mercoledì 18 marzo 2015

Nella confessione. Il volto di Dio




Anticipiamo un articolo che viene pubblicato sul settimanale «Toscana oggi» del 22 marzo. 

(Maurizio Gronchi) La confessione è il primo vero e proprio sacramento che si celebra consapevolmente, da bambini, prima della comunione. Chi non ricorda l’ansia che accompagnò quel momento, preceduto dall’esame di coscienza, dalla fatica di ricordare le marachelle, dalla vergogna di ammettere bugie, parolacce, disobbedienza ai genitori, liti con i compagni? E la mamma che, con immensa fiducia nel prete, incoraggiava il figlio e la figlia a non avere paura. Poi la gioia di scoprirsi davanti a un volto paterno e sorridente, magari di un giovane sacerdote, pronto ad ascoltare, a fare qualche domanda sulle preghiere, sull’impegno a scuola, concludendo con una piccola penitenza. Una volta superato il primo esame della vita, si è finalmente sperimentato cosa vuol dire sentirsi leggeri, sollevati, puliti.
Occorre tornare alla cara memoria di questa esperienza antica e intima per comprendere tutto il rispetto e la delicatezza che richiede il trattare della confessione. Quando si cresce e si diventa adulti, si scopre di avere la coscienza e, in nome di essa, si avverte tutta la difficoltà che richiede l’obbedienza al Vangelo. La vita insegna a fare mediazioni, a cercare soluzioni, spesso compromessi, talvolta fughe e inganni. Magari passano gli anni e crediamo che il problema sia quello di dover risolvere da soli, con la propria coscienza appunto, le situazioni complesse della vita. Comunque vada, anche per chi si è allontanato dall’esperienza della confessione, specialmente dopo la cresima, rimane impressa nel cuore quella sensazione di liberazione che si è fatta in precedenza. Per quanto lungo può essere il tempo trascorso dall’ultima confessione, che magari non si ricorda — ed è la prima cosa che si dice quando ci si avventura in un confessionale — per quanto si fatichi a ricordare l’Atto di dolore, ognuno sa che vi è ancora, e sempre, in una chiesa, un prete a cui ci si può rivolgere, magari anziano e anche un po’ sordo, ma c’è, e in nome di Gesù.
Per molte persone, oggi, la confessione è una riscoperta, soprattutto grazie alla coraggiosa insistenza di Papa Francesco sulla misericordia di Dio, che continua a ripetere: «Non dimentichiamolo mai, sia come penitenti che come confessori: non esiste alcun peccato che Dio non possa perdonare! Nessuno!». Il vero problema, tuttavia, non è quello che appare a prima vista, ovvero il riconoscere di aver sbagliato, anche molto gravemente, e di disporsi a migliorare, raccontando a qualcuno il proprio dolore. Questo, in qualche maniera, lo facciamo tutti. Il problema è quello di aver incontrato di nuovo Gesù, il Signore, quello che da piccoli si credeva che davvero ci accompagnava, entrava nel nostro cuore, ci proteggeva. Per confessarsi, oggi come ieri, occorre una fede semplice, che ci dona la grazia di uscire dal groviglio di se stessi, dalla matassa intricata che non riusciamo a sciogliere, per lasciarci finalmente dire da un Altro: coraggio, non temere, i tuoi peccati sono perdonati, vai in pace e impegnati a non farlo più. Dall’incontro tra due persone — due peccatori — che sono stati di fronte con gli occhi bassi o che non si sono neppure visti dalla grata, l’unico volto a rimanere impresso in entrambi sarà quello misericordioso di Dio.
L'Osservatore Romano