Riporto da "Libero" di ieri, 22 luglio, a firma di Antonio Socci.
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L’Italia – si dice – è sull’orlo della bancarotta economica e il Pd in che modo si candida a governarla? Azzuffandosi sulle “nozze gay”. Se questa torrida estate non fosse tragica, sarebbe comica.
Perché perfino l’incolpevole Platone viene trascinato a sproposito nell’infuocata querelle che in queste ore ha visto polemizzare la Bindi, Bersani, la Concia e Casini.
E’ capitato ieri sulle pagine di “D”, il magazine di “Repubblica”. Nella sua consueta rubrica, Umberto Galimberti critica il fatto che scienza, psicoanalisi, religione e diritto – a suo avviso – discriminano l’omosessualità considerandola “esclusivamente sul piano sessuale” (a differenza dell’eterosessualità).
A questo punto Galimberti sostiene che Platone combatté proprio questo “pregiudizio negativo nei confronti degli omosessuali” e per dimostrarlo si lancia in un’azzardata escursione nel “Simposio”.
Da cui cita un passo dove - a suo avviso – “Platone lega opportunamente la condanna dell’omosessualità a un problema di democrazia, a cui forse noi, a causa del perdurare dei pregiudizi, non siamo ancora giunti”.
Ora, fare di Platone un teorico e paladino della “democrazia” (oltretutto una democrazia moderna e libertaria) è – a dir poco – surreale. Per sorriderne non occorre neanche aver letto Karl Popper (o il libro di Franco Ferrari, “Platone. Contro la democrazia”, Rizzoli).
Ma ancora più sconcertante è vedere attribuito a Platone un pensiero che nel “Simposio” è espresso da Pausania.
Si deve infatti sapere che in questo dialogo vari personaggi intervengono esprimendo il loro diverso punto di vista su Eros.
La voce con cui si identifica Platone ovviamente non è affatto quella di Pausania o quelle di Aristofane e di Agatone, ma – come di consueto – quella di Socrate che interviene dopo tutti gli altri e che demolisce tutti i discorsi che lo hanno preceduto.
In sostanza Socrate guida gli ascoltatori a scoprire che l’amore non è ciò che loro credevano, ma piuttosto l’attrazione che l’anima umana ha per la perfezione e per l’Assoluto (qui si capisce perché il cristianesimo dialogò subito, non con le religioni, ma con la filosofia greca, che vedeva pervasa dell’attesa del Logos divino).
Se poi consideriamo l’intervento di Pausania – quello che Galimberti erroneamente presenta come pensiero platonico – è assai dubbio che si occupi di omosessualità, ma di certo si può dire che è il discorso più misogino che lì risuoni perché attribuisce l’amore per le donne all’Eros dell’ “Afrodite volgare” (e lo depreca), mentre l’ Eros dell’ “Afrodite celeste” è esclusiva dei maschi.
E’ davvero esilarante che su un magazine femminile quale è “D” venga citato come esemplare, edificante e “democratico” un discorso di quel tenore dove Pausania esalta il genere maschile perché “per natura più forte e più dotato di cervello”.
Se poi volessimo sapere cosa veramente Platone pensava e cosa ha scritto sulla pratica omosessuale, scopriremmo pagine che oggi, sulle colonne del giornale di Scalfari e Galimberti, verrebbero subito condannate come terribilmente “omofobe”.
Infatti nelle “Leggi”, Platone critica quanti hanno “corrotto la norma antica e secondo natura relativa ai piaceri sessuali non solo degli esseri umani, ma anche degli animali”.
E spiega:
“bisogna considerare che, a quanto pare, il piacere sessuale fu assegnato secondo natura tanto alle femmine quanto ai maschi affinché si accoppiassero al fine di procreare, mentre la relazione erotica dei maschi con i maschi e delle femmine con le femmine è contro natura e tale atto temerario nasce dall’incapacità di dominare il piacere”.
Come si vede qui Platone è perfino più “rigorista” della Chiesa per quanto riguarda l’unione dell’uomo e della donna al cui congiungimento fisico la teologia cattolica riconosce anche il fondamentale valore unitivo, cioè dell’amore fra i coniugi.
In altri passi delle “Leggi”, Platone condanna di nuovo i rapporti sessuali diversi da quelli fra uomo e donna adulti, invitando ad attenersi alle leggi di natura e a cercare sempre e solo l’acquisizione delle virtù.
Il filosofo greco sembra considerare perfino come un “pericolo”, per l’ordine sociale, gli “amori di donne al posto di uomini e uomini al posto di donne” perché “innumerevoli conseguenze sono derivate agli uomini privatamente e a intere città”.
Del resto Platone – decisamente lontano e opposto alla mentalità epicurea – indicando l’esempio di un famoso atleta, Icco tarantino, che per vincere alle Olimpiadi si astenne da tutti i piaceri durante il lungo allenamento, invita a incitare i giovani a fare altrettanto e a “tener duro in vista di una vittoria molto più bella” ovvero: “la vittoria sui piaceri”.
Platone – con buona pace di coloro che fantasticano di un’antica Grecia libertaria e accusano la Chiesa Cattolica di aver portato illiberalità e sessuofobia – arriva addirittura a chiedere alle leggi di prescrivere la virtù:
“la nostra legge deve assolutamente procedere dicendo che i nostri cittadini non devono essere peggiori degli uccelli e di molte altre bestie che, nati in grandi gruppi, vivono fino alla procreazione non accoppiati, integri e puri da unioni sessuali, ma quando giungono a questa età, congiuntisi per proprio piacere il maschio alla femmina e la femmina al maschio, vivono il resto del tempo in modo santo e corretto, attenendosi e saldamente ai primi patti d’amore; dunque essi (i cittadini) devono essere migliori delle bestie”.
Questa la prima legge (dove, come si vede, si condannano anche i rapporti prematrimoniali e l’adulterio). E “qualora (i cittadini) vengano corrotti”, aggiunge Platone, bisogna escogitare “una seconda legge per loro”. Ovvero, se proprio alcuni non resistono all’attrazione dei piaceri senza legge “sia presso di loro cosa bella compiere di nascosto questi atti (…), mentre sia turpe il non farli di nascosto”.
Questo è il Platone vero, quello che racchiude le leggi nell’ “ossequio agli dèi, l’amore pe gli onori e il fatto che non ci sia desiderio dei corpi, ma dei bei costumi dell’anima”.
Dell’altro Platone, quello di Galimberti, non si trova notizia sui suoi testi.
Voglio aggiungere che siccome a quel tempo sotto la categoria di amore – che non aveva un’accezione romantica moderna – andava anche il rapporto fra maestro e discepolo, e siccome questo rapporto poteva scadere (e scadeva) nella pederastia, c’è un passo di Platone (nella Repubblica, il dialogo filosofico, non il giornale) in cui si legge la condanna di questa degenerazione possibile:
“tu stabilirai una legge nella città che stiamo fondando, in base alla quale chi prova affetto (erastés) per il suo ragazzo affezionato (ta paidikà), lo ami e lo accompagni e lo tocchi come farebbe un padre con il figlio; con il suo consenso e avendo come fine la contemplazione e la conoscenza del bello. Mai dunque dovrà accadere o sembrare che si vada oltre questi limiti”.
Qualcuno potrà sorprendersi di scoprire questo Platone, perché da tempo si è diffuso il luogo comune che la famiglia eterosessuale (come fondamento della civiltà) e la legge naturale siano un’invenzione del cristianesimo.
In realtà la famiglia fra uomo e donna è stata il fondamento istituzionale esclusivo di tutte le civiltà precedenti il cristianesimo e di tutti i popoli. Da sempre.
E la legge naturale ben prima del cristianesimo è stata il fondamento della riflessione morale, in modo speciale nell’antica Grecia.
Il libro di Colafemmina (a cui devo tante preziose indicazioni) intende ribaltare “le mistificazioni contemporanee” e ricostruisce “un’etica matrimoniale condivisa fra ellenismo e cristianesimo”. Una lettura preziosa in questi tempi di confusione e di ideologia. Una lettura da consigliare a tutti i nostri spensierati politici.