giovedì 19 marzo 2015

Chiara Lubich: La penitenza che il cielo ci domanda



 Ho avuto la possibilità di leggere qualcosa riguardante grandi santi, che la Chiesa onora, e di vedere anche qualche filmato su questo argomento. Una delle impressioni più forti che ne ho riportato è stata l'aspra, asprissima vita di penitenza che qualcuno di loro ha condotto, indossando spesso dolorosi cilizi, praticando continui digiuni, penose veglie, interminabili silenzi, dormendo sulla terra nuda o su legni. Questi santi sono diventati tali anche in forza di queste penitenze... Naturalmente, mi sono chiesta: E noi? Cosa facciamo noi? Non vogliamo farci santi pure noi? E subito, nella mia anima, è stata chiara la risposta: "Tu, voi, dovete guardare a Maria. È lei il vostro modello. Di lei, che è vissuta in mezzo al mondo come la maggior parte di voi, non si conoscono tanto le penitenze, che può aver praticato, quanto le sofferenze che Dio le ha chiesto, attraverso le circostanze della sua meravigliosa, straordinaria, ma anche dolorosissima vita. E osservate il modo in cui lei le ha vissute, tanto da essere chiamata regina dei martiri". Sì, dobbiamo guardare a Maria. Non c'è dubbio che anche per noi la sofferenza ha un grande posto nella vita: basta pensare a tutto quanto significa nella nostra esistenza Gesù Abbandonato. Impossibile, dunque, temere che ci manchi qualcosa. Il dolore, i dolori, e quindi le penitenze, ci sono. L'importante è viverli come ha fatto Maria. Non è certo escluso che anche noi facciamo qualche penitenza corporale o spirituale, specie quelle che in certi periodi la Chiesa consiglia. Ma, sotto questo aspetto, dobbiamo soprattutto imitare Maria. Ho ripensato a lei che, manifestandosi come Desolata, è stata riconosciuta da noi proprio come un monumento di santità, come la santa per eccellenza, come la personificazione di tutte le virtù. E mi è fiorito nuovo in cuore il desiderio di riviverla così. Riviverla nella completa rinuncia a se stessa (giacché qui sta la virtù), imitarla nel suo saper perdere tutto, tutto, persino il suo Figlio Dio. In che modo? Comportandoci come anni fa, quando l'abbiamo compresa un po' in profondità. Erano tempi in cui lo Spirito ci sottolineava in varie maniere come fosse necessario fare non la nostra, ma la volontà di Dio; e come occorresse vivere bene questa e viverla pienamente nel momento presente della vita. Ma si capiva che ciò non era possibile se nel presente non si perdeva sempre tutto ciò che non era volontà di Dio, se non si abdicava con decisione alla propria volontà. Ho riprovato a vivere così, e ho visto quanto ciò fa bene all'anima, come la ringiovanisce, la rinnova; come non c'è nulla di vecchio in ciò che Dio ci ha dato, ci ha insegnato; come – essendo la nostra spiritualità evangelica – essa può offrire sempre, come il Vangelo, spunti di vita nuova in ogni sua espressione e in ogni tempo. Allora, con questo Collegamento, invito anche voi a vivere in tal modo. Fermiamoci un momento. Osserviamo come il tempo cammina. Mettiamoci bene nel presente e compiamo la volontà di Dio, perdendo decisamente la nostra, sacrificando tutto ciò che abbiamo in cuore o nella mente, ma che non riguarda il presente. Può essere un ricordo anche vivissimo, un'idea, un desiderio, un sentimento anche profondo, una cosa, una persona... Applichiamo cuore, mente e forze solo alla volontà di Dio. Così amiamo veramente Dio, con tutto il cuore, la mente, le forze: Dio, il nostro Ideale. E' una ginnastica meravigliosa: è un morire ogni volta per sempre rinascere. E' la principale penitenza che il Cielo domanda ai membri dell'Opera di Maria. 
C.Lubich, Cercando le cose di lassù, Roma 1992, p. 104-106