martedì 29 gennaio 2019

Lettere della tribolazione




Fonte di lucida speranza. La prefazione del Pontefice
Il libro. È in libreria, da martedì 29 gennaio, il libro di Jorge Mario Bergoglio - Francesco Lettere della tribolazione (Milano, Editrice Àncora, La Civiltà Cattolica, 2019, pagine 142, euro 16). In queste pagine pubblichiamo la prefazione del Papa, l’introduzione di padre Antonio Spadaro e stralci del contributo di padre Diego Fares, curatori del volume, e una riflessione del cardinale Gianfranco Ravasi.
Papa Francesco
Ricordo che quando sottoposi a padre Miguel Ángel Fiorito S.I. la bozza della prefazione che avevo scritto per la prima edizione delle Lettere della tribolazione, il Maestro — lo chiamavamo così perché lo era, e oggi resta tale, per come ha saputo formare una scuola di discernimento — mi chiese di sviluppare meglio l’ultimo paragrafo nel quale parlavo dell’importanza del fare ricorso all’accusa di se stessi (cf Esodo 48).
In quel punto si trattava del discernimento e di come affrontare bene la vergogna e la confusione che si fanno spazio quando il Maligno scatena una feroce persecuzione contro i figli della Chiesa. La risposta era quella di opporgli la sana vergogna e la confusione che l’infinita Misericordia del Signore e la sua Lealtà fanno provare a chi chiede perdono per i propri peccati. «Là c’è una grazia», mi disse. «La sviluppi!».
Trent’anni dopo siamo in un altro contesto, ma la Guerra è la stessa e appartiene soltanto al Signore. Queste Lettere sono «un trattato di discernimento in epoca di confusione e tribolazione», e la loro riedizione mi richiama con forza, insieme alle riflessioni degli altri compagni che sono incluse nel libro, a continuare ad assolvere quell’incarico che mi è stato dato dal Maestro — che adesso ha per me il sapore della profezia dell’anziano — di «sviluppare una grazia».
Sento che il Signore mi chiede di condividere di nuovo le Lettere della tribolazione. Di condividerle con tutti coloro che — in mezzo alla confusione che il padre della menzogna sa seminare nelle sue persecuzioni — si sentono decisi a combattere bene, liberi da quel vittimismo a cui siamo tentati di arrenderci. Esso, come sappiamo, nasconde in seno la molla della vendetta, e non fa altro se non alimentare quel male che vorrebbe eliminare.
Contro qualsiasi tentazione di confusione e di disfattismo fa bene tornare a sentire lo spirito paterno di coloro che ci hanno preceduto e che anima queste Lettere. Loro ci insegnano a scegliere la consolazione nei momenti di maggiore desolazione.
Raccomando di leggerle e di pregare con esse. Queste Lettere sono — lo sono state per molti in alcuni momenti particolari — vera fonte di mitezza, coraggio e lucida speranza.
8 novembre 2018

Per vincere la desolazione. L’introduzione di padre Antonio Spadaro
Nel Natale 1987 p. Jorge Mario Bergoglio firma una breve prefazione a una raccolta di otto lettere di due Prepositi generali della Compagnia di Gesù. Sette sono del padre Generale Lorenzo Ricci, scritte tra il 1758 e il 1773, e una del padre Generale Jan Roothaan, del 1831. Esse ci parlano di una grande tribolazione: la soppressione della Compagnia di Gesù. Infatti, con il breve apostolico Dominus ac Redemptor (21 luglio 1773) papa Clemente XIV aveva deciso di sopprimere l’Ordine come risultato di una serie di mosse politiche. Successivamente, nell’agosto 1814, nella cappella della congregazione dei nobili a Roma, papa Pio VII fece leggere la bolla Sollicitudo omnium ecclesiarum, con la quale la Compagnia di Gesù veniva ricostituita a tutti gli effetti.
L’allora p. Bergoglio nel 1986 — concluso il periodo da provinciale e poi rettore del collegio Massimo e parroco a San Miguel — si trasferì in Germania per un anno di studio. Tornato quindi a Buenos Aires, continuò i suoi studi e insegnò Teologia pastorale. Intanto la Compagnia di Gesù preparava la LXVI Congregazione dei Procuratori, che si tenne dal 27 settembre al 5 ottobre 1987. La Provincia argentina elesse Bergoglio «procuratore», inviandolo a Roma con il compito di riferire sullo stato della Provincia, di discutere con gli altri procuratori eletti dalle varie Province sulle condizioni della Compagnia e di votare sull’opportunità di indire una Congregazione Generale dell’Ordine.
Proprio in questo contesto Bergoglio decise di meditare e riproporre quelle lettere dei padri Ricci e Roothaan, perché, a suo giudizio, rilevanti e di attualità per la Compagnia. E per questo scrisse un testo di prefazione, firmato tre mesi dopo, poco più di tremila parole, metà delle quali in nota.
Prima di pubblicare il tutto aveva parlato e discusso il suo stesso testo con p. Miguel Ángel Fiorito, padre spirituale, e di fatto maestro e guida di una generazione di gesuiti.
Riproponiamo oggi questo testo, divenuto di fatto introvabile e pubblicato per la prima volta in italiano da La Civiltà Cattolica. Presentiamo pure le lettere dei Prepositi generali alle quali il testo di Bergoglio fa riferimento, traducendole dal latino perla prima volta.
Francesco non ha mancato in questi anni di fare riferimento a queste lettere e alle sue stesse riflessioni di allora. Esse, ad esempio, pur senza riferimenti espliciti, hanno chiaramente costituito la spina dorsale della sua importante omelia alla celebrazione dei Vespri nella chiesa del Gesù, nel 2014, in occasione del 200° anniversario della ricostituzione della Compagnia di Gesù.
L’occasione più recente è stata la conversazione privata avuta con i gesuiti durante il suo viaggio in Perú. In questa occasione Francesco ha affermato che le lettere dei padri Ricci e Roothaan «sono una meraviglia di criteri di discernimento, di criteri di azione per non lasciarsi risucchiare dalla desolazione istituzionale».
Ha fatto riferimento esplicito a esse anche quando ha parlato a sacerdoti, religiosi, religiose, consacrati e seminaristi a Santiago del Cile, il 16 gennaio 2018. In quell’occasione ha invitato a trovare la strada da seguire «nei momenti in cui il polverone delle persecuzioni, delle tribolazioni, dei dubbi e così via, si alza per avvenimenti culturali e storici» e la tentazione è quella di «fermarsi a ruminare la desolazione».
Chiaramente Francesco voleva dire alla Chiesa del Cile una parola in tempo di smarrimento e di «vortice di conflitti». Così come — sempre facendo riferimento a tali lettere — in quell'occasione ha parlato proprio di Pietro. Con la domanda: «Mi ami tu?», Gesù intendeva liberare Pietro dal «non accettare con serenità le contraddizioni o le critiche. Voleva liberarlo dalla tristezza e specialmente dal malumore. Con quella domanda, Gesù invita Pietro ad ascoltare il proprio cuore e imparare a discernere». Insomma, Gesù vuole evitare che Pietro diventi un distruttore, un caritatevole menzognero o un perplesso paralizzato. Gesù insiste, finché Pietro non gli dà una risposta realistica: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene» (Giovanni 21, 17). Così Gesù lo conferma nella missione. E in questo modo Io fa diventare definitivamente suo apostolo.
Queste lettere e le riflessioni che le accompagnano sono rilevanti per capire come lo stesso Bergoglio senta di dover agire come successore di Pietro, cioè come Francesco.
Sono parole che egli dice oggi alla Chiesa, ripetendole innanzitutto a se stesso. E soprattutto sono parole che il Pontefice considera fondamentali oggi perché la Chiesa sia in grado di affrontare tempi di desolazione, di turbamento, di polemiche pretestuose e antievangeliche.
Quale il contesto delle «lettere della tribolazione» di oggi, proposte nella seconda parte di questo libro? Francesco, dopo il suo viaggio in Cile e Perú (15-22 gennaio 2018), rigettando la logica del «capro espiatorio», si è assunto in prima persona la responsabilità e la «vergogna» dello scandalo degli abusi su minori commessi da prelati in Cile, e della sua gestione. Con questo spirito, il Papa di ritorno a Roma ha costituito una commissione speciale, guidata da S.E. mons. Charles J. Scicluna, per ascoltare direttamente le testimonianze delle vittime e raccogliere documentazione.
A seguito della visita in Cile e della relazione di tale «missione speciale», papa Francesco, con una lettera datata 8 aprile 2018, ha convocato a Roma tutti i vescovi cileni «per dialogare sulle conclusioni della suddetta visita e sulle mie conclusioni». È proprio il breve scritto di trentun anni fa che ha generato questa nuova «lettera della tribolazione».
All’inizio dell’incontro, avvenuto effettivamente dal 15 al 17 maggio 2018, il Papa ha consegnato ai vescovi una nuova lettera di dieci pagine, di per sé non destinata alla divulgazione, ma resa poi nota dalla emittente cilena Tv 13. Noi ne offriamo qui una traduzione italiana curata da La Civiltà Cattolica.
Al termine dell’incontro Francesco ha consegnato ai vescovi un breve messaggio pubblico e ha loro affidato una lettera al «popolo di Dio pellegrino in Cile», qui presente in una traduzione italiana sempre a cura de La Civiltà Cattolica.
Chiude la seconda parte di questo libro la Lettera al popolo di Dio del 20 agosto 2018, pubblicata dopo la diffusione del rapporto sui casi di pedofilia nelle diocesi della Pennsylvania, negli Stati Uniti.
Lettere della tribolazione rappresenta un volume epistolare che si è formato nel tempo, generato nel confronto con situazioni difficili. Esso rivela molto di Francesco e del suo modo di affrontare il tempo della desolazione.
La lettura dei testi di Francesco è accompagnata da una solida guida alla lettura di due gesuiti: p. Diego Fares, de La Civiltà Cattolica, che conosce il Pontefice da molto tempo e che gli è stato accanto anche nei tempi di desolazione; e p. James Hanvey, dell’Università di Oxford, che ha scritto una acuta riflessione sulla Lettera al popolo di Dio circa gli abusi.
Ma lo stesso papa Francesco ha deciso di scrivere una sua prefazione a questo libro, per sottolineare il significato nel momento presente dei testi da lui proposti nell’ormai lontano 1987. «Sento che il Signore mi chiede di condividere di nuovo le Lettere», scrive. Conferma che le lettere dei padri Generali costituiscono un trattato di discernimento nei momenti di confusione e di angoscia ed esprime «lo spirito paterno di coloro che ci hanno preceduto e che [le] anima», invitandoci a cercare la consolazione.
Esse costituiscono così un tutt’uno con le altre cinque lettere scritte da Francesco oggi.
La prima idea di questa raccolta — sotto forma di ripubblicazione del libretto originale del 1987 — mi è venuta durante il volo di ritorno dal viaggio in Cile e Perú. Essa poi si è confermata alla luce delle «lettere della tribolazione» che il Pontefice ha scritto ai vescovi del Cile e al popolo di Dio. Essa ha preso corpo nel dialogo con p. Diego Fares, che ha composto gli apparati di commento, e ha infine ricevuto la sua approvazione finale dallo stesso Francesco l’8 novembre 2018, accompagnata dalla sua prefazione con la quale la offre non solo alla lettura, ma soprattutto alla preghiera.

La capacità di resistere al male. Di p. Diego Fares
Nelle Lettere della tribolazione Bergoglio trova alcuni rimedi per resistere a questo cattivo spirito senza restarne contagiati. In esse è contenuta la dottrina sulla tribolazione. «[Le lettere] costituiscono un trattato sulla tribolazione e sul modo di sopportarla».
Celebrando i Vespri nella chiesa del Gesù, il 27 settembre 2014, Francesco aveva detto: «Leggendo le lettere del p. Ricci, una cosa mi ha molto colpito: la sua capacità di non farsi imbrigliare da queste tentazioni e di proporre ai gesuiti, in tempo di tribolazione, una visione delle cose che li radicava ancora di più nella spiritualità della Compagnia».
Per contestualizzare tale scritto, aggiungiamo che la dottrina sul modo di sopportare le tentazioni e resistervi che Bergoglio espone nel breve prologo delle Lettere viene completata da altri due testi, formando così una trilogia: un testo antecedente, La acusación de si mismo, pubblicato per la prima volta nel 1984; e un altro, scritto nei primi mesi dopo il trasferimento alla Residenza di Córdoba, intitolato Silencio y palabra.
Anzitutto va detto che le Cartas non sono un’elaborazione astratta di criteri spirituali, ma piuttosto la fonte e il frutto di un atteggiamento che ha condotto un’intera istituzione — la Compagnia di Gesù — ad accettare la propria soppressione (che causò la morte di molti gesuiti) in obbedienza alla Chiesa, senza rendere male per male ad alcuno.
Questo atteggiamento paradigmatico di una «grande persecuzione» fornisce una cornice spirituale per affrontarne qualsiasi altra. Esso segue lo spirito della Prima lettera di Pietro di non meravigliarsi dell'incendio che si scatena (cfr. 1 Pietro 4, 12) quando c’è una persecuzione. L’atteggiamento è quello della Lettera agli Ebrei, che ricorda che non abbiamo «ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato» (Lettera agli Ebrei 12, 4).
Nell’atteggiamento di paternità spirituale di quei Prepositi generali della Compagnia di Gesù Bergoglio vede il rimedio più efficace al rischio che si cada nel vittimismo di esagerare le persecuzioni. La paternità che si impegna ad aver cura del grano e non strappa prematuramente la zizzania è rimedio che «protegge il corpo dalla disperazione e dallo sradicamento spirituale». Tuttavia, non lo fa frapponendosi a difesa dai colpi esterni, ma come il padre che aiuta i suoi figli ad «assumere un atteggiamento di discernimento» che permetta loro di difendersi da sé.
L’effetto più devastante dello «spirito di accanimento», che se la prende con la carne del più debole, si produce nel popolo fedele di Dio: ricade sui semplici e sui piccoli che, nel vedere questa ferocia scatenata contro i figli più deboli, e spesso contro i migliori, sperimentano l’abbandono, lo sconforto e il senso di sradicamento. Pertanto, l'atteggiamento paterno consiste nel prodigarsi affinché i piccoli non vengano scandalizzati. È stata questa la principale preoccupazione del Signore quando è giunta l’ora della sua Passione: pregare il Padre e far sì che i suoi non restassero scandalizzati.
I rimedi contro lo spirito di accanimento non cercano di «vincere il male con il male»: ciò significherebbe restare contagiati dalla sua dinamica. Puntano invece a rafforzare la nostra capacità di «resistere al male», trovando modi per sopportare la tribolazione senza venir meno. Questa resistenza al male è del tutto diversa da quell’altro tipo di resistenza, nei confronti dello Spirito, che il demonio pratica e provoca istigando all'accanimento. Vediamone le caratteristiche.
In alcuni casi la resistenza alla persecuzione consisterà nel «fuggire in Egitto», come fece san Giuseppe per salvare il Bambino e sua Madre: «Dobbiamo tenere sempre un “Egitto” a portata di mano — anche nel nostro cuore —, per umiliarci e autoesiliarci di fronte all'eccesso di un diffidente» che ci perseguita. Dunque, la prima resistenza consiste nel ritrarsi, nel non reagire attaccando o seguendo l’istinto di un’opposizione diretta. Il ricorso a questo luogo del cuore in cui ci si può sempre esiliare, quando ci insegue un qualche Erode, è fonte della pace che il Signore ha dato a Bergoglio quando questi ha capito che sarebbe stato eletto Papa. È stato lo stesso Pontefice a raccontarlo più di una volta, chiedendo preghiere affinché questa pace non gli venga mai tolta.
Tuttavia, in altri casi la resistenza consisterà nell’affrontare il cattivo spirito a viso aperto, dando testimonianza pubblica della verità con dolcezza e fermezza. Su questo punto Bergoglio-Francesco manifesta una grazia speciale, che è — per dirlo in modo semplice — quella di «far venir fuori il cattivo spirito», che così si rivela. Quando la tentazione si basa su una mezza verità, è molto difficile riuscire a fare luce e chiarire le cose per via intellettuale. «Come essere di aiuto in tali circostanze?», si domandava Bergoglio in Silenzio e parola. «Bisogna fare in modo che si manifesti lo spirito malvagio», e l’unico modo perché ciò avvenga è «fare posto» a Dio, perché Gesù è l’unico che può indurre il demonio a scoprirsi: «Esiste un solo modo per “fare posto” a Dio, e questo modo ce l’ha insegnato Lui stesso: l’umiliazione, la kenosis (Filippesi 2,5-11). Tacere, pregare, umiliarsi».
«Più che sulla “luce” — afferma Bergoglio —, bisogna puntare sul “tempo”. Mi spiego: la luce del Demonio è forte, però dura poco (come il flash di una macchina fotografica), mentre la luce di Dio è mite, umile, non si impone ma si offre, e dura molto. Bisogna saper aspettare, pregando e chiedendo l’intervento dello Spirito Santo, affinché passi il tempo di quella luce così forte».
Didascalia: Jacob Symonz Pynas, «Paolo e Barnaba a Listra» (XVII secolo)
nnLa paradossale beatitudine e l’esaltante itinerario di salvezza di coloro che sono tribolati
Dall’abisso all’aurora di una nuova era. Card. Gianfraco Ravasi
Per eleggere papa il figlio del medico di Sant’Angelo di Romagna, Giovan Vincenzo Antonio Ganganelli, ci vollero ben 185 scrutini. Alla fine questo francescano conventuale, primo pontefice di origine borghese e non popolare o aristocratica, saliva sulla cattedra di Pietro a 64 anni col nome di Clemente XIV. Era il 1769 e di lì a poco sarebbe stato l’artefice di un’opera che sarà continuata dal suo successore Pio IV, l’allestimento dell’imponente raccolta artistica greco-romana del Museo Vaticano Pio-Clementino. Quattro anni dopo, il 21 luglio 1773, malvolentieri e sotto forti pressioni politiche esterne soprattutto del re di Spagna, emetteva il “breve” Dominus ac Redemptor che lo rende una figura un po’ imbarazzante ai nostri giorni segnati da un papa gesuita: aboliva la Compagnia di Gesù. L’anno successivo, il 1774, moriva forse di cancro, e subito attorno alla sua salma aleggiava una leggenda nera double face: avvelenato dai gesuiti oppure punito da Dio per aver soppresso quell’Ordine? Egli ora incombe possente col braccio elevato e puntato verso un orizzonte lontano nel monumento funebre che Antonio Canova gli dedicò nella basilica dei Ss. Apostoli a Roma.
Vorremmo ora idealmente far risuonare la sua voce, considerandola un po’ come l’ideale vertice tematico dell’importante e per certi versi sorprendente sequenza delle Lettere della tribolazione. Evochiamo, infatti, le parole centrali di quel breve papale che cancellava un’istituzione ecclesiale così decisiva nella storia degli ultimi secoli: «Con ben maturo consiglio, di certa scienza, e con la pienezza dell’Apostolica Potestà, estinguiamo e sopprimiamo la più volte citata Società, e annulliamo ed aboliamo tutti e singoli gli uffici di essa, i ministeri e le amministrazioni, le case, le scuole, i collegi, gli ospizi, e qualunque altro luogo esistente in qualsivoglia provincia, regno, e signoria, e in qualunque modo appartenente alla medesima; i suoi statuti, costumi, consuetudini, decreti, costituzioni, quantunque corroborate da giuramento, da apostolica approvazione, o in altra guisa, e tutti e singoli i privilegi e gl’indulti generali o speciali […]».
«Quindi Noi dichiariamo che rimanga annullata in perpetuo ed assolutamente estinta tutta e qualunque autorità del Preposito generale, dei provinciali, dei visitatori e degli altri superiori di detta Società, tanto nelle cose spirituali che nelle temporali […] Con la presente proibiamo, che nessuno in avvenire sia ricevuto nella suddetta Società, ed ammesso alla vestizione e al noviziato [..] Vogliamo, comandiamo, ordiniamo che coloro che attualmente sono nel noviziato, subito, prontamente, immediatamente e di fatto siano licenziati; e in egual modo proibiamo che coloro che fecero la professione dei voti semplici, e che fin qui non sono stati promossi ad alcun ordine sacro, possano essere promossi agli stessi ordini maggiori» (Dominus ac Redemptor n. 25).
Bisognerà attendere il 7 agosto 1814 quando Papa Pio VII — il cesenate Barnaba Chiaramonti, eletto il 14 marzo 1800 dopo un conclave durato ben 104 giorni a Venezia — con la bolla Sollicitudo omnium porrà il suggello a questo lungo inverno della Compagnia di Gesù, durato 41 anni, per ricostituirla nella sua piena dignità e operosità. Il corpus centrale dell’opera che ora viene proposta accoglie otto lettere dei Prepositi generali che, in quell’arco storico travagliato e in quello immediatamente successivo, rivelano l’amarezza e le speranze della loro anima sotto il cielo cupo della “tribolazione”.
Sotto questo stesso cielo spesso ci ritroviamo, per ragioni diverse, anche nel presente. Si aggiungono, così, altre cinque lettere: a scriverle è Papa Francesco, che da semplice gesuita nel 1986 aveva curato l’edizione delle otto testimonianze del passato, per cui questo libro può essere considerato in un certo senso tutto suo nella forma più personale e diretta. Ora le nubi s’addensano sull’orizzonte stesso della Chiesa e vorticano attorno alla «ferita aperta, dolorosa e complessa della pedofilia» e alla lugubre «cultura dell’abuso». Permane, perciò, ancora viva e intatta quella parola riassuntiva ed emblematica, tribolazione. Ed è su di essa che noi desideriamo sostare perché appartiene alla stessa sorgente della nostra fede, la Parola di Dio, così come si è espressa nel Nuovo Testamento.
«Dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni» (Atti 14, 22). È questa, infatti, la confessione che già pronunciano Paolo e Barnaba dopo un loro tour missionario in una regione centrale dell’attuale Turchia ove l’Apostolo aveva subito anche un tentativo di lapidazione. Nel cuore di quella frase c’è appunto la parola che regge il titolo e sintetizza l’epistolario raccolto nel volume: è il termine greco thlípsis che nel Nuovo Testamento risuona ben 45 volte e che è di solito tradotto col nostro vocabolo “tribolazione”. Quest’ultimo curiosamente ha alla base il verbo “trebbiare”, usato in senso metaforico, perché è come essere straziati nel corpo e nello spirito da un erpice. Anche il parallelo greco rimanda al verbo thlíbô che significa “pigiare, calcare, premere”, proprio come accade agli acini d’uva pestati nel tino, così che coli come sangue il vino.
Possiamo, perciò, idealmente sovrapporre la “tribolazione” biblica a quella vissuta dai tanti testimoni-martiri dei secoli cristiani, tra i quali appunto i gesuiti di quelle lettere. Anzi, si potrebbe persino elaborare una teologia della tribolazione che ha in Cristo sia il modello, sia la meta da raggiungere, come si afferma in un celebre (e non sempre correttamente inteso) passo della Lettera ai Colossesi: «Sono lieto nelle tribolazioni che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (1, 24). Non è un completare la passione redentrice di Cristo che in sé è perfetta e piena, ma è un riprodurla nella propria vita attraverso un itinerario di sofferenze e di testimonianze che durerà per l’intera esistenza.
Infatti, ribadisce l’Apostolo ai cristiani di Roma, «se siamo figli, eredi di Dio e coeredi di Cristo, dobbiamo davvero prendere parte alle sue tribolazioni per partecipare alla sua gloria» (8, 17). È una «comunione con Cristo nelle tribolazioni», come ripeterà Paolo ai Filippesi (3, 10), con la certezza che «egli ci consola in ogni nostra tribolazione» (2 Corinzi 1, 4). Questa affermazione è una sorta di leit-motiv che echeggia in molti passi paolini e che è ricalcato nelle lettere qui raccolte. È per questo che si esalta la paradossale beatitudine del tribolato, perché «il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria» (2 Corinzi 4, 17). Infatti, «le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria futura», per cui «noi ci vantiamo nelle tribolazioni» (Romani 8, 18; 5, 3).
È noto che tutta la trama dell’esperienza dell’Apostolo e dei primi cristiani è costellata di sofferenze e persecuzioni, è persino striata di sangue. È ciò che già Gesù annunciava — sia pure in negativo — nella parabola del seme che cade nel terreno accidentato della storia: esso è il simbolo di coloro che sono «incostanti e che, al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della Parola, subito vengono meno» (Marco 4, 17). San Paolo, evocando il suo rapporto pastorale tormentato coi cristiani di Corinto (non ci sono solo le tribolazioni delle persecuzioni esterne ma anche i travagli interni), non esita a elencare un flusso ininterrotto, quasi litanico, di prove di ogni genere da lui subite nel suo impegno missionario (2 Corinzi 11). È convinto, infatti, che «siamo tribolati da ogni parte: battaglie all’esterno, timori all’interno» (7, 6).
E la tribolazione patita per il Vangelo è una sorta di vessillo di amore, come ancora dichiara ai Corinzi: «Vi ho scritto in un momento di grande tribolazione e col cuore angosciato, tra molte lacrime, perché conosciate l’amore che nutro particolarmente per voi» (2, 4). Tuttavia rimane insediata sempre nel cuore quella promessa che Gesù aveva fatto ai suoi discepoli nell’ultima sera della sua vita terrena nel Cenacolo: «Nel mondo avrete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!» (Giovanni 16, 33). Lo sguardo che il discepolo rivolge quando è attanagliato dalle prove è, perciò, proteso in avanti verso un orizzonte più alto, quello che i teologi definiscono come escatologico.
Cristo stesso l’aveva anticipato in un suo discorso, detto appunto “escatologico”, nel quale faceva balenare l’idea che nelle ultime battute della storia umana ci sarebbe stata una sorta di epifania ultima del Maligno, un estremo dibattersi del mostro del male. È la «grande tribolazione», la suprema prova finale che separerà giusti e ingiusti nei confronti del regno di Dio: «Vi sarà allora una tribolazione grande, quale non vi è mai stata dall’inizio del mondo fino ad ora, né mai più vi sarà… Subito dopo la tribolazione di quei giorni, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno  dal cielo e le potenze dei cieli  saranno sconvolte» (Matteo 24, 21.29). Si tratta di un segno, espresso col linguaggio della letteratura apocalittica di allora, che presenta la meta ultima della storia non come un abisso oscuro ma come il sorgere dell’aurora di una nuova era trascendente, che comprende il giudizio e la vittoria sul male.
In questa luce è emblematico il libro dell’Apocalisse. L’autore è consapevole che la Chiesa sta vivendo un tempo di “tribolazione” con la crisi interna delle varie comunità e con la persecuzione esterna dell’imperatore Domiziano. Eppure egli è altrettanto sicuro che essa durerà simbolicamente solo «dieci giorni» (2, 10), cioè sarà nel perimetro di un tempo storico limitato, in attesa di approdare all’eterno della Gerusalemme nuova e perfetta. Certo, quest’ultimo libro della Bibbia è legato alla concretezza di una Chiesa in crisi, ma la sua parola di speranza varca i confini delle difficoltà presenti per cercare il senso definitivo degli eventi umani e dell’intero essere. Il Cristo, raffigurato sotto il simbolo biblico dell’Agnello, vuole aprire e rendere leggibile, attraverso la sua «apocalisse-rivelazione», il rotolo sigillato della storia nel suo significato ultimo: più che rivolgersi alla fine del mondo, l’Apocalisse s’interroga sul fine del mondo e della storia.
Essa è, quindi, il libro del presente e del futuro, della tribolazione e della speranza, della paura e della gioia, del giudizio e della gloria, della Gerusalemme storica, che ospita anche la sanguinaria Babilonia, e della Gerusalemme nuova e santa. In un suo discorso-saggio sull’Apocalisse (1984) il regista russo Andrej Tarkovski, che sognava di poter realizzare un film su quest’opera biblica, dichiarava: «L’Apocalisse è forse la più grande creazione poetica che sia mai esistita sulla terra… Essa è, in ultima analisi, un racconto del nostro destino. Ma sarebbe sbagliato pensare che l’Apocalisse contenga soltanto l’idea della punizione. Forse la cosa più importante in essa contenuta è la speranza». Proprio per questo, come scriveva Victor Hugo, «ogni uomo ha in sé la sua Patmos. È libero di andare su questo spaventoso promontorio del pensiero da dove si percepiscono le tenebre», ma da dove si vede sorgere il sole dell’alba in un giorno che non conoscerà più la notte, in cui non ci sarà più bisogno di lucerne «perché il Signore Dio ci illuminerà e regneremo nei secoli dei secoli» (22, 5).
L'Osservatore Romano

sabato 26 gennaio 2019

PANAMA' 2019: INCONTRO DEI GIOVANI DEL CAMMINO NEOCATECUMENALE. LINK AL VIDEO.



COMUNICADO:
Hermanos:
Kiko se encontrará con los jóvenes que participan en la JMJ con el Papa Francisco en Panamá el próximo lunes 28 de enero a las 15:00 horas.

Será posible seguir este Encuentro directamente en el canal Oficial del Camino Neocatecumenal - Panamá 2019 en este enlace:


P.D. para los hermanos de otras naciones, verificar su huso horario.

**
COMUNICATO
Kiko si troverà con i giovani che partecipano alla gmg con papa Francesco a Panama il prossimo lunedì 28 gennaio alle ore 15:00 locali (verificare il fuso orario con le altre nazioni)
Sarà possibile seguire questo incontro direttamente sul canale ufficiale del cammino neocatecumenale - Panama 2019 a questo link:
https://www.youtube.com/channel/UCSG4IWHCr3uqaPshiO14nwg

**

RELEASE: Brothers: Kiko will meet the young people who participate in WYD with Pope Francis in Panama next Monday, January 28 at 3:00 p.m. It will be possible to follow this Meeting directly in the Official Channel of the Neocatechumenal Way - Panama 2019 in this link:

**
COMMUNIQUÉ:
Frères:

Kiko rencontrera les jeunes qui participeront aux JMJ avec le pape François à Panama le lundi 28 janvier à 15 heures.


Il sera possible de suivre cette réunion directement dans le canal officiel du Chemin néocatéchuménal - Panama 2019 dans ce lien:


https://www.youtube.com/channel/UCSG4IWHCr3uqaPshiO14nwg
**
COMUNICADO:
Irmãos:
Kiko se encontrará com os jovens que participam da JMJ com o Papa Francisco no Panamá na próxima segunda-feira, 28 de janeiro, às 15:00 

Será possível acompanhar esta Reunião diretamente no 
Canal Oficial do Caminho Neocatecumenal - Panamá 2019 neste link:
NEWS:
الإخوة:
ستلتقي كيكو بالشباب الذين يشاركون في WYD مع البابا فرانسيس في بنما الاثنين المقبل 28 يناير الساعة 3:00 بعد الظهر.

سيكون من الممكن متابعة هذا الاجتماع مباشرة في القناة الرسمية لطريق Neocatechumenal - بنما 2019 في هذا الرابط:


Kiko Arguello: Salmodia n.2 - "Esultanza del popolo redento"

giovedì 24 gennaio 2019

PANAMA' JMJ 2019 - Comunicado encuentro vocacional CNC


Risultati immagini per jmj panama camino neocatecumenal



Equipo de Organización del Encuentro Vocacional
Wed, 23 Jan 2019 18:25:00

Hermanos,

Ya se escuchan por las calles de nuestra ciudad los cantos y las risas de los jóvenes que van llegando a la Jornada Mundial de la Juventud.

•          El Encuentro Vocacional del Camino Neocatecumenal se realizará el día lunes 28 de enero de 2019 a las 2:00 pm
•          Lugar: Estadio Rommel Fernández (Puertas abren a las 10:00 am)
•          Seguridad: Por solicitud del la Policía Nacional debemos hacer un conteo de las personas que ingresan, para ello les hemos solicitado inscribirse en nuestra página, sólo podrán ingresar al estadio quienes porten en su muñeca la identificación que entregamos 

Quienes no se han inscrito por cualquier motivo les invitamos a hacerlo en cuanto sea posible visitando nuestra página web; www.panama2019cnc.com, botón naranja INSCRÍBETE.

Para entregar los cintillos se ha abierto una oficina a 500 metros del Estadio. Allí podrán acercarse de 8:00 a.m. a 5:00 p.m. (El horario se extenderá durante los días de la jornada)

           Datos de contacto en la oficina:
Teléfono +507 233 5314 whatsapp +507 6993 1833
correo electrónico: finanzas@panama2019cnc.com.
           Dirección de la Oficina:
Centro Neocatecumenal Siervo de Yahveh Local 10 y 11. Condominio Las Estaciones.
Ave José Agustín Arango. Campo Linbergh Panamá

Hay varias rutas de acceso, les pedimos leer con atención todas las indicaciones.

Los grupos que vienen con Cardenales u Obispos, Equipos Itinerantes de la Nación, rectores o vicerrectores del Seminario Redemptoris Mater; y no lo han notificado a la organización, les pedimos comunicarlo a: 

info@panama2019cnc.com.

martedì 22 gennaio 2019

Incontro dei giovani del Cammino Neocatecumenale con Kiko - GMG Toronto 2002




Vedi anche:

27 lug 2011 - Il Kerygma 12, Midland, GMG Toronto (Canada), 2002 ..... abbiamo davvero un solo unico problema con il Cammino Neocatecumenale.
28 nov 2018 - Catechesi di Carmen Hernandez - GMG Toronto 2002 · KIKO ARGUELLO: ANUNCIO DE ADVIENTO 2018. Integrale... Cardenal Mons. Ricardo ...

Más de 25.000 jóvenes del Camino Neocatecumenal participan en la JMJ de Panamá


Risultati immagini per jmj panama camino neocatecumenal
www.religionenlibertad.com, 22 enero 2019.

El Camino Neocatecumenal estará presente en la JMJ de Panamá. Desde hace unos días, jóvenes procedentes de diversas partes del mundo han comenzado a llegar a al país, y otros muchos lo harán estos días para encontrarse con el Papa Francisco.
Se espera que más de 25.000 jóvenes del Camino participen en los actos centrales y en el tradicional Encuentro Vocacional que el Camino celebrará el próximo lunes 28, como conclusión a esta JMJ.
Los jóvenes se encuentran peregrinando por diversos países de Centroamérica y ciudades del propio Panamá. Realizan por las calles auténticas “misiones populares” en las que anuncian el Evangelio, el Kerigma, es decir, la Buena Noticia, y dan su experiencia personal de su encuentro con Jesucristo. A su vez, cantan los cantos del Camino y danzan, invitando a todo el que lo desee a participar y unirse a ellos.
La mayor parte de estos jóvenes proceden de América, y en concreto de Centroamérica, de países con grandes índices de violencia y delincuencia. Allí, el Camino –vivido en pequeñas comunidades– ha ayudado y ayuda a tantos de ellos a hacer frente a esta situación. La escucha del Kerigma y la iniciación cristiana que es el Camino ayuda a los hermanos a permanecer en la fe y no desfallecer ante estas situaciones. La experiencia vivida en primera persona de perdón y salvación es la que estos días llevan y comparten en Panamá
A pesar de las dificultades que sufren, los jóvenes han respondido así a la llamada de Francisco, que a su vez quiere encontrar, sostener y apoyar a los jóvenes de Centroamérica cuyos sufrimientos conoce bien.
Más de 8.000 jóvenes de Centroamérica
Como no podría ser de otro modo, los más numerosos proceden de Centroamérica y el Caribe: más de 8.000 jóvenes. Desde Costa Rica se desplazarán 1.500, de Nicaragua 1.500, de El Salvador 1.046, de Honduras y Guatemala 1.500 y 244, respectivamente. Y de República Dominicana 250.
Del mismo Panamá asistirán unos 3.400. De las Antillas Holandesas acudirán unos 100.
Desde América del Sur participan 4.320. Desde Brasil lo harán 2.200 jóvenes. De Chile 500, Perú 250, Colombia 300 y Ecuador 700. De Argentina acudirán 120 peregrinos, de Venezuela 120 y de Bolivia 150.
De América del Norte cerca de 5.000. Desde Estados Unidos más de 4.000, de Puerto Rico 300. Desde México unos 400 y 40 de Canadá, entre otros.
Desde Oceanía acuden 300, en concreto 250 de Australia y el resto de Kiribati, un archipiélago ubicado en la zona central oeste del océano Pacífico.
De Europa acudirán 1.000 jóvenes. Unos 300 jóvenes lo harán desde Italia, y 760 desde España. Desde Portugal llegarán a Panamá 120 jóvenes. De Alemania 80, Islandia 14, Francia 40 y desde Polonia 250 jóvenes. A todos ellos hay que sumar otros miles que pertenecen al Camino y acuden a través de otros grupos.
Encuentro vocacional
Como es tradición en cada JMJ, el Camino celebrará un Encuentro Vocacional para recoger los frutos, tras la escucha de las numerosas palabras que el Santo Padre ofrecerá a los jóvenes estos días.
El equipo internacional del Camino, formado por Kiko Argüello, Ascensión Romero y el P. Mario Pezzi, será el encargado de guiar el encuentro. En el mismo participarán también cientos de catequistas itinerantes, presbíteros y familias en misión.
El Encuentro se celebrará el lunes 28 en el Estadio Rommel Fernández, el mismo en el que el Papa Francisco se reunirá con los voluntarios de la JMJ el día anterior antes de regresar a Roma. Por el momento, han confirmado su asistencia 5 cardenales y 19 obispos.
El Camino Neocatecumenal en Panamá
En Panamá hay 130 comunidades del Camino Neocatecumenal, la mayoría en Ciudad de Panamá, la capital, en 20 parroquias. De 8 diócesis con la que cuenta la Iglesia en Panamá, el Camino está presente en 7 de ellas. 
El Camino llegó al país en 1975 de la mano de los itinerantes Rino Rossi, Natividad Aramburú y el P. Emiliano Jiménez.
Desde 1990, el equipo responsable de la nación está formado por Javier Cuartero y Sandra Samperi, y desde el 2005 en el equipo está también el P. Miguel Chiner.