Sono le parole più sacre della liturgia, quelle pronunciate da Gesù nell’ultima cena per trasformare il pane e il vino nel suo corpo e sangue. Quest’ultimo, nel testo originale greco dei Vangeli era versato «per molti» (in greco «pollón»), e così è stato tradotto nel latino «pro multis». Nella riforma post-conciliare, quel «pro multis» è stato tradotto con «per tutti».
Già nel 2006, un anno dopo l’elezione di Ratzinger, la Congregazione per ul culto divino invitava le conferenze episcopali a riportare nelle nuove edizioni dei messali la traduzione corretta. Già in numerosi paesi dal «per tutti» si è tornati al «per molti»: Ungheria, Cile, Argentina, Paraguay, Uruguay, Bolivia, ma anche nelle Chiese che celebrano l’eucaristia in lingua inglese, dove il «for all» è stato trasformato in «for many».
In Italia la questione è stata messa ai voti nel corso dell’assemblea generale della Cei ad Assisi, nel novembre 2010, e ben 171 su 187 votanti si sono espressi in favore del mantenimento della traduzione «per tutti». Il motivo principale è dato dal fatto che in certe lingue l’espressione «per molti» suona come contrapposta al «per tutti», quasi che la chiamata universale alla salvezza e il sacrificio di Cristo non fosse indirizzato a tutti. È un dono assolutamente gratuito, ma che richiede il «sì» di chi lo riceve.
Particolarmente nella lingua italiana, il cambiamento potrebbe però far pensare a una formula più restrittiva, quasi che il sacrificio di Gesù e la salvezza offerta all’uomo dal suo sacrificio non fosse rivolto a tutti. Una proposta di soluzione per risolvere questo empasse è contenuta nel libro del biblista Francesco Pieri, della diocesi di Bologna, che in questi giorni manda in libreria il volumetto «Per una moltitudine. Sulla traduzione delle parole eucaristiche» (Dehoniana Libri, 48 pagine, 4,50 euro)
Lo studioso, pur condividendo l’intenzione di una maggiore fedeltà al testo originale, non ritiene che la traduzione italiana «per molti» sia la soluzione ottimale. Condivide il parere di quegli esegeti – fra i quali il biblista Albert Vanhoye, creato cardinale da Benedetto XVI nel 2006 – secondo i quali la parola ebraica «rabbim» sottointesa al greco «pollón» significa «un grande numero», senza alcuna specificazione ulteriore sul fatto che essa si riferisca o meno alla totalità. Pieri propone dunque di adottare per l’italiano la stessa soluzione verso cui si sono orientati i vescovi francesi, «pour la multitude», cioè «per la moltitudine» o anche – ed è il titolo del suo piccolo saggio – «per una moltitudine». Si tradurrebbe così fedelmente il testo evangelico e al contempo si eviterebbe d’ingenerare l’idea (sbagliata) che il «per molti» al posto del «per tutti» stia a significare una portata meno universale della salvezza operata da Cristo. (A. Tornielli)