venerdì 10 luglio 2015

UN PUNTO FERMO DA METTERE SUL DDL CIRINNA'



di Mario Adinolfi
Potremmo dire che ormai siamo abituati, ogni settimana esce un articolo che certifica la decisione di Matteo Renzi di "accelerare" sull'approvazione delle norme sulle unioni civili omosessuali, scritte in modo che siano semplicemente il matrimonio gay con un altro nome, come ebbe modo di dire in un'intervista autunnale Ivan Scalfarotto prima di mettersi a digiunare e bere cappuccini. L'esordio di questa "accelerazione" tutta e solo giornalistica avvenne a ottobre, in coincidenza con le letture distorte del sinodo sulla famiglia, in cui Repubblica si preoccupò di informarci che poiché la Chiesa era avanti alla politica e "apriva ai gay", la politica con lesto piede si sarebbe messa al passo approvando quello che allora non si chiamava ancora il ddl Cirinnà. Poi si scoprì che l'apertura al matrimonio gay da parte della Chiesa era (ovviamente) fuffa giornalistica inventata di sana pianta e per qualche settimana la cosa si quietò,
In realtà il ddl Cirinnà era già stato depositato al Senato ed era uno scritto giuridicamente obbrobrioso di cui Renzi, giustamente, si vergognava. Così in un'intervista ad Avvenire disse che c'avrebbe pensato lui a mettere mano alla questione, che il ddl Cirinnà sarebbe stato accantonato e sarebbe intervenuta una iniziativa governativa.
Anche quella però era aria fritta, l'iniziativa governativa non ci fu perché nella maggioranza sono in molti a pensare che la prima urgenza del paese non sia avere il matrimonio gay. Allora la Cirinnà (o chi per lei, soprattutto chi per lei) riscrisse il testo che venne ripresentato in commissione Giustizia al Senato che lo adottò con una votazione che spaccò la maggioranza, con il Pd votante insieme al Movimento Cinque Stelle. Altri senatori della maggioranza votarono contro, Forza Italia provò a proporre un proprio ddl e alla fine rispetto al testo Cirinnà si divise tra contrari e astenuti. Politicamente, insomma, la situazione è piazzata dalle parti del caravanserraglio: maggioranza in ordine sparso, grillini che fanno da stampella ad un governo in difficoltà, Forza Italia spaccata.
In questo quadro policromo, i trombettieri del matrimonio gay hanno continuato a parlare di "accelerazione" imminente. Poi si sono ritrovati davanti la marea di famiglie di piazza San Giovanni, hanno strabuzzato gli occhi e dal 20 giugno stanno cercando in tutti i modi di far pensare che non è accaduto nulla. Il Corriere della Sera fa una paginata per descrivere l'ennesima "accelerazione" e l'autrice dell'articolo fa comprendere la sua giornalistica accuratezza definendo "trecentomila scalmanati" i partecipanti alla manifestazione contro il ddl Cirinnà; Repubblica si inventa il numero del digiuno a botte di cappuccini di Ivan Scalfarotto e l'Espresso accorre di rinforzo per creare l'aureola del martire a uno che dopo dieci giorni di supposta assenza di cibo dichiara di "stare bene"; l'ultimo colpo lo piazza l'house organ rinnovato fondato da Antonio Gramsci, che parla di ddl Cirinnà in aula entro la pausa estiva. Il che vorrebbe dire, come ci "informa" l'Unità, che in nove sedute di commissione (tante ne mancano prima della chiusura agostana del Senato) il ddl dovrebbe affrontare tutta la questione degli emendamenti ed essere votato e approvato.
Nello stesso articolo dell'Unità la Cirinnà in persona e altri personaggi di contorno di informano che non sono disponibili a discutere i punti chiave del provvedimento. Anzi, per usare le loro espressioni, nessun "compromesso al ribasso". Dunque stepchild adoption (che legittima la pratica dell'utero in affitto) e reversibilità della pensione non si toccano.
Bene. Allora, agli "acceleratori" professionisti offriamo tre piccole osservazioni:
1. Piazza San Giovanni ha modificato radicalmente la questione della possibile approvazione del ddl Cirinnà. Molti parlamentari, anche della maggioranza di governo, erano il 20 giugno in mezzo a una folla sterminata e sanno che non possono tradirla. Mi sono preoccupato personalmente di dire dal palco di piazza San Giovanni che il ddl Cirinnà è inaccettabile e inemendabile. I parlamentari di maggioranza, più moderati di me, si sono detti disponibili a discutere solo se verranno eliminati dal ddl Cirinnà stepchild adoption e reversibilità della pensione. Ribadire che quei punti sono intangibili equivale a rendere impraticabile anche qualche duttile trattativa, che il popolo di piazza San Giovanni rifiuta comunque in via di principio.
2. L'idea di parlamentarizzare la legge, spaccando la maggioranza e appoggiandosi ai grillini, è politicamente idiota. Il M5S non sosterrà mai una riforma renziana consentendogli un successo. Peraltro sarebbe un passaggio gravissimo con contraccolpi inevitabili sulla maggioranza di governo.
3. Abbiamo già spiegato ai nostri rappresentanti in Parlamento, ai politici presenti in piazza San Giovanni, che un'eventuale reale e non propagandistica accelerazione sul ddl Cirinnà dovrebbe coincidere con una immediata rottura del patto politico di governo con l'apertura formale della crisi. Renzi non credo abbia interesse a mettere a rischio il suo esecutivo su un provvedimento a cui, nell'intimo, non crede. Ci sono convinzioni profonde che possono essere persino calpestate per la "ragion politica", ma deve esserci una convenienza. Dopo piazza San Giovanni la convenienza è evaporata: il risultato che otterrebbe Renzi con una accelerazione sul ddl Cirinnà sarebbe solo inimicarsi milioni di famiglie e mettere a forte rischio la tenuta del suo governo.
Comunque, alla pausa estiva mancano pochi giorni. Repubblica, Corriere della Sera, l'Unità e tutti i giornali vi raccontano che il ddl Cirinnà sarà varato dalla commissione Giustizia del Senato prima della chiusura agostana della Camere. Noi, solitari, su La Croce vi diciamo da tempo che non accadrà. Vedremo presto chi avrà avuto ragione. Piazza San Giovanni ha cambiato tutto. Il merito di aver fermato l'ingranaggio che andava veloce è di tutti voi che ci siete stati.