Nella giornata del dialogo islamo-cristiano.
La più grande moschea d’Europa, quella di Roma, ha ospitato lunedì un incontro dedicato a «L’islam italiano: la sfida del dialogo e della cittadinanza attiva», tredicesimo di questo genere, tenuto in occasione della Giornata del dialogo islamo-cristiano. Vi hanno partecipato, oltre a Abdellah Redouane, segretario generale del Centro culturale islamico, che ha aperto la seduta, anche il prefetto Marina Nelli, due senatori della Repubblica, Vannino Chiti per il Partito democratico (Pd) e Lucio Malan per Forza Italia, Khalid Chaouki, deputato del Pd, Muhammad Hassan Abd al-Ghafar, imam della Grande moschea di Roma, Cristiano Bettega, direttore dell’ufficio ecumenismo e dialogo della Conferenza episcopale italiana, Yahya Pallavicini, presidente del Supreme Council for Education, Science and Culture for Muslims outside the Islamic World, Marianita Montresor, presidente del Segretariato delle attività ecumeniche, Lucetta Scaraffia, docente di Storia contemporanea all’università di Roma La Sapienza, AbdAllah Cozzolino, direttore della moschea di Napoli e membro della Confederazione islamica italiana, Alessandra Trotta, presidente dell’Opera per le chiese evangeliche metodiste in Italia, Mustafa Cenap Aydin, presidente dell’Istituto Tevere Centro pro dialogo, Adnane Mokrani, presidente del Centro interconfessionale per la pace.Tutti hanno espresso il timore che i recenti terribili avvenimenti rendano più difficile l’inserimento dei musulmani emigrati in Italia, o residenti nel Paese da più generazioni. L’ombra del terrorismo e della violenza fa dimenticare che l’islam è religione di pace, ha detto l’imam della Grande Moschea di Roma, e gli altri relatori hanno ribadito che gli islamici vorrebbero far parte dell’Italia, con ogni diritto, anche di cittadinanza. Mokrani ha ricordato che il problema risiede anche nel rapporto, talvolta difficile, che hanno fra di loro i diversi gruppi islamici.
Il dialogo islamo-cristiano dovrebbe servire a conoscersi meglio, a smussare angoli di incomprensione o sospetto da ambo le parti. La condanna degli atti di violenza, e la convinzione che non si possano giustificare con motivi religiosi, è stata ribadita da tutti. Particolarmente incisive sono state le parole del segretario generale del Centro culturale islamico, che nella sua allocuzione introduttiva — di cui pubblichiamo un’ampia parte — ha preso le distanze, con forza, da ogni forma di violenza e di terrorismo.
(Abdellah Redouane) Chi, come me, ha seguito e partecipato alle precedenti edizioni di questa Giornata non può che manifestare tutta la sua soddisfazione per la costanza dello spirito che ha animato e nutrito il dialogo durante gli anni passati, e che ci permette ancora una volta insieme, nel rispetto delle reciproche identità, di operare instancabilmente per essere portatori del messaggio di pace. L’odierna sessione ha luogo in un momento in cui il contesto internazionale conosce sconvolgimenti legati ai drammi, fra l’altro, dell’Iraq e della Siria e all’emergere di organizzazioni terroristiche. Tale situazione ci interpella e ci spinge a riflettere sulle dinamiche soggiacenti a questi fenomeni.
Una delle numerose conseguenze disastrose a cui purtroppo assistiamo è la condizione delle minoranze, cacciate da quella loro terra dove hanno potuto vivere in sicurezza e in armonia con le altre componenti sociali per secoli, quando non per millenni. Questa espulsione forzosa, e spesso cruenta, di bambini, uomini, donne e intere popolazioni viene compiuta sulla base di alibi che hanno la pretesa di avere un fondamento religioso. Questa falsità rende ancora più dolorosa tale violenza.
Per noi ciò vuol dire negare totalmente quel dialogo e quello spirito di cittadinanza attiva che invece vorremmo vedere instaurati ovunque. Ritengo che il ristabilire questo spirito di dialogo dove è scomparso, e l’introdurlo dove è assente, passino ovviamente attraverso la ricerca di soluzioni tali da permettere un ritorno incondizionato alla pace. Pace che necessita assolutamente di un immediato rientro nei propri territori delle popolazioni espulse e la restituzione di quei diritti che sono stati loro sottratti. Dialogo e cittadinanza non potranno far udire la loro voce fino a quando il tuonare dei cannoni renderà ogni coscienza sorda. L’unica arma che riteniamo debba essere usata è quella del dialogo e il rispetto della cittadinanza, senza distinzioni di colore, linguaggio, fede, razza.
Il secondo elemento di riflessione si deve incentrare sul fenomeno delle migliaia di giovani musulmani europei che si sono arruolati in organizzazioni terroristiche, rompendo ogni possibilità di dialogo con le loro società di origine, sentendosi da queste esclusi e marginalizzati. È responsabilità di tutti cercare di comprendere il perché dell’insorgere di questo fenomeno e individuare i fattori oggettivi e soggettivi che sono all’origine di ognuna di queste scelte.
Ho voluto sottoporre all’attenzione dei partecipanti a questa Giornata i suddetti interrogativi, non solo per il carattere d’attualità, ma perché dalle risposte che sapremo trovare e dare dipende il futuro stesso di ogni forma di comprensione e di dialogo.
L'Osservatore Romano