sabato 14 luglio 2012

Eletti per essere santi nella carità


"Chi ha la parola della Sapienza, ma trascura di trasmetterla al prossimo, è come se tenesse del denaro nascosto nella cintura".
(S. Beda il Venerabile)

Il problema dell’evangelizzazione oggi suscita un grande dibattito e mobilita forze ecclesiali ingenti. Con chiarezza Benedetto XVI afferma che la fede apre la porta verso la santità dell’uomo perché è consapevole del fatto che Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità. Utopia o vocazione dei credenti nel Signore Crocifisso e Risorto?


Celebriamo oggi 15 luglio la:  

XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIOAnno B

Seconda lettura dell'Ufficio

Catechesi dei riti pre-battesimali
Inizio del trattato «Sui misteri» di sant'Ambrogio, vescovo
(Nn. 1-7; SC 25 bis, 156-158)

Ogni giorno abbiamo tenuto un discorso su temi morali mentre si leggevano o le gesta dei patriarchi o gli insegnamenti dei Proverbi, perché, modellati e ammaestrati da essi, vi abituaste a entrare nelle vie degli antichi, a percorrere la loro strada e a obbedire agli oracoli divini, cosicché rinnovati dal battesimo teneste quella condotta che si addice ai battezzati.
Ora è venuto il tempo di parlare dei misteri e di spiegare la natura dei sacramenti. Se lo avessi fatto prima del battesimo ai non iniziati, avrei piuttosto tradito che spiegato questa dottrina. C'è anche da aggiungere che la luce dei misteri riesce più penetrante se colpisce di sorpresa, anziché arrivare dopo le prime avvisaglie di qualche sommaria trattazione previa.
Aprite dunque gli orecchi e gustate le armonie della vita eterna infuse in voi dal dono dei sacramenti. Ve lo abbiamo significato, quando celebrando il mistero dell'apertura degli orecchi vi dicevamo: «Effatà, cioè: Apriti!» (Mc 7, 34), perché ciascuno di voi, che stava per accostarsi alla grazia, capisse su che cosa sarebbe stato interrogato e si ricordasse che cosa dovesse rispondere. Cristo, nel vangelo, come leggiamo, ha celebrato questo mistero quando ha curato il sordomuto.
Successivamente ti è stato spalancato il Santo dei Santi, sei entrato nel sacrario della rigenerazione. Ricorda ciò che ti è stato domandato, rifletti su ciò che hai riposto. Hai rinunziato al diavolo e alle sue opere, al mondo, alla sua dissolutezza e ai suoi piaceri. La tua parola è custodita non in una tomba di morti, bensì nel libro dei viventi. Presso il fonte tu hai visto il levita, hai visto il sacerdote, hai visto il sommo sacerdote. Non badare all'esterno della persona, ma al carisma del ministero sacro. E' alla presenza di angeli che tu hai parlato, com'è scritto: Le labbra del sacerdote devono custodire la scienza e dalla sua bocca si ricerca l'istruzione, perché egli è l'angelo del Signore degli eserciti (cfr. Ml 2, 7). Non si può sbagliare, non si può negare. E' un angelo colui che annunzia il regno di Cristo, colui che annunzia la vita eterna. Devi giudicarlo non dall'apparenza, ma dalla funzione. Rifletti a ciò che ti ha dato, pondera l'importanza del suo compito, riconosci che cosa egli fa.
Entrato dunque per vedere il tuo avversario, al quale si suppone che tu abbia rinunziato con la bocca, ti volgi verso l'oriente: perché chi rinunzia al diavolo si rivolge verso Cristo, lo guarda diritto in faccia.
 
MESSALE
Antifona d'Ingresso  Sal 16,15
Nella giustizia contemplerò il tuo volto,
al mio risveglio mi sazierò della tua presenza.
 
Colletta
O Dio, che mostri agli erranti la luce della tua verità, perché possano tornare sulla retta via, concedi a tutti coloro che si professano cristiani di respingere ciò che è contrario a questo nome e di seguire ciò che gli è conforme. Per il nostro Signore...

 
Oppure:
Donaci, o Padre, do non avere nulla di più caro del tuo Figlio, che rivela al mondo il mistero del tuo amore e la vera dignità dell'uomo; colmaci del tuo Spirito, perché lo annunziamo ai fratelli con la fede e con le opere. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura 
  Am 7, 12-15Và, profetizza al mio popolo.

Dal libro del profeta Amos
In quei giorni, Amasìa, [sacerdote di Betel,] disse ad Amos: «Vattene, veggente, ritìrati nella terra di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, ma a Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re ed è il tempio del regno».
Amos rispose ad Amasìa e disse:
«Non ero profeta né figlio di profeta;
ero un mandriano e coltivavo piante di sicomòro.
Il Signore mi prese,
mi chiamò mentre seguivo il gregge.
Il Signore mi disse:
Va’, profetizza al mio popolo Israele». 


Salmo Responsoriale
    Dal Salmo 84
Mostraci, Signore, la tua misericordia. 
Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore:
egli annuncia la pace
per il suo popolo, per i suoi fedeli.
Sì, la sua salvezza è vicina a chi lo teme,
perché la sua gloria abiti la nostra terra.

Amore e verità s’incontreranno,
giustizia e pace si baceranno.
Verità germoglierà dalla terra
e giustizia si affaccerà dal cielo.

Certo, il Signore donerà il suo bene
e la nostra terra darà il suo frutto;
giustizia camminerà davanti a lui:
i suoi passi tracceranno il cammino.
 

Seconda Lettura
   Ef 1, 3-14 

In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo.

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni
[
Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo
per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,
predestinandoci a essere per lui figli adottivi
mediante Gesù Cristo,
secondo il disegno d’amore della sua volontà,
a lode dello splendore della sua grazia,
di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.
In lui, mediante il suo sangue,
abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe,
secondo la ricchezza della sua grazia.
Egli l’ha riversata in abbondanza su di noi
con ogni sapienza e intelligenza,
facendoci conoscere il mistero della sua volontà,
secondo la benevolenza che in lui si era proposto
per il governo della pienezza dei tempi:
ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose,
quelle nei cieli e quelle sulla terra.
]
In lui siamo stati fatti anche eredi,
predestinati – secondo il progetto di colui
che tutto opera secondo la sua volontà –
a essere lode della sua gloria,
noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo.
In lui anche voi,
dopo avere ascoltato la parola della verità,
il Vangelo della vostra salvezza,
e avere in esso creduto,
avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso,
il quale è caparra della nostra eredità,
in attesa della completa redenzione
di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria.
 
 

Canto al Vangelo
   
Ef 1,17-18 
Alleluia, alleluia.
Il Padre del Signore nostro Gesù Cristo
illumini gli occhi del nostro cuore
per farci comprendere a quale speranza ci ha chiamati.

Alleluia.


Vangelo
   Mc 6, 7-13Prese a mandarli.
Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.
E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro».
Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.
 Parola del Signore.

* * *

COMMENTI


1. Congregazione per il Clero


L’invio in missione dei Dodici è il “passaggio culmine” della vocazione dei discepoli: chiamati dalla dispersione alla sequela, dalla sequela alla comunione con il Signore, dalla comunione con Lui alla missione.
Quel gruppo di uomini, il primo di un’ininterrotta Tradizione, non ha altro compito che quello di riproporre, nel mondo, il volto di Colui che li ha inviati; e, infatti non si dà autentico discepolato né fruttuosa missione se non nell’identificazione con Cristo.
È il Signore Gesù la fonte e l’origine, come pure il centro e lo scopo dell’agire dei Dodici; essi si muovono e partono perché chiamati da Lui, e proprio per questo possono agire con potenza e autorità, come Lui.
Ma quell’invio non è estraneo all’uomo contemporaneo; è piuttosto un richiamo, forte e chiaro, a ciò che realmente è la “vocazione del cristiano”: testimoniare la persona di Cristo e la potenza della Sua presenza. Nell’invio in missione è in gioco tutta la dimensione umana del discepolo; per questo le indicazioni di Gesù non sono teoriche, ma estremamente pratiche.
Più che per ciò che bisogna “dire”, Gesù si mostra preoccupato di ciò che bisogna “essere”.
Tutto l’annuncio cristiano, per essere credibile e fecondo, richiede la testimonianza della vita; la contro-testimonianza ha il potere, drammatico, di rendere “non credibile” la verità oggettiva dell’annuncio. La povertà richiesta da Gesù a coloro che intraprendono il cammino della missione non è di tipo stoico o ideologico o demagogico, ma è la condizione di chi rinuncia a tutto, per affermare la ricchezza del tesoro trovato nell’incontro con il Signore Gesù.
Una povertà che viene dalla gioia e conduce alla vittoria sul peccato del mondo, preoccupato, al contrario, dell’avere, del potere e dell’apparire.
La povertà diventa così la condizione per amare.
Proprio nella povertà dell’essere dell’uomo, Dio compie meraviglie; nella finitezza del nostro umano, Dio offre tutto di sé. «Dio si serve di un povero uomo al fine di essere, attraverso lui, presente per gli uomini e di agire in loro favore. Questa audacia di Dio, che ad esseri umani affida se stesso; che, pur conoscendo le nostre debolezze, ritiene degli uomini capaci di agire e di essere presenti in vece sua – questa audacia di Dio è la cosa veramente grande che si nasconde nella parola “sacerdozio”». (Benedetto XVI – Omelia a conclusione dell’Anno Sacerdotale)
L’esperienza che fanno i Dodici, e con essi i discepoli di oggi, è il constatare continuamente che la Grazia si serve solo come “di sfuggita” delle efficienze umane, ma non vi si appoggia; l’efficacia divina dell’annuncio è inversamente proporzionale all’efficacia presunta dei mezzi umani.
L’invio in missione e l’obbedienza al mandato di Cristo non è semplicemente un compito da eseguire con diligenza, ma è il modo offerto all’uomo di partecipare della gloria stessa di Dio (II Lettura).
L’umile Serva del Signore, la Benedetta fra le donne, che ha detto “fiat” davanti al Mistero, ci conceda di dire sempre il nostro “sì” e di partecipare così della gloria divina.

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2. P. Raniero Cantalamessa ofmcapp.

“Allora chiamò i Dodici, ed incominciò a mandarli a due a due e diede loro potere sugli spiriti immondi. E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa; ma, calzati solo i sandali, non indossassero due tuniche…”.
Gli studiosi della Bibbia ci spiegano che, come al solito, l’evangelista Marco, nel riferire i fatti e le parole di Cristo, tiene conto della situazione e dei bisogni della chiesa al momento in cui scrive il vangelo, cioè dopo la risurrezione di Cristo. Ma il fatto centrale e le istruzioni che Cristo in questo brano da agli apostoli risalgono al Gesú terreno.
È l’inizio e come le prove generali della missione apostolica. Per il momento si tratta di una missione limitata ai villaggi vicini, cioè ai connazionali ebrei. Dopo la Pasqua questa missione sarà estesa a tutto il mondo, anche ai pagani: “Andate in tutto il mondo, predicate il vangelo ad ogni creatura…”
Questo fatto ha una importanza decisiva per capire la vita e la missione di Cristo. Egli non è venuto per realizzare un exploit personale; non ha voluto essere una meteora che attraversa il cielo per poi scomparire nel nulla. Non è venuto, in altre parole, solo per quelle poche migliaia di persone che ebbero la possibilità di vederlo e ascoltarlo di persona durante la sua vita. Ha pensato che la sua missione doveva continuare, essere permanente, in modo che ogni persona, in ogni tempo e luogo della storia, avesse la possibilità di ascoltare la buona novella dell’amore di Dio e essere salvato.
Per questo ha scelto dei collaboratori e ha cominciato a inviarli davanti a predicare il regno e guarire gli infermi. Ha fatto con i suoi apostoli quello che fa oggi con i suoi seminaristi un bravo rettore di seminario, il quale a fine settimana manda i suoi ragazzi nelle parrocchie per cominciare a fare esperienza pastorale, oppure li manda in istituzioni caritative ad aiutare quelli che si occupano dei poveri, degli extracomunitari, in modo da prepararsi a quella che un giorno sarà la loro missione.
L’invito di Gesù “andate!” è rivolto in primo luogo agli apostoli e, oggi, ai loro successori: il papa, i vescovi, i preti. Ma non ad essi soltanto. Essi devono essere le guide, gli animatori degli altri, nella comune missione. Pensare diversamente, sarebbe come dire che si può fare una guerra solo con i generali e i capitani, senza soldati; o che si può mettere in piedi una squadra di calcio, solo con un allenatore e un arbitro, senza giocatori.
Dopo questo invio degli apostoli, Gesù, si legge nel vangelo di Luca, “designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi” (Lc 10, 1). Ora questi settantadue discepoli erano probabilmente tutti quelli che egli aveva raccolto fino a quel momento, o almeno tutti quelli che lo seguivano con una certa continuità. Gesù dunque invia tutti i suoi discepoli, anche i laici.
La chiesa del dopo concilio ha assistito a un rifiorire di questa coscienza. I laici dei movimenti ecclesiali sono i successori di quei 72 discepoli…La vigilia di Pentecoste si è avuta un’immagine delle dimensioni di questo fenomeno con quelle centinaia di migliaia di giovani convenuti in Piazza S. Pietro per celebrare con il papa i Vespri della festa. La cosa che più colpiva era la gioia e l’entusiasmo dei presenti. Chiaramente per quei giovani vivere ed annunciare il vangelo non era un peso accettato solo per dovere, ma una gioia, un privilegio, qualcosa che rende la vita più bella da vivere.
Il Vangelo spende una sola parola per dire che cosa gli apostoli dovevano predicare alla gente (“che si convertisse”), mentre descrive a lungo come dovevano predicare. A questo proposito, un insegnamento importante è contenuto nel fatto stesso che Gesù li manda a due a due. Quello di andare a due a due era un uso comune a quei tempi, ma con Gesú assume un significato nuovo, non più solo pratico. Gesú li manda a due a due – spiegava san Gregorio Magno – per inculcare la carità, perché meno che tra due persone non ci può essere carità. La prima testimonianza da rendere a Gesù è quella dell’amore reciproco: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 35).
Bisogna stare attenti a non interpretare male la frase di Gesú sull’andarsene scuotendo anche la polvere dai piedi quando non sono ricevuti. Questa, nelle intenzioni di Cristo, doveva essere una testimonianza “per” loro, non contro di loro. Doveva servire a far loro capire che i missionari non erano venuti per interesse, per spillare loro soldi o altro; che anzi non volevano portare via da loro neppure la loro polvere. Erano venuti per la loro salvezza e rifiutandoli essi privavano se stessi del bene più grande del mondo.
Questo va ribadito anche oggi. La chiesa non annuncia il vangelo per aumentare il suo potere o il numero dei suoi membri. Se fa così tradisce lei per prima il vangelo. Lo fa perché vuole condividere il dono ricevuto, perché ha ricevuto da Cristo il comando: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”.

* * *
3. Luciano Manicardi
La pagina di Amos e il brano evangelico presentano il tema dell’invio in missione. Il profeta è un inviato da Dio: non è profeta di mestiere né si è inventato lui profeta (I lettura). Normalmente, il vero profeta è riluttante a obbedire alla chiamata che si configura come una lotta con Dio in cui egli viene vinto. E l’obbedienza controvoglia è criterio di autenticità della missione. Il vangelo presenta le disposizioni di Gesù ai discepoli prima del loro invio (Mc 6,7-11), quindi uno stringato resoconto della loro attività missionaria (Mc 6,12-13).
L’iniziativa della missione è totalmente di Gesù: la missione sarà veramente cristiana nella misura in cui diverrà sacramento della presenza e della venuta del Signore. Il missionario è dunque anzitutto uomo diascolto e di fede obbediente alla parola di Dio.
L’invio “due a due” dice che il missionario non è un avventuriero isolato. Non solo egli agisce in obbedienza a un mandato, a nome di una chiesa, ma svolge la sua missione insieme ad altri. Il testo suppone il fatto che in due ci si può proteggere meglio da pericoli, ma suggerisce anche che in due (o più) si può vivere la relazione, la comunione e la carità. La vita insieme degli inviati, la loro carità, è già testimonianza missionaria che rende presente Cristo a coloro che essi incontrano. La missione non consiste anzitutto in attività, in un fare per gli altri, ma in una relazione, improntata a comunione e carità, tra gli stessi missionari.
Le direttive di Gesù delineano i tratti perenni dell’azione missionaria della chiesa. E l’opera di annuncio del vangelo destinato anzitutto ai poveri deve svolgersi con sobrietà e povertà di mezzi. Il mezzo è già messaggio, e come potrebbe il vangelo rivolto a poveri, sofferenti e ultimi come destinatari privilegiati, essere annunciato con dispiegamento di mezzi e opere grandiose, ed essere affidato a messaggeri ricchi e potenti? Non sarebbe anche un’umiliazione per i destinatari? Il rigore delle direttive di Gesù è tale che Gerolamo afferma che i discepoli sono mandati “pressoché nudi”: nudi, per seguire il Cristo nudo.

E queste direttive (che riguardano la missione all’interno della terra di Israele) erano realmente praticabili, sicché la povertà e la precarietà in cui sono posti gli inviati non può essere elusa con interpretazioni simboliche. Gesù situa la missione cristiana all’interno del radicalismo evangelico. La povertà dei missionari fa emergere il fatto che la missione ha il suo senso non nel “conquistare anime”, ma nell’essere segno del Dio che viene e nell’avere come protagonista e soggetto il Risorto stesso. Senza essere legge da applicare sempre e dovunque o modello da copiare, le rigorose direttive missionarie dicono un’esigenza perenne della missione della chiesa: ogni epoca dovrà riformulare le forme della povertà della missione.
Pienamente parte di questa povertà è il fatto che Gesù non proibisce il superfluo, ma il necessario, ciò che potrebbe rendere la missione più efficiente, rapida, produttiva: provviste di cibo nella bisaccia, denaro nella borsa per far fronte a eventuali emergenze e bisogni che insorgessero. Gesù proibisce di avere due tuniche, ovvero di avere con sé la veste di riserva per il domani, proibisce il pane, il cibo povero per eccellenza. Decisamente, il punto di vista di Gesù non è quello dell’efficacia operativa!
L’invio in missione crea dei testimoni: gli inviati stessi devono far regnare su di sé le esigenze del vangelo. La loro stessa presenza dovrà essere annuncio e trasparenza di colui che li ha inviati. La missione non dovrà mai essere “contro”, anche quando gli inviati non saranno ascoltati o accolti (Mc 6,11): chiedere conversione e far retrocedere il male operando il bene, questo il loro compito (Mc 6,12-13). Dunque: proclamare le esigenze del vangelo e testimoniarne la grazia. Né i missionari potranno avanzare pretese o fare bizze, ma accetteranno l’ospitalità che verrà loro offerta (Mc 6,10). L’inviato del Signore non è tanto colui che dice parole ispirate, ma colui che ha “i modi del Signore” (Didaché XI,8).

4. Enzo Bianchi
Di ritorno dalla missione gli apostoli “si riuniscono attorno a Gesù e gli riferiscono tutto quello che hanno fatto e insegnato”. Essi hanno continuato l’attività e la predicazione di Gesù (cf. Mc 6,6), sono stati intimamente associati alla sua autorevolezza, e ora Gesù stesso li vuole soli con lui, lontani dalla folla. Gesù è davvero il pastore che vigila sul “piccolo gregge” (Lc 12,32) della sua comunità e, come tale, chiama i suoi discepoli al riposo: “Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’”. E Marco aggiunge un’annotazione umanissima: “era molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare”.
In disparte”: questa espressione non indica solo un luogo di riposo a cui Gesù invita i Dodici, ma designa un vero e proprio ritiro nella sua intimità, per rinsaldare e rinnovare il legame con lui, non solo per ritemprarsi in vista della missione. Si tratta cioè semplicemente di “stare con Gesù” (cf. Mc 3,14), di vivere con lui momenti di comunione gratuita, senza alcuno scopo che non sia quello di dimorare con il Signore della propria vita. È Gesù stesso che dà l’esempio a coloro che chiama alla propria sequela, cercando costantemente di approfondire la sua comunione con il Padre: egli si sveglia all’alba, si reca in luoghi solitari e prega (cf. Mc 1,35; Mc 6,46), resta in luoghi deserti (cf. Mc 1,45); i suoi discepoli devono imitarlo, facendo tesoro della parabola del granello che, una volta seminato, cresce da sé anche quando l’agricoltore riposa (cf. Mc 4,26-27).
Ma per gli apostoli, come per Gesù, il riposo talvolta può diventare impossibile. Già in precedenza il ritiro nel deserto non era stato sufficiente a proteggere Gesù dall’accorrere delle folle (cf. Mc 1,45); qui il segreto progetto di sosta viene scoperto nonostante la partenza su una barca per l’altra riva del lago: il riposo di colui che annuncia il Regno è tanto necessario quanto incerto, e il discepolo deve mettere in conto il fallimento dei propri progetti, esercitandosi all’arte di assumere l’imprevisto. Sì, il riposo sarà certo nel tempo escatologico, nel sabato eterno (cf. Eb 4,9-11; Ap 14,13), ma sulla terra rimane sempre aleatorio…

“Molti li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero”. La velocità di questa folla è impressionante: precede a piedi una barca, dovendo costeggiare il lago e forse anche attraversare il Giordano: è la fretta di chi corre verso il banchetto escatologico imbandito dalla Sapienza, che promette a quanti l’ascoltano riposo (cf. Sir 6,28; 51,23-27) e nutrimento (cf. Pr 9,1-6; Sir 24,19-21). La folla ha fame della parola di Dio insegnata con autorevolezza da Gesù (cf. Mc 1,22.27) e non ha dimenticato il suo invito, fonte di grande consolazione: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati, e io vi darò riposo” (Mt 11,28).
“Sbarcando, Gesù vide molta folla e ne provò compassione, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose”. Gesù prova compassione (cf. anche Mc 8,2 e par.): questo verbo esprime il sentire profondo di Dio, le sue viscere di misericordia per le situazioni di malattia, di miseria e di peccato in cui l’uomo viene a trovarsi (cf. Mt 18,27; Lc 15,20). E Gesù, a sua volta, assume i sentimenti del Padre, facendosi misericordiosamente prossimo a chi è nel bisogno (cf. Lc 10,33), commuovendosi di fronte al male che impedisce di vivere in pienezza (cf. Mt 20,34; Mc 1,41; Lc 7,13). Qui, in particolare, il motivo della sua compassione consiste nel vedere le folle “come pecore senza pastore” (cf. Nm 27,17; 1Re 22,17): la sua è la compassione del Messia, atteso come pastore capace di guidare e nutrire il gregge di Israele (cf. Ger 23,1-6; Ez 34); di più, Gesù è “il pastore bello e buono” di ogni uomo (cf. Gv 10,11.16)…
E noi siamo disposti a partecipare alla compassione del “pastore delle nostre vite” (cf. 1Pt 2,25)? Ovvero: ci lasciamo scomodare dalle impreviste richieste di aiuto dei nostri fratelli; sappiamo commuoverci di fronte a quanti si trovano nel bisogno, facendo quanto ci è possibile per colmare la loro sete di senso? Solo questa compassione, testimonianza della regalità di Dio sulla nostra vita quotidiana, può costituire il fondamento di ogni autentico annuncio del Regno.