venerdì 27 luglio 2012

Insieme fino alla mietitura



Di seguito i testi della liturgia di oggi, 28 luglio
XVI SETTIMANA DEL T.O. ANNO PARI - SABATO

 
Antifona d'Ingresso   Sal 53,6.8
Ecco, Dio viene in mio aiuto,
il Signore sostiene l'anima mia.
A te con gioia offrirò sacrifici
e loderò il tuo nome, Signore, perché sei buono.
 
 
Colletta

Sii propizio a noi tuoi fedeli, Signore, e donaci i tesori della tua grazia, perché, ardenti di speranza, fede e carità, restiamo sempre fedeli ai tuoi comandamenti. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.


  
LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura
   Ger 7, 1-11
Forse per voi è un covo di ladri questo tempio sul quale è invocato il mio nome?

Dal libro del profeta Geremìa
Questa parola fu rivolta dal Signore a Geremìa:
«Férmati alla porta del tempio del Signore e là pronuncia questo discorso: Ascoltate la parola del Signore, voi tutti di Giuda che varcate queste porte per prostrarvi al Signore. Così dice il Signore degli eserciti, Dio d’Israele: Rendete buone la vostra condotta e le vostre azioni, e io vi farò abitare in questo luogo. Non confidate in parole menzognere ripetendo: “Questo è il tempio del Signore, il tempio del Signore, il tempio del Signore!”.
Se davvero renderete buone la vostra condotta e le vostre azioni, se praticherete la giustizia gli uni verso gli altri, se non opprimerete lo straniero, l’orfano e la vedova, se non spargerete sangue innocente in questo luogo e se non seguirete per vostra disgrazia dèi stranieri, io vi farò abitare in questo luogo, nella terra che diedi ai vostri padri da sempre e per sempre.
Ma voi confidate in parole false, che non giovano: rubare, uccidere, commettere adulterio, giurare il falso, bruciare incenso a Baal, seguire altri dèi che non conoscevate. Poi venite e vi presentate davanti a me in questo tempio, sul quale è invocato il mio nome, e dite: “Siamo salvi!”, e poi continuate a compiere tutti questi abomini. Forse per voi è un covo di ladri questo tempio sul quale è invocato il mio nome? Anch’io però vedo tutto questo! Oracolo del Signore».


Salmo Responsoriale
    Dal Salmo 83 
Quanto sono amabili le tue dimore,Signore degli eserciti!

L’anima mia anela
e desidera gli atri del Signore.
Il mio cuore e la mia carne
esultano nel Dio vivente.

Anche il passero trova una casa
e la rondine il nido dove porre i suoi piccoli,
presso i tuoi altari, Signore degli eserciti,
mio re e mio Dio.


Beato chi abita nella tua casa:
senza fine canta le tue lodi.
Beato l’uomo che trova in te il suo rifugio,
cresce lungo il cammino il suo vigore.

Sì, è meglio un giorno nei tuoi atri
che mille nella mia casa;
stare sulla soglia della casa del mio Dio
è meglio che abitare nelle tende dei malvagi
.

Canto al Vangelo  
Gc 1,21
Alleluia, alleluia.

Accogliete con docilità la Parola
che è stata piantata in voi
e può portarvi alla salvezza.

Alleluia.


Vangelo
   Mt 13, 24-30
Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura.

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo:
«Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania.
Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”.
E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio”». Parola del Signore.

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IL COMMENTO

Perchè? Fino a quando sopportare dentro e fuori di noi lotte e disprezzi, tentazioni e precarietà. Perchè. Il male accanto al bene. Perchè il peccato è accovacciato alla nostra porta. Perchè la zizzania continua crescere e a prosperare. Il mistero dell'iniquità. Una luce sola ad iluminare la tremenda realtà che così spesso ci opprime. Il Regno dei Cieli. La Vita eterna. Il Paradiso. E noi Suoi figli, nel mondo ma non del mondo. Portando ogni giorno nella nostra esistenza le contraddizioni di qualcosa, il Cielo, che è "già e non ancora". La totale precarietà di chi, per la prossimità al male, al dolore mortale del peccato, all'inferno, comprende e impara che nulla può fare senza l'Autore della Vita. Accanto alla zizzania, abbandonati al Signore. Con Lui uniti indissolubilmente, stretti alla Pietra che ci salva, nella Chiesa nostra Madre, dentro i marosi della vita. Lazzaro moriva e Gesù si attardava lontano. Il mare infuriava e Lui dormiva. Satana è sciolto e fa scempio della vita e Lui giace appeso ad una Croce. Il grande mistero è tutto in quel Legno. Scandalo e stoltezza, il più insignificante di tutti i semi, piccolo come la senapa, seminato fin dentro la notte della terra. Invisibile, disprezzato, deriso, come l'Agnello che si carica del dolore e del peccato del mondo. Tutti lo hanno giudicato castigato mentre Lui intercedeva per ogni uomo, anche per il peggior peccatore. Il seme caduto in terra, morto per non restar solo, il lievito confuso nella pasta del male, perchè il mondo ritrovi un senso e la salvezza. La Croce, l'esatto contrario d'ogni umana sapienza. L'albero che accoglie ogni uomo, i pagani che vivono senza Dio, uccelli che volano alla ricerca di un nido. La Croce unico approdo, e il Signore crocifisso che dal Trono del dolore e del trionfo chiama e attira tutti a sè, nella fornace ardente della Sua misericordia. La Sua Croce, la Nostra Croce, questa vita a gomito a gomito con l'iniquità, fuori e spesso dentro di noi, e la Sua vittoria. In noi. Ogni giorno salvati e amati. Crocifissi con Cristo, nella semplicità di chi non rincorre vendette, giustizia, che non pretende di capire ed estirpare il male con le tecniche sofisticate del principe di questo mondo. Semplici e irreprensibili, figli nel Figlio, astri splendenti in mezzo ad una generazione perversa e degenere. Segni del Cielo in questo mondo di tenebra. I figli del regno, noi e le nostre vite, accanto alla zizzania perchè il mondo veda e vedendo creda. La morte d'ogni umana speranza, la tomba di Lazzaro e la voce potente del Signore, il Suo grido di vittoria. Per vedere e credere. La nostra vita di oggi e di domani è la voce del Signore, l'annuncio del Regno che anticipa, ogni giorno, la fine del mondo. Noi i Suoi angeli, ogni nostro istante è il Suo messaggio perchè il mondo non sia condannato e possa credere e salvarsi. Il Suo amore più forte della zizzania, la nostra vita crocifissa, il braccio di misericordia teso all'umanità. Per accompagnarla al Cielo. La nostra Patria. Già ora. E per sempre.



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 Per la meditazione:

Gregorio Palamas (1296-1359), monaco, vescovo e teologo ortodosso
Omelie 27 ; PG 151, 345-353



«Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro»
I servi del Padre, in altre parole gli angeli di Dio, si accorsero che c'era zizzania nel campo, che cioè gli empi e i cattivi erano mescolati ai buoni e vivevano insieme con loro, persino nella Chiesa di Cristo. Dissero al Signore : « Vuoi che andiamo a raccogliere la zizzania ? », in altri termini : « che togliamo questa gente dalla terra facendola morire » ?...

Col tempo, molti empi e peccatori, nel vivere insieme con uomini pii e giusti giungono al punto di pentirsi e di convertirsi ; si mettono alla scuola della pietà e della virtù, e smettono di essere zizzania per diventare grano. Così gli angeli, afferrando di forza tali uomini prima che potessero pentirsi, rischiavano di sradicare il grano, raccogliendo la zizzania. Per di più, ci sono spesso stati uomini di buona volontà fra i figli e i discendenti dei cattivi. Per questo, colui che sa ogni cosa prima che succeda non ha permesso che la zizzania fosse sradicata prima il momento opportuno.

Così, coloro che vogliono essere salvati dal castigo alla fine del mondo, e vogliono ereditare il Regno eterno di Dio, devono essere grano e non zizzania. Si astengano da ogni parola vana o cattiva, esercitino le virtù contrarie ai propri vizi, e producano veri frutti di penitenza ! Così infatti diventeranno degni del granaio celeste, e saranno chiamati figli del Padre, l'Altissimo, e, allegri e risplendenti della gloria divina, entreranno come eredi nel suo Regno.



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CONGREGATIO PRO CLERICIS

Nella liturgia odierna la Chiesa chiede a Dio: «donaci i tesori della tua grazia» (Colletta). È possibile comprendere cosa sia davvero la Grazia attraverso le tre brevi parabole con le quali Gesù descrive il Regno dei Cieli.
Tre immagini accomunate dal verbo «crescere»: il grano buono e la zizzania crescono insieme per poi essere separati, il grano di senape cresce per diventare un grande albero, il pugno di lievito nella farina fa crescere la massa della pasta.
La prima caratteristica del Regno dei Cieli è quindi quella di non essere qualcosa di statico, ma di dinamico, destinato a crescere ogni giorno e in ogni circostanza. Alla richiesta dei discepoli, Gesù spiega la parabola della zizzania e fa scoprire la grandezza di Dio di fronte alla fragilità dell’uomo.
Cosa risponde il padrone del campo alla proposta dei servi di andare a raccogliere la zizzania cresciuta in mezzo al grano? «No, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altra crescano insieme». Il comando del padrone sorprende i servi i quali soffrono di quell’impazienza che si traduce non di rado in giudizio temerario, forse poco meditato, istintivo. La soluzione del padrone non è dettata dall’incoscienza della presenza della zizzania o dal buonismo, tant’è che constata con amarezza: «Un nemico ha fatto questo»!
Nella spiegazione che Gesù stesso offre di questa parabola i parallelismi con le immagini (campo, grano, zizzania…) ci aiutano a riconoscere come il Regno dei Cieli si affermi laddove l’uomo lascia spazio all’iniziativa e alla pazienza infinita di Dio. La Pazienza di Dio, che è misericordia, si chiama Gesù Cristo!
È la pazienza di Cristo a rendere possibile la vittoria nella lotta contro il male, l’impazienza dell’uomo rischia, invece, di essere auto-implosiva: tutto verrebbe distrutto, grano buono ed erba cattiva, e il campo rischierebbe la desertificazione.
Possiamo così cogliere tutta la reale prospettiva profetica delle parole dell’antico libro della Sapienza: «Non c’è Dio fuori di te, che abbia cura di tutte le cose».
Le tre parabole della zizzania, del granello di senape e del lievito raccontano di questo amore con cui Dio cura tutte le cose; della sorprendente iniziativa Divina che con “giustizia” e “mitezza” tiene nel palmo della sua mano la vita dell’uomo.
Il Regno dei Cieli sempre viene, vince e si afferma se, con umiltà, l’uomo si lascia guidare da Dio che dona ai suoi figli «la buona speranza», che rende il cuore umano, seppur piccolo, capace di contenere tutta la Grazia.
Alla Vergine Santa, che invochiamo come “Mater misericordiae” e “Virgo fidelis”, chiediamo il dono della fedeltà alla vocazione donataci da Dio: essere testimoni del Suo agire nella storia.
 
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p. RANIERO CANTALAMESSA ofmcapp.



Con tre parabole Gesù traccia nel vangelo la situazione della Chiesa nel mondo. La parabola del granellino di senape che diventa un albero indica la crescita del regno di Dio sulla terra. Sulla bocca di Gesù questa era anche una ardita profezia. Chi poteva credere, in quel momento, che un messaggio predicato tra poveri pescatori di Galilea in villaggi sconosciuti al resto del mondo, avrebbe in poco tempo conquistato il mondo? Anche la parabola del lievito nella farina significa la crescita del Regno, non tanto però in estensione, quanto in intensità; indica la forza trasformatrice del vangelo che “solleva” la massa e la prepara a diventare pane.

Queste due parabole furono comprese facilmente dai discepoli, non così la terza, del grano e della zizzania, che Gesù fu costretto a spiegare loro a parte. Il seminatore disse era lui stesso, il seme buono, i figli del regno, il seme cattivo, i figli del maligno, il campo, il mondo e la mietitura, la fine del mondo.
“Il campo è il mondo”: questa frase, nell’antichità cristiana, fu oggetto di una memorabile disputa che è molto importante tener presente anche oggi. C’erano degli spiriti settari, i donatisti, che risolvevano la cosa in modo semplicistico. da parte, la Chiesa (la loro chiesa!) fatta tutta e solo di perfetti; dall’altra il mondo pieno di figli del maligno, senza speranza di salvezza. A essi si oppose S. Agostino: il campo è sì il mondo, ma è anche la chiesa; luogo in cui vivono a gomito a gomito santi e peccatori e in cui c’è spazio per crescere e convertirsi e soprattutto per imitare la pazienza di Dio. “I cattivi, diceva, esistono in questo mondo o perché si convertano, o perché per mezzo di essi i buoni esercitino la pazienza”.

La pazienza di Dio: è questo forse il tema più importante della parabola. La liturgia lo sottolinea con la scelta della prima lettura che è un inno alla forza di Dio che si manifesta sotto forma di pazienza: “Tu, padrone della forza, giudichi con mitezza, ci governi con indulgenza. Con tale modo di agire hai insegnato al tuo popolo che il giusto deve amare gli uomini; inoltre, hai reso i tuoi figli pieni di dolce speranza perché tu concedi, dopo i peccati, la possibilità di pentirsi”.

Quella di Dio, non è semplice pazienza, cioè un aspettare il giorno del giudizio per poi punire con più soddisfazione. E’ longanimità, misericordia, volontà di salvare. “Non sai, scrive san Paolo, che la pazienza di Dio ti spingi alla conversione?” (Rom 2, 4). egli è davvero, come canta il salmo responsoriale, “un Dio di pietà, compassionevole, lento all’ira e pieno di amore”.

Nel regno di Dio non vi è posto perciò per servi impazienti che non sanno far altro che invocare i castighi di Dio e indicargli di volta in volta chi deve colpire. Gesù un giorno rimproverò due discepoli che gli chiedevano di far piovere fuoco dal cielo su coloro che li avevano rifiutati.

Anche a noi è additata la pazienza del padrone del campo come modello. Dobbiamo aspettare la mietitura, ma non come quei servi a stento trattenuti, con la falce in pugno, quasi fossimo ansiosi di vedere la faccia dei malvagi nel giorno del giudizio. Neppure rimanendo a braccia conserte e senza far niente, ma anzi lavorando con impegno a cambiare noi stessi e, per quanto ci è possibile, gli altri da zizzania in buon grano.

E’ un appello all’umiltà e alla misericordia che si sprigiona dalla parabola evangelica del grano e della zizzania che possiamo mettere in pratica ogni giorno. Se c’è qualcuno che ha sbagliato che non veda i nostri occhi, al prossimo incontro, senza leggervi che siamo con loro, che non li condanniamo più perché la parola di Cristo ci ha fatto cadere la falce dalla mano.

Tutti noi siamo grano e zizzania nello stesso tempo, un misto di bene e di lame, di luce e di tenebre, di carne e di spirito. Uno solo è stato solamente grano senza zizzania, cioè senza peccato: è quel chicco di grano che un giorno cadde in terra, morì e fu sepolto. Nell’Eucaristia quel chicco, divenuto pane, viene a noi per farci “frumento di Dio” .

La parabola del grano e della zizzania si presta a una riflessione di più ampio respiro. Uno dei più forti motivi d’imbarazzo per i credenti e di rifiuto di Dio per i non credenti è stato sempre il “disordine” che c’è nel mondo. Il libro biblico del Qoelet che tante volte si fa portavoce delle ragioni dei dubbiosi e degli scettici, notava: “Tutto succede del pari al giusto e all’empio…Sotto il sole al posto del diritto c’è l’iniquità e al posto della giustizia c’è l’empietà” (Qo 3, 16; 9,2). In tutti i tempi si è vista l’iniquità trionfante e l’innocenza umiliata. “Ma –notava il grande oratore Bossuet – perché non si creda che al mondo c’è qualcosa di fisso e di sicuro, ecco che talvolta si vede il contrario e cioè l’innocenza sul trono e l’iniquità sul patibolo”.

La risposta a questo scandalo l’aveva già trovata l’autore del Qoelet: “Allora ho pensato: Dio giudicherà il giusto e l’empio, perché c’è un tempo per ogni cosa e per ogni azione” (Qo 3, 17). E’ quello che Gesù nella parabola chiama “il tempo della mietitura”. Si tratta, in altre parole, di trovare il punto di osservazione giusto di fronte alla realtà, di vedere le cose alla luce dell’eternità, sub specie aeternitatis. Avviene come in certi quadri moderni che, visti da vicino, sembrano una accozzaglia di colori senza ordine né significato, ma osservati dalla distanza giusta rivelano un disegno preciso e potente.

Anche in questo caso non si tratta di rimanere passivi e in attesa di fronte al male e all’ingiustizia, ma di lottare con tutti i mezzi leciti per promuovere la giustizia e reprimere l’iniquità e la violenza. A questo sforzo, che è di tutti gli uomini di buona volontà, la fede aggiunge un aiuto e un sostegno d’inestimabile valore: la certezza che la vittoria finale non sarà dell’ingiustizia e della prepotenza ma dell’innocenza. In altre parole, la speranza.