di Maurizio Crippa
Lui è un boy scout, lei ha fatto il presepe vivente; lui ha più amici cattolici che comunisti, lei ha fatto “la catechista per cinque anni” ed è stata pure “una Papa girl”. Quando ci si occupa della religione del renzismo, della sua anima cristiana (l’anima è tripartita, dicevano Quelli, ci sta dentro di tutto) il grande rischio, letale, è lo scivolone sull’agiografia. Il presepe, appunto. Con Matteo Renzi, di solito, dopo le prime righe, non sapendo che dire del suo dialogo con l’Eterno e delle eventuali ricadute programmatiche, si allude: Giorgio La Pira. Ed è finita lì, perché nessuno saprebbe declinare in un’analisi approfondita cosa significhi per Renzi ispirarsi a La Pira. O quanto sia lapiriano il renzismo. Con Maria Elena Boschi il rischio è analogo, con un côté più esperienziale (“non ho mai fatto parte di movimenti o associazioni come gli scout o l’Azione cattolica. Mi definirei una cattolica di parrocchia”) ma con una domanda forse più radicale sulle modalità operative di quella fede placida e forte. Sull’ancoraggio razionale di questo cattolicesimo politicamente pudìco ma sempre pubblicamente esibito. Contraddittorio, ma senza il principio di contraddizione.
Intervistata da Sette, il magazine del Corriere, il ministro Boschi, alla domanda sul gran tema del momento, unioni civili e/o matrimonio omosessuale, risponde: “Vengo dall’esperienza delle Giornate mondiali della gioventù, sono cattolica, ma sulle unioni civili ho una posizione diversa rispetto a quella ufficiale della chiesa. Io sarei favorevole al matrimonio”. Non interessa davvero, qui, valutare la posizione di Boschi sul matrimonio gay. Non è nemmeno sicuro che per un cattolico sia obbligatorio essere contro. E non interessa nemmeno sapere come andrà il ddl Cirinnà, al massimo interessa a Quagliariello. (Ad ogni buon conto, il ministro mette le mani avanti: “In questo Parlamento, non è realistico immaginare che si possa ottenere il matrimonio tra omosessuali; quindi, occorre mediare”). La cosa notevole su cui riflettere è un’altra.
Il Foglio