giovedì 16 giugno 2011

Commenti al Pater: Agostino




Dal "Discorso del Signore sulla Montagna" di sant'Agostino, vescovo


4. 15. Ma ormai si devono considerare quali cose ci ha comandato di chiedere nella preghiera colui dal quale apprendiamo che cosa chiedere e otteniamo quel che chiediamo. Voi dunque, egli dice, pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male 29. Poiché in ogni invocazione si deve propiziare la benevolenza di colui che invochiamo e poi dire quel che invochiamo, si suole propiziare la benevolenza con la lode a colui al quale è diretta la preghiera e si suole porre questa lode all’inizio della preghiera. E in tale inizio nostro Signore ci ha ingiunto di dire soltanto: Padre nostro che sei nei cieli. Molte sono le espressioni a lode di Dio e ognuno le può rimeditare quando legge, perché sono sparse in vario modo e per ogni dove nei libri della Sacra Scrittura, tuttavia mai si trova che è stato ordinato al popolo d’Israele di dire: Padre nostro o di pregare Dio Padre, ma è stato indicato come loro padrone, ossia a individui posti in schiavitù che, cioè, vivevano ancora secondo la carne. Dico questo per il tempo in cui ricevevano gli ordinamenti della Legge, perché s’imponeva loro di osservarli. I profeti infatti fanno capire che Dio Signore potrebbe essere anche il loro Padre, se non trasgredissero i suoi comandamenti, come è l’espressione: Ho messo al mondo dei figli e li ho allevati, ma essi mi si sono ribellati 30; e l’altra: Io ho detto: siete dèi e figli dell’Altissimo; eppure morirete come ogni uomo e cadrete come uno dei potenti 31; e questa ancora: Se sono padrone, dove è il timore per me? E se sono padre, dov’è il rispetto dovuto? 32. Vi sono molte altre espressioni, in cui i Giudei sono rimproverati perché peccando non han voluto essere figli, eccettuate quelle espressioni che si hanno nei profeti sul futuro popolo cristiano, che avrebbe avuto Dio come Padre secondo la celebre frase del Vangelo: Ha dato loro di diventare figli di Dio 33. E l’apostolo Paolo dice: Finché l’erede è minorenne, non è in nulla diverso da uno schiavo 34; e ricorda che noi abbiamo ricevuto uno spirito di figli adottivi, in cui gridiamo: Abba, Padre 35.
Padre per la nostra adozione.
4. 16. E poiché l’esser chiamati all’eterna eredità per essere coeredi di Cristo e giungere all’adozione a figli 36, non è proprio dei nostri meriti ma della grazia di Dio, ricorriamo alla grazia all’inizio della preghiera col dire: Padre nostro. Con questo nome si promuove anche la carità perché il padre è l’essere più amato dai figli. Si suscitano anche un appassionato sentimento di supplica, quando gli uomini dicono a Dio: Padre nostro; e una determinata previsione di ottenere quel che stiamo per chiedere perché, prima di chiedere qualcosa, abbiamo ricevuto un dono tanto grande che ci è permesso di dire a Dio: Padre nostro. Che cosa ormai non può dare ai figli che chiedono, se ha già concesso di essere figli? Infine quale grande attrattiva avvince la coscienza, affinché chi dice: Padre nostro non sia indegno di un Padre così buono? Se infatti a un uomo della plebe fosse accordato da un senatore di antica nomina di chiamarlo padre, certamente egli si confonderebbe e non oserebbe farlo con disinvoltura nel considerare la bassezza della propria origine, la mancanza di beni e la volgarità della condizione plebea. A più forte ragione dunque si deve trepidare di chiamare Dio padre se è tanto grande la bruttezza e la riprovevole condotta nei costumi al punto che Dio le respinge da un rapporto con lui molto più giustamente che un senatore la povertà di un qualsiasi mendicante. Difatti questi disprezza nel mendicante uno stato al quale anche egli per la caducità delle umane condizioni potrebbe giungere, mentre Dio giammai cade in costumi depravati. E grazie alla sua bontà, perché per essere nostro padre esige da noi qualcosa che con nessuna opera si può procurare ma soltanto con la buona volontà. A questo punto sono ammoniti anche i ricchi e i nobili secondo il mondo, quando sono divenuti cristiani, a non insuperbire contro i poveri e gli umili, perché assieme a loro dicono a Dio: Padre nostro e non possono dirlo con verità e pietà se non si riconoscono fratelli.
Cieli sono i santi e i virtuosi.
5. 17. Il nuovo popolo, chiamato alla eredità eterna, usi dunque la voce del Nuovo Testamento e dica: Padre nostro che sei nei cieli 37, cioè nei santi e nei virtuosi, poiché Dio non è limitato dallo spazio cosmico. I cieli sono infatti i corpi nel cosmo che si distinguono per bellezza, ma sono sempre corpi che quindi possono essere soltanto nello spazio. Ma se si ritiene che la sede di Dio sia nei cieli in quanto sono le parti più alte del mondo, di più grande merito sono gli uccelli, perché la loro vita è più vicina a Dio. Però non si ha nella Scrittura: Il Signore è vicino ai giganti e ai montanari, ma si ha: Il Signore è vicino ai contriti di cuore 38, ma questo concetto è più attinente a una condizione di terrenità. Ma come il peccatore è stato considerato terra, quando gli fu detto: Sei terra e alla terra tornerai 39, così al contrario il virtuoso può essere considerato cielo. Difatti si dice ai virtuosi: Il tempio di Dio è santo e siete voi 40. Perciò se Dio abita nel suo tempio e i santi ne sono il tempio, Che sei nei cieli si traduce con criterio: Che sei nei santi. Ed è molto appropriata l’analogia che spiritualmente appaia esservi tanta differenza fra i virtuosi e i peccatori, quanta fisicamente fra il cielo e la terra.
Varie analogie dei cieli.
5. 18. Nell’intento di simboleggiare questo valore, quando preghiamo in piedi, ci volgiamo all’oriente, da cui si stende il cielo. Questo non perché Dio vi abiti, come se avesse abbandonato le altre parti del mondo egli che è dovunque presente non nello spazio fisico sebbene con la potenza della maestà, ma affinché l’anima sia avvertita a volgersi all’essere più perfetto, cioè a Dio, perché il corpo, che è terrestre, si volge a un corpo più perfetto cioè a un corpo celeste. Conviene anche all’avanzamento del sentimento religioso e influisce assai che con l’intelligenza di tutti, piccoli e grandi, si pensi bene di Dio. E poiché è necessario che prepongano il cielo alla terra coloro i quali sono ancora intenti alle bellezze visibili e non possono rappresentarsi un essere incorporeo, il loro modo di pensare è più tollerabile se credono che Dio, di cui ancora pensano come di un corpo, sia piuttosto in cielo che sulla terra. Questo affinché quando verranno a sapere alfine che il valore dell’anima è superiore anche a un corpo celeste, lo cerchino piuttosto nell’anima che in un corpo anche celeste e quando verranno a sapere quanta differenza vi sia fra l’anima dei peccatori e quella dei virtuosi, come non osavano, quando ancora intendevano secondo la carne 41, di collocare Dio in terra ma in cielo, così poi con fede più retta o anche col pensiero lo ricerchino piuttosto nell’anima dei virtuosi che in quella dei peccatori. Rettamente quindi s’interpreta che Padre nostro che sei nei cieli 42 significa nel cuore dei virtuosi come nel suo tempio santo. Nello stesso tempo chi prega vuole che anche in sé abbia dimora colui che invoca e, quando desidera questo bene, pratichi la virtù perché con questa prerogativa Dio è invitato a prender dimora nella coscienza.
Che significhi la santificazione del nome...
5. 19. Ed ora esaminiamo quel che si deve chiedere. È stato esposto chi è che viene invocato e dove ha la dimora. La prima di tutte le cose che si invocano è questa: Sia santificato il tuo nome 43. E non si chiede come se il nome di Dio non sia santo, ma affinché sia ritenuto santo dagli uomini, ossia affinché Dio si riveli a loro in modo tale che non ritengano nulla più santo e che nulla temano di offendere di più. Infatti la frase: Dio è conosciuto in Giudea, in Israele è grande il suo nome 44 non si deve interpretare nel senso che in un luogo Dio sia più piccolo e in un altro più grande, ma che il suo nome è grande in quel luogo, in cui è nominato con riferimento alla grandezza della sua maestà. Così è considerato santo il suo nome là dove è nominato con rispetto e nel timore dell’offesa. Ed è questo che ora avviene mentre il Vangelo, diffondendosi ancora fra i vari popoli, celebra per la mediazione del suo Figlio il nome dell’unico Dio.
...l’avvento del regno...
6. 20. E continua: Venga il tuo regno 45 nel senso, come il Signore stesso insegna nel Vangelo, che il giorno del giudizio verrà, quando il Vangelo sarà predicato in tutto il mondo e questo evento appartiene alla santificazione del nome di Dio. Infatti le parole Venga il tuo regno non si devono intendere come se al momento Dio non regni. Ma forse qualcuno potrebbe intendere che la parola Venga implica sulla terra, come se egli anche ora non regni sulla terra, che anzi sempre vi ha regnato dalla creazione del mondo. Il termine Venga si deve dunque interpretare: si manifesti agli uomini. Come infatti anche la luce visibile è invisibile ai ciechi e a quelli che chiudono gli occhi, così il regno di Dio, sebbene mai abbandoni la terra, è tuttavia invisibile a coloro che non lo conoscono. A nessuno infatti sarà lecito ignorare il regno di Dio, perché il suo Unigenito, non solo nel settore del pensiero ma anche dell’esperienza, è venuto dal cielo nell’uomo del Signore per giudicare i vivi e i morti. E dopo questo giudizio, cioè quando sarà avvenuta la distinzione e separazione dei buoni dai cattivi, Dio sarà presente nei buoni in modo tale che non vi sarà più bisogno dell’ammaestramento umano, ma tutti, come si ha nella Scrittura: potranno essere ammaestrati da Dio 46. Poi la felicità sarà totalmente realizzata come fine nei santi per sempre, come ora gli angeli del cielo, sommamente santi e felici, soltanto con la illuminazione di Dio hanno la pienezza del sapere e della felicità, perché il Signore anche questo ha promesso ai suoi: Nella risurrezione saranno, egli dice, come gli angeli del cielo 47.
...l’adempimento della volontà.
6. 21. Quindi dopo l’invocazione Venga il tuo regno segue: Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra 48; ossia come la tua volontà è negli angeli che sono in cielo, in modo che ti sono totalmente uniti e in te sono felici, perché nessuno errore oscura la pienezza del loro pensiero, nessuna infelicità impedisce la loro felicità, così avvenga nei tuoi santi che sono sulla terra e dalla terra, per quanto attiene al corpo, sono stati plasmati e sempre dalla terra devono essere elevati alla immutabile felicità del cielo. Riguarda questo concetto anche l’annuncio degli angeli: Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà 49. Questo affinché, quando si porrà in cammino la nostra buona volontà che segue lui che ci chiama, si compia in noi la volontà di Dio, come negli angeli del cielo, in modo che nessuna opposizione impedisca la nostra felicità, e in questo si ha la pace. Egualmente Sia fatta la tua volontà s’interpreta rettamente: si obbedisca ai tuoi comandamenti come in cielo così in terra, ossia come dagli angeli così dagli uomini. Il Signore stesso afferma che si compie la volontà di Dio, quando si obbedisce ai suoi comandamenti. Dice infatti: Mio cibo è fare la volontà di lui che mi ha mandato 50; e frequentemente: Non son venuto a compiere la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato 51; così quando dice: Ecco mia madre e i miei fratelli. E chiunque fa la volontà di Dio è per me fratello madre e sorella 52. In coloro dunque che compiono la volontà di Dio si compie appunto la sua volontà, non perché essi fanno che Dio voglia, ma perché fanno quel che egli vuole, ossia fanno secondo la sua volontà.
Cielo e terra sono buoni e cattivi.
6. 22. V’è anche un altro significato nell’espressione: Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra 53, cioè come nei santi e virtuosi così anche nei peccatori. E questo significato si può intendere ancora in due modi. Dobbiamo cioè pregare per i nostri nemici, perché si devono ritenere tali coloro contro la cui volontà aumenta la religione cristiana e cattolica, sicché la frase: Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra potrebbe significare: Compiano la tua volontà come i virtuosi così anche i peccatori, affinché a te si convertano. Inoltre: Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra, affinché a ciascuno si dia il suo, e questo avviene nell’ultimo giudizio, sicché ai virtuosi si dà il premio, la condanna ai peccatori, quando gli agnelli saranno separati dai capri 54.
Cielo e terra sono spirito e carne.
6. 23. Non è assurdo anzi molto rispondente alla nostra fede e speranza è l’interpretazione che come cielo e terra siano intesi lo spirito e la carne. E poiché l’Apostolo dice: Con il pensiero sono soggetto alla legge di Dio, con la carne alla legge del peccato 55, notiamo che la volontà di Dio si compie nel pensiero, cioè nello spirito. Quando la morte sarà assorbita nella vittoria e questo corpo mortale si sarà vestito d’immortalità, e questo avverrà con la risurrezione della carne e con la trasfigurazione, che viene promessa ai virtuosi secondo l’insegnamento dell’Apostolo 56, sarà fatta la volontà di Dio così in terra come in cielo; ossia come lo spirito non resiste a Dio, quando esegue e compie la sua volontà, così anche il corpo non resisterà allo spirito o anima, la quale ora è travagliata dalla debolezza del corpo e incline al comportamento carnale. E nella vita eterna sarà proprio della pace perfetta la condizione che non solo ci attiri il volere ma anche il compiere il bene. Ora infatti, dice l’Apostolo, mi attrae volere il bene, ma non il compierlo 57, perché non ancora nella terra come in cielo, cioè non ancora nella carne come nello spirito si è compiuta la volontà di Dio. Difatti sia pure nella nostra infelicità si compie la volontà di Dio, quando attraverso la carne soffriamo quei mali i quali ci sono dovuti per debito della nostra soggezione alla morte che la nostra natura ha conseguito peccando. Ma nella preghiera si deve chiedere che, come in cielo e in terra si compie la volontà di Dio, ossia che come acconsentiamo alla legge di Dio secondo la coscienza, così avvenuta la trasfigurazione del corpo nessuna nostra componente, a causa dei dolori fisici o dei piaceri, contrasti con questo nostro consenso.
La volontà del Padre in Gesù e nella Chiesa.
6. 24. E non dissente dalla verità la parafrasi: Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra 58, ossia come nello stesso Signore Gesù Cristo così nella Chiesa, come nell’uomo che ha compiuto la volontà del Padre, così nella donna che a lui è sposata. Infatti nel cielo e nella terra si ravvisano, per così dire, il maschio e la femmina, dato che la terra è produttiva perché il cielo la rende fertile.
Significato di pane quotidiano.
7. 25. La quarta domanda è: Dacci oggi il nostro pane quotidiano 59. Il pane quotidiano è stato indicato in luogo di tutti gli utili che servono al sostentamento della vita fisica; ed esortando a suo riguardo dice: Non preoccupatevi del domani 60 e per questo ha detto: Dacci oggi. Ovvero è stato indicato in riferimento al corpo di Cristo che ogni giorno riceviamo o anche come cibo spirituale, di cui il Signore stesso dice: Procuratevi il cibo che non si corrompe 61; e ancora: Io sono il pane della vita che son disceso dal cielo 62. Si può esaminare quale delle tre interpretazioni sia la più attendibile. Infatti qualcuno potrebbe turbarsi sul fatto che preghiamo per ottenere cose necessarie a questa vita, come il vitto e il vestito, dato che il Signore dice: Non preoccupatevi di quel che mangerete e di come vestirete 63. Ma c’è il problema se un individuo non debba preoccuparsi del bene che chiede di ottenere con la preghiera, poiché la preghiera si deve innalzare con grande fervore dello spirito. E proprio a questo tende l’esortazione di chiudere le camere da letto 64 ed anche quest’altra: Chiedete prima il regno di Dio e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta 65. Non ha detto: Cercate prima il regno di Dio e poi cercate queste cose, ma dice: Tutte queste cose vi saranno date in aggiunta, anche se non le chiedete. Non so se si può risolvere in che senso si dica con criterio che uno non chieda quel che per ottenere prega Dio con grande fervore.
Pane come sacramento.
7. 26. Trattiamo anche del sacramento del corpo del Signore affinché non muovano obiezioni i molti che nelle regioni d’Oriente non partecipano ogni giorno alla cena del Signore, sebbene questo pane è stato dichiarato quotidiano. Facciano dunque silenzio e non difendano la propria opinione sull’argomento sia pure con l’autorità ecclesiastica, poiché lo fanno senza scandalo e non sono impediti di farlo da coloro che comandano nelle loro chiese e, anche se non obbediscono, non sono condannati. Da ciò si evidenzia che in quelle regioni questo non è considerato pane quotidiano, perché sarebbero rei di un grave peccato coloro che non lo ricevono ogni giorno. Ma affinché, come è stato premesso, non discutiamo di costoro in alcun senso, deve certamente sovvenire a coloro che riflettono che noi abbiamo ricevuto dal Signore la norma del pregare e che non si deve trasgredire né aggiungendo né togliendo. Stando così le cose, chi osa dire che dobbiamo recitare soltanto una volta la preghiera del Signore o almeno, anche se una seconda e terza volta, fino a quell’ora in cui facciamo la comunione col corpo del Signore e che poi non si deve pregare così per il resto del giorno? Infatti non potremmo più dire: dacci oggi quel che abbiamo già ricevuto. Ovvero ci si potrà costringere a celebrare quel sacramento fino all’ultima parte del giorno?
Pane come parola di Dio.
7. 27. Rimane dunque che lo intendiamo come pane spirituale, cioè come i comandamenti del Signore che ogni giorno si devono meditare e osservare. Di essi infatti il Signore dice: Procuratevi il cibo che non si corrompe 66. Nel tempo appunto si considera quotidiano un tale cibo finché scorre questa vita posta nel divenire attraverso i giorni che vanno e vengono. E veramente finché lo stato d’animo si avvicenda ora nei beni superiori, ora in quelli inferiori, cioè ora in quelli spirituali, ora in quelli carnali, come a chi ora si nutre di cibo, poi soffre la fame, ogni giorno è necessario il pane, affinché con esso si ristori chi ha fame e si riprenda chi non si regge in piedi. Così dunque il nostro corpo in questa vita, prima della finale immunità dal bisogno, si ristora con il cibo perché avverte la dispersione di forze; allo stesso modo l’anima spirituale, poiché subisce mediante gli affetti terreni come una dispersione di forze dalla tensione a Dio, si ristora con il cibo dei comandamenti. È stato suggerito: Dacci oggi, finché si dice l’oggi 67, cioè in questa vita che scorre nel tempo. Infatti dopo questa vita ci sazieremo in eterno di un cibo spirituale in modo tale che non s’intenda il pane quotidiano, perché allora non vi sarà lo scorrere del tempo, che fa succedere i giorni ai giorni, da cui prende significato l’ogni giorno. Come infatti e stato detto: Oggi se ascolterete la sua voce 68, che l’Apostolo parafrasa nella Lettera agli Ebrei con: Finché si dice l’oggi 69, così anche in questa accezione si deve interpretare il Dacci oggi. Se qualcuno invece vuole intendere questa frase in relazione al necessario alimento del corpo o al sacramento del corpo del Signore, è conveniente che questi tre significati si intendano unitamente, cioè che chiediamo insieme il pane quotidiano, tanto quello necessario, come quello consacrato visibilmente e quello invisibile della parola di Dio.
Remissione in ogni senso...
8. 28. Segue la quinta domanda: E rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori 70. È evidente che come debiti sono indicati i peccati o nel senso che ha indicato il Signore stesso: Non uscirai di lì finché non paghi l’ultimo spicciolo 71, o nel senso per cui egli ha considerato come debitori quelli sui quali fu informato che erano morti o per il crollo della torre o perché Pilato aveva mescolato il loro sangue a quello del sacrificio 72. Affermò infatti che gli uomini li ritenevano debitori oltre misura, cioè peccatori e aggiunse: In verità vi dico, se non farete penitenza, morirete allo stesso modo 73. Non con queste parole uno è invitato a condonare il denaro ai debitori, ma tutte le offese che l’altro ha commesso contro di lui. Infatti a condonare il denaro siamo obbligati con il comando che è stato riportato precedentemente: Se qualcuno ti vuole chiamare in giudizio per toglierti il vestito, tu cedigli anche il mantello 74. E da queste parole non risulta necessario condonare il debito a ogni debitore di denaro, ma a colui che non volesse restituire al punto che voglia perfino intentare una lite. Non conviene, dice l’Apostolo, che un servo del Signore intenti una lite 75. Si deve quindi condonare a chi o perché di sua iniziativa o perché invitato non volesse restituire il denaro dovuto. E per due motivi non vorrà restituire, o perché non ha, o perché è avaro e avido della roba d’altri. L’uno e l’altro caso sono relativi a una povertà, poiché la prima è povertà di beni, la seconda povertà di spirito. Chiunque dunque condona il debito a un tale individuo condona a un povero e compie un’opera di cristiana bontà perché persiste la norma che egli sia disposto a perdere ciò che gli è dovuto. Infatti se del tutto con pacata moderazione farà in modo che gli sia restituito, non badando tanto alla restituzione del denaro, quanto a correggere l’uomo, al quale è senza dubbio dannoso avere di che restituire e non restituire, non solo non peccherà, ma avrà il grande vantaggio che l’altro non subisca un danno spirituale per il fatto che vuole volgere a proprio profitto il denaro altrui. E questo è tanto più grave da non avere confronto. Se ne conclude che anche in questa quinta domanda con cui chiediamo: Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori 76 non si tratta esplicitamente del denaro, ma di tutti i casi in cui qualcuno pecca contro di noi e quindi anche del denaro. Perciò pecca contro di te chi ricusa di restituirti il denaro dovuto, quando ha di che restituirlo. Se non rimetterai questo peccato, non potrai dire: Rimetti a noi come anche noi rimettiamo. Se invece perdonerai, ti accorgi che colui, a cui si ordina di invocare con questa preghiera, è esortato anche a condonare il denaro.
...perché chiediamo al Padre.
8. 29. Si può trattare anche il seguente assunto. Poiché diciamo: Rimetti a noi come anche noi rimettiamo, ci dobbiamo render conto di avere agito contro questa norma se non rimettiamo a coloro che chiedono perdono, poiché vogliamo che dal Padre molto amorevolmente sia rimesso a noi quando gli chiediamo perdono. Ma d’altra parte dal comandamento, con cui siamo obbligati a pregare per i nostri nemici 77, non siamo obbligati a pregare per coloro che chiedono perdono. Infatti costoro non sono nemici. In nessun modo poi un individuo direbbe con sincerità che prega per colui che non ha perdonato. Perciò si deve riconoscere che si devono rimettere tutti i peccati che vengono commessi contro di noi, se vogliamo che dal Padre ci siano rimesse le colpe che noi commettiamo. Infatti sulla vendetta si è già parlato a sufficienza, come penso.
Il significato di tentazione.
9. 30. La sesta domanda è: Non ci immettere nella tentazione 78. Alcuni manoscritti hanno: Indurre che ritengo abbia il medesimo significato; infatti dall’unico termine greco è stato tradotto l’uno e l’altro. Molti poi nel pregare dicono: Non permettere che siamo indotti in tentazione, mostrando, cioè, in che senso sia stato usato l’indurre. Infatti Dio non ci induce da se stesso, ma permette che vi sia indotto colui che per un ordinamento occultissimo e meriti avrà privato del suo aiuto. Spesso anche per ragioni manifeste egli giudica uno degno fino a privarlo del suo aiuto e permettere che sia indotto in tentazione. Una cosa è infatti essere indotto in tentazione e un’altra essere tentati. Infatti senza la tentazione nessuno è adatto alla prova, tanto in se stesso, come si ha nella Scrittura: Chi non è stato tentato che cosa sa? 79, quanto per l’altro, come dice l’Apostolo: E non avete disprezzato quella che era per voi una tentazione nella carne 80. Da questo fatto appunto li ha riconosciuti costanti, perché non furono distolti dalla carità a causa delle sofferenze capitate all’Apostolo nel fisico. Infatti noi siamo noti a Dio prima di tutte le tentazioni perché egli sa tutto prima che avvenga.

 Analogia del concetto di tentazione.

9. 31. Quindi la frase che si ha nella Scrittura: Il Signore Dio vostro vi tenta per sapere se lo amate 81 è stata espressa nel traslato da per sapere a per farvi sapere, come diciamo allegro un giorno che ci rende allegri e pigro il freddo perché ci rende pigri e altri innumerevoli modi di dire che si hanno tanto nel gergo abituale, come nel linguaggio dei letterati e nei libri della Sacra Scrittura. Gli eretici, che sono contrari al Vecchio Testamento e non comprendendo questa locuzione, pensano che è bollato, per così dire, da un marchio d’ignoranza l’essere di cui è stato detto: Il Signore Dio vostro vi tenta, come se nel Vangelo del Signore non sia stato scritto: Lo diceva per tentarlo perché egli sapeva quel che stava per fare 82. Se infatti conosceva il cuore di colui che tentava, che cosa voleva conoscere tentando? Ma senz’altro l’episodio è avvenuto, affinché colui che veniva tentato riflettesse su se stesso e riprovasse la sua sfiducia perché le turbe furono saziate col pane del Signore, mentre egli pensava che esse non avessero di che mangiare 83.
Tentazione contro i Manichei...
9. 32. Quindi con quella preghiera non si chiede di non essere tentati, ma di non essere immessi nella tentazione, sulla fattispecie di un tale, a cui è indispensabile essere sottoposto all’esperimento del fuoco, e non chiede di non essere toccato col fuoco, ma di non rimanere bruciato. Infatti la fornace prova gli oggetti del vasaio e la prova della sofferenza gli uomini virtuosi 84. Giuseppe difatti è stato tentato con la seduzione dell’adulterio, ma non è stato immesso nella tentazione 85. Susanna è stata tentata e neanche lei indotta o immessa nella tentazione 86 e molti altri dell’uno e dell’altro sesso, ma soprattutto Giobbe. Gli eretici, nemici del Vecchio Testamento, volendo con parole sacrileghe schernire la sua ammirevole costanza in Dio suo Signore, allegano a preferenza degli altri l’episodio che Satana chiese di tentarlo 87. Chiedono agli ignoranti, assolutamente incapaci di capire certe cose, in che modo è stato possibile a Satana di parlare con Dio. Non riflettono, e non lo possono perché sono accecati dall’errore e dalla polemica, non riflettono dunque che Dio non occupa uno spazio con la dimensione del corpo sicché è in un luogo e non in un altro o per lo meno ha una parte qui e un’altra altrove, ma con infinita grandezza è in atto in ogni spazio, non diviso nelle parti ma tutto in ogni spazio. E se intendono in senso letterale la frase: Il cielo è per me il trono e la terra lo sgabello dei miei piedi 88, e se a questa posizione si riferisce anche il Signore con le parole: Non giurate né per il cielo perché è il trono di Dio, né per la terra perché è lo sgabello dei suoi piedi 89, che cosa v’è di strano se il diavolo, giunto sulla terra, si è fermato davanti ai piedi di Dio e ha detto qualche cosa in sua presenza 90? Quando infatti questi tali finiranno per capire che non v’è anima, quantunque perversa, che comunque in qualche modo può ragionare, nella cui coscienza Dio non parli? Chi se non Dio ha scritto nel cuore degli uomini la legge naturale? E di questa legge dice l’Apostolo: Quando i pagani, che non hanno la legge, per natura agiscono secondo la legge, essi pur non avendo la legge, sono legge a se stessi; dimostrano infatti che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori, come risulta dalla testimonianza della coscienza di essi e dei loro stessi ragionamenti che li accusano o anche li difendono nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini 91. Quindi ogni anima ragionevole, sia pure accecata dalla passione, tuttavia pensa e ragiona e tutto ciò che mediante il suo ragionamento è vero non si deve attribuire a lei, ma alla luce stessa della verità, dalla quale sia pure scarsamente nei limiti della sua capacità è illuminata, affinché nel pensare percepisca come vero qualche cosa. Non c’è quindi da far meraviglie se si afferma che l’anima del diavolo, corrotta da un depravante pervertimento, ha udito dalla voce di Dio, cioè dalla voce della stessa verità tutto ciò che ha pensato su un uomo virtuoso, quando volle tentarlo 92; e invece tutto ciò che era falso si attribuisce a quel pervertimento da cui ha avuto l’appellativo di diavolo. Tuttavia anche per mezzo di creatura fisicamente visibile spesso Dio ha parlato tanto ai buoni che ai cattivi secondo i meriti di ciascuno, come Signore e guida di tutti e loro ordinatore al fine; ha parlato anche per mezzo di angeli che si manifestarono in sembianze umane e per mezzo dei profeti che dicevano: Queste cose dice il Signore. Che meraviglia quindi se si dice che Dio ha parlato col diavolo non certamente attraverso il pensiero, ma mediante una creatura ovviamente adattata allo scopo?
...nel confronto col Nuovo Testamento.
9. 33. E non suppongano che è proprio di deferenza e quasi merito di virtù il fatto che Dio ha parlato con lui, perché ha parlato con uno spirito angelico, sebbene stolto e vizioso, come se parlasse con un’anima umana stolta e viziosa. Oppure dicano essi stessi in che modo Dio ha parlato con quel ricco, di cui volle biasimare un vizio molto stolto con le parole: Stolto, questa notte l’anima ti sarà richiesta e di chi saranno le ricchezze che hai messo da parte? 93. Evidentemente questo lo dice il Signore stesso nel Vangelo, al quale questi eretici, volere o no, chinano la testa. Se poi si preoccupano del fatto che Satana chiede a Dio di tentare un uomo virtuoso, non io spiego perché sia avvenuto, ma sprono costoro a spiegare perché nel Vangelo sia stato detto dal Signore stesso ai discepoli: Ecco che Satana cerca di vagliarvi come il grano 94; e a Pietro: Ma io ho pregato affinché non venga meno la tua fede 95. Quando mi spiegano queste parole, unitamente spiegano a se stessi quel che chiedono da me. Se poi non saranno capaci di spiegarlo, non osino censurare con sventatezza in un libro qualsiasi quel che senza ripugnanza leggono nel Vangelo.
Varie provenienze della tentazione.
9. 34. Avvengono dunque le tentazioni ad opera di Satana, non per un suo potere, ma col permesso del Signore per punire gli uomini dei loro peccati o per provarli e addestrarli in riferimento alla bontà di Dio. E importa molto in quale tentazione uno incorra. Difatti Giuda, che vendé il Signore 96, non è incorso nella medesima tentazione in cui è incorso Pietro che per paura negò il Signore 97. Vi sono anche delle tentazioni provenienti, così penso, dall’uomo, quando uno con buona intenzione ma nei limiti dell’umana debolezza sbaglia in qualche consiglio ovvero si adira col fratello nell’intento di correggerlo, ma un po’ al di là di quel che richiede la serenità cristiana. Di queste tentazioni dice l’Apostolo: Non vi sorprenda la tentazione se non quella umana; ed anche: Dio è fedele, perché non permette che siate tentati al di là di quel che potete, ma vi darà assieme alla tentazione anche il superamento affinché possiate sopportarla 98. E con questo pensiero ha mostrato abbastanza che non dobbiamo pregare per non essere tentati, ma per non essere indotti in tentazione. E vi siamo indotti, se si verificano di tale fatta che non riusciamo a superarle. Ma poiché le tentazioni pericolose, in cui è dannoso essere immessi o indotti, hanno origine dalle prosperità o avversità nel tempo, non si fiacca dalla inquietudine delle avversità chi non si lascia allettare dall’attrattiva delle prosperità.

La liberazione dal male.
9. 35. L’ultima e settima richiesta è: Ma liberaci dal male 99. Si deve infatti pregare non solo di non essere indotti al male, di cui siamo privi, e questo si chiede al sesto posto, ma di essere liberati da quello, al quale siamo stati indotti. E quando questo avverrà, non rimarrà nulla di temibile e non si dovrà più temere alcuna tentazione. Però non si deve sperare che questo possa avvenire in questa vita, finché portiamo in giro la soggezione alla morte, alla quale siamo stati indotti dalla suggestione del serpente 100; tuttavia si deve sperare che avverrà, e questa è una speranza che non si sperimenta. Parlando di essa l’Apostolo dice: Una speranza che si sperimenta non è speranza 101. Ma non si deve disperare della saggezza che anche in questa vita è stata concessa ai credenti figli di Dio. Ed essa comporta che fuggiamo con prudentissima attenzione quel che dietro rivelazione del Signore capiremo di dover fuggire e che perseguiamo con ardentissima carità quel che dietro rivelazione del Signore capiremo di dover perseguire. Così infatti deposto con la morte stessa il rimanente peso di questa soggezione alla morte, da parte di ogni componente dell’uomo al tempo opportuno sarà realizzata come fine la felicità, che è incominciata in questa vita e che per raggiungere definitivamente in seguito è impiegato attualmente ogni sforzo.
Anagogia delle tre prime richieste...
10. 36. Ma si deve considerare e discutere le differenze delle sette richieste. La nostra vita dunque si svolge attualmente nel tempo e si spera che sia eterna; inoltre i valori eterni sono anteriori per dignità, sebbene si passa ad essi dopo aver posto in atto quelli nel tempo. Quindi il conseguimento delle tre prime richieste hanno inizio in questa vita che si svolge nel tempo; difatti la santificazione del nome di Dio ha cominciato a porsi in atto dalla venuta del Signore nella nostra umiltà; e la venuta del suo regno, in cui egli dovrà venire nello splendore, non si manifesterà dopo la fine ma alla fine del tempo; e il compimento della sua volontà come in cielo così in terra, sia che per cielo e terra intendi i virtuosi e i peccatori, o lo spirito e la carne, o il Signore e la Chiesa, o tutti insieme, si otterrà con il compimento della nostra felicità e quindi alla fine del tempo; tuttavia tutte e tre queste manifestazioni del Signore rimarranno in eterno. Difatti la santificazione del nome di Dio è eterna, il suo regno non avrà fine ed è promessa la vita eterna per la nostra perfetta felicità. Rimarranno quindi queste tre manifestazioni unite nel pieno compimento nella vita che ci è promessa.
...e delle altre quattro.
10. 37. A me sembra che le altre quattro richieste appartengono alla vita nel tempo. La prima è: Dacci oggi il nostro pane quotidiano 102. Per il fatto che è stato definito come pane quotidiano, sia che venga indicato il pane spirituale o quello nel sacramento o questo visibile del nutrimento, appartiene al tempo che ha chiamato l’oggi, non perché il cibo spirituale non è eterno, ma perché questo pane, che nella Scrittura è stato considerato quotidiano, viene mostrato all’anima tanto col suono delle parole come con i vari segni che si susseguono nel tempo. Ma tutte queste cose certamente non vi saranno più, quando tutti potranno essere ammaestrati da Dio e non esprimeranno l’ineffabile luce della verità con un movimento del corpo, ma l’attingeranno con un puro atto del pensiero. E probabilmente è stato considerato pane e non bevanda poiché il pane spezzandolo e masticandolo si muta in alimento, come i libri della Scrittura nutrono l’anima leggendoli e meditandoli; la bevanda al contrario sorseggiata, così com’è, passa nel corpo, sicché nel tempo la verità è pane, poiché è considerata pane quotidiano, nell’eternità invece è bevanda, perché non vi sarà bisogno del discutere e dialogare sul tipo dello spezzare e masticare, ma soltanto del sorso dell’autentica ed evidente verità. Nel tempo i peccati ci son rimessi e li rimettiamo e questa è la seconda delle altre quattro richieste. Nell’eternità non vi sarà perdono dei peccati perché non ci saranno peccati. E le tentazioni travagliano questa vita posta nel tempo; non vi saranno più, quando si avvererà quel pensiero: Li nasconderai nel segreto del tuo volto 103. E il male, da cui desideriamo di essere liberati, ed anche la liberazione dal male appartengono a questa vita che per la giustizia di Dio abbiamo meritato soggetta a morire e da cui per la sua misericordia saremo liberati.
Confronto fra le invocazioni e i doni dello Spirito.
11. 38. A me sembra anche che il numero sette di richieste corrisponda al numero sette, da cui è derivato tutto il discorso. Se infatti è timore di Dio quello con cui sono beati i poveri in spirito, poiché di essi è il regno dei cieli, chiediamo che negli uomini sia santificato il nome di Dio nel genuino timore che permane per sempre 104. Se pietà è quella con cui sono beati i miti, perché essi avranno in eredità la vita eterna, chiediamo che venga il regno di Dio tanto in noi stessi, affinché diventiamo miti e non resistiamo a lui, come nello splendore della venuta del Signore dal cielo alla terra, di cui noi godremo e conseguiremo la gloria, perché egli dice: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete il regno che vi è stato promesso fin dall’origine del mondo 105. Nel Signore infatti, dice il profeta, si glorierà la mia anima; ascoltino i miti e si rallegrino 106. Se è scienza, per cui sono beati quelli che piangono perché saranno consolati, preghiamo affinché sia fatta la sua volontà come in cielo così in terra perché non piangeremo più, quando con la definitiva pace dell’alto il corpo, in quanto terra, sarà in armonia con lo spirito in quanto cielo; infatti v’è nel tempo motivo di afflizione solo quando corpo e spirito si urtano fra di sé e ci costringono a dire: Vedo nelle mie membra un’altra legge che muove guerra alla legge della mia mente 107; e a confessare la nostra afflizione con voce di pianto: Me infelice, chi mi libererà da questo corpo di morte? 108 Se è fortezza quella di cui sono beati coloro che hanno fame e sete della virtù perché saranno saziati, preghiamo che ci sia dato oggi il nostro pane quotidiano, affinché da esso sorretti e sostentati possiamo giungere alla piena sazietà. Se è consiglio quello per cui sono beati i misericordiosi perché di essi si avrà misericordia, rimettiamo i debiti ai nostri debitori e preghiamo che a noi siano rimessi i nostri. Se è intelletto quello di cui sono beati i puri di cuore perché vedranno Dio, preghiamo di non essere indotti in tentazione, affinché non abbiamo un cuore doppio non ordinandoci al vero bene a cui riferire tutte le nostre azioni, ma perseguendo insieme i beni del tempo e dell’eternità. Infatti le tentazioni provenienti dalle cose, che sembrano agli uomini opprimenti e dannose, non hanno potere su di noi, se non lo hanno quelle che avvengono dalle lusinghe di quelle cose che gli uomini ritengono buone e fonti di gioia. Se è sapienza quella per cui sono beati gli operatori di pace, perché saranno considerati figli di Dio, preghiamo di essere liberati dal male, perché tale liberazione ci renderà liberi, cioè figli di Dio, affinché con lo spirito di adozione invochiamo: Abba, Padre.

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Note.

29 - Mt 6, 9-13.
30 - Is 1, 2.
31 - Sal 81, 6-7.
32 - Ml 1, 6.
33 - Gv 1, 12.
34 - Gal 4, 1.
35 - Rm 8, 15.
36 - Cf. Rm 8, 17 e 23.
37 - Mt 6, 9.
38 - Sal 33, 19.
39 - Gn 3, 19.
40 - 1 Cor 3, 17.
41 - Cf. Rm 8, 5.
42 - 1 Cor 3, 17.
43 - Mt 6, 9.
44 - Sal 75, 2.
45 - Mt 6, 10.
46 - Gv 6, 45; Is 54, 13; Ger 31, 33-34; 1 Ts 4, 9.
47 - Mt 22, 30.
48 - Mt 6, 10.
49 - Lc 2, 14.
50 - Gv 4, 34.
51 - Gv 5, 30; 6, 38; Mt 26, 39.
52 - Mt 12, 49-50.
53 - Mt 6, 10.
54 - Cf. Mt 25, 32-33.
55 - Rm 7, 25.
56 - Cf. 1 Cor 15, 53-54.
57 - Rm 7, 18.
58 - Mt 6, 10.
59 - Mt 6, 11.
60 - Mt 6, 34.
61 - Gv 6, 27.
62 - Gv 6, 41.
63 - Lc 12, 22.
64 - Cf. Mt 6, 6.
65 - Mt 6, 33.
66 - Gv 6, 27.
67 - Eb 3, 13.
68 - Sal 94, 8.
69 - Mt 6, 11
70 - Mt 6, 12.
71 - Mt 5, 26.
72 - Cf. Lc 13, 1.
73 - Lc 13, 5.
74 - Mt 5, 40.
75 - 2 Tm 2, 24.
76 - Mt 6, 12.
77 - Cf. Mt 5, 44.
78 - Mt 6, 13.
79 - Sir 34, 9. 11
80 - Gal 4,14.
81 - Dt 13, 3.
82 - Gv 6, 6.
83 - Cf. Gv 6, 7-13.
84 - Sir 27, 6.
85 - Cf. Gn 19 , 7-12.
86 - Cf. Dn 13, 19-23.
87 - Cf. Gb 1, 9-12.
88 - Is 66, 1.
89 - Mt 5, 34-35.
90 - Cf. Gb 1, 7.
91 - Rm 2, 14-16.
92 - Cf. Gb 1, 8; 2, 3.
93 - Lc 12, 20.
94 - Lc 22, 31.
95 - Lc 22, 32.
96 - Cf. Mt 26, 14-16 e 50.
97 - Cf. Mt 26, 69-75.
98 - 1 Cor 10, 13.
99 - Mt 6, 13.
100 - Cf. Gn 3, 4-5 e 13.
101 - Rm 8, 24.
102 - Mt 6, 11.
103 - Sal 30, 21.
104 - Cf. Mt 5, 3-9. 6, 9-13; Is 11, 2-3.
105 - Mt 25, 34.
106 - Sal 33, 3.
107 - Rm 7, 13.
108 - Rm 7, 24.