Il convegno organizzato nei giorni scorsi dalla Pontificia Università Gregoriana sulla pedofilia ha tra l’altro - con la discrezione che s’imponeva - aperto una finestra su un tema di cui si parla poco spesso, e con reticenza. Se la tragica piaga della pedofilia dev’essere denunciata - alla scuola di Benedetto XVI - con la massima durezza, e senza atteggiamenti impropriamente difensivi - da non confondersi con la giusta reazione a dati errati talora diffusi dai media -, le statistiche fanno pure notare che ben più numerosi dei pedofili sono i sacerdoti che hanno relazioni non con bambini ma con ragazzi che hanno superato la pubertà , nella maggioranza dei casi di sesso maschile. Non si tratta dunque di pedofilia ma di "efebofobia", cioè di omosessualità con una predilezione per i minorenni.
Molti media sono così tornati sulla questione più ampia della diffusione dell’omosessualità nel
clero cattolico, compresa quella che si rivolge ai maggiorenni, spesso
attaccando il celibato sacerdotale e la Chiesa in genere. Ma è vero che
oggi i sacerdoti omosessuali sono più numerosi che in passato? Le
percentuali molto alte che si leggono qua e là hanno qualche fondamento?
La sociologia ha qualche cosa da dire su questo tema?
Chi va alla ricerca di cifre cita quasi sempre il vecchio volume del 1989 di James G. Wolf Gay Priests (Harper
Collins, New York 1989), secondo cui nel 1986 negli Stati Uniti il
48,5% dei sacerdoti e il 55,1% dei seminaristi aveva un orientamento
omosessuale. A differenza di altri autori che propongono cifre simili,
Wolf è un sociologo con solide credenziali accademiche. Egli tentò per
la sua tesi di dottorato all’Università di Chicago, da cui è nato il
volume, di costruire un campione casuale nazionale dei sacerdoti
americani. La riluttanza dei preti intervistati a rispondere a domande
sull’omosessualità lo indusse poi a rivolgersi a cinque sacerdoti, tutti
omosessuali, i quali trovarono 101 presbiteri disposti a rispondere a
un questionario: un campione, come si vede, troppo piccolo per essere
attendibile e per di più auto-selezionato e piuttosto sospetto. È
prudente concludere che nessuno studio sociologico risponde veramente
alla domanda «quale percentuale dei sacerdoti cattolici è omosessuale?».
Le difficoltà di rilevazione sono evidenti, i campioni rischiano di
essere poco rappresentativi, e gli studi sulle percentuali di
omosessuali nella popolazione in genere sono già di per sé molto
controversi.
Il sociologo, con l’ausilio anche di altre scienze come la storia e la psicologia,
può tuttavia dire qualcosa su tre questioni diverse, da non confondere
tra loro. Le questioni riguardano rispettivamente (a) la presenza di un
rischio omosessualità nel clero cattolico almeno dal XVII secolo; (b) la
diffusione di questo rischio in forme accresciute ed epidemiche a
partire dagli anni 1960; e (c) la spettacolarizzazione mediatica
dell’omosessualità di sacerdoti, che risale ad anni più recenti. Si
tratta di tre stadi che non si succedono ma si sovrappongono, e che oggi
appaiono come contemporaneamente presenti.
Cominciamo dal primo stadio, il rischio. Com’è evidente il comportamento omosessuale, in quanto «disordine oggettivo» (Catechismo della Chiesa Cattolica,
2357), è antico quanto il peccato. «Si manifesta in forme molto varie
lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane
in gran parte inspiegabile» (ibid.). Con l’opera del 1980
«Christianity, Social Tolerance, and Homosexuality» (University of
Chicago Press, Chicago 1980), lo storico dell’Università di Yale John
Boswell (1947-1994) ha reso popolare un’interpretazione «revisionista»
secondo cui una tolleranza dell’omosessualità sia in generale sia tra i
sacerdoti cattolici sarebbe esistita nell’Alto Medioevo, e la
repressione sistematica del comportamento omosessuale sarebbe iniziata
solo nel XII secolo. Nonostante il suo notevole impatto, a distanza di
trent’anni l’opera di Boswell non ha resistito alle critiche. Secondo il
riassunto del dibattito accademico proposto da un sociologo britannico
particolarmente interessato alla questione, e tutt’altro che ostile agli
omosessuali, Stephen Hunt, «nonostante un’ermeneutica e un’apologetica
sofisticate, e senza tener conto del fatto che i cristiani progressisti
in alcuni Paesi beneficiano oggi di leggi che proteggono la loro visione
dell’omosessualità , la verità è che non hanno il peso della storia
della Chiesa dalla loro parte. La Chiesa primitiva, la Chiesa Cattolica,
le Chiese Ortodosse e più tardi le Chiese protestanti hanno sempre
condannato le relazioni sessuali tra persone dello stesso sesso».
L’omosessualità come fenomeno organizzato e tollerato fa parte di quei legati del mondo pagano antico
che la vittoria del cristianesimo aveva, per così dire, incatenato. Le
catene si sciolgono con la crisi della cristianità medioevale e il
Rinascimento il quale, rivalutando anche gli aspetti più discussi della
cultura classica, riscopre pure le giustificazioni dell’omosessualità .
Anche nel clero cattolico, almeno secondo alcuni storici e non senza
paralleli nel mondo protestante, si formerebbero, in particolare a
Firenze e in ambienti interessati pure alla magia, circoli di sacerdoti
omosessuali ignoti ai secoli precedenti.
All’interno del protestantesimo la dura reazione puritana si
traduce in una politica repressiva nei confronti non solo
dell’omosessualità ma della sessualità in genere. L’atteggiamento nei
confronti dei rapporti sessuali e delle donne come occasioni prossime di
peccato assume profili di una durezza senza precedenti, che penetrano
anche all’interno del mondo cattolico attraverso il rapporto tra
puritanesimo e giansenismo, che è storicamente complesso ma tutt’altro
che irrilevante. Paradossalmente - ma non troppo - l’atteggiamento che
mira a preservare i ministri di culto, i sacerdoti e i seminaristi da
ogni contatto non strettamente necessario con le donne e la visione
negativa della sessualità hanno come conseguenza la formazione di nuovi
circoli di pastori e preti omosessuali, rilevati e denunciati un po’
dovunque, dal New England puritano negli Stati Uniti alla Francia
giansenista.
L’eco del rigorismo giansenista - nonostante il successo internazionale della teologia morale di
sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787), che riporta il rapporto con
la sessualità nell’alveo di un sano equilibrio - continua a farsi
sentire nei seminari e tra i sacerdoti per tutto il secolo XIX e fino al
XX, insieme con le sue non volute ma da un certo punto di vista fatali
conseguenze in ordine al formarsi di subculture omosessuali. Queste
subculture non hanno un rapporto necessario con il celibato - tanto che
esistono anche tra i pastori protestanti e anglicani sposati - ma
derivano da una visione distorta della sessualità , che non è a sua volta
"tradizionale" o "medievale", ma è un frutto tipico del mondo moderno.
Veniamo al secondo stadio:
l’aggravamento della situazione a partire dagli anni 1960. Sulla
situazione pregressa che ho cercato di descrivere, la quale spiega
perché subculture omosessuali esistano anche in ambienti sacerdotali non
«progressisti» e non partecipi della contestazione teologica
postconciliare, fa irruzione la rivoluzione degli anni 1960. Quelli che
gli inglesi e gli americani chiamano "the Sixties" (gli anni Sessanta) e
gli italiani, concentrandosi sull’anno emblematico, "il Sessantotto"
appaiono sempre di più come gli anni di un profondo sconvolgimento dei
costumi, con effetti cruciali e duraturi sulla sessualità e sulla
religione. C’è stato del resto un Sessantotto nella società e anche un
Sessantotto nella Chiesa. Proprio il 1968 è l’anno in cui quella che
Benedetto XVI chiama l’«esegesi della discontinuità e della rottura»
applicata al Concilio Ecumenico Vaticano II matura in dissenso pubblico
contro l’enciclica «Humanae Vitae» di Paolo VI (1897-1978), una
contestazione che secondo un pregevole e influente studio del filosofo
americano Ralph McInerny (1929-2010) - Vaticano II. Che cosa è andato storto? (trad. it. Fede & Cultura, Verona 2009) - rappresenta un punto di non ritorno nella crisi del principio di autorità nella Chiesa Cattolica.
Sulle origini di questa rivoluzione due tesi si sono contrapposte: quella di Alan Gilbert secondo cui determinante è stato il boom
economico, che ha diffuso il consumismo, e quella di Callum Brown
secondo cui il fattore decisivo è stata invece l’emancipazione delle
donne dopo la diffusione dell’ideologia femminista, del divorzio, della
pillola anticoncezionale e dell’aborto legale. In un’opera molto
influente sul tema, The Religious Crisis of the 1960s, lo
storico sociale britannico Hugh McLeod conclude che un solo fattore non
può spiegare una rivoluzione di questa portata. C’entrano il boom
economico e il femminismo, ma anche aspetti più strettamente culturali
sia all’esterno delle Chiese e comunità cristiane (l’incontro fra
psicanalisi e marxismo) sia all’interno (alcune "nuove teologie").
In ogni caso, ci fu negli anni 1960 un’autentica rivoluzione, non meno importante della Riforma protestante o della Rivoluzione francese, che - per riprendere termini della Lettera ai cattolici d’Irlanda,
del 19 marzo 2010, del regnante Pontefice - fu «rapidissima» e assestò
un colpo durissimo alla «tradizionale adesione del popolo
all’insegnamento e ai valori cattolici». Questa rivoluzione contagiò -
aggiunge Benedetto XVI - «anche sacerdoti e religiosi», determinò
fraintendimenti nell’interpretazione del Concilio, causò «insufficiente
formazione, umana, morale e spirituale nei seminari e nei noviziati»,
con conseguenze morali devastanti - anche, possiamo aggiungere, se non
soprattutto, in tema di diffusione, pratica aperta e giustificazione
dell’omosessualità .
Un’ampia letteratura psicologica mette in relazione l’omosessualità maschile con
problemi irrisolti rispetto alla relazione con il proprio padre. Questa
letteratura comprende studi specifici relativi a seminaristi
omosessuali. Anche un’altra relazione di paternità dovrebbe però essere
studiata: quella con il vescovo, vero padre dei seminaristi e dei
sacerdoti, la cui autorità è messa in discussione ed entra in crisi con
la rivoluzione degli anni 1960.
In questo secondo stadio della crisi le subculture omosessuali,
che come si è visto già esistevano da secoli, acquistano dimensioni
maggiori - in alcuni Paesi e ambienti, davvero epidemiche - e
soprattutto trovano apologie e giustificazioni nell’ambito di una
contestazione globale sia del principio di autorità e del Magistero
nella Chiesa sia della morale tradizionale. Quelle che sono nuove nel
secondo stadio non sono le subculture omosessuali ma la loro
giustificazione teorica («i gruppi di gay cristiani cominciano ad apparire e a comportarsi come lobby negli anni 1970», scrive Hunt), che però è a sua volta un moltiplicatore di queste subculture.
Se per molti anni il marxismo -
che ispira alcune forme di "teologia della liberazione" - costituisce
il punto di riferimento del dissenso cattolico, la crisi del marxismo
spinge semmai alla trasformazione delle prime teologie della liberazione
in una teologia omosessuale militante o "queer theology" dove i
rapporti di genere sostituiscono i rapporti di classe e gli omosessuali
rimpiazzano il proletariato come gruppo che, liberandosi, dovrebbe
liberare la società e la Chiesa nel loro insieme. «La queer theology
- scrive ancora Hunt - è da molti punti di vista una branca della
teologia della liberazione: condivide in gran parte la stessa
metodologia e considera la teologia uno strumento per affrontare
l’oppressione che, secondo questi teologi, la società in generale e la
Chiesa istituzionale in particolare infliggono al popolo gay».
Infine, il terzo stadio:
la mediatizzazione del fenomeno Le subculture di sacerdoti omosessuali
esistevano già nel XVIII secolo e avevano già assunto dimensioni
preoccupanti, dotandosi pure di giustificazioni dottrinali, negli anni
1970. Ma nel 1975 sarebbe stato impensabile che preti omosessuali
fossero filmati con microcamere da giornalisti di un popolare
settimanale come Panorama, com’è avvenuto nel 2010, e le loro attività immortalate su video destinati a essere visti da milioni di persone.
Non occorre spendere troppe parole per notare che siamo di fronte qui a un terzo sviluppo,
a sua volta nuovo. Partendo dalla crisi purtroppo assolutamente reale
dei preti pedofili - ma al tempo stesso distorcendone i numeri
attraverso statistiche false e manipolandola nella sua presentazione -
una lobby internazionale, che è infastidita dalle posizioni
della Chiesa in tema di vita e di famiglia, utilizza - servendosi anche
delle possibilità offerte dalle nuove tecnologie - le debolezze di
alcuni sacerdoti per gettare un sospetto ingiusto e generalizzato sul
celibato, sul sacerdozio, sulla Chiesa e sullo stesso Pontificato
Romano, il cui insegnamento si cerca così di squalificare e di
neutralizzare.
Questo non significa, naturalmente, che il problema dei sacerdoti "efebofobi"
e omosessuali sia una pura invenzione dei media. Esiste, anche se è
difficile da quantificare ed è spesso quantificato in modo esagerato e
infondato. Come affrontarlo? Come la sociologia non dispone di dati
precisi, così neppure può avere la presunzione d’indicare rimedi
miracolosi. Il modello a tre stadi che ho proposto potrebbe però forse
permettere d’indicare alcune piste per una politica di contrasto.
Con riferimento al primo stadio, gli squilibri che si sono introdotti nell’accostamento
alla sessualità anche nella formazione del clero e dei religiosi e nei
seminari derivano almeno dal giansenismo, e hanno avvelenato per secoli
il pozzo cui si dovrebbe attingere l’acqua viva di una formazione
equilibrata. Rimontare rispetto a questa situazione è certamente
un’opera lunga e faticosa, che però può ora giovarsi di un Magistero
recente particolarmente ampio, convincente ed esaustivo, che va dalla
lunga serie di catechesi del mercoledì del beato Giovanni Paolo II
(1920-2005) – senza dimenticare le opere dedicate al tema da Karol
Wojtyla prima dell’elezione al soglio di Pietro, tra cui «Amore e
responsabilità » (1960) - fino agli spunti dell’enciclica di Benedetto
XVI Deus caritas est (2005). Questo straordinario Magistero
rimane ancora troppo poco conosciuto. Si può dire che contenga gran
parte delle risposte alla crisi attuale. Benedetto XVI ha raccomandato
di farlo studiare sistematicamente anche nei noviziati e nei seminari,
senza temere che l’analisi dell’amore tra gli sposi turbi i candidati
agli ordini sacri, che nella società contemporanea sono comunque
aggrediti da ogni parte - si pensi ai danni inflitti anche ai sacerdoti e
ai seminaristi dalla pornografia via Internet - da tante voci distorte
in tema di sessualità .
Il secondo stadio pone delicati problemi relativi a come stroncare le subculture omosessuali che,
nonostante le chiarissime indicazioni del Magistero, non sono scomparse
nel clero e nei seminari. Il problema si pone sia a livello teorico sia
pratico. Dal punto di vista della dottrina, il lavoro di decostruzione
della teologia della liberazione d’impronta marxista avviato con
l’istruzione della Congregazione per la dottrina della fede Libertatis nuntius
del 1984 ha dato frutti decisivi e copiosi. Ricordando il
venticinquesimo anniversario di questo documento Benedetto XVI ha
affermato in un discorso del 5 dicembre 2009, a proposito di quella
teologia della liberazione, che «le sue conseguenze più o meno visibili
fatte di ribellione, divisione, dissenso, offesa, anarchia si fanno
sentire ancora oggi creando […] grande sofferenza». Fra le conseguenze
tarde della teologia della liberazione c’è anche la "queer theology",
la teologia omosessuale militante, che si avrebbe certo interesse a
criticare, insieme a ogni giustificazione dei comportamenti omosessuali,
nelle sue premesse antropologiche e nelle sue conseguenze sociali, con
un’opera di chiarificazione dottrinale negativa parallela a quella
positiva di diffusione del Magistero del beato Giovanni Paolo II e
Benedetto XVI in tema di amore e sessualità .
Mentre forze potenti cercano di convincerci del contrario,
sembra più che mai utile ribadire e spiegare che «"gli atti di
omosessualità sono intrinsecamente disordinati". Sono contrari alla
legge naturale. Precludono all'atto sessuale il dono della vita. Non
sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In
nessun caso possono essere approvati», come insegna al n. 2357 il Catechismo della Chiesa Cattolica,
la cui diffusione e studio rimangono fondamentali, secondo il richiamo
che il Papa ha messo al centro dell’Anno della Fede che si apre nel
2012.
Sul piano pratico, per quanto riguarda i seminari, la Chiesa si è già espressa con grande chiarezza nell’Istruzione
della Congregazione per l'Educazione Cattolica circa i criteri di
discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali
in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini sacri, del 4 novembre 2005, integrata con gli Orientamenti per l’utilizzo delle competenze psicologiche nell’ammissione e nella formazione dei candidati al sacerdozio,
del 29 giugno 2008. Ci si può chiedere però se l’indicazione ribadita
nel documento del 2008 secondo cui nel caso di «identità sessuale
incerta [o] tendenze omosessuali fortemente radicate» «il cammino
formativo dovrà essere interrotto» sia sempre e ovunque rigorosamente
rispettata. Di fronte allo scandalo che taluni comportamenti danno al
popolo cattolico oltre all’intervento preventivo non sembra che si possa
prescindere da un momento repressivo, per quanto sofferto e doloroso.
Potranno essere necessari – insieme alla puntuale riaffermazione della
paternità e dell’autorità del vescovo - interventi drastici nei
confronti d’interi seminari, noviziati o case religiose. Le subculture
devianti tendono infatti a espandersi come metastasi se non sono fermate
per tempo.
Infine, per quanto riguarda il terzo stadio, a proposito di un altro tema Benedetto XVI nella Lettera
ai Vescovi della Chiesa Cattolica riguardo alla remissione della
scomunica dei 4 vescovi consacrati dall’arcivescovo Lefebvre, del
10 marzo 2009, ha rilevato che «seguire con attenzione le notizie
raggiungibili mediante l’internet avrebbe dato la possibilità di venir
tempestivamente a conoscenza del problema. Ne traggo la lezione che in
futuro nella Santa Sede dovremo prestar più attenzione a quella fonte di
notizie». L’uso dei blog, di Facebook, di Twitter e delle versioni dei
giornali diffuse tramite iPad ha un ruolo cruciale nella creazione di
scandali relativi a veri o presunti episodi di omosessualità del clero, e
nel dare voce alle lobby cattolico-progressiste di attivisti
omosessuali. Anche sulla Rete il Magistero richiama da anni i cattolici a
maggiori sforzi per una comunicazione ponderata e meditata, che tenga
conto dell’apporto di competenze diverse e anche della presenza di «figli delle tenebre» - come li chiama il Vangelo - sempre più scaltri e agguerriti. È quanto cerca modestamente di fare La Bussola Quotidiana.
Neppure tuttavia sarà obbligatorio inseguire a tutti i costi le nuove tecnologie con
una sorta di determinismo tecnologico, o porre la propria speranza
soltanto in un giornalismo più avveduto. Oggi come ieri e come sempre,
la Chiesa confida anzitutto in promesse che non sono semplicemente
umane, e sa che la fiducia in Dio, la preghiera e il ricorso alla
materna intercessione della Vergine Maria, Madre della Chiesa,
garantiscono soccorsi e rimedi che nessuna strategia umana potrebbe
offrire. (M. Introvigne)Fonte: La Bussola Quotidiana