lunedì 7 settembre 2015

Lo sperma sbagliato




A Radio 24 mi hanno fatto commentare (ne parleremo anche a Il Mormorio del vento leggero su Radio Maria dalle 11.15) l'ultima infernale storia figlia del trionfo dell'ideologia gender negli Stati Uniti, dove la desessualizzazione delle genitorialità è ormai dogma inscalfibile e l'idea che i figli nascano da due mamme o da due papà materia insindacabile, pena galera e stigma sociale. I fatti. Due donne bianche lesbiche in Illinois vorrebbero avere figli. Esiste in natura un limite rispetto a quel desiderio, ma le norme trasformano il desiderio in diritto e i denari fanno il resto. Così le due donne vanno a comprarsi figlio e necessario corredo paterno presso un'azienda specializzata. Stipulano l'inevitabile contratto di compravendita, versano decine di migliaia di dollari, ottengono quello che vogliono. Ma il diavolo fa le pentole, qualche volta non i coperchi. Così, invece del donatore 380 che di cui avevano acquistato il flaconcino di sperma per avere un figlio "caucasico" (cioè bianco), arriva il flaconcino del donatore 330, afroamericano. In magazzino con i prodotti succede. Tu compri quella bella lavatrice che stava precisa nella nicchia ricavata nel muro della cucina, ti mandano quell'altro modello che invece non c'entra per niente. Ti incavoli e vai su tutte le furie, cerchi di avere la lavatrice giusta oppure ti fai ridare i soldi, se non succede né l'una né l'altra cosa fai causa. Lo stesso hanno fatto le donne che avevano trasformato la genitorialità nell'acquisto di una lavatrice, "mamme" che hanno trasformato il loro desiderio in diritto e il bambino in oggetto reificato di una compravendita, il neonato in una cosa. Ma le persone non sono cose. E i figli non si pagano. Quante volte l'avrò ripetuto?
Qui comincia la parte più surreale di questa surreale vicenda: la causa in tribunale. Le due donne si rivolgono alla legge per "nascita errata". La sola fattispecie mette i brividi perché nella società che ha appena proclamato tronfia che "love wins" queste due donne pronunciano l'impronunciabile: la nascita è errata perché la figlia (sì, dal pasticcio è nata una splendida bambina) è nera e non bianca, come da contratto. La motivazione fa talmente arricciare il naso persino agli ideologi americani del gender, per i quali per capirci chi non la pensa come loro deve finire in galera, che le due donne devono correre ai ripari e dichiarare che amano tanto la bambina ma avrà difficoltà a crescere in un contesto di bianchi. Ma come, ma "love" non "wins" più? Cos'è, si scopre la difficoltà dell'essere genitori, dello spiegare le difficoltà del mondo? Volevano solo una bambolina, un gioco senza fatica? E poi, soprattutto, che c'entrano queste motivazioni con la causa alla "società produttrice"? E con quella vergognosa fattispecie: "nascita errata"?
Tutte chiacchiere, dunque, le dichiarazioni delle due. La verità è che è una causa di natura commerciale per un'infrazione di natura commerciale, un meccanismo innescato dall'aver trasformato la persona in una cosa, dall'aver desessualizzato la genitorialità, dall'aver escluso nello specifico la presenza di una figura paterna. Solo una questione di soldi, alla fine. E di "prodotto fallato" consegnato dal costruttore al consumatore.
Arriva poi la parte più terrificante della storia. Le due lesbiche bianche perdono la causa perché il tribunale dell'Illinois considera il fatto che sia nata una figlia nera non inserita nella fattispecie di "nascita errata". Vi state lasciando andare a un sospiro di sollievo perché almeno questa storia che puzza di razzismo lontano un miglio almeno ha un lieto fine? Aspettate un attimo, leggete le motivazioni. Il giudice dice che la nascita non è errata perché la bambina è sana. Se fosse stata malata, allora sì che potevano far causa. "Love" non "wins" più se la piccola fosse stata bisognosa di cure, allora sì che il tribunale avrebbe persino dato ragione alle due lesbiche. Questo è l'inferno delle persone trasformate in cose.
Mentre mi facevano commentare la storia a Radio 24 mi assaliva un senso di profonda tristezza, perché tutti gli interlocutori si dicevano d'accordo con il mio orrore, ma quando ho affermato che tutto questo è inevitabile conseguenza del voler affermare l'assunto principale dell'ideologia gender e che dunque i figli possono nascere da due papà e da due mamme, subito si ritraevano. Quando ho affermato che in Italia vorrebbero approvare una legge che consente di trasformare il falso in vero, di dichiarare i figli nati da due papà o da due mamme, che io mi batto contro quella legge (il ddl Cirinnà) perché tutto questo schifo infernale è conseguenza dell'approvazione di leggi simili, subito sono cominciati i distinguo. E invece lo cose stanno insieme. Desessualizzate la genitorialità e queste saranno le inevitabili conseguenze. Ora sta a noi scegliere. E sta a noi batterci. E' chiaro che è in gioco l'idea di società che governerà il nostro futuro, la dignità della persona e, in sintesi, la natura stessa dell'essere umano? Non questioni da poco. Questioni straordinarie. Che richiedono una straordinaria intensità nel mettersi in gioco come testimoni di verità, pronti a pagare qualsiasi prezzo sia richiesto. Negli Usa, nella terra dove se nasci malato sei una "nascita errata", hanno già cominciato a mandare in carcere chi si oppone all'ideologia gender. Kim Davis, impiegata che si è opposta alla sentenza sui matrimoni gay, non è stata licenziata: è stata inviata nelle patrie galere. Perché anche gli americani sono un po' maoisti: colpirne uno per educarne cento. Kim Davis è un monito per tutti. Subite, tacete o sarà carcere.
Il ddl Scalfarotto da noi costruisce lo stesso tipo di società, con pene pure più pesanti, fino a sei anni di galera. Dopo l'arresto di Kim Davis ho contato decine di messaggi che chiedevano per me lo stesso trattamento, che lo ritenevano pienamente giustificato e applicabile. Avete capito che la lotta contro l'ideologia gender si fa dura e piena di pesanti conseguenze? Quanto di voi stessi metterete in gioco?
Mario Adinolfi

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La prima vittima delle nozze gay
di Stefano Magni
La sentenza della Corte Suprema degli Usa “Obergefell contro Hodges” del 26 giugno scorso, che impone a tutti i 50 stati la legalizzazione delle nozze gay, ha fatto la sua prima vittima di coscienza. La cancelliera Kim Davis, della contea rurale di Rowan, Kentucky, è finita in galera per non aver firmato le licenze per quattro coppie, due delle quali formate da omosessuali. Si è appellata al diritto di libertà di religione e coscienza (è una cristiana protestante apostolica) e il giudice federale David Bunning le ha dato torto, comminandole il massimo della pena prevista: due settimane di carcere.
La Corte Suprema, emettendo la sua sentenza sulle nozze gay, aveva garantito il rispetto della libertà di culto: “Le religioni, e coloro che aderiscono con sincera convinzione a dottrine religiose, potranno continuare a sostenere che per precetto divino il matrimonio fra persone dello stesso sesso non può essere ammesso”. La vicenda del Kentucky dimostra proprio il contrario. Le decisioni del giudice del Kentucky e il parere emesso dalla stessa Corte Suprema, sul caso Davis, contraddicono completamente questo principio. Il giudice Bunning ha imposto alla cancelliera di: “adempiere alle proprie funzioni, nonostante le sue convinzioni religiose”. La Corte Suprema, a cui il legale della funzionaria si era rivolto per ottenere una proroga (che era stata concessa in altri casi analoghi, ma prima della sentenza Obergefell contro Hodges), ha respinto la richiesta, ritenendo che: “Non è suo (di Kim Davis, ndr) diritto non agire in conformità della Costituzione”. Il principio è chiaro: la legge positiva, ora dettata da una sentenza della Corte Suprema, supera qualsivoglia diritto alla libertà di religione, benché questo sia protetto dal Primo Emendamento della Costituzione statunitense.
Kim Davis ha, suo malgrado, sperimentato il grado di intransigenza del nuovo corso, con una sua obiezione di coscienza. Ha rifiutato di emettere licenze matrimoniali (per ogni tipo di coppia) dal momento della pubblicazione della sentenza della Corte Suprema e non ha mai cambiato rotta, né ha mai accennato alla possibilità di rassegnare le dimissioni. La sua è infatti una carica elettiva e può essere revocata solo con le dimissioni volontarie, con un impeachment o con nuove elezioni, non con un licenziamento. Sull’obiezione di coscienza della Davis sono sorti dubbi anche in ambito conservatore. Ad esempio, David Harsanyi, benché contrario alla sentenza del giudice Bunning, nel suo editoriale sulla National Reviewscrive: “Se vuoi partecipare ad azioni di disobbedienza civile, non lavorare per lo Stato”, altrimenti prevarrebbe l’istinto anarchico. Tuttavia, come il suo collega David French fa notare sulla stessa rivista conservatrice, che se Kim Davis avesse rassegnato le sue dimissioni, avrebbe, di fatto, garantito una duplice vittoria al fronte pro-nozze gay: non solo una nuova legge, ma anche una purga di tutti i funzionari cristiani che, nella loro coscienza, non l’accettano. Come si può pretendere che in un paese fondato sulla libertà di religione, un cittadino sia costretto a scegliere fra il proprio credo e l'obbedienza alla legge? 
Anche le quattro coppie che hanno portato Kim Davis in tribunale hanno compiuto una prova di forza legale deliberata. Sarebbe bastato loro rivolgersi alla contea vicina, a pochi minuti di auto, per ottenere la licenza matrimoniale. Invece hanno querelato la Davis chiedendo che venisse multata. Hanno trovato un giudice più realista del re, che ha mandato in carcere la cancelliera ribelle. “Con che autorità lei rifiuta di firmare la licenza” chiedevano alla Davis le coppie querelanti, portandosi i giornalisti al seguito. “Con l’autorità del Signore”, rispondeva lei, pubblicamente, davanti alla selva di telecamere. Un dialogo che sa di persecuzione, quando l’aguzzino spinge il credente a rinnegare Dio. Il marito, Joe Davis, ha dichiarato alla stampa di aver anche ricevuto minacce affinché la moglie cedesse. La stampa, soprattutto negli Usa, ma di riflesso anche in Italia, ha proceduto nella stessa direzione, con un’opera di infangamento personale e persino un processo alle intenzioni. Ad esempio, il corrisponde de La Repubblica Vittorio Zucconi ha sottolineato la presunta “incoerenza nella fede” della Davis, per i suoi "tre divorzi e quattro matrimoni", come se fosse possibile per l'uomo indagare nel cuore e nella coscienza di una credente. Si ironizza anche sul presunto "familismo" della Davis, che è stata eletta al posto di sua madre e a sua volta ha assunto suo figlio, senza tener conto che la legge locale lo consente e che la contea di Rowan è una piccola comunità rurale con 23mila abitanti in tutto. E infine si sottolinea il paradosso che la Davis è democratica e il giudice che l’ha fatta finire dietro le sbarre è un repubblicano, senza contare che qui si parla di religione, non di politica. E così come esiste una maggioranza di democratici cristiani, esiste anche una minoranza di repubblicani che antepongono la legge positiva dello Stato al principio di libertà di religione. 
Adesso le quattro coppie del Kentucky hanno potuto celebrare le loro nozze, con le licenze firmate dai funzionari della contea, tutti tranne il figlio della Davis, che ha proseguito l’obiezione di coscienza della madre. Secondo l’avvocato della cancelliera, l’assenza della sua firma rende nulli i nuovi matrimoni. Kim Davis è infatti una cittadina non più libera, ma la sua carica non è decaduta. E non ha affatto rinunciato alla sua obiezione di coscienza. Avrebbe potuto essere scarcerata se solo avesse chiesto ai suoi funzionari di firmare le licenze, ma ha rifiutato anche questa possibilità. “Il matrimonio è l’unione di uomo e di una donna”, è stata la sua ultima dichiarazione da donna libera. Rimarrà in carcere per una breve detenzione di una settimana, il massimo della pena per il suo tipo di reato. Vi rimarrà “tutto il tempo necessario” dice alla stampa il marito Joe. Necessario a veder riconosciuto il diritto all’obiezione di coscienza.