di instabilità sociale e religiosa frutto delle costanti persecuzioni da parte dell’Impero, di fronte alla possibilità di cadere nell’apostasia o nell’eresia. C’erano i lapsi, coloro che per debolezza apostatavano mettendo l’incenso a Cesare e dopo volevano ritornare. Per misericordi certe chiese li hanno riammessi, comprendendo la debolezza difronte la paura della morte.
Alla fine delle persecuzioni, all'inizio dell'epoca di Costantino, e l'entrata delle masse pagane nella chiesa - dove la Chiesa si sforza di evangelizzare attraverso la loro religiosità naturale, abbiamo già parlato di questo processo - il catecumenato a poco a poco sparisce, e con il passare degli anni si va configurando l’Ordo Paenitentium. Che vuol dire? Il Mercoledì delle Ceneri, chi aveva commesso peccati veniva fatto uscire dalla comunità cristiana, scomunicato fino al Giovedì Santo se in questo periodo dava i segni di vera conversione. Finché non davano questi segni non venivano riammessi il Giovedì Santo. I primi tempi questo era preso molto sul serio ed erano accompagnati dalla preghiera dei fedeli. Coloro che entravano nell’Ordo dei Paenitentium si radunavano fuori della Chiesa – per questo nascono gli atrii – in ginocchio e i fedeli che passavano pregavano per loro perché potessero recuperare la vita divina, l’intimità con il Signore.
La conclusione del processo penitenziale era realizzata all’interno di una celebrazione eucaristica il Giovedì Santo al mattino. In essa il diacono chiamava il penitente che, uscito dal suo posto (Ordo Paenitentium), si prostrava per terra davanti al vescovo in segno di indegnità e di supplica di misericordia.
In seguito, il Diacono sollecitava dal Vescovo la riconciliazione per il penitente. Il Vescovo dopo aver esaminato e ricordato al penitente la gravità del peccato, procedeva a riconciliarlo usando alcune formule deprecatorie in cui si chiedeva a Dio il perdono dei peccati seguite dalla imposizione delle mani da parte del Vescovo.
Dopo questo rito di riconciliazione si procedeva a reintegrarlo pienamente alla comunità, ciò che si esprimeva nella partecipazione al mistero eucaristico che concludeva la celebrazione
Più tardi, nel 589,nel Sinodo di Toledo, appare una nuova pratica di confessarsi. Questa rigidità si va allentando, questa nuova formula che appare cioè un fedele quando peccava si rivolgeva ad un prete, un presbitero e chiedeva l'assoluzione, consapevole di aver commesso un peccato di una certa gravità, cominciano a confessarsi da un prete che lo assolve dichiarandosi disposto a espiare la propria colpa con un’adeguata «pena».
Vedremo la distinzione tra essere assolti dal peccato e le pene che ne conseguono. Ogni peccato crea dei disastri, delle ferite. Tu puoi essere pentito, il prete ti assolve ma devi, in un certo modo riparare, al male che hai fatto. Allora sorge la «penitenza tariffata», cioè a certi peccati – dato che si diffonde, come vedremo dopo, attraverso gli ordini monastici questa prassi allora si crea un ordine penitenziale dove a ciascun peccato, per facilitare, è applicata una tariffa che può essere in
penitenza digiuni, pellegrinaggi, mesi di conversione o in soldi. Tutto avviene al termine di un tempo penitenziale appoggiato sempre dalla preghiera della comunità. Come avete detto anche voi, è molto importante il sostegno della comunità, non siamo soli, siamo chiamati a diventare santi in comunità non da soli.
Nel secolo X, si diffondono i monasteri benedettini, in Europa, creati da S.Benedetto, e arrivano al loro fulgore con il Monastero di Cluny. Questo monastero ha un grande successo e diventa un centro commerciale. Perché succede? Perché grazie ai benedettini che hanno creato le abazie in tutta Europa, attorno si sono raccolti i contadini, nascono dei nuovi villaggi attorno ai monasteri, cominciano ad insegnargli a seminare, piantare, ecc. e così è nata la civiltà occidentale, piano piano, grazie ai monaci. Questo cosa ha portato? Che coltivare i campi, lavorare, produce frutti e i frutti producono commercio, il commercio diventa internazionale. E in poco tempo la corruzione entra nella Chiesa. Come reazione il Signore, suscita San Francesco d'Assisi e l'ordine francescano; nel 1200 appare S.Franscesco che invita ad un ritorno alla povertà, e alla vita cristiana secondo il Vangelo radicale e manda i suoi frati a predicare, prendendo botte. Nello stesso secolo Dio suscita San Domenico di Guzman, che viene a Roma e si converte e forma l’ordine dei predicatori. Grazie a queste due colonne, S.Francesco e S.Domenico, la Chiesa riprende fiato.
Arriviamo così all'anno 1300: cosa succede? Nel 1299 la città di Roma vive nel terrore, per questa corruzione che era diffusa, con rapine, sfruttamento dei poveri, ecc.
La prima indulgenza, come sapete, l’ha istaurata S.Francesco di Assisi, il perdono di Assisi ma quello ufficiale nasce nel 1350. Entrando nell’anno 1300 cosa succede? Tra il popolo cominciò a formarsi la convinzione che nell’anno centenario 1300 si sarebbe potuto ottenere “pienissima remissione dei peccati”, erano pieni di paura, si faceva profezie, pensavano che entrando nel 1300 chissà cosa sarebbe accaduto, la fine del mondo, ecc. allora tra i pellegrini alla basilica di San Pietro si diffonde la voce che andando a S.Pietro il Papa Bonifacio VIII avrebbe concesso “l’indulgenza” plenaria di tutti i peccati. Così se fossero avvenuti tutti i disastri, sarebbero andati certamente in paradiso. Questa notizia arrivò a Papa Bonifacio VIII che il 22 febbraio 1300 promulgò il la bolla “Antiquorum habet fide relatio” in cui concedeva “in virtù della pienezza della potestà apostolica un’indulgenza di tutti i peccati, non solo piena e più abbondante, ma pienissima”». (Fisichella, p.115). Sarà spiegata bene da Papa Clemente VI, nella Bolla “Unigenitus Dei” di indizione dell’Anno Santo del 1345, che espliciterà la dottrina della indulgenza plenaria legata alla celebrazione dell’Anno Giubilare: il tesoro inesauribile
«Avendoci Cristo riscattati a prezzo non di cose corruttibili come l’oro e l’argento, ma con il suo sangue prezioso, ne è derivato alla Chiesa un tesoro inesauribile, per di più arricchito dai meriti della beata Madre di Dio e di tutti gli eletti… In verità ha disposto che questo tesoro, non riposto in un fazzoletto, non nascosto in un campo, ma venisse dispensato ai fedeli tramite il beato Pietro e i suoi successori, detentori delle chiavi del cielo, ed ha stabilito che venisse misericordiosamente distribuito, sia in modo generale che speciale sia in favore di
una totale o parziale remissione della pena temporale contratta con i peccati, a coloro che veramente si pentono e si confessano».
Cioè, con l'indulgenza si ottiene dopo lo perdono e anche di tutte le pene che si distinguevano in pene temporali e pene eterne, che poi si qualificheranno.
Papa Alessandro VI, per l’Anno Santo del 1500 estende che l’indulgenza plenaria sia applicata in suffragio per le anime del purgatorio: cioè se uno fa il giubileo per se stesso, se ne fa un altro secondo le indicazioni del Papa a Roma o nelle chiese locali può applicare questo tesoro ad un defunto, alla mamma, alla nonna a chi vuole lui.
Fu proprio in questa occasione che sorse Lutero e la controversia sulle indulgenze.
Lutero critica le indulgenze nelle famose “tesi di Wittenberg” 1595, muove una dura requisitoria contro le indulgenze. E diffonde questa frase: «Appena il denaro suona nella cassetta, l’anima è liberata dal fuoco del purgatorio».
Fa una esagerazione ma noi sappiano che dietro ci sono altri motivi, anche di tipo politico ed economico. Già l’Inghilterra aveva provato a staccarsi dalla Chiesa cattolica a causa delle tasse da versare al Vaticano. Questo non piaceva molto. Anche i principi della Germania non erano disposti a pagare le tasse. Questi sono i veri motivi che ci sono dietro. E’ vero anche che ci sono state delle esagerazioni, cose da correggere.
Lutero, nelle sue celebri 95 tesi del 1517 sulle indulgenze, sosteneva che esse non avevano valore davanti a Dio, essendo unicamente una remissione della pena canonica da parte della Chiesa; negava inoltre l’esistenza di un tesoro di grazia di Cristo e dei santi da cui la Chiesa avrebbe potuto attingere. Tuttavia, attenuava la sua contestazione mettendo sotto accusa il modo in cui le indulgenze venivano predicate: «Se si fosse predicato bene, secondo lo spirito e il sentimento del papa, quelle difficoltà sarebbero svaporate da sé medesime» (Tesi 91). Aggiungeva comunque che è meglio soffrire volentieri le pene dei peccati che non sottrarvisi mediante le indulgenze.
Ma il Concilio di Trento, il 4 Dicembre 1563, viene approvato il “Decretum de indulgentiis” conferma il valore delle indulgenze, afferma che:
«Le indulgenze – affermano – sono molto salutari per il popolo cristiano».
Il Concilio di Trento, in effetti, veniva a chiarificare che il perdono dei peccati, mediante l’assoluzione sacramentale, non comportava necessariamente anche la remissione delle conseguenze del peccato. Dio, insomma, rimane sempre libero, ma concede alla Chiesa la possibilità di intervenire con le sue forme proprie per ottenere che al perdono del peccato possa seguire anche il perdono delle sue conseguenze. (Riparazione)
Dopo il Concilio di Trento il rischio di «cosificazione» e di «quantificazione», (specialmente in soldi), non fu del tutto evitato.
Assistiamo così al sorgere di un cumulo di indulgenze legate a opere sempre minori. Lo sconto della pena era penitenza, scomunica o digiuno, pellegrinaggi.
Adesso si tramuta tutto in offerte o preghiere, una preghiera 3000 anni di purgatorio in meno. Una pratica indulgenza di 5000 anni, ecc., una elemosina 5000 anni, ecc.
Per di più, alcuni signorotti facoltosi, che avevano commesso peccati gravi e avrebbero dovuto scontare una pena gravosa, hanno cominciato ad utilizzare alcuni dei loro dipendenti, pagandoli in denaro, se accettavano di scontare la pena dovuta, a nome loro
Allora qui ci sono gli abusi e l’indulgenza finì per essere «praticata» e «pensata» come realtà la cui essenza non aveva più alcun rapporto con la celebrazione ecclesiale della penitenza, ma come realtà a sé stante, talora praticata esteriormente senza una corrispondente conversione interiore.
Per comprendere questo, io faccio presente un momento quello che per voi stiamo vivendo nelle comunità che avete detto nelle risposte al questionario. Una realtà riscoperta da Concilio Vaticano II che nella Lumen Gentium, tra le immagini della Chiesa scopre la Chiesa come il corpo di Cristo e dice:
tutte le membra del corpo umano, anche se numerose, non formano che un solo corpo in una diversità di membri e di uffici. Lo Spirito, unificando il corpo con l’interna connessione dei membri, produce e stimola la carità tra i fedeli; se un membro soffre, soffrono con esso tutte le altre membra; se un membro è onorato, ne gioiscono con esso tutte le altre membra (cfr. 1Cor 12,26) (LG.n.7).
E San Paolo nel capitolo quarto della lettera agli Efesini esplicita:
“Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza; un solo Signore. Un solo Dio Padre di tutti,
quello che noi stiamo vivendo per grazia di Dio
‘Cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il Capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità’” (Ef 4,1-16)
In fine, al Capitolo7 della Lumen Gentium fa presente l’indole escatologica della Chiesa peregrinante.
Siamo uniti alla Chiesa celeste, alla Chiesa purgante e la Chiesa militante sulla terra, c’è una unione di meriti e di grazie
nei diversi generi e professioni della vita, ecc.
E arriviamo ai nostri tempi.
Papa Paolo VI ripropone in forma rinnovata la dottrina sulle Indulgenze
Papa Paolo VI riconosce gli “abusi” riguardo alla dottrina delle indulgenze, soprattutto nel secolo XVII e XVIII e poi fino al ‘900, fino alla rinnovazione del Concilio Vaticano II.
Paolo VI riconosce gli abusi, perché a causa di concessioni non opportune e superflue veniva avvilito il potere delle chiavi di Pietro. Ma la Chiesa, condanna con anatema quanti asseriscono l’inutilità delle indulgenze e negano il potere esistente nella chiesa di concederle».
Il fine dell’indulgenza poi «non è solo quello di aiutare i fedeli a scontare le pene del peccato, ma anche di spingerli a compiere opere di pietà, di penitenza e di carità…
E si possono applicare in suffragio dei defunti (n. 8).
Questo lo spiega molto bene
Papa Giovanni Paolo II, nella Bolla «Incarnationis mysterium»
Papa Giovanni Paolo II, nella Bolla di indizione del grande Concilio dell'anno 2000, «Incarnationis mysterium», ci ha lasciato una spiegazione molto chiara sul significato delle Indulgenze.
Il perdono comporta un reale cambiamento di vita
“Il perdono comporta un reale cambiamento di vita. Fin dall’antichità, il perdono, concesso gratuitamente da Dio, implica come conseguenza un reale cambiamento di vita, una progressiva eliminazione del male interiore.
L'avvenuta riconciliazione con Dio, infatti, non esclude la permanenza di alcune conseguenze del peccato dalle quali è necessario purificarsi”.
È precisamente in questo ambito che acquista rilievo l’indulgenza, mediante la quale viene espresso il «dono totale della misericordia di Dio» (16). Con l’indulgenza al peccatore pentito è condonata la pena temporale per i peccati già rimessi quanto alla colpa (9).
“Il peccato, infatti, per il suo carattere di offesa alla santità e alla giustizia di Dio, ha una duplice conseguenza: In primo luogo, se grave, esso comporta la privazione della comunione con Dio e, di conseguenza, l'esclusione dalla partecipazione alla vita eterna. Al peccatore pentito, tuttavia, Dio nella sua misericordia concede il perdono del peccato grave e la remissione della «pena eterna» che ne conseguirebbe.
In secondo luogo, «ogni peccato, anche veniale, provoca un attaccamento malsano alle creature che ha bisogno di purificazione, sia quaggiù, sia dopo la morte, nello stato chiamato Purgatorio. Tale purificazione libera dalla cosiddetta «pena temporale» del peccato», espiata la quale viene a cancellarsi ciò che osta alla piena comunione con Dio e con i fratelli” (10).
Quindi Giovanni Paolo II collega il perdono dei peccati e l’espiazione o riparazione dei danni creati ai vicini.
Le pene temporali
Noi ci scandalizziamo delle tariffe messe dalle indulgenze, ma questo è praticato oggi dal Codice civile e penale in Italia. Avete mai sentito dire che uno è
condannato per 500 anni? Mai sentito? Si condanna al carcere perpetuo, più 300 anni o 500 anni: si usa, è nominale ma c’è. La Chiesa ha applicato una norma anche del Diritto civile.
Se ad esempio un fratello avanti nel cammino, cade in un peccato di adulterio, si pente sinceramente e si confessa, con la decisione di rompere quella situazione di peccato, riceve il perdono nel Sacramento della Penitenza. Ma questo non è sufficiente.
Questo io lo praticavo già quando confessavo all’inizio del Cammino nelle parrocchie. Se veniva uno, e mi diceva di avere un’amante, non gli dicevo solo: “Io ti perdono” ma “Tu devi essere curato, devi lasciare quella donna altrimenti non ti posso dare l’assoluzione. Vai al Cammino neocatecumenale”, gli dicevo. Non posso illuderlo con l’assoluzione.
C’è un cammino di riparazione del male provocato alla moglie, ai figli, ai familiari, alla comunità, accettando di soffrire per circoncidere il cuore,
per cui la “pena temporale” non è una sanzione estrinseca che la Chiesa impone di soddisfare, ma è una esigenza intrinseca alla conversione. In questo processo di conversione è aiutato e sostenuto dalla Chiesa in modo particolare con il dono dell’indulgenza, e dalla comunità che ti aiuta con la sua preghiera. Quindi conviene dare un tempo di stare lontano dalla comunità, come facciamo molte volte: “Stai lontano dalla comunità un anno, vai a messa tutti i giorni, prega il Rosario, e dopo se dai i segni di conversione sarai riammesso.
Per questo il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna:
L’assoluzione toglie il peccato, ma non porta rimedio a tutti i disordini che il peccato ha causato. Risollevato dal peccato, il peccatore deve ancora recuperare la piena salute spirituale. Deve dunque fare qualcosa di più per riparare le proprie colpe: deve «soddisfare» in maniera adeguata o «espiare»
i suoi peccati. Questa soddisfazione si chiama anche «penitenza» (CCC 1459).
Per la remissione della pena temporale, l’indulgenza non costituisce una via facilior, una «scorciatoia», rispetto alla conversione ordinaria. Essa rappresenta invece l’aiuto solenne dell’amore mistico del corpo di Cristo, della comunità, offerto alla debolezza del peccatore pentito, affinché egli possa realizzare una conversione profonda ed efficace. Se è vero che la grazia di Dio non sostituisce ma promuove e sollecita la libertà dell’uomo, quello che Dio più rispetta è la nostra libertà, non può attuare nulla senza la libertà, senza la libertà non esiste l’amore. Allora
è piuttosto l'aiuto della Chiesa volto a favorire l'opera sempre difficile di ricostruire l'amore, favorendo la conversione stessa.
Adesso arriviamo già alle indulgenze e al Cammino Neocatecumenale, perché nel Cammino noi già facciamo tutto questo. Io ho voluto esplicitarlo collegando l’Antico Testamento alla Tradizione della Chiesa per vedere che già lo stiamo facendo, e come.
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padre Mario:
Ieri ho fatto molti salti. Capisco che nel 1999, quando ho fatto la catechesi per il grande Giubileo del 2000, ero più giovane, la colpa non è mia, sono nato in quell’anno e adesso sono più vecchio e più difficile concentrarsi, sintetizzare… Confido nella comunione dei santi nelle nostre comunità. Cercherò di leggere così non mi perdo. Bisogna accettare i limiti. Siamo arrivati a l’indulgenza e il Cammino Neocatecumenale.
In questo insegnamento sul significato dell’Indulgenza, vediamo confermato quanto il Signore ha operato e sta operando in noi attraverso il Cammino neocatecumenale al quale Dio ci ha chiamati, e ne risalta la sua attualità per la Chiesa.
Fin dalle prime catechesi, sin dall’Annuncio del Kerygma, di fronte alla crisi del Sacramento della Penitenza, Carmen ha fatto un’ottima catechesi ponendo al centro al posto della confessione che è un elemento, ha messo la conversione, della conversione fanno parte confessione dei peccati, il proposito di commetterlo più e la penitenza.
Nel Cammino Neocatecumenale anche in noi è iniziato un cammino graduale e progressivo di discesa, di illuminazione e di spoliazione dell’uomo vecchio e di rivestimento dell’uomo nuovo.
Grazie alle tappe e agli scrutini, alla Celebrazione della Parola di Dio, nella settimanale celebrazione della Eucarestia e alla celebrazione periodica del
Sacramento della Penitenza, la Chiesa attraverso il ministero del Vescovo, dei presbiteri e dei catechisti, come vera Madre ha cominciato in noi quel processo di gestazione a una fede più matura con la stessa cura con cui gestiva alla vita nuova i catecumeni nella Chiesa primitiva, e assisteva con la sua intercessione i peccatori pentiti nel loro cammino di ritorno.
Terminato l’itinerario neocatecumenale, questo processo di purificazione non è cessato, ma il combattimento quotidiano continua, anzi si fa sempre più serio, e per questo abbiamo sempre bisogno di essere sorretti ed aiutati dalla materna assistenza della Chiesa che soprattutto in occasione di questo Grande Giubileo ci apre i suoi “tesori di grazia” nella Comunione dei Santi. A questa luce si comprende come la partecipazione personale alle Celebrazioni della Parola e dell'Eucaristia settimanali, come anche alle convivenze della comunità, agli Annunci dei tempi forti dell’anno Liturgico, non sono degli opzional - posso o non posso andare - facoltativi, ma sono necessari – chiaramente se sei impedito perché ammalato o a letto sarà aiutato dai fratelli che ogni tanto vanno a pregare con lui, ma tu non lasci mai le lodi, il breviario – ma sono necessari per potere alimentare la vita nuova che cresce in noi fino al momento in cui il Signore ci chiama se.
Vorrei fare qui un richiamo anche ai Presbiteri e ai catechisti del pericolo della infiltrazione, soprattutto nei diversi passaggi, di una mentalità sentimentale, negli scrutini - poveretto, lo dobbiamo capire, lo dobbiamo rispettare. I criteri di discernimento, sul cambiamento della vita nei rapporti con gli altri, con sé stessi e con Dio, il criterio viene dalla Parola di Dio, come faceva S.Pacomio che ha messo come regola la parola di Dio nelle sue comunità. A volte, per farsi sentimenti di pietà, non osiamo dire la verità e con questo ritardiamo l'autentica conversione dei fratelli a Gesù Cristo. Soprattutto anche per ammettere i seminaristi al diaconato, al presbiterato. Avvolte si dubita: nel dubbio è meglio non andare avanti, dice S.Paolo. Per fare un esempio: un medico che vede un paziente che ha un bubbone con il pus, se è un sentimentale cosa fa? Poveretto, ti fa male, va bene ti do una pomata e ti passa. Questo è sentimentale, ha paura di far soffrire. Un vero medico prende il bisturi e taglia, ti farà male ma poi guarisce sicuramente. Non dobbiamo perdere la radicalità del vangelo soprattutto negli scrutini. Se uno non ha un cambio di vita è meglio farlo aspettare, non perde nulla, c’è la vita eterna.
La Rivelazione, d’altra parte, insegna che, nel suo cammino di conversione, il cristiano non si trova solo. In Cristo e per mezzo di Cristo la sua vita viene congiunta con misterioso legame alla vita di tutti gli altri cristiani nella soprannaturale unità del Corpo mistico. Al tempo del devozionismo, c’era di aspirare a diventare santo: io santo. Oggi la comunità è chiamata a diventare santa.
Si instaura così tra i fratelli un meraviglioso scambio di beni spirituali, siamo come dei vasi comunicanti: il corpo di Cristo ha varie funzioni, varie congiunture, articolazioni ma dove scorre la stessa linfa e lo stesso sangue che è quello di Cristo che ci unisce. Ciascuno porta la sua partecipazione Particolare e necessaria all’edificazione del corpo di Cristo. C’è uno scambi di beni, la santità di uno giova a tutti gli altri, il peccato di uno – anche se è nascosto – ricade su tutto il corpo. Questo soprattutto nella comunità.
Nondimeno fa parte della grandezza dell’amore di Cristo non lasciarci nella condizione di destinatari passivi, ma coinvolgerci nella sua opera salvifica e, in particolare, nella sua passione. Per questo avete detto bene nelle esperienze: l’efficacia della croce, la croce ci unisce di più a Gesù Cristo, ci spoglia. Dice S.Paolo:
“Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale (Rm, 12,1).
Lo chiama culto. Il Padre cerca i veri adoratori, coloro che adorano Dio in Spirito e verità.
In un altro passo dice:
«Do compimento a ciò che manca ai patimenti di Cristo nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (1,4).
Cristo è glorioso ma nella Chiesa suo corpo sulla terra continua a soffrire divisioni, scandali. Siamo chiamati a partecipare, ad assumere questa sofferenza uniti a Gesù Cristo.
Questa profonda realtà è mirabilmente espressa anche in un passo dell'Apocalisse, in cui si descrive la Chiesa come la sposa rivestita di un semplice abito di lino bianco, di lino puro splendente. E S.Giovanni dice: «La veste di lino sono le opere giuste dei santi» (Ap 19, 8). Nella vita dei santi viene, infatti, tessuto il bisso splendente, che è l’abito dell'eternità.
Qui vorrei fare un piccolo ammonimento perché nelle comunità si trovano dei fratelli che si lamentano e dicono: «Ah, ma io non mi sento nulla, nella mia Comunità, non faccio niente, non sono catechista, non sono ostiario, non sono cantore».
Ma tu sei un Membro del Corpo di Cristo eletto per divenire figlio di Dio in Cielo: e ti pare poco? Questa è una falsità, una tentazione del demonio: sempre puoi offrire le tue sofferenze, sempre puoi cooperare all’edificazione. Anche un ammalato costretto a letto: da molto di più di un catechista che magari pensa di realizzarsi predicando bene, avendo gli applausi. È tutto futile. Il signore ha una sua misura per misurare la realtà. Il regno di Dio ha delle leggi economiche diverse dalle nostre. Tutto è prezioso, ogni lacrima è preziosa. Per cui nessuno dica: io non servo a nulla, non sono niente. Tu sei chiamato a diventare figlio di Dio. Ti pare poco diventare figlio di Dio per l’eternità?
Adesso vi spiego un altro concetto molto importante tratto dal Catechismo della Chiesa Cattolica, ci illumina sul cammino che ci rimane da compiere sulla terra, fino al momento in cui ci chiama il Signore. Il catechismo dice:
Da una parte è vero che: «La giustificazione ci è stata meritata dalla Passione di Cristo, e ci è accordata mediante il Battesimo, sacramento della fede» (CCC 1992), ma è altrettanto vero che: «la giustificazione stabilisce la collaborazione tra la grazia di Dio e la libertà dell’uomo. Dio ci ama ma tocca a noi rispondere, accogliere il suo amore o rifiutarlo o resistere. Dice Sant'Agostino: «Dio, che ti ha creato senza di te, non può salvarti senza di te» (Sermo CLXIX, 13). L’ho ripetuto molte volte: il
cammino non è una catena di montaggio si entra pagani e si esce cristiani. NO! Tu puoi fare tutto il cammino con l’ombrello e non cambia niente. Hai osservato formalmente tutto ma c’è un dialogo che Dio stabilisce nel suo amore e che ci parla dentro il cuore, le mozioni dello Spirito Santo. E non certo perché non ne abbia la capacità – è onnipotente! – ma perché, essendo amore, rispetta fino in fondo la nostra libertà. (Papa Francesco, Angelus, 15 Ottobre 2023).
La nostra collaborazione si esprime nell’assenso della fede alla Parola di Dio e nella cooperazione della carità alla mozione dello Spirito Santo, che lo previene e ci spinge. Questa è una tragedia oggi perché la civiltà che ci circonda, soprattutto per i giovani , non dà il tempo di pensare, sempre legati al telefonino, al tablet, ai giochi, quasi ci impedisce di riflettere, si seguono le mode, si fa quello che vogliono gli altri. E’ molto importante che nella trasmissione della fede nelle lodi del mattino
aiutiamo i nostri figli, i nostri nipoti, ad entrare in se stessi a pensare a ciò che stanno vivendo ed a ascoltare, avere tempi di ascolto della Parola di Dio. Non ascolto passivo: sì vado in comunità tanto per. Ma sollecitare un ascolto attivo in cui si risponde.
Dio tocca il cuore dell’uomo con l’illuminazione dello Spirito Santo, in modo che né l’uomo resterà assolutamente inerte, può anche respingere, ma senza la grazia divina, non potrà prepararsi alla giustizia dinanzi a Dio» (CCC 1993). Richiede la nostra partecipazione.
In questo processo lo Spirito Santo è il maestro interiore (CCC 1995). Una volta si diceva che c’è una grazia “preveniente” e una grazia che “attua”. Vuol dire che lo Spirito Santo ti dà una ispirazione – se hai dei momenti di raccoglimento anche mentre lavi i piazzi o mentre non riesci a dormire – lo Spirito Santo parla. Importante è ascoltarlo e seguirlo perché la grazia “preveniente” ti facilita e di dona la forza di compiere quello che ti ha ispirato.
La libera iniziativa di Dio richiede la libera risposta dell’uomo; infatti, Dio ha creato l’uomo a propria immagine, dandogli, con la libertà, il potere di conoscerlo e di amarlo L’anima può entrare solo liberamente nella comunione dell’amore (CCC 2002).
Dio ha liberamente disposto di associare l’uomo all’opera della sua grazia (CCC 2008). Come nel fidanzamento: se non c’è la libertà, se è imposto, se non è voluto è falso, non c’è amore; così Dio vuole il nostro amore nella nostra libertà. Poi un’altra cosa: non ci salviamo da soli. Si diceva: io voglio farmi santo.
Non ci salviamo da soli!
Tutto viene da Cristo, ma poiché noi apparteniamo a lui, anche ciò che è nostro diventa suo e acquista una forza che risana. Ecco cosa si intende quando si parla del «tesoro della Chiesa», che sono le opere buone dei santi.
Pregare per ottenere l’indulgenza significa entrare in questa comunione spirituale.
Anche nell’ambito spirituale, infatti, nessuno vive per se stesso. Ce lo ha ricordato Kiko: è morto e risorto perché chi vive non viva più per se stesso. La mia
santificazione: no! E la salutare preoccupazione per la salvezza della propria anima viene liberata dal timore e dall'’egoismo solo quando diviene preoccupazione anche per la salvezza dell'altro. Dove sono tutti coloro che ti ho affidato, chiederà Dio quando arriveremo davanti a Lui. È un targum che dice che i pagani si attaccheranno ai filatteri, le frange degli scialli della preghiera degli ebrei. Quando un ebreo arriva in paradiso Dio gli domanda: dove sono quelli che io ti ho affidato? Se uno si preoccupa solo della sua salvezza, non piace a Dio perché il suo amore è per tutti gli uomini anche per i peccatori, per i nemici, per tutti.
«Poiché tutti i credenti formano un solo corpo, il bene degli uni è comunicato agli altri...» (CCC 947).
Sotto la mozione dello Spirito Santo e della carità, possiamo in seguito meritare per noi stessi e per gli altri le grazie utili per la nostra santificazione, per l’aumento della grazia e della carità, come pure per il conseguimento della vita eterna…Tutte queste grazie e questi beni sono oggetto della preghiera cristiana. Di fatti sempre diciamo, come ci ha insegnato il Signore: Padre Nostro. E preghiamo per tutti.
Adesso vi voglio dare alcune chiavi particolari tratte dalla Bolla di Papa Francesco e poi finiremo con una considerazione finale di S.Tommaso.
Il Giubileo è caratterizzato da tre parola: le indulgenze – che abbiamo parlato prima – il pellegrinaggio e varcare la porta.
Papa Francesco nella bolla di indizione del Giubileo 2025 dice:
Il pellegrinaggio
“Il pellegrinaggio esprime un elemento fondamentale di ogni evento giubilare. Mettersi in cammino è tipico di chi va alla ricerca del senso della vita. Il pellegrinaggio a piedi favorisce molto la riscoperta del valore del silenzio, della fatica, dell’essenzialità. Conosco alcuni che fanno i pellegrinaggi a Santiago a piedi, tanti chilometri al giorno, arrivano con i piedi rotti ma contenti. In silenzio. Non fare turismo, andando in macchina, in silenzio, pregando, contemplando, meditando. Ci suggerisce di fare questo anche a noi, sia andando da una chiesa all’altra in meditazione, in preghiera, non parlottando, in raccoglimento interiore. Se lo fai da turista è meglio che non lo faccia. Anche nel prossimo anno i pellegrini di speranza non mancheranno di percorrere vie antiche e moderne per vivere intensamente l’esperienza giubilare. Nella stessa città di Roma, inoltre, saranno presenti itinerari di fede, andando a piedi da una basilica all’altra, dal Vaticano a S.Maria Maggiore, da S.Giovanni in Laterano a S.Paolo. Forza ai romani ma anche agli altri. Questo lo lasciamo a voi. Più fate meglio è. Il Signore agiste dentro di noi.
Nelle chiese giubilari, lungo i percorsi e nell’Urbe, potranno essere oasi di spiritualità dove ristorare il cammino della fede e abbeverarsi alle sorgenti della speranza, anzitutto accostandosi al Sacramento della Riconciliazione, insostituibile punto di partenza di un reale cammino di conversione. Questo è il pellegrinaggio che è un simbolo della nostra vita che ha momenti di fatica ma anche di consolazioni interiori.
Varcare la soglia
Sapete che si apre la porta del Giubileo nella Basilica di S. Pietro.
La Porta Santa della Basilica di San Pietro in Vaticano sia aperta il 24 dicembre del presente anno 2024, dando così inizio al Giubileo Ordinario. La domenica successiva, 29 dicembre 2024, aprirò la Porta Santa della mia cattedrale di San Giovanni in Laterano, che il 9 novembre di quest’anno celebrerà i 1700 anni della dedicazione. A seguire, il 1° gennaio 2025, Solennità di Maria Santissima Madre di Dio, verrà aperta la Porta Santa della Basilica papale di Santa Maria Maggiore. Infine, domenica 5 gennaio sarà aperta la Porta Santa della Basilica papale di San Paolo fuori le Mura. Queste ultime tre Porte Sante saranno chiuse entro domenica 28 dicembre dello stesso anno”.
Cosa vuol dire varcare la porta. Si identifica con quello che dice il Signore: Io sono la porta, solo chi entra attraverso di me è mio discepolo”. Quelli al di fuori di me sono tiranni e despoti. Io sono il buon pastore, le mie pecore conoscono la mia voce. Passare la porta vuol dire consegnarsi a Gesù Cristo, riconoscere che lui è il Signore, l’unico Signore della nostra vita.
Preparazione e Anno Giubilare 2025: disposizioni
“Stabilisco inoltre che domenica 29 dicembre 2024, in tutte le cattedrali e concattedrali, i Vescovi diocesani celebrino la santa Eucaristia come solenne apertura dell’Anno giubilare, secondo il Rituale che verrà predisposto per l’occasione. Il pellegrinaggio da una chiesa, scelta per la collectio, verso la cattedrale sia il segno del cammino di speranza che, illuminato dalla Parola di Dio, accomuna i credenti. In esso si dia lettura di alcuni brani del presente Documento e si annunci al popolo l’Indulgenza Giubilare, che potrà essere ottenuta secondo le prescrizioni contenute nel medesimo Rituale. Queste prescrizioni sono la confessione, la comunione, la preghiera del Padre Nostro e Ave Maria e Gloria per il Papa, entrare nella porta santa dopo un pellegrinaggio. Con questo si riceve l’indulgenza plenaria. C’è anche l’indulgenza temporale e quella totale, eterna in modo che, se vai sotto una macchina subito dopo vai in paradiso. Ma non ti puoi organizzare per questo.
Papa Francesco al termine della bolla di indizione del Giubileo 2025 invita a riscoprire vari segni di speranza. Tra i tanti Segni dei tempi per cui pregare durante il Giubileo, ricorda la speranza per la pace nel mondo, l'apertura alla vita, mediante la maternità e paternità responsabile, la vicinanza a tanti fratelli e sorelle anziani più deboli e soli, l'auspicio di un miglior trattamento dei carcerati con proposte di amnistia, di condono della pena. Mentre in loro aiuto stabilisce di aprire una Porta Santa in un carcere, perché sia per loro un simbolo che invita a guardare all’avvenire con speranza e con rinnovato impegno di vita. Raccomanda la vicinanza e la cura dei giovani, molti dei quali privi di speranza quando il futuro è incerto, impermeabile ai loro sogni, tentati dall'illusione delle droghe il rischio della trasgressione e la ricerca dell'effimero facendoli scivolare in baratri oscuri spingendoli a compiere gesti autodistrutti.
Al termine ci invita a “sperare contro ogni speranza” (Rm.4, 18) come il nostro Padre Abramo, invitandoci ad alzare i nostri occhi al Cielo: noi che crediamo in colui che ha risuscitato dai morti, Gesù Nostro Signore, il quale è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione.
“Lasciamoci fin d’ora attrarre dalla speranza e permettiamo che attraverso di noi diventi contagiosa per quanti la desiderano. Possa la nostra vita dire loro: «Spera nel Signore, sii forte, si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore» (Sal 27,14). Anche per la gente che ci è vicina, atea o contro la chiesa: coraggio, prega il Signore, confida in Lui Possa la forza della speranza riempire il nostro presente, nell’attesa fiduciosa del ritorno del Signore Gesù Cristo, al quale va la lode e la gloria ora e per i secoli futuri (Spe Salvi, n. 25)” .
Ma vorrei aggiungere uno zuccherino per finire. L’ho trovato nel breviario mentre preparavo questa catechesi. Ho trovato uno scritto di San Tommaso d’Aquino”, famoso come teologo ma poco come intimo del Signore e ci apre il suo cuore.
Quando saranno compiuti tutti i nostri desideri, cioè nella vita eterna, la fede cesserà. Non sarà più oggetto di fede tutta quella serie di verità che nel «Credo» si chiude con le parole: «vita eterna. Amen».
La prima cosa che si compie nella vita eterna è l’unione dell’uomo con Dio.
Dio stesso, infatti, è il premio e il fine di tutte le nostre fatiche: «Io sono il tuo scudo, e la tua ricompensa sarà molto grande» (Gen 15,1). Questa unione poi consiste nella perfetta visione: «Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia» (1Cor 13,12).
La vita eterna inoltre consiste nella somma lode, come dice il profeta: «Giubilo e gioia saranno in essa, ringraziamenti e inni di lode» (Is 51,3). Consiste ancora nella perfetta soddisfazione del desiderio. Ivi, infatti, ogni beato avrà più di quanto ha desiderato e sperato. La ragione è che nessuno può in questa vita appagare pienamente i suoi desideri, né alcuna cosa creata è in grado di colmare le aspirazioni dell’uomo. Solo Dio può saziarlo, anzi andare molto al di là, fino all’infinito. Per questo le brame dell’uomo si appagano solo in Dio, secondo quanto dice Agostino: «Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è senza pace fino a quando non riposa in te».
I santi, nella patria, possederanno perfettamente Dio. Ne segue che giungeranno all’apice di ogni loro desiderio e che la loro gloria sarà superiore a quanto speravano. Per questo dice il Signore: «Prendi parte alla gioia del tuo Signore» (Mt 25,21); e Agostino aggiunge: Tutta la gioia non entrerà nei beati, ma tutti i beati entreranno nella gioia. «Mi sazierò quando apparirà la tua gloria» (Sal 16,15 Volg.); ed anche: «Egli sazia di beni il tuo desiderio» (Sal 102,5 Volg.). Tutto quello che può procurare felicità, là è presente e in sommo grado. Se si cercano godimenti, là ci sarà il massimo e più assoluto godimento, perché si tratta del bene supremo, cioè di Dio: «Dolcezza senza fine alla tua destra» (Sal 15,11).
La vita eterna infine consiste nella gioconda fraternità di tutti i santi. Sarà una comunione di spiriti estremamente deliziosa, perché ognuno avrà tutti i beni di tutti gli altri beati. Ognuno amerà l’altro come sé stesso e perciò godrà del bene altrui come proprio.
Così il gaudio di uno solo sarà tanto maggiore, quanto più grande sarà la gioia di tutti gli altri beati.
Amen e così sia