Di seguito il Vangelo del venerdi della XXX settimana del T.O., con un commento e qualche testo patristico.
Ci sono sempre motivi per non fare qualcosa:
la questione è solo se bisogna farla nonostante ciò.
D. Bonhoeffer, 8 giugno 1944
Lc 14,1-6
Un sabato Gesù era entrato in casa di uno dei capi dei farisei per pranzare e la gente stava ad osservarlo. Davanti a lui stava un idropico.
Rivolgendosi ai dottori della legge e ai farisei, Gesù disse: “È lecito o no curare di sabato?”. Ma essi tacquero. Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò.
Poi disse: “Chi di voi, se un asino o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà subito fuori in giorno di sabato?”. E non potevano rispondere nulla a queste parole.
IL COMMENTO
Il moralismo taglia la lingua. La misericordia, unica risposta ai mali dell'uomo, squarcia ogni velo d'ipocrisia e lascia senza parole. Quante volte ci ritroviamo così, come i farisei dinanzi al Signore e al suo amore, ammutoliti, schiacciati dai nostri ipocriti moralismi. Gesù ci fissa oggi diritti negli occhi, e punta al nostro cuore con una domanda che è un dardo infuocato: "è lecito amare?". Quale trappola abbiamo escogitato per non amare, per non fare del bene? In quale casella delle nostre alchimie legalistiche abbiamo relegato la suocera, il marito, il collega, con l'unico scopo di silenziare la coscienza e auto-giustificarci, per non umiliarci, chiedere perdono e avere misericordia?
La radice del problema è sempre nel cuore, per questo il pubblicano salito al Tempio a pregare si percuote il petto, perchè riconosce l'origine dei suoi peccati e delle sue sofferenze. Nel parallelo di Matteo la domanda di Gesù è più articolata: "E' lecito di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla?". E' evidente il paradosso: fare il male e togliere una vita non è mai lecito. Ma Gesù, indignato e rattristato per la durezza del cuore dei farisei, vuole togliere il velo di menzogna che ha chiuso i loro occhi. E la stessa domanda giunge oggi al nostro cuore: perchè è lì dove si decide di fare il bene o il male, se dare la vita oppure toglierla. E' nel cuore, nel segreto del nostro intimo che amiamo o disprezziamo, ci doniamo o ci chiudiamo; è nel cuore che violiamo il sabato, senza che nessuno possa vederci. E' sempre lecito e doveroso amare, è sempre illecito fare il male e uccidere. Eppure compiamo l'illecito senza curaci della Legge e del Sabato. Il cuore è lontano da Dio, il sabato è solo un pretesto per vivere nell'ipocrisia di una vita falsa e doppia, purtroppo accecata dall'illusione della pretesa giustizia esteriore derivante dal rispetto di codici e leggi, nel cui nome dimentichiamo la misericordia. L'ipocrisia dei farisei li condurrà a volere la morte di Gesù, a deciderla nel loro cuore, e proprio in giorno di sabato!
Gesù parla oggi al nostro cuore, laddove il suo amore vuol scendere per sanare. Se nel nostro cuore - ed in giorno di sabato - siamo capaci e riteniamo lecito decidere di peccare, di uccidere con i giudizi, con le concupiscenze, con le passioni, come non potrebbe essere lecito amare, perdonare, sanare, salvare? Il paradosso con il quale oggi il Signore viene a visitarci per trarci fuori dalla trappola della menzogna e dell'ipocrisia che stringe il nostro cuore, ci indica dove dobbiamo guardare, dove inizia la vera conversione. L'autentico compimento della Legge si realizza attraverso la circoncisione del cuore: i segni visibili nella carne, come le opere esibite per essere ammirati, possono costituire, sovente, l'alimento che rinforza e fa crescere l'uomo vecchio, incapace di ereditare la Vita Eterna e, peggio, di sbarrarne l'accesso ai più piccoli e ai più deboli.
La libertà è un dono inestimabile, che scasturisce da un cuore "graziato". Sì, chi non ha conosciuto la folle misericordia di Dio, la testarda tenerezza di Dio, è ancora schiavo della propria pretesa giustizia, altrimenti chiamata orgoglio; il suo cuore è indurito e si illude di compiere la volontà di Dio mettendo insieme un povero puzzle di regolette rispettate. Gesù ci parla per farci finalmente tacere. Il tacere che apre le porte alla libertà. Solo quando ci renderemo conto di non avere risposta perchè presi in flagrante, Gesù potrà prenderci per mano, guarirci e inviarci in missione nella vita. Vibra oggi nel cuore, per liberarlo, la domanda di Gesù: "E' lecito?...." E' lecito mangiare i pani dell'offerta riservati ai sacerdoti? E' lecito prendere su di sè il peccato di una moglie adultera? E' lecito essere liberi al punto di non difendersi e offrirsi completamente al prossimo? E' lecito amare il peccatore, perdonare settanta volte sette, morire per amore di un nemico? Nel Signore crocifisso è stato lecito, perchè potessimo essere liberati, sciolti dalle catene dell'orgoglio per amare oltre la legge e la morte. Gesù amando e colmando di misericordia la legge fatta di prescrizioni si è attirato lo sguardo torvo di chi ha paura della verità. Amando oltre ogni legge si è giocato la vita, perchè ciascuno di noi, fuori legge per natura, fosse riaccolto dall'Autore della legge. "Quando Gesù nelle sue parabole parla del pastore che va dietro alla pecorella smarrita, della donna che cerca la dracma, del padre che va incontro al figliol prodigo e lo abbraccia, queste non sono soltanto parole, ma costituiscono la spiegazione del suo stesso essere ed operare. Nella sua morte in croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l'uomo e salvarlo — amore, questo, nella sua forma più radicale" (Benedetto XVI, Deus Charitas Est, 12).
Dalle “Omelie sull’Esodo” di Origene.
12,4.S Ch 16,253-255.
Il Signore è lo Spirito e dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà (2Cor 3,17). Come potremo trovare questa liberta noi che siamo gli schiavi del mondo, gli schiavi delle comodità, succubi come siamo dei desideri naturali? Certamente mi sforzo di correggermi, mi giudico, condanno le mie colpe. I miei ascoltatori esaminino da parte loro quel che pensano del proprio cuore. Eppure, lo dico di sfuggita, finché sono legato da uno di questi vincoli, non mi sono convertito al Signore, non ho raggiunto la vera libertà, dal momento che simili faccende e preoccupazioni del genere sono ancora capaci di coinvolgermi. Sono lo schiavo del cruccio o dell’affare che tiene il mio cuore prigioniero. Come sappiamo, sta scritto che uno è schiavo di ciò che l’ha vinto (2Pt 2,19).
Anche se non sono dominato dalla passione per il denaro, anche se non sono vincolato dalla cura di beni o di ricchezze, tuttavia resto avido di lodi e bramo il successo, quando tengo conto della faccia che mi mostra la gente; mi cruccio di sapere ciò che il tale pensa di me, come mi stima il tal altro oppure temo di spiacere a questo e desidero piacere a quello. Finché ho tutte queste preoccupa zioni, sono loro schiavo.
Eppure vorrei far lo sforzo per liberarmene e per venire alla libertà di cui parla l’apostolo: Siete stati chiamati a libertà. Non fatevi schiavi degli uomini! (Gal 5,13) Ma chi mi procurerà di svincolarmi così, chi mi libererà da questa vergognosa schiavitù se non colui che ha detto: Se il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero (Gv 8,36). Serviamo e amiamo perciò fedelmente il Signore nostro Dio, per meritare di ricevere in Cristo Gesù il dono della libertà.
Dalle “Istituzioni” attribuite a Giovanni Taulero.
Tralin, T. 8°, pp. 36Oss.
Gli amici di Dio dimorano sempre in una specie di “adesso”, cioè nell’istante presente, senza preoccuparsi o essere sconvolti in modo disordinato dal passato o dal futuro. Essi vedono Dio in tutto, nelle cose più piccole come in quelle più grandi.
Non vivono più sotto la legge, in un timore servile. Quel che gli altri fanno per costrizione, quasi piegandosi malvolentieri ai precetti della Chiesa, essi lo compiono per puro amore di Dio, in un abbandono spontaneo con un’umiltà infinitamente più vera e in spirito di obbedienza. Il loro sforzo sta tutto qui: rimanere sempre interiormente liberi e sciolti da tutto, per sottomettersi meglio al volere divino.
Vivono in mezzo agli altri, ma non si lasciano impressionare da alcuna immagine; amano il prossimo, ma senza affettazione o attaccamento disordinato. Sono pieni di compassione per le miserie altrui, ma non se ne inquietano turbandosene oltre misura.
Esteriormente sembrano vivere come tutti quanti, eppure compiono ogni cosa unicamente per la gloria di Dio. Dio infatti cercano in tutto. Non parlano molto e le parole che dicono sono sempre semplici e vere. Eppure tutti questi amici di Dio non hanno un identico modo di vivere; c’è chi segue un cammino e chi un altro, secondo le circostanze e gli eventi.
Quel che rimane uguale in tutto, è il centro essenziale, il fondo interiore. Quando si vive da sé e per sé, emergono esitazioni e dubbi; quando siamo usciti da noi per entrare in Dio, la Verità stessa ci conduce.
Dalla “Scala del Paradiso” di san Giovanni Climaco.
22° qrado,6-12. Op. cit.p.203.
Il monaco superbo contraddice con violenza; ma l’umile non sa neppure opporsi con uno sguardo.
Il cipresso non si china verso terra per farvi strisciare i suoi rami; tanto meno lo fa il monaco dal cuore orgoglioso, al fine di acquisire l’obbedienza.
L’uomo dal cuore altero ha sete di comandare; in altro modo non può, meglio non vuole, perdere interamente sé stesso.
Dio resiste ai superbi (Gc 4,6). Chi mai allora potrà averne compassione? E’ un abominio per il Signore ogni cuore superbo (Pro 16,5). Allora chi mai potra rendere puro un tal uomo?
Ciò che corregge gli orgogliosi, è la caduta; ciò che li aizza è il demonio; l’effetto dell’abbandono divino causa in loro lo sconvolgimento della mente. Nei primi due casi l’uomo spesso sarà guarito dai suoi fratelli; ma il terzo caso è umanamente incurabile.
Chi rifiuta i rimproveri, manifesta la sua passione; chi li accetta è liberato da tale catena. Se quest’unica passione senza il concorso di altre, poté far cadere dal cielo, possiamo domandarci se non sarà possibile salire al cielo grazie alla sola umiltà, senza la raggiera di altre virtù.