lunedì 22 giugno 2015

Il popolo è avanti, le autorità riflettano

Family Pride

di Riccardo Cascioli
«Il mio primo sentimento è di gratitudine al Signore che ha permesso una cosa grande per la vita della Chiesa italiana e per la vita del popolo italiano». Monsignor Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio, tra i primissimi vescovi a sostenere l’idea di una manifestazione pubblica a difesa della famiglia e dei bambini, è particolarmente soddisfatto della grande festa della famiglia che si è celebrata sabato 20 giugno in Piazza San Giovanni. Ha seguito tutto il giorno lo svolgersi della manifestazione, stando al telefono con gli amici presenti a Roma. «È una cosa grande che è potuta accadere perché ha trovato un milione di uomini grandi, un milione di cuori grandi, cioè disponibili ad agire senza farsi frenare dalle piccole alchimie delle valutazioni scientifico-politiche».
Una manifestazione preparata in 18 giorni, senza sponsor istituzionali, nel silenzio dei media. C’erano legittimi timori sull’esito e anche sull’efficacia reale dal punto di vista politico.Già, come se la grande battaglia di Lepanto fosse stata fatta sulla previsione della vittoria. Fu fatta prevedendo che sarebbe stata una sconfitta. Tutti, dal re di Polonia fino all’ultimo servente di mulo ricevettero la comunione in articulo mortis. O come se quelli che hanno manifestato contro il comunismo nelle piazze di Danzica, di Varsavia, di Cracovia avessero valutato che c’era una certa previsione che il comunismo cadesse. Avessero ragionato come tanti ecclesiastici e uomini di cultura oggi in Italia, avrebbero detto che era inutile fare la manifestazione perché il comunismo non sarebbe caduto. Come invece cadde, anche per queste manifestazioni.
Fortunatamente non sono stati fatti questi calcoli.Il popolo giustamente ha seguito l’instinctus fidei, quell’istinto della fede per cui il popolo attese all’uscita i vescovi che partecipavano al Concilio di Efeso del 431 imponendo quasi manu militari la dichiarazione della Madonna come Theotokos, madre di Dio.
Ecco questa a me pare la grande esperienza di un popolo cattolico e laico che ritrova il senso della propria dignità, il senso della propria cultura, il senso del proprio servizio al bene comune, per il quale fa un gesto magari piccolo ma che diventa significativo nel contesto della vita sociale.
Non tutti nella Chiesa hanno aderito, ci sono state anche pressioni contrarie.Di fronte a questo popolo credo che stia la meschinità di tante valutazioni culturali, politiche, ecclesiastiche che non hanno saputo cogliere la domanda che sale dal basso. Comunque certamente mancavano in piazza cattolici di varia estrazione a cui forse è bastato l’elogio di un difensore appassionato della Chiesa e della libertà quale è Alberto Melloni (cfr. articolo sul Corriere della Sera del 19 giugno, ndr). Ma quando si ricevono elogi di quel tipo lì, se si aguzza bene l’orecchio si sente ancora il tintinnare dei 30 denari.
Qualche polemica c’è stata anche a proposito di certe posizioni nella Conferenza episcopale.Credo sia molto importante chiarire che la responsabilità pastorale è esplicitamente delegata agli ordinari, ai singoli vescovi nelle loro diocesi, e non alla Cei. La Cei al massimo può dare direttive che poi sono sottoposte alla discrezionalità degli ordinari locali. Mi sembra quindi giusto dare onore a quel gruppo di cardinali, arcivescovi e vescovi che si sono assunti pienamente la responsabilità di indicazioni a favore della manifestazione. Il popolo, dove è stato guidato, ha trovato il conforto dei pastori e ha saputo utilizzare questo confronto per fare una cosa significativa per sé, per la Chiesa e per la società.
In ogni caso l’impressione avuta sabato in piazza San Giovanni era quella di un popolo che si è autoconvocato, e anche alcuni commentatori hanno dovuto riconoscere questa novità.A questo proposito credo che si apra un problema reale, quello della legittimazione dell’autorità. Delle autorità culturali, politiche, sociali e per certi aspetti di certe autorità religiose nei confronti di questo popolo che è avanti. Un popolo che non chiede di essere telecomandato o sostituito nelle decisioni – altrimenti in piazza san Giovanni ci sarebbe stata solo qualche decina di persone -, ma che chiede di essere educato nelle azioni. C’è un impeto di presenza culturale, sociale e politica, di missione ecclesiale che coloro che ai vari livelli hanno una qualche responsabilità devono farsi interrogare. Tutti dobbiamo chiedere a noi stessi e alla nostra coscienza il livello di corrispondenza fra il nostro popolo - quello cristiano anzitutto, ma anche quello laico che ha pure dei riferimenti autorevoli - e coloro che guidano. Perché io ritengo che questa pressione del popolo sulle strutture istituzionali e civili non debba ridursi, non debba rallentare. Certo non si può fare un Family Day ogni anno, però si possono trovare modi e tempi per questa pressione legittimamente democratica. 
La politica è stata spiazzata da questo evento, e da parte di chi sta promuovendo la distruzione della famiglia c’è stata una reazione rabbiosa. Abbiamo anche sentito il sottosegretario alla presidenza del Consiglio affermare che si è trattato di «una manifestazione inaccettabile».Io non ho il compito di fare osservazioni di carattere politico, e in questi dieci anni di episcopato mi sono rigorosamente attenuto a questa discrezione sulle scelte partitiche. Ma posso dire con molta tranquillità che ho guardato con una certa simpatia i tentativi di riforma dell’attuale presidente del Consiglio perché l’Italia ha veramente bisogno di riforme per uscire da questa situazione stagnante. Ma se dalla presidenza del Consiglio arrivano questo genere di affermazioni che non vengono smentite, allora bisogna dire, caro presidente del Consiglio, per lei è inaccettabile la libertà di espressione, la libertà di cultura, la libertà di proporre lealmente e pacificamente nel contesto sociale posizioni che hanno una loro identità e una loro dignità. Questa è paura della libertà. E come può fidarsi un popolo di un presidente del Consiglio che ha paura della libertà?
Pierluigi Battista, sul Corriere della Sera, vede il popolo di piazza san Giovanni in contrapposizione al pontificato di Francesco, che – secondo lui – al contrario della piazza non vuole uno scontro con il mondo.Come è stato giustamente detto, in tutti gli interventi almeno degli ultimi sei-sette mesi sulla questione famiglia e gender, il Papa non solo è stato chiarissimo ma è stato decisissimo nel chiedere opportuni interventi di presenza della società. Mi dispiace che un giornalista che ho sempre ritenuto serio, arrivi a questi mezzucci che non hanno nessuna consistenza di carattere filologico, scientifico. Bisogna accettare che il popolo italiano, cattolici in maggioranza ma anche molti laici, ha seguito la chiarezza delle posizioni e non le meschinerie e i miscugli di carattere parascientifico. La realtà è questa: un milione di persone ha seguito indicazioni chiare, partendo dalle indicazioni di papa Francesco e seguendo indicazioni non meno chiare di un gruppo significativo - qualitativamente e quantitativamente - di vescovi italiani. Piaccia o no le cose stanno così. Riflettiamo su ciò che c’è e non su ciò che sarebbe stato augurabile che accadesse. Il giornalista informa a partire dalla realtà, non dalle sue farneticazioni.

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E la stampa fa i conti con un fatto nuovo
di Lorenzo Bertocchi

La folla che sabato ha riempito piazza S. Giovanni per la manifestazione “Difendiamo i nostri figli” un primo risultato lo ha prodotto, basta sfogliare i giornali italiani del day after. Praticamente tutti hanno messo in prima pagina la notizia.
Repubblica vince in quantità con ben 3 pagine dedicate all'evento(terza, quarta e quinta), più il fondo di Chiara Saraceno. Il Corriere non è da meno e, oltre alla notizia in prima, mette a disposizione le pagine 4 e 5, più un "interessante" intervento di Pierluigi Battista. La Stampa copre la manifestazione con 2 pagine, ottava e nona; Il Giornale offre quasi tutta la prima pagina e poi la seconda e la terza. Avvenire si defila e se la cava con pagina 9, neanche intera. Una menzione per il titolo più comico lo merita Il Fatto quotidiano che in prima spara:“Risorge la destra bigotta”.
I NUMERII due “giornaloni” italiani, Corriere Repubblica, sono d'accordo: quella di sabato è stata una manifestazione che, per dimensione e convinzione, ha sorpreso tutti. “Una piazza enorme”, scrive la De Luca su Rep., mentre Conti, a pag. 5 del Corriere, deve annotare che “il colpo d'occhio su San Giovanni ricorda i tempi in cui il sindacato e la sinistra riempivano l'immensa piazza”.
Anche La Stampa concorda. Giacomo Galeazzi a pagina 8 scrive che “il colpo d'occhio era davvero impressionante, oltre ogni aspettativa”. Il Giornale riporta il dato di un milione di persone diramato dal portavoce Massimo Gandolfini, e comunque sottolinea l'immensa partecipazione della gente.
LA GRANDE NOVITA'La vera novità però la coglie Pierluigi Battista che, nel suo fondo a pagina 29 del Corriere, ammette che quella piazza ha raccolto un fronte “che è più esteso di quanto i media non riescano a immaginare.”
“Una parte del mondo cattolico”, scrive, “fa da sé, riempie le piazze senza un comando ecclesiastico”, “senza input dall'alto”, mostrando una volontà di manifestare “la loro disperazione culturale per un modo di vedere le cose, il demonizzato “gender”, che a loro avviso sradica l'umanità da sé stessa”. Per questo dice che piazza San Giovanni “è stata la rinascita di un movimento di guerra culturale contro la modernità”.

Su questo fa un po' il pompiere monsignor Bruno Forte, vescovo di Chieti-Vasto, che sempre sul Corriere, a pag. 4, tiene a precisare che il “messaggio è positivo, che non va letto né contro qualcuno, né come espressione di una parte”. Il vescovo sembra quasi preoccupato di reiterare il concetto.  La famiglia, dice, “noi non la vogliamo proporre 'contro' qualcuno”, anche perché, sottolinea, “non è che si dica: non bisogna garantire i diritti di altri”. E qui sembra svelarsi una posizione che divide non poco la gerarchia e il mondo cattolico in generale.
A pag. 5, sempre sul Corriere, interviene il teologo Salvarani, della Facoltà teologica dell'Emilia-Romagna, e prende le distanze dalla piazza dicendo che vanno “evitate criminalizzazioni, demonizzazioni, esprimendo posizioni che non sono percepite come proprie dalla grande generalità della Chiesa cattolica”. Un concetto, quest'ultimo, tutto da dimostrare.
Gianni Gennari, ex sacerdote e nota firma di Avvenire, invece, ricorda la frase del Papa - “chi sono io per giudicare” - per dire che la Chiesa “deve spiegare, a livello ecclesiastico, cos'è il vero amore, la vera famiglia, che il divorzio è una sconfitta. Ma deve lasciare alla politica le scelte sulle leggi”. Par di capire che per Gennari quello del popolo di San Giovanni, e soprattutto degli organizzatori, sarebbe solo “tragico moralismo”. “Buttato addosso all'altro”, dichiara, “per sottolineare la sua inferiorità”.
Ma la novità è talmente imponente che si fatica ad arginarla. La Stampa scrive che a differenza del Family Day 2007, oggi “sono i fedeli a trascinare i vescovi e non il contrario”. Quello di sabato “è stato un successo capace di fare a meno delle adesioni formali della CEI e delle principali sigle del laicato”.
IL CASO GALANTINO“Il Segretario della CEI [mons. Galantino] ha detto altro, ma il Papa sta con noi”, più o meno queste le parole pronunciate sul palco da Kiko Arguello, fondatore dei Neocatecumenali e grande sostenitore della manifestazione. Tutti i giornali riportano la risposta data dal portavoce dei vescovi italiani don Ivan Maffeis, diffusa sul canale Twitter dell'AgenSir: “Kiko Arguello si è reso protagonista di una caduta di stile gratuita e grave. Contrapporre il Papa alla CEI, e in particolare al suo segretario generale, è strumentale e non veritiero”. Su questo Avvenire ha chiosato con un commento sibillino, per cui Kiko avrebbe “ceduto al vizio di emulare e assecondare chi cerca di seminare zizzania nella Chiesa”. Ma, forse, ha ragione Paolo Rodari che su Repubblica commenta scrivendo che “poco importa, ai presenti in piazza, che il Papa o i vescovi siano con loro. Anche perché, per la maggioranza dei presenti, la prudenza dei vescovi è soltanto formale”.
A questo proposito è interessante anche la dichiarazione rilasciata ad Avvenire da parte di due partecipanti, Paolo e Cristina, romani, due figli: “Non siamo venuti né con un gruppo, né con la parrocchia”, ma “perchè riteniamo che la famiglia vada difesa e, secondo noi, il ddl Cirinnà non la difende”.
L'IDEOLOGIA GENDERSu cosa sia l'ideologia gender, quella per cui il Papa parla di “colonizzazione ideologica”, gli organizzatori hanno mostrato un video. Su queste filosofie è intervenuto dal palco l'avvocato Pillon che, pur nei limiti di tempo, ha spiegato di cosa si tratta. Ma per qualcuno l'ideologia di genere propagandata nelle scuole sarebbe solo un'invenzione degli organizzatori. Lo scrive Chiara Saraceno su Repubblica, arrivando a sostenere che “si generano timori paradossali e contraddittori in chi pensa che solo l'eterosessualità sia lo stato di natura”. Mentre Il Giornale, in un pezzo di Gian Maria De Francesco, fa un excursus delle norme che sono in cantiere “per destrutturare la famiglia tradizionale” e per “promuovere una sedicente educazione alla diversità con la quale scolorare l'identità sessuale di ciascun individuo”.
I POLITICIIvan Scalfarotto (Pd), sottosegretario alle Riforme, rilascia una dichiarazione non troppo democratica. Per il relatore del ddl che introduce il reato di omofobia, la piazza di Roma ha dato vita ad una “manifestazione inaccettabile”. Risponde Gaetano Quaglieriello (Ncd) che su Repubblica dice che “qui non si tratta di essere contro i diritti umani, ma contro il pensiero unico”.

Ma il governo, e specialmente il Pd, sembra convinto di portare a casa entro l'estate il ddl Cirinnà. Proprio Monica Cirinnà concede una lunga intervista a La Stampa dove mostra i muscoli. Impegnata ad una manifestazione Lgbt al padiglione Usa dell'Expo, e poi a Genova dalle famiglie arcobaleno, ha detto che “l'Italia che cammina a testa alta era lì, a Milano e a Genova, quella Medioevale a Roma”.
“Quella piazza lì”, ha aggiunto riferendosi al popolo di piazza San Giovanni, “oltre ad un'omofobia latente, dietro il mio nome nasconde una grandissima voglia di discriminare per poter continuare a godere dei privilegi di cui godono i genitori eterosessuali sposati”. “Questa piazza”, continua Cirinnà, “mi dà una forza ulteriore, e mi convince che tutti noi, il Pd, i senatori, il premier Renzi, siamo nel giusto”.
Staremo a vedere. La novità di piazza S. Giovanni è molto profonda e non è detto che i politici riescano a leggerla del tutto. Perché, come scrive Pigi Battista sul Corriere, “è la prima volta che una piazza viene mobilitata e riempita non semplicemente per quella che è chiamata unione tra coppie dello stesso sesso, ma in una sfera di interrogativi che hanno a che fare con la cultura, la concezione del mondo, l'idea stessa di natura”.

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Il popolo della famiglia è più vivo che mai e manda un messaggio a politici e vescovi
di Riccardo Cascioli
Contro tutto e contro tutti. Contro il maltempo che a due ore dall’evento ha scatenato un nubifragio che ha fatto temere l’annullamento della manifestazione; e contro i Galantini di ogni specie che hanno tentato in tutti i modi di sabotare questo evento di popolo.

Ma alla fine il popolo, un popolo formato da famiglie, dai nonni ai bambini più piccoli, ha risposto ben oltre le più rosee previsioni: un milione di persone che hanno riempito piazza San Giovanni e le vie limitrofe soltanto per dire «Ci siamo, e siamo decisi a difendere con le unghie e con i denti i nostri figli, e con essi il futuro della nostra società». In decine di migliaia, che erano arrivati presto in piazza, hanno sopportato stoicamente anche il nubifragio, miracolosamente cessato poco prima dell’inizio previsto e ripreso violento appena cessate le ultime parole del portavoce di “Difendiamo i nostri figli” Massimo Gandolfini. È come se anche il Cielo si fosse commosso davanti a questa voglia insopprimibile di esserci e avesse infine ceduto sospendendo il diluvio per consentire che questa voce si sentisse forte e facesse tremare anche i sordi palazzi della politica.
Del resto, miracoloso è stato anche l’evento in sé. Deciso il 2 giugno, in soli 18 giorni si è realizzata una mobilitazione incredibile: da ogni parte d’Italia, dalla Val d’Aosta fino alla Sicilia e alla Sardegna decine e decine di migliaia di famiglie hanno organizzato e realizzato il viaggio a Roma nel silenzio dei media, nella discreta ostilità di una parte dei vertici dell’episcopato italiano, nella mancanza di sostegni istituzionali, nella assoluta assenza di finanziamenti da qualsivoglia organizzazione e istituzione. Un popolo si è davvero autoconvocato: non per esprimere rabbia, non per reclamare privilegi, ma consapevole di rappresentare il fondamento della nostra società e per riaffermare quindi con decisione la propria esistenza contro i tentativi di distruggerla. Tentativi – lo abbiamo detto tante volte - che si chiamano disegno di legge sulle Unioni civili (Cirinnà), riforma della scuola con l’inserimento obbligatorio di lezioni sul genere, progetto di legge contro l’omofobia (Scalfarotto). Il dialogo può ripartire solo riconoscendo la dovuta dignità a questo popolo, che – la piazza lo dimostra - non è affatto minoranza. Si può anzi dire che quello di ieri sia stato un successo ancora maggiore del Family Day del 2007, che bloccò i Di.Co proposti da Rosy Bindi: sia quantitativamente sia qualitativamente visto che è nato tutto dal basso.
Se ieri un messaggio è stato lanciato forte e chiaro dalla piazza è stato il no assoluto al disegno di legge Cirinnà, la prima minaccia da affrontare (in ordine di tempo). E no assoluto anche all’introduzione dell’ideologia di genere nelle scuole. Ieri, la prima reazione degli esponenti dei partiti di sinistra è stata di irritazione e di rabbia: una folla così, difficile ignorarla, mette quel granellino di sabbia nell’ingranaggio che potrebbe bloccare quella “gioiosa macchina da guerra” che è la lobby gay. D’altra parte la semplice convocazione della manifestazione ha provocato la nascita di un gruppo di lavoro di parlamentari sulla famiglia, e tanti di loro ieri erano in piazza mescolati in gran parte nel pubblico. Otterrà dei risultati politici? Difficile dirlo, e però è un fatto nuovo che non va sottovalutato.
Ma un messaggio chiaro deve essere arrivato anche alla Conferenza episcopale italiana (Cei): per la prima volta, finalmente, si è realizzato un evento voluto e gestito da laici senza l’ingombrante presenza di “vescovi-pilota”, come li ha definiti papa Francesco. Anzi, il principale “vescovo-pilota”, il segretario della Cei Nunzio Galantino, ha fatto di tutto per impedire che l’evento si realizzasse e che poi, una volta deciso, non avesse successo. Ha “pilotato” il Forum delle Associazioni Familiari verso la non adesione, ha “pilotato”Avvenire – il quotidiano di proprietà della Cei - verso il silenzio-stampa: minimo il risalto dato alla preparazione della manifestazione, scandaloso il tentativo di mitigarne gli effetti.

Mentre tutti i giornali oggi danno ampio risalto in prima pagina al Family Day, l’Avvenire oggi in edicola (e nelle chiese) apre il giornale con questa sconvolgente notizia: «Lotta all’azzardo: il “bluff” del governo» (visto ieri sera in tv nell’anteprima delle prime pagine dei giornali). Ebbene sì, le polemiche intorno alla legge sul gioco d’azzardo sono la notizia del giorno per il quotidiano dei vescovi: neanche la Pravda dei tempi d’oro raggiungeva vette simili per nascondere le vere notizie. Ma non basta, la «folla grande e bella» di Roma è solo la terza notizia, dopo anche l’annuncio – che va avanti da giorni – della visita del Papa a Torino, che avverrà soltanto oggi. Una vergogna che non rende purtroppo ragione dell’impegno di quei vescovi – seppur minoranza – che invece hanno da subito sostenuto la manifestazione non facendo mancare il loro giudizio di pastori.
Certo è che la Cei nel suo insieme non ha proprio dato l’idea di «pastori che sentono l’odore del gregge», per usare l’efficace espressione di papa Francesco; il gregge è andato per la sua strada e i pastori l’hanno abbandonato. Una mancanza di direzione che coinvolge anche i movimenti ecclesiali: per la manifestazione di ieri si deve un grande grazie a Kiko Arguello (che ieri dal palco non ha mancato di lanciare una freccia appuntita a mons. Galantino) e al suo movimento Neocatecumenale, ma per il resto nessuno ha voluto metterci la faccia e si è arrivati ad esempio a situazioni paradossali, come quella di Comunione e Liberazione: tantissimi i militanti in piazza ieri malgrado il parere contrario dei vertici. È una ulteriore dimostrazione che, nel suo insieme, se fosse dipeso dai vertici della Chiesa e dei gruppi ecclesiali, ieri piazza San Giovanni sarebbe stata semideserta. E invece il popolo si è mosso, percependo con chiarezza la gravità del momento storico che stiamo vivendo. In tanti, ai piani alti della Chiesa dovrebbero riflettere. 

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Cronaca di una giornata indimenticabile
di Giuseppe Brienza
All’inizio si era messa male, perché a poco più di un’ora dall’inizio della manifestazione "Difendiamo i nostri figli", in piazza San Giovanni a Roma iniziava a scendere un vero e proprio diluvio. Ma è durato poco perché, mano mano che si avvicinavano le 15.30, ora dell’inizio della kermesse, la pioggia cessava, il cielo si apriva e, addirittura, ogni tanto si sentiva “il mormorio di un vento leggero” (1Re 19,12), anche piuttosto rinfrescante.
Finito il silenziatore, ora inizia la falsificazione mediatica.Il milione di partecipanti, radunati dal Comitato promotore in soli 18 giorni, ha fatto schiumare di rabbia gli “antipatizzanti” di questa iniziativa interconfessionale, apartitica ed assolutamente di popolo, che si batte contro l’educazione gender nelle scuole e per il futuro della famiglia fondata sul matrimonio nel nostro Paese. Il Corriere della Sera si è esibito persino nel falsificare i dati metereologici, riportando come la pioggia abbia «funestato parte del Family Day a Roma, […] a nulla è servita l’invocazione “Signore abbi pietà” e l’augurio “Speriamo che non piova” lanciati dal palco» (Diluvio su "Difendiamo i nostri figli" in Piazza San Giovanni, in Corriere.it, 20 giugno 2015).
La piazza era stracolma già prima dell’inizio della manifestazione, tanto che la vicina stazione della metropolitana San Giovanni ha continuato per ore a far uscire gente che si avviava in piazza, «per riaffermare il diritto di mamma e papà a educare i figli e fermare la colonizzazione ideologica della teoria Gender nelle scuole e nel Parlamento e bloccare sul nascere il ddl Cirinnà che consentirebbe in prospettiva adozione e utero in affitto per le coppie dello stesso sesso», spiegano i promotori del Comitato «Difendiamo i nostri figli», costituito a Roma il 2 giugno con portavoce il neurochirurgo Massimo Gandolfini. Fra gli striscioni colorati, i palloncini, i cartelli e le bandiere, l’età media è molto bassa, proprio come raccomandato dagli organizzatori: niente sigle ma solo famiglie, zii, nonni e, insomma, italiani che hanno a cuore il nostro futuro. 
Apologia della famiglia numerosa.Moltissimi erano i bambini come tanti, naturalmente, le mamme ed i papà presenti. La cosa bella è che fra di loro non mancavano i giovani. Tanto che fra le prime testimonianze significative apparse sul palco di San Giovanni c’è quella di Vincenzo e Sarah Aquino, genitori quarantenni di ben undici figli, che parlano con allegria della loro famiglia e della «Provvidenza, che è la mano generosa di Dio, che non ci ha mai fatto mancare nulla, dai vestiti al pane, dai pannolini ai giocattoli». Sono madri, padri e figli che, per lo più, sventolano bandiere in piazza ed espongono gli striscioni che sintetizzano i motivi ispiratori e gli obiettivi della manifestazione: «Ogni minaccia alla famiglia è una minaccia alla società, difendete le vostre famiglie», «Giù le mani dai nostri figli», «Dio maschio e femmine li creò», «DDL Cirin-NO!». 
I politici.Sono un centinaio i parlamentari che hanno aderito alla manifestazione. Tutti i politici presenti non hanno avuto aree loro riservate, ma si sono mescolati alla folla perché, hanno tenuto a sottolineare gli organizzatori, si è voluto anche così «ribadire la natura apartitica e apolitica della manifestazione». Che comunque è stata occasione buona per farne “uscire più allo scoperto” alcuni, come ad esempio il presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, che ha dichiarato chiaro chiaro: «Mi auguro che questa straordinaria mobilitazione di popolo convinca tutti dell’opportunità di bloccare la follia dell’indottrinamento gender nelle scuole. La politica non può essere cieca e sorda di fronte all’appello delle famiglie italiane: Renzi e il Pd ritirino il ddl Cirinnà e si cominci a lavorare per un fisco e un welfare a misura di famiglia e per fare in modo che il tema della natalità sia una priorità nazionale. Senza padre e madre non ci sono figli, senza figli non c’è futuro».
Presente anche il senatore di Area popolare Ncd-Udc, Maurizio Sacconi, che commenta: «A piazza San Giovanni folla straordinaria nonostante il maltempo. Curioso stasera di verificare se i tg Rai ne daranno conto o si piegheranno al politicamente corretto». Presenti solo “in pectore”, invece, il ministro dell’Interno, Angelino Alfano e il segretario della Lega Nord Matteo Salvini,  che scrive su Facebook: «Un abbraccio alle mamme e ai papà che stanno pacificamente manifestando a Roma, per difendere il futuro dei loro bambini».
L'imam sul palco: “Gender cattivo per l'umanità” Anche l’imam della moschea di Centocelle, arrivato in ritardo sale sul palco di San Giovanni con parole di fuoco contro il gender, che «è pericoloso, cattivo per l’umanità. Con la vostra forza possiamo sconfiggerlo. Siamo qui tutti insieme, musulmani e cristiani, per difendere la famiglia». Peccato che la famiglia, secondo il diritto islamico, è governata da regole sociali e giuridiche che sono agli antipodi del diritto naturale e cristiano. Ma tant’è, quando si deve fare una alleanza contro tutti e contro tutto “non si bada a spese”…
Dal rabbino Di Segni, invece, soltanto un messaggio ma è per il rispetto del sabato.
I principali protagonisti: il Papa e la Madonna
Durante la manifestazione sono stati fatti ascoltare alcuni passaggi del discorso rivolto dal Pontefice il 14 giugno scorso alle famiglie romane. Papa Francesco parlava, tra l’altro, della «colonizzazione ideologica, che avvelena le famiglie» e invitava i genitori a ricatechizzare le proprie famiglie. «Abbiamo bisogno di una vera rinascita morale e spirituale», diceva Bergoglio, al quale si sono richiamati quasi tutti gli oratori dal palco, da Costanza Miriano ad Alfredo Mantovano, da Gianfranco Amato a Mario Adinolfi.
Il prof. Gandolfini, richiamando come alla manifestazione abbiano fatto mancare la loro rappresentanza le istituzioni di Roma (leggi in particolare il sindaco Ignazio Marino), spiega ai manifestanti come la soluzione trovata sia l'icona bizantina della Madonna “Salus populi romani”, in italiano «salvezza del popolo romano» (nell'accezione di «protettrice»), la cui immagine campeggia quindi sul palco. E si tratta di un quadro molto caro al Cammino neocatecumenale ed al suo iniziatore Francisco Arguello, detto “Kiko”, senza il quale la manifestazione di San Giovanni non avrebbe forse potuto tenersi. Kiko, artista laico spagnolo fondatore di diverse comunità neocatecumenali nel mondo, ha cantato, accompagnandosi con la chitarra, brani della Bibbia, tra i quali alcuni estratti dell’Apocalisse, musicati da lui stesso: «...Il Santo Padre sta con noi - ha detto nel suo applaudito intervento dal palco - Ho scritto al Santo Padre, dopo aver ricevuto le lettere di alcune famiglie e il Papa mi ha risposto quando, domenica scorsa, ha detto che ci sono ideologie che colonizzano le famiglie e contro cui bisogna agire. Qualcuno sbaglia se pensa che non gli piacciono i cortei». 
Lo "spirito" di don Giussani
«Tutto il mondo è posto nella menzogna. Il potere mondano tende a risucchiarci: allora la nostra presenza deve fare la fatica di non lasciarsi invadere, e questo avviene non solo ricordando e visibilizzando l'unità tra noi, ma anche attraverso un contrattacco». È quanto scriveva nel 1977 Don Luigi Giussani, e l’avvocato Amato, presidente dei Giuristi per la Vita, lo ricorda nel suo intervento, ottenendo una grande approvazione dalla piazza. Segno evidente che se anche Comunione e Liberazione nei suoi rappresentanti istituzionali non ha aderito, sia lo “spirito” sia molti uomini e donne formati alla scuola di don Gius, non hanno fatto mancare la loro presenza attiva e festosa.