venerdì 20 marzo 2015

Speranza nuova

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Domani sabato 21 marzo la visita del Pontefice a Pompei e a Napoli 


Programma.



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 Intervista con il cardinale arcivescovo di Napoli.

(Maurizio Fontana) «Ne sono certo. Da questa visita nascerà una nuova Napoli». L’attesa di una città si riassume nelle parole del suo pastore che, all’emozione dell’incontro ormai imminente aggiunge una certezza: la visita di Papa Francesco a Napoli non si risolverà in una gioia solo esteriore, ma riempirà concretamente la parola “speranza”, parola abusata per una città spesso accostata a un futuro da realizzare e che sembra non arrivare mai. Sabato 21 marzo il Papa arriverà nel capoluogo campano e toccherà il cuore della gente e della città: si fermerà non solo nella centrale piazza Plebiscito o davanti allo splendido lungomare, ma attraverserà Scampia ed entrerà nel carcere di Poggioreale, e soprattutto incontrerà le persone. Abbiamo provato a percorrere in anticipo le tappe della visita con il cardinale arcivescovo Crescenzio Sepe.
Il primo contatto con Napoli per il Papa sarà caratterizzato da un’immersione nel tessuto sociale. Cosa e chi incontrerà a Scampia? E quale è la presenza della Chiesa in questa società? 
Qui troviamo un collegamento ideale con la visita fatta da Giovanni Paolo II nel 1990. Il Papa parte da una periferia territoriale, con le stesse sofferenze ma anche con le tante luci proprie della città. A Scampia Francesco incontrerà il mondo della legalità e della giustizia, delle professioni, del lavoro, della produzione, della disoccupazione e delle organizzazioni sindacali, dei migranti, dei rom, dei senza fissa dimora, degli emarginati. Uno spaccato della società napoletana si presenterà all’incontro con il successore di Pietro con emozione e con fiducia, per domandare e soprattutto per ascoltare, perché proprio partendo da qui si possa tracciare un percorso di futuro, riorganizzando quella speranza che da sempre è la vera forza dei napoletani. E in questo scenario umano, forte e incisiva è l’azione della Chiesa locale che da tempo è uscita dal chiuso per aprirsi alla comunità, per ascoltare e capire, per avvicinare poveri, giovani e anziani, per entrare nelle famiglie, portando la parola di Cristo attraverso un rapporto di interlocuzione, di vicinanza, di comunione.
La visita alla casa circondariale di Poggioreale porterà in primo piano alcuni temi sensibili come quelli della criminalità e della mentalità mafiosa, ma anche quelli della giustizia e del rispetto della persona umana. 
Quello con i detenuti sarà un incontro di grande emozione e anche di grande speranza. Certamente prevarrà la dimensione umana, perché ciascuno dei presenti vorrà confidare e rappresentare al Papa contrizione, sofferenze, attese e speranze. Ma quel luogo così particolare inevitabilmente riproporrà il tema della delinquenza, abituale o organizzata, dei tempi della giustizia, della sofferenza personale e familiare, della dignità della persona umana, offesa, violentata, tradita. E nel contempo ritorneranno i temi delle condizioni delle carceri, della rieducazione, del reinserimento, del recupero morale e sociale. Problematiche che frequentemente trovano spazio nel dibattito pubblico e nelle cronache dei giornali, ma che la Chiesa di Napoli va seguendo e affrontando da tempo attraverso l’attività della pastorale carceraria e anche sperimentando forme di affido e di impegno nel lavoro per carcerati ed ex detenuti accolti e ospitati nella Casa del carcerato appositamente realizzata dall’arcidiocesi.
In particolare, rispetto alla piaga della camorra e della mentalità mafiosa, come la Chiesa locale raccoglie ogni giorno le chiare denunce fatte da Francesco e dai Pontefici che l’hanno preceduto?
Nelle parole del Papa la Chiesa di Napoli trova forza e incoraggiamento a proseguire, con determinazione e coraggio, lungo la strada che da anni va percorrendo nella lotta ferma alla violenza, alla criminalità organizzata, alla delinquenza, tanto da impedire ai camorristi di fare da padrini di battesimo e di cresima, di ricevere l’Eucaristia, di avere il funerale in Chiesa. Sono tantissime le testimonianze che vengono quotidianamente dai sacerdoti che svolgono attività pastorale nei quartieri a rischio e che non poche volte hanno riportato a Cristo delinquenti che hanno saputo rivedere la propria vita e imboccare la via del pentimento.
Ha citato i sacerdoti. In duomo il Pontefice incontrerà il clero e i religiosi della diocesi. Il Papa invita spesso i pastori ad avere “l’odore delle pecore”. Come si risponde alla necessaria “pastorale della strada”?
A Napoli non c’è più il parroco “di sagrestia”. Da tempo abbiamo aperto le porte delle chiese senz’altro per accogliere i fedeli ma soprattutto per uscire all’esterno, stare tra la gente, capire e condividere attese, gioie e sofferenze, per parlare di Cristo ed evangelizzare. Questo ha permesso ormai di entrare in ogni settore della società, tra i giovani, nel mondo del lavoro, della cultura e delle professioni, tra i poveri come nella borghesia, nella scuola e negli ospedali, nelle università e negli organismi associativi. Tutti, sacerdoti, religiosi, diaconi permanenti, aggregazioni laicali, non esitano a “sporcarsi le mani” vivendo tra la gente e per la gente, testimoniando concretamente che Chiesa e popolo di Dio sono tutt’uno quando si vive e si opera nel nome di Cristo.
Sempre in duomo ci sarà un atto di venerazione delle reliquie di san Gennaro. La devozione popolare è un elemento importante nella vita della Chiesa. Come viene indirizzata e valorizzata?
Nel popolo napoletano c’è una religiosità diffusa che affonda le radici nel tempo ed è tendenzialmente semplice, ma non superficiale. La devozione al santo patrono in particolare, ma anche quella ad altri santi e soprattutto alla Madonna hanno qualcosa di familiare. Si viene a creare una sorta di legame che è profondo, senza cadere comunque nel fanatismo, perché è suffragato da una fede che porta Cristo al quale si sceglie di arrivare attraverso la intercessione dei santi e di Maria. Questo evidentemente rafforza il culto mariano e dei santi che la Chiesa locale si preoccupa di promuovere, di valorizzare e, quando necessario, di correggere.
Infine i giovani e le famiglie. Il Papa parlerà loro sul lungomare Caracciolo. Per Napoli si sono usate in mille occasioni parole di speranza molto spesso delusa. I giovani e le famiglie, di fronte al mare, simbolo di orizzonti aperti e di futuro, si aspettano una parola di speranza nuova.
Non c’è dubbio. Quell’incontro alla Rotonda Diaz segnerà l’apoteosi della gioia per la giornata vissuta con Francesco e costituirà anche il trionfo della speranza. Speranza di cambiamento, di riscatto, di vita nuova, di futuro. Non sarà la speranza dei disperati ma prevarrà e prenderà il largo la speranza di chi ha voglia di fare, di costruire, di essere, avendo trovato nelle parole e nell’esempio del Pontefice la voglia e la forza di reagire, per non restare sopraffatti dall’avvilimento e dalla rinuncia ma per andare oltre, per guardare con fiducia al domani, per costruire una vita nel segno della responsabilità per il bene comune e di quei valori cristiani che fanno di ciascuno una persona umana vera e sana. Su via Caracciolo, ne sono certo, nascerà una nuova primavera per tutti.

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(Maurizio Fontana) Due milioni di pellegrini ogni anno. Sabato 21 marzo a loro si aggiungerà anche Papa Francesco che potrà pregare davanti all’immagine portata a Pompei da Bartolo Longo nel 1875: «Tutti i devoti della Madonna sparsi nel mondo — ci dice l’arcivescovo Tommaso Caputo, prelato di Pompei e delegato pontificio per il santuario — in quel momento saranno uniti spiritualmente con lui. Pregheremo con lui e, soprattutto per lui, come lui stesso chiede sempre».
Dopo la preghiera silenziosa è prevista la recita della «Piccola Supplica». Spiega l’arcivescovo: «È un testo dal profondo valore teologico, tratto dalla storica preghiera composta da Longo nel 1883. Qui sono racchiusi i temi portanti del suo pensiero, tra i quali quello della necessità assoluta di essere inondati dalla misericordia di Dio». Un tema, quello della misericordia, che incrocia l’attualità più stringente della vita della Chiesa che ha appena ricevuto dal Pontefice il dono di un giubileo straordinario. E proprio alla Madre di misericordia, «Avvocata nostra», come amava chiamarla Longo, l’arcivescovo vuole affidare l’anno santo. Del resto, ricorda, «qui a Pompei sperimentiamo ogni giorno la potenza della misericordia di Dio: ci sono ben trenta confessionali e c’è sempre tanta gente in fila». Da luogo disabitato, Pompei è divenuta sempre più nel tempo terra di incontro di uomini e di popoli, simbolo di pace e di dialogo. Una dimensione impressa già nelle pietre: «La facciata del santuario — spiega l’arcivescovo — è dedicata proprio alla pace universale» ed è significativo ricordare come essa sia stata costruita con il contributo di persone di ogni parte del mondo, anche non cristiane. Le offerte, si può facilmente desumere dai documenti d’archivio, giunsero da ogni angolo del pianeta, dall’India alla Cina, al Nord e Sud America. E nel nome della Vergine di Pompei, la cui immagine accompagnava gli emigranti in partenza dal porto di Napoli, sono sorti santuari e chiese in tutto il mondo. Il Pontefice argentino, ad esempio, ricorda il presule, ben sa che a Buenos Aires c’è un intero quartiere chiamato Nueva Pompeya, con al centro il santuario retto dai frati minori cappuccini.
Milioni di fedeli qui «si sentono a casa», spiega monsignor Caputo, e «vedono ognuno nell’altro il proprio fratello, figlio della stessa mamma ai cui piedi ci si ritrova per essere ascoltati e consolati». Una dimensione, quella dell’incontro, fondamentale nella spiritualità pompeiana, e perseguita anche attraverso mezzi quali la rivista («uno strumento di comunione e dialogo stampato in oltre duecentomila copie e anche in inglese») o i viaggi della «Missione mariana».
Quello di Pompei e della sua spiritualità è un vincolo che si stringe anche grazie al rosario, preghiera amata da Papa Francesco e della quale, sottolinea l’arcivescovo, occorre comprendere sempre più il profondo valore teologico: «Non è solo una bellissima preghiera mariana che ci fa sentire vicini alla nostra madre celeste, ma è anche un vero e proprio compendio del Vangelo che, attraverso la contemplazione delle tappe della vita di Gesù, ci porta a ripercorrere il suo cammino e, dunque, a cercare di imitarlo per conformarci a lui. Qui a Pompei, lo recitiamo quattro volte al giorno, completando così tutti i misteri. Dal 2002, secondo le indicazioni della lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae, abbiamo aggiunto, alla fine dell’Avemaria, la clausola cristologica, che ci aiuta a concentrare l’attenzione su Gesù, fulcro della nostra fede».
Ma non si conoscerebbe Pompei se ci si limitasse alla sua dimensione orante e di fede. Bartolo Longo, infatti, vedeva Pompei come «trionfo di fede e carità» perché, diceva: «Carità senza fede sarebbe la suprema delle menzogne. Fede senza carità sarebbe la suprema delle incongruenze», perciò la Valle di Pompei doveva riunire tutto in un magnifico equilibrio, «due ali congiunte in un medesimo volo».
L’arcivescovo Caputo tiene molto a descrivere questo aspetto: «La vocazione propria di Pompei è accogliere e aiutare i più bisognosi. Sono oltre 130 anni ormai che nelle opere di carità fondate dal beato Bartolo Longo, vengono accolti minori soli o abbandonati, figli di carcerati, ragazzi provenienti da famiglie che, trovandosi nel più profondo disagio economico e sociale, sono state costrette a cercare in esse un valido sostegno al proprio difficile e impegnativo compito educativo». Queste opere, continua, «sono, in particolar modo, la più grande famiglia che ha trovato dimora a Pompei. E ancora oggi, con modalità nuove e più adatte ai tempi attuali, in esse tutti sono accolti come figli e l’impegno del santuario continua in modo concreto, spalancando le sue porte perché le famiglie lo riconoscano come casa comune e luogo di riconciliazione».
Un impegno concreto, incisivo «in un territorio attraversato da molte tensioni». Un impegno che si rinnova di continuo. Dal 2003, in particolare, con l’adeguamento alle normative che prevedevano la chiusura degli orfanotrofi, sono sorte numerose nuove strutture, come case famiglia, centri diurni, case di accoglienza, che ospitano orfani, ragazze madri, poveri, anziani, ex tossicodipendenti, adolescenti problematici, bambini diversamente abili. Saranno proprio loro ad accogliere Papa Francesco e a fargli da corona durante la sua breve ma intensa sosta di preghiera.
Ci saranno anche tanti giovani. Quei giovani che il santuario e le cinque parrocchie della prelatura non dimenticano. Tra le molte iniziative portate avanti dall’Ufficio di pastorale giovanile, piace ricordarne una in corso proprio in questi giorni. Si chiama «Keep Lent», che letteralmente significa: “Osserva la Quaresima”. Grazie a «Keep Lent», spiega l’arcivescovo, «ogni giorno del periodo di preparazione alla Pasqua, attraverso un gruppo creato sull’applicazione di messaggistica mobile istantanea WhatsApp, viene data la possibilità, a tutti gli iscritti, di regalarsi un momento di ascolto e, soprattutto, di riflessione sul Vangelo del giorno, commentato, di volta in volta, da sacerdoti, religiosi, religiose o laici impegnati.  
L'Osservatore Romano