«Io? Sì, sono una persona felice. E anche mio figlio credo che lo sia. Ma non sono così ipocrita da negare di avercela col mondo, ogni tanto. Però poi passa, certo che passa».
Stefania Bernardini è la mamma di Valerio, ragazzo down di 25 anni. Col marito Roberto, formano quella che ci tengono a definire una famiglia «normale»: «Non ci siamo mai negati niente, viaggi, feste, amici. E Valerio è sempre stato con noi. Anzi, gli amici, sia nostri che suoi, sono stati fondamentali per definire la nostra serenità di oggi. Discriminazioni, esclusioni? Mai. Non c'è stata neanche una volta che mio figlio sia stato scansato o maltrattato. E quando leggo sul giornale di casi di disabili umiliati e allontanati, mi chiedo sempre se siamo stati fortunati o se invece abbiamo saputo scegliere le situazioni e le persone giuste».
Domenica 9 ottobre tutti e tre hanno partecipato alla Giornata nazionale delle persone con sindrome di Down, celebrata in 200 piazze italiane. Da anni Stefania è molto impegnata con l'Aipd, l'associazione italiana delle persone down. Aiuta anche gli altri genitori a imparare a vivere con un figlio che è certamente differente da come lo si era immaginato.
Della sua vita con Valerio, Stefania infatti ricorda con dolore solo il primo anno: «L'impatto è stato duro. Non avevo fatto l'amniocentesi, ero giovane e a quei tempi era un esame pericoloso per il bambino. Ma le ecografie erano perfette, e io non avevo mai pensato che mio figlio potesse avere dei problemi. Il mio ginecologo non ha avuto il coraggio di dirmelo in sala parto, ne parlò soltanto con mio marito. E poi, un mese dopo, un'altra mazzata: Valerio doveva essere operato al cuore. L'intervento lo abbiamo fatto che aveva dieci mesi, ma è andato benissimo. E poi è cresciuto normalmente».
Alle elementari («un periodo stupendo», ricorda la mamma) Valerio ha avuto un'insegnante di sostegno bravissima, non altrettanto bene è andata alle medie. Ma è riuscito a fare l'esame di licenza. Poi i genitori hanno preferito iscriverlo ad un centro specializzato semiresidenziale: dalle 8,30 alle 14,30 Valerio fa giardinaggio, musica, pittura (col suo gruppo ha partecipato alla creazione dei murales della Casa del jazz e della sede della Comunità di Sant'Egidio, a Roma), ceramica. E tanto sport: «Lui adora la vela, nuota benissimo, e da qualche anno ha scoperto il bowling - racconta la mamma -. Si allena con l'Associazione sportiva Lazio, fra ragazzi disabili e normodotati. E l'anno scorso è stato campione italiano della sua categoria». Proprio lo sport è stato il tema della Giornata di ieri: «Fare sport da disabili è una doppia sfida - spiegano all'associazione -. Con se stessi e contro i pregiudizi».
«Per Valerio lo sport è stato importante. Lo ha aiutato ad aprirsi, lui che è sempre stato un po' chiuso di carattere, come suo padre, del resto», spiega Stefania, che ha da poco lasciato il suo lavoro, mentre suo marito, dipendente Eni, è prossimo alla pensione. «L'unica cosa che mi fa paura è il futuro - aggiunge -. Ma quello che dico sempre agli altri genitori dell'associazione, è che in questo momento il futuro è nero per tutti, non solo per noi». Stefania e suo marito si sono organizzati: vorrebbero che Valerio restasse a vivere nella casa in cui è nato, magari con altri ragazzi come lui. E hanno preso un altro piccolo appartamento, perché abbia una piccola rendita. «Ho imparato che dobbiamo pensarci soprattutto noi a nostro figlio. Che non possiamo dare niente per scontato. Quello che per gli altri genitori è normale, per noi è una conquista. Un esempio? La prima volta che Valerio ha preso la metropolitana da solo, beh, è stato uno dei giorni più belli della mia vita».
Fonte: E. Palma nel "Corriere della Sera" di oggi 10 ottobre