domenica 17 maggio 2015

Teologia della vita consacrata. Crisi o trasformazione?




(Giancarlo Rocca) Organizzato dalla Pontificia Università Lateranense si è svolto nei giorni scorsi, presso l’istituto Claretianum, un convegno su «Teologia e teologie della vita consacrata», come omaggio all’Anno della vita consacrata e soprattutto con l’intento di disegnare il quadro della riflessione teologica sulla vita consacrata dal Vaticano II a oggi. Esso partiva dall’idea che le varie forme di vita consacrata hanno alla loro base una teologia (o teologie) che le sostiene e permette loro di crescere. Indirettamente, se questa teologia (o teologie) si indebolisce, è inevitabile che ci sia un ridimensionamento delle forme di vita consacrata nate da essa. 
La prima relazione del convegno, però, era a carattere generale e ha presentato una rassegna storico-bibliografica delle varie teologie di vita religiosa proposte dopo il Vaticano II. Come previsto per tutte le relazioni, essa è stata discussa da un contro-relatore, alle cui obiezioni sono poi seguite le risposte del relatore e le questioni poste dai partecipanti. Così, nella seconda relazione è stata illustrata la teologia proposta da teologi come Jean-Marie Roger Tillard, Hans Urs von Balthasar e Johann Baptist Metz. Si è poi passati all’esame della teologia della vita consacrata proposta in America latina e poi in Asia.
Due relazioni si sono poste come fulcro del convegno, una delle quali dedicata alla “criticità” di alcune teologie della vita consacrata. Certo, oggi, parliamo dei “tre voti” della vita consacrata, ma un tempo non era così, e il relatore si è chiesto se non ci sia qualche cosa di troppo giuridico nella visione odierna, considerando questa trasformazione rispetto a quanto accadeva nel primo millennio. E ancora: insistendo così tanto sulla propria identità, la teologia della vita consacrata è facilmente componibile con una ecclesiologia di comunione?
La seconda relazione, anch’essa “critica”, intendeva precisare quali teologie avessero alla base le forme di vita consacrata sorte negli ultimi due secoli: la congregazione religiosa, l’istituto secolare e le nuove comunità. Le prime due istituzioni in forte crisi e la terza, invece, in grande espansione. Il relatore ha subito precisato che il celibato, comune a tutte le forme di vita consacrata — e quindi proprio di una teologia generale della stessa — non poteva costituire la teologia di base di queste specifiche forme. Per la congregazione religiosa il fulcro o la teologia di base, secondo il relatore, sembra debba identificarsi nell’apostolato, che gli istituti religiosi hanno sempre svolto, ma con una forte accentuazione dopo la rivoluzione francese. Di fatto, il principio dell’“utilità” venne trasformato in “apostolato” dalle centinaia e centinaia di fondazioni sorte nel corso dell’Ottocento e del Novecento. In questo modo esse hanno contribuito a creare il benessere della società in tutto il mondo, quasi in concorrenza con lo Stato, e per circa due secoli la congregazione religiosa è riuscita a conservare un equilibrio ammirabile tra vita religiosa e apostolato, che le ha permesso di fiorire.
Se questi sono i fatti, bisognava trovarne una spiegazione, una teoria, e il relatore si è rifatto a quanto Pio XII aveva detto circa gli istituti secolari. Papa Pacelli disse che il fine specifico (cioè le opere) aveva creato il fine generico (cioè la perfezione religiosa e i consigli evangelici). Applicando questa analisi alla congregazione religiosa, ciò che maggiormente ha influito sulla sua nascita e sulla sua istituzionalizzazione dunque non era la vita religiosa in se stessa, ma l’apostolato nelle sue varie forme. Ed è da questo fulcro o teologia che scaturisce la forma di vita dei membri degli istituti secolari: senza abito religioso, senza vita comune, senza opere proprie, lavorando all’interno della società. Le nuove comunità, invece, non sembrano interessate a una teologia dell’apostolato, perché raramente accettano scuole od ospedali o parrocchie. Molte, nel mondo secolarizzato di oggi, tendono a riaffermare un’identità, hanno un abito religioso, insistono sulla vita comune, non chiedono il segreto ai loro membri. Sembra che il loro fulcro o la loro teologia sia semplicemente quella di una presenza pubblica di vita consacrata.
Se le ipotesi formulate rispondono a realtà, si ha conferma che la vita consacrata continua, con fatica, sostituendo una teologia ad altre, e quindi, invece di parlare di crisi, si dovrebbe, con più ragione, parlare di mutamento verso forme nuove.
L'Osservatore Romano



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Francesco ai religiosi: siate gioia e dono di Dio nel mondo

La vita di clausura “non è un rifugio”, ma un “campo di battaglia” aperto sul mondo. Ogni suora è un’“icona” della Chiesa, vescovi e religiosi devono collaborare in diocesi per “fare l’armonia della Chiesa”. Sono alcuni dei pensieri espressi da Papa Francesco nel lungo incontro avuto con migliaia di religiosi della diocesi di Roma, radunati in Aula Paolo VI nell’ambito dell’Anno dedicato alla Vita Consacrata. Dopo il saluto del cardinale vicario, Agostino Vallini, il Papa ha risposto a braccio alle domande poste da alcuni religiosi – in rappresentanza dei circa 25 mila sul territorio capitolino – e riguardanti vari aspetti della loro vita comunitaria e apostolica. 
Il contemplativo si nasconde in Dio, non si nasconde dal mondo. La prima risposta di Papa Francesco ai religiosi che affollano l’Aula Paolo VI in un’atmosfera di intensa familiarità, inframmezzata da applausi e molti sorrisi, è una sorta di teologia della “grata”. Non quella “portatile”, dice Francesco con un filo di ironia, riferendo di una suora di clausura che in una lettera gli aveva comunicato di aver abbandonato il chiostro per la vita attiva. Ma neanche quella grata che somiglia più a un muro, certe volte impenetrabile e sordo al resto dell’umanità che vive fuori il perimetro del convento:
“’Ma Padre, le notizie possono entrare in monastero?’. Devono! Ma non le notizie – diciamo – dei media chiacchieroni… Le notizie di cosa succede nel mondo, le notizie per esempio delle guerre, delle malattie, di quanto soffre la gente. Per questo una delle cose che mai, mai dovete lasciare è un tempo per sentire la gente! Anche nelle ore di contemplazione, di silenzio… Alcuni monasteri hanno la segreteria telefonica e la gente chiama, chiede preghiera per questo, per l’altro: questo collegamento è importante con il mondo!”.
Il convento non è un rifugio
La riflessione del Papa era stata innescata da una domanda incentrata sul “delicato equilibrio” fra nascondimento e visibilità. L’equilibrio, afferma Francesco, non consiste tanto nel bilanciare i singoli aspetti della vita monastica, quanto nel vivere bene la “tensione” tra due chiamate: quella “di Dio verso la vita nascosta” e quella “di Dio di farsi visibili in qualche modo”:
“Perché la vostra vocazione non è un rifugio: è andare proprio in campo di battaglia, è lotta, è bussare al cuore del Signore per quella città (...) Ma tante grazie vengono dal Signore in questa tensione tra la vita nascosta, la preghiera e il sentire le notizie della gente (…) Ci sono anche monasteri che si occupano mezz’ora al giorno, un’ora al giorno di dare da mangiare a coloro che vengono a chiederlo e questo non va contro il nascondimento in Dio. E’ un servizio, è un sorriso. Il sorriso delle monache apre il cuore! Il sorriso delle monache sfama più che il pane quelli che vengono”.
Una consacrata è una madre
La seconda risposta si sofferma sulla “maternità della donna consacrata”. “C’è nella consacrazione femminile – osserva Francesco – una dimensione sponsale”, che porta ad assimilare l’amore di una suora per Cristo all’amore nel matrimonio con le medesime “qualità di perseveranza, di fedeltà, di unità, di cuore”:
“Le suore sono l’icona della Chiesa e della Madonna. Non dimenticare che la Chiesa che è femminile: non è 'il Chiesa', è 'la Chiesa'. E per questo la Chiesa è sposa di Gesù. Tante volte dimentichiamo questo e dimentichiamo questo amore materno della suora, perché materno è l’amore della Chiesa, questo amore materno della suora, perché materno è l’amore della Madonna. La fedeltà, l’espressione dell’amore della donna consacrata, deve – ma 'deve' no… sì 'deve', ma non come un dovere, ma per connaturalità – rispecchiare la fedeltà, l’amore, la tenerezza della Madre Chiesa e della Madre Maria”.
L’amore concreto, bontà e verità
Un amore tenero ma anche concreto, precisa il Papa, poiché una suora, sostiene, “non può darsi il gusto di un amore sulle nuvole”. Concreto come la pagina delle Beatitudini – che Francesco definisce “la prima Enciclica della Chiesa” – e concreto come il capitolo 25 del Vangelo di Matteo sul Giudizio universale. Due brani con i quali, indica, si può vivere da consacrati “perché tutto il programma è lì”:
“La concretezza è la qualità di questa maternità delle donne, delle suore. Amore concreto. Quando una suora incomincia con le idee, troppe idee, troppe idee… Ma cosa faceva Santa Teresa? Quale consiglio dava Santa Teresa, la grande, alla superiora? ’Ma dalle una bistecca e poi parliamo’. Farla scendere alla realtà. La concretezza e la concretezza dell’amore è molto difficile (...) La concretezza della bontà, dell’amore, che perdona tutto! Se deve dire una verità, la dice in faccia, ma con amore… Che prega prima di fare un rimprovero e poi chiede al Signore che vada avanti con la correzione. E’ l’amore concreto!”.
Tappabuchi e padroni
Il Papa conosce a menadito le situazioni critiche della vita comunitaria e dopo averle accennate nella seconda risposta le riprende in modo più approfondito nella terza. Un convento può nascondere, dice, “gelosie, invidie”, critiche verso i superiori. E anche sul territorio può manifestarsi una certa “concorrenzialità” tra diocesi o magari tra Congregazioni e la collaborazione tra un vescovo e un Istituto religioso della sua diocesi può essere non facile. Francesco al solito va diritto al punto e ricordando di appartenere a entrambe le categorie, episcopale e religiosa, e dunque di capire “ambedue le parti”, annuncia che proprio per dare un contributo in questa direzione la Chiesa sta pensando di ripristinare “un vecchio documento”, il “Mutuae Relationes”, che tratta delle “relazioni fra il religioso e il vescovo”. Un testo che già il Sinodo del ’94 aveva chiesto di riformare, finora invano:
“E’ vero, l’unità fra i diversi carismi, l’unità del presbiterio, l’unità col vescovo… E questo non è facile trovarlo: ognuno tira per il suo interesse, non dico sempre, ma c’è questa tendenza: è umana… C’è un poco di peccato dietro, ma è così (...) Ma si deve lavorare per il lavoro comune (…) Così si fa la Chiesa. Il vescovo non deve usare i religiosi come tappabuchi, ma i religiosi non devono usare il vescovo come fosse il padrone di una ditta che dà un lavoro”.
Festa sì, chiasso no
La terza risposta era però partita con un pensiero sul tema della “festa”, suggerito dallo spunto di una domanda. “È una delle cose che noi cristiani dimentichiamo”, osserva Francesco, mettendo però in chiaro che il modo di fare festa è quello descritto al Capitolo 26 del Deuteronomio, ovvero il credente che porta le sue primizie a Dio, lo ringrazia per la sua bontà, poi torna a casa e fa festa condividendo i suoi beni con quelli che non hanno famiglia, i vicini ma anche gli schiavi:
“La festa è una categoria teologica della vita. E non si può vivere la vita consacrata senza questa dimensione festosa. Si fa festa. Ma fare festa non è lo stesso di fare chiasso, rumore… Fare festa è quello che è in quel brano che ho citato. Ricordatevi Deuteronomio 26. C’è il fine di una preghiera: è la gioia di ricordare tutto quello che il Signore ha fatto per noi; tutto quello che mi ha dato; anche quel frutto che io ho lavorato e faccio festa”.
Il mistero dell’obbedienza
La quarta, lunga, risposta si apre con le parole di gratitudine del Papa per padre Gaetano Saracino, giunto 45 anni fa all’Istituto Penale Minorile Casal del Marmo per rimanervi 2-3 mesi come cappellano e poi rimastovi per una vita. Padre Gaetano ha fatto questo per obbedienza, ha sottolineato Francesco, mettendo cioè in pratica la qualità che più ha caratterizzato la vita di Gesù in terra:
“Il Mistero di Cristo è un mistero di obbedienza e l’obbedienza è feconda. E’ vero che come ogni virtù, come ogni posto teologico, luogo teologico, può essere tentata e diventa, non so, un atteggiamento disciplinare... Ma l’obbedienza nella vita consacrata è un mistero. E così come ho detto che la donna consacrata è l’icona di Maria e della Chiesa, possiamo dire che l’obbedienza è l’icona della strada di Gesù. Quando Gesù si è incarnato per obbedienza, si è fatto uomo per obbedienza, fino alla croce e alla morte. Il mistero dell’obbedienza non si capisce se non alla luce di questa strada di Gesù; il mistero dell’obbedienza è un assomigliare a Gesù nel cammino che Lui ha voluto fare. E i frutti si vedono”.
Un “carisma dei laici”
Poi, il Papa passa a evidenziare la vita consacrata come “dono di profezia”. La vocazione, ribadisce, “non è un arruolamento di gente che vuol fare quella strada” ma “è il dono al cuore di una persona” e questo dono, sottolinea Francesco, “non sempre è apprezzato e valorizzato nella sua identità e specificità”. E un problema nasce quando questa identità viene smarrita da un religioso o una religiosa e si rende necessario trovare una “persona saggia” che accompagni i consacrati in crisi:
“Non è facile trovare un uomo con rettitudine e intenzioni e che quella direzione spirituale, quella confessione non sia una bella chiacchera fra amici, ma senza profondità o trovare quelli rigidi, che non capiscono bene dove sia il problema, perché che non capiscono la vita religiosa... Io, nell’altra diocesi che avevo, sempre consigliavo alle suore che venivano a chiedere consiglio: ‘Ma dimmi, nella tua comunità o nella tua congregazione, non c’è una suora saggia, una suora che viva il carisma bene, una buona suora di esperienza? Fai la direzione spirituale con lei!’. 'Ma è donna!...’. ‘Ma è un carisma dei laici’. La direzione spirituale non è un carisma esclusivo dei presbiteri: è un carisma dei laici”.
Donne e Chiesa, genio e ruolo
Francesco spiega la diversa natura del ruolo di confessore da quello di direttore spirituale – al primo, dice, si dicono i peccati, al secondo “cosa succede” nel cuore – ed è fondamentale – indica – che i direttori di anime siano ben formati anche alla luce delle moderne “scienze umane”, purché “senza cadere nello psicologismo”. Infine, le ultime considerazioni sono ancora per le religiose e, più in generale, per la presenza delle consacrate nella Chiesa che rappresentano “l’80%” della vita religiosa. La questione, più volte sollevata, riguarda il ruolo che Francesco distingue dalla funzione. “È una grande cosa – riconosce – che le donne “vengano promosse” ai vertici della Chiesa, ma c’è di più:
“Quando mi dicono: ‘No! Nella Chiesa le donne devono essere capi dicastero, per esempio!'. Sì possono, in alcuni dicasteri possono; ma questo che tu chiedi è un semplice funzionalismo. Quello non è riscoprire il ruolo della donna nella Chiesa. E’ più più profondo (…) L’essenziale del ruolo della donna va – lo dirò in termini non teologici – nell’aiutare che lei esprima il genio femminile. Quando noi trattiamo un problema fra uomini arriviamo ad una conclusione, ma se trattiamo lo stesso problema con le donne, la conclusione sarà diversa: andrà sulla stessa strada, ma più ricca, più forte, più intuitiva. Per questo la donna nella Chiesa deve avere questo ruolo, ma deve esplicitare, aiutare ad esplicitare in tante maniere il genio femminile”.
Il giovane sorriso di 97 anni
L’ultimo saluto, ma un saluto simbolo, Papa Francesco lo rivolge a una suora di 97 anni. Ho “scambiato con lei due o tre parole – racconta – mi guardava con gli occhi limpidi, mi guardava con quel sorriso di sorella, di mamma e di nonna. In lei voglio rendere omaggio alla perseveranza nella vita consacrata”. Radio Vaticana

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Come una mamma. Il Papa alle religiose della diocesi di Roma chiede equilibrio tra spirito e concretezza. E a tutti i consacrati ricorda che la festa è una vera categoria teologica 

Con il sorriso sulle labbra, il cuore pieno di amore come quello di una mamma; con il giusto equilibrio tra spirito e concretezza, senza stare troppo sulle nuvole, ma con i piedi per terra, per ascoltare i rumori del mondo e i bisogni dei fratelli; ispirata alle beatitudini e tenendo sempre presente il capitolo 25 del Vangelo di Matteo, sul quale tutti saremo giudicati. È questo secondo Papa Francesco il profilo della donna consacrata che, sul modello della Chiesa, è madre e non matrigna. Lo ha tracciato rispondendo a quattro domande che gli sono state poste, sabato mattina, 16 maggio, nell’aula Paolo VI, durante l’incontro con i consacrati della diocesi di Roma.

Una monaca di clausura — ha sottolineato il Pontefice — non può essere una donna esclusa dal mondo, perché la vocazione non è un rifugio. Anzi, deve essere sempre in tensione: con le antenne alzate per captare le necessità degli altri. Per questo è necessario anche informarsi e mantenere il contatto diretto con la gente che bussa ai monasteri. Il servizio ai fratelli poi deve essere fatto con il sorriso sulle labbra, perché a una suora che non sa sorridere manca qualcosa. Il Papa ha quindi invitato le monache a pregare per i vescovi e i sacerdoti, sull’esempio di santa Teresa di Gesù bambino.
Della consacrazione femminile come dimensione sponsale, il Papa ha poi parlato rispondendo a una donna appartenente all’ordo virginum. La dimensione femminile è molto importante, ha detto, perché le suore sono l’icona della Chiesa e della Madonna. A questo proposito, ha invitato a non dimenticare che la Chiesa è femminile: non è “il Chiesa”, ma è “la Chiesa” ed è la sposa di Gesù.
Purtroppo, a volte si dimentica l’importanza dell’amore materno della suora, la maternità della donna consacrata. Infatti, la fedeltà nella vita consacrata deve per sua natura rispecchiare la fedeltà, l’amore, la tenerezza della madre Chiesa e della madre Maria. Per questo, la consacrata che non segue questa strada, sbaglia. C’è bisogno di avere sempre pazienza e saper perdonare, senza criticare. Il modello è quello di madre che non “spella” i suoi figli, altrimenti è matrigna.
L’amore poi deve essere concreto, ha aggiunto ancora Papa Francesco. Ma quali sono i contenuti di questa concretezza? Il Pontefice li ha individuati in due brani del Vangelo: quello delle beatitudini, in cui c’è scritto come fare, e quello del capitolo 25 di Matteo, protocollo sul quale saremo giudicati. In esso, troviamo la concretezza della vita consacrata, seguendola possiamo arrivare a un grado elevato di santità.
Sul fronte maschile, rispondendo a un missionario scalabriniano, il Papa ha sottolineato l’importanza della festa, che è una vera categoria teologica. Festeggiare, ha detto, non significa far chiasso o rumore ma, come recita il Deuteronomio, il fine è la gioia di ricordare quel che ha fatto il Signore per noi. E riguardo a una certa concorrenzialità tra parrocchia e congregazioni religiose, il Pontefice ha detto che una delle cose difficili per un vescovo è fare armonia nella diocesi.
Di obbedienza, che va letta nel mistero di Cristo, il Papa ha infine parlato rispondendo alla domanda di un terziario cappuccino. È vero, ha sottolineato, che come ogni virtù può essere tentata e diventare un atteggiamento disciplinare, ma essa è un mistero. L’obbedienza è l’icona della strada di Gesù.
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Incontro in Vaticano con le religiose e i religiosi della diocesi di Roma. Nella logica dei cerchi concentrici

Tanti colori, quanti sono le varie forme di vita consacrata presenti nella diocesi di Roma, ma anche danze, canti, preghiere, e testimonianze per esprimere la vitalità di una scelta che accomuna uomini e donne di ogni ceto sociale, razza e lingua. 
Un continuo entusiasmo e un clima di festa hanno caratterizzato l’incontro con Papa Francesco, nell’Aula Paolo VI, sabato mattina, 16 maggio, promosso dalla diocesi di Roma, in occasione dell’Anno loro dedicato. 
L’emozione dei religiosi e delle religiose è andato crescendo, a mano a mano, che si avvicinava l’arrivo del Pontefice. Originari dell’Europa, delle Americhe, dell’Africa e dell’Asia, i presenti hanno eseguito musiche e canti tradizionali dei rispettivi Paesi di provenienza. 
Sono poi state ascoltate alcune testimonianze: due religiose hanno parlato dello spirito di accoglienza dell’Unione superiore maggiori d’Italia (Usmi). Le suore della Divina Volontà hanno raccontato della loro esperienza in una casa famiglia. 
Suor Rebecca Nazzaro, religiosa delle missionarie della Divina Rivelazione, ha parlato sulla catechesi attraverso l’arte. Infine, è intervenuta Giulia Civitelli, missionaria secolare scalabriniana. 
Prima dell’incontro con il Pontefice, il cardinale vicario Agostino Vallini ha rivolto un breve saluto, nel quale ha ricordato le dimensioni della vita consacrata che arricchisce la diocesi. Vi sono, ha detto, circa trentamila consacrati, ben 28 monasteri di clausura, un’importante presenza femminile, e un terzo delle parrocchie affidate a religiosi, che aiutano la Chiesa locale nell’annuncio del Vangelo e nella promozione umana. 
Il porporato ha espresso gratitudine al Papa per questo incontro e ha sottolineato come i consacrati che vivono in fraternità aiutano, nella logica dei cerchi concentrici, prefetture e parrocchie, con le loro scelte coraggiose e profetiche. 
Quindi quattro rappresentanti dei consacrati di Roma hanno posto delle domande al Papa: suor Fulvia Sieni, agostiniana del monastero dei Santi Quattro Coronati, a rappresentare la vita contemplativa che nella diocesi di Roma conta ben 28 monasteri; per l’ordo virginum, Iwona Langa, della casa famiglia Ain Karim; è stata quindi la volta di padre Gaetano Saracino, religioso dei missionari scalabriniani e parroco del Santissimo Redentore a Valmelaina; a chiudere padre Gaetano Greco, terziario cappuccino dell’Addolorata, cappellano dell’istituto penale minorile Casal del Marmo.
Tra i presenti, l’arcivescovo vicegerente Iannone e i vescovi ausiliariLeuzzi e Marciante. Il Papa è giunto in Aula accompagnato da monsignor Sapienza, reggente della Prefettura della Casa Pontificia.
Particolarmente applaudita la religiosa di 97 anni, suor Candida Burgio, salutata da Francesco prima di iniziare a parlare. Dopo aver risposto alle quattro domande, il Papa si è di nuovo rivolto a lei ha elogiato il suo sguardo con occhi limpidi, il suo sorriso di sorella, di madre, di nonna. In lei, il Pontefice ha ringraziato tutti i presenti e ha voluto rendere omaggio alla perseveranza nella vita consacrata.
L'Osservatore Romano