Vangelo di oggi 30 luglio 2012.
Matteo 13,31-35
In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami». Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata». Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: «Aprirò la mia bocca con parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo».
Lettura
Molti sono convinti che le parabole di Gesù siano uno strumento di insegnamento che riduce in forma semplice idee o concetti molto complicati; in questa prospettiva, esse sono come il cibo dei bambini e qualcosa che veicola, nel fondo, l’esigenza di non scavalcare i limiti del mistero. In realtà, esse sono molto di più: più che farci fermare di fronte al mistero, il loro scopo è piuttosto quello di renderci cooperatori del mistero, nella misura in cui sappiamo accoglierlo in tutta verità.
Meditazione
Sulla bocca di Gesù, la parabola è un pressante invito alla conversione e al cambiamento di mentalità che sono necessari per entrare nella “novità” del regno di Dio: esse sono cioè un mezzo per smascherare ed evitare l’idolatria, ossia il ridurre Dio ai propri schemi, alle proprie conoscenze, ai propri progetti, come se egli fosse, in fin dei conti, un prodotto delle nostre mani. Da questo punto di vista, le parabole sono un pressante invito a divenire “adulti” davanti a Dio: ad assumersi cioè le proprie responsabilità; e questo non per la propria giustizia o rettitudine, ma per il dono del suo rendersi vicino e del suo rivelarsi, sollevando il velo del mistero che lo avvolge. Nelle intenzioni di Gesù, la parabola è quindi un mezzo per scuotere le coscienze, così come lo erano stati i profeti di Israele in alcune loro azioni simboliche, come quella descritta oggi dal profeta Geremìa nella prima lettura: una coscienza incapace di cogliere l’originalità di Dio, infatti, non può incontrarlo, non può rimanere con lui, è lontana da lui, e rimane prigioniera della sua conoscenza che è invece ignoranza, così come delle sue paure. Nel Vangelo di oggi, Gesù scuote le coscienze di chi lo ascolta dichiarando ancora una volta che, nella logica del comandamento dell’amore misericordioso che anima il regno di Dio, Dio stesso e il suo Messia sofferente non temono quel che agli occhi degli uomini appare come piccolezza, come marginalità, come realtà che rifiuta il primo posto: anzi, proprio queste sono le vie inedite scelte da colui che solo può salvare gli uomini. È ben vero che il Dio che sceglie la piccolezza e l’ultimo posto per amore della sua creatura crea o scandalo o la sensazione dell’inutilità; ma il superamento dello scandalo, ieri come oggi, rimane un imperativo per chi voglia entrare nelle profondità autentiche della fede cristiana, al fine di evitare che essa diventi quel che lo “spirito del tempo” o le tante “religioni civili” vorrebbero da essa.
Preghiera: Signore Gesù, noi scambiamo la grandezza di Dio e del suo regno con l’eventuale vantaggio che ne possiamo trarre per i nostri affari mondani; donaci il tuo Spirito, perché sappiamo superare lo scandalo della croce ed entrare nel mistero dell’umiltà divina, che per amore di ogni essere umano non teme di lasciarsi relegare all’ultimo posto pur di essere voce critica che chiama, guarisce e salva.
Agire: Oggi non voglio lasciarmi scandalizzare dal mistero dell’umiltà di Dio.
Fonte: Regnum Christi