sabato 31 dicembre 2022

IL VERBO SI FECE CARNE.

 COMMENTO AL VANGELO DI OGGI, SABATO 31 DICEMBRE 2022,

SETTIMO GIORNO FRA L'OTTAVA DI NATALE. ATTUALIZZAZIONI ALLA LUCE DELLA MORTE DI BENEDETTO XVI LA CRISI DI FEDE NELLA CHIESA

venerdì 30 dicembre 2022

"Nulla è da uomini o da donne"

 COMMENTO AL VANGELO DI OGGI,

VENERDÌ 30 DICEMBRE 2022 SANTA FAMIGLIA DI GESÙ MARIA E GIUSEPPE – ANNO A – FESTA ATTUALIZZAZIONI

I CANTI DI NATALE: CAMPANA SOBRE CAMPANA

 


CAMPANA SOBRE CAMPANA Re La7 1. Campana sobre campana, Re y sobre campana una, La7 asómate a la ventana, Re verás al Niño en la cuna. Sol Re Belén, campanas de Belén, Sol Re que los ángeles tocan La7 Re ¿qué nuevas me traéis? Re Recogido su rebaño, La Mi La7 Re ¿a dónde vas pastorcito? Voy a llevar al portal La Mi La7 Re requesón, manteca y vino. Sol Re Belén, campanas de Belén, Sol Re que los ángeles tocan La7 Re ¿qué nuevas me traéis? Re La7 2. Campana sobre campana, Re y sobre campana dos, La7 asómate a la ventana, Re verás al Hijo de Dios. Sol Re Belén, campanas de Belén, Sol Re que los ángeles tocan La7 Re ¿qué nuevas me traéis? Re Caminando a media noche, La Mi La7 Re ¿dónde caminas pastor? Le llevo al Niño que nace, La Mi La7 Re como a Dios mi corazón. Sol Re Belén, campanas de Belén, Sol Re que los ángeles tocan La7 Re ¿qué nuevas me traéis?

I CANTI DI NATALE: TUTAINA

 



TUTAINA: PAROLE E ACCORDI RE Los pastores de Belén Vienen a adorar al niño SOL 5RE La virgen y san José RE Lo reciben con cariño. RE SOL Tutaina tuturuma, 5RE RE Tutaina tuturumaina 5SOL SOL Tutaina tuturuma, turuma, RE 5RE RE Tutaina tuturumaina. RE Tres reyes vienen también Con incienso mirra y oro SOL 5RE A ofrendar a dios su bien RE Con el más grande tesoro (bis) Coro... RE Vamos todos a cantar Con amor y alegría SOL 5RE Porque acaba de llegar RE De los cielos el Mesías Coro...

mercoledì 28 dicembre 2022

LA SOFFERENZA DEGLI INNOCENTI E LA SORTE DEGLI EMPI

 COMMENTO AL VANGELO DI OGGI, 28 DICEMBRE 2022, SANTI INNOCENTI, MARTIRI – FESTA.

LA STRAGE DEGLI INNOCENTI DI OGNI TEMPO. ATTUALIZZAZIONI

venerdì 23 dicembre 2022

TORNIAMO AL PADRE E TORNERANNO I FIGLI!

 COMMENTO AL VANGELO DI OVGGI, VENERDI 23 DICEMBRE 2022, FERIA VERSO NATALE

Lc 1,57-66 LA IMPOSIZIONE DEL NOME NELLA SCRITTURA ATTUALIZZAZIONI CANTO DEL SALMO 50 (MISERERE)

giovedì 22 dicembre 2022

Grandi cose ha fatto per me l'Onnipotente!

 Commento al Vangelo di oggi, giovedi 22 dicembre 2022, feria verso Natale

Il Magnificat Attalizzazioni canto: Maria, Santa Maria musica di Kiko Arguello

mercoledì 21 dicembre 2022

FELICE COME UN CALCIATORE DEL MONZA ALLA FERMATA DELL'AUTOBUS.

COMMENTO AL VANGELO DI OGGI, 21 DICEMBRE 2022, MERCOLEDI, FERIA MAGGIORE DI AVVENTO

LA VISITAZIONE: LA FRETTA DI MARIA ATTUALIZZAZIONI CANTO: "BENEDETTA SEI TU, MARIA!" Musica di Kiko Arguello

martedì 20 dicembre 2022

L' ANIMA CHE CANTA

 COMMENTO AL VANGELO DI OGGI, MARTEDI 20 DICEMBRE 2022, FERIA MAGGIORE DI AVVENTO

Lc 1,26-38
IL CONCEPIMENTO VERGINALE DI CRISTO ATTUALIZZAZIONI CANTO DEL MAGNIFICAT Musica di Kiko Arguello

lunedì 19 dicembre 2022

PER OPERA DELLO SPIRITO SANTO

 COMMENTO AI TESTI DELLA LITURGIA DI OGGI, LUNEDI 19 DICEMBRE 2022, FERIA PROPRIA DI AVVENTO

Lc 1,5-25 ATTUALIZZAZIONI CANTO: "AGNELLA DI DIO" Musica di Kiko Arguello

venerdì 9 dicembre 2022

LA PORTA DELLA SPERANZA - SECONDA PREDICA DI AVVENTO 2022

 


DI S. EM.ZA REV.MA CARD. RANIERO CANTALAMESSA OFMCAPP.
09 DICEMBRE 2022

In attesa della beata speranza

“Sollevate, porte, i vostri frontali, apritevi, porte antiche, ed entri il re della gloria” (Sal 24, 7). Abbiamo preso questo versetto del salmo come filo conduttore delle meditazioni di Avvento, intendendo per le porte da aprire quelle delle virtù teologali: fede, speranza e carità. Il tempio di Gerusalemme –leggiamo negli Atti degli apostoli – aveva una porta chiamata “la Porta Bella” (At 3, 2). Il tempio di Dio che è il nostro cuore ha anch’esso una porta “bella”, ed è la porta della speranza. È questa la porta che oggi vogliamo cercare di aprire a Cristo che viene.
Qual è l’oggetto proprio della “beata speranza”, di cui a ogni Messa proclamiamo di essere “in attesa”? Per renderci conto della novità assoluta recata da Cristo in questo campo, bisogna collocare la rivelazione evangelica sullo sfondo delle credenze antiche sull’aldilà.
Su questo punto, anche l’Antico Testamento non aveva alcuna risposta da dare. È risaputo che solo verso la fine di esso si ha qualche affermazione esplicita su una vita dopo la morte. Prima di allora, la credenza d’Israele non differiva da quella dei popoli vicini, specialmente di quelli della Mesopotamia. La morte pone fine per sempre alla vita; si finisce tutti, buoni e cattivi, in una specie di lugubre “fossa comune” che altrove si chiama Arallu e nella Bibbia lo Sheol. Non diversa è la credenza dominante nel mondo greco-romano contemporaneo del Nuovo Testamento. Esso chiama quel triste luogo di ombre Inferi, o Ade.
La cosa grande che distingue Israele da tutti gli altri popoli è che esso ha continuato, nonostante tutto, a credere nella bontà e nell’amore del suo Dio. Non ha attribuito la morte, come facevano i babilonesi, all’invidia della divinità che riserva solo per sé l’immortalità, ma piuttosto al peccato dell’uomo (Gen 3), o semplicemente alla propria natura mortale. In certi momenti, l’uomo biblico non ha taciuto, è vero, il proprio sconcerto di fronte a una sorte che sembrava non fare alcuna distinzione tra giusti e peccatori. Mai, tuttavia, Israele è giunto alla ribellione. In alcuni oranti biblici, esso sembra essersi spinto fino a desiderare e intravvedere la possibilità di un rapporto con Dio oltre la morte: un essere “strappato dagli inferi” (Sal 49,16), “stare con Dio sempre” (Sal 73, 23) e “saziarsi di gioia alla sua presenza” (Sal 16, 11).
Quando, verso la fine dell’Antico Testamento, questa attesa, maturata nel sottosuolo dell’anima biblica, verrà finalmente alla luce, non si esprime, alla maniera dei filosofi greci, come sopravvivenza dell’anima immortale che, liberata dal corpo, torna al mondo celeste da cui proviene. In armonia con la concezione biblica dell’uomo, come unità inseparabile di anima e corpo, la sopravvivenza consiste nella risurrezione – corpo e anima – dalla morte (Dan 12, 2-3; 2 Macc 7, 9).
Gesù ha portato, di colpo, al suo meriggio questa certezza e – quello che più conta – dopo averla annunciata in parabole e detti (come quello in risposta ai Sadducei sulla donna moglie di sette mariti: Mt 22,30) – ne ha dato la prova irrefutabile risorgendo lui stesso da morte. Dopo di lui, per il credente, la morte non è più un atterraggio, ma un decollo!
Il dono più bello e l’eredità più preziosa che la regina d’Inghilterra Elisabetta II, ha lasciato alla sua nazione e al mondo, dopo 70 anni di regno, è stata la sua speranza cristiana nella risurrezione dei morti. Nel rito funebre, seguito dal vivo da quasi tutti i potenti della terra e, per televisione, da centinaia di milioni di persone, furono proclamate, per sua espressa volontà, nella prima lettura, le seguenti parole di Paolo:
La morte è stata inghiottita nella vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione? Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la Legge. Siano rese grazie a Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo (1 Cor 15, 54-57)
E, nel Vangelo, sempre per sua volontà, le parole di Gesù:
Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore… Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. (Gv 14, 2-3)

La speranza, virtù operativa

Proprio perché siamo ancora immersi nel tempo e nello spazio, ci mancano le categorie necessarie per rappresentarci in che cosa consista questa “vita eterna” con Dio. È come tentare di spiegare cos’è la luce a uno che è nato cieco. San Paolo si limita a dire:
Si semina ignobile e risorge glorioso,
si semina debole e risorge pieno di forza;
si semina un corpo animale,
risorge corpo spirituale (1 Cor 15, 43-44).
Ad alcuni mistici è stato dato di sperimentare, fin da questa vita, qualche goccia dell’oceano infinito di gioia che Dio tiene preparato per i suoi; ma tutti unanimemente affermano che non se ne può dire nulla con parole umane. Il primo di essi è lui stesso, l’apostolo Paolo. Egli confida ai Corinzi, di essere stato rapito, quattordici anni prima, al “terzo cielo”, in paradiso, e di aver udito “parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunciare”. (2 Cor 12, 2-4). Il ricordo che quella esperienza ha lasciato in lui è percepibile in ciò che scrive in altra occasione:
Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano (1 Cor 2,9).

Ma lasciamo da parte quello che sarà nell’aldilà (su cui possiamo dire così poco) e veniamo invece all’oggi della nostra vita. Riflettere sulla speranza cristiana significa riflettere sul senso ultimo della nostra esistenza. Una cosa è comune a tutti, a questo proposito: l’anelito e vivere “bene”. Appena però si cerca di capire cosa si intende per “bene”, si prospettano subito due classi di persone: quelle che pensano solo al bene materiale e personale e quelle che pensano anche al bene morale e di tutti, il cosiddetto “bene comune”.

Riguardo ai primi, il mondo non è cambiato molto dal tempo di Isaia e di san Paolo. Entrambi riportano il detto che correva ai loro tempi: “Mangiamo e beviamo perché domani moriremo” (Is 22, 13; 1 Cor 15, 32). Più interessante è cercare di capire quelli che si propongono –almeno come ideale – di “vivere bene” non solo materialmente e individualmente, ma anche moralmente e insieme con gli altri. Esistono dei siti in internet in cui si intervistano persone anziane su come, giunte al tramonto, valutano la vita che hanno vissuto. Sono, in genere, uomini e donne che hanno vissuto una vita ricca e dignitosa, a servizio della famiglia, della cultura e della società, ma senza alcun riferimento religioso. È patetico il tentativo di far credere che si è felici di aver vissuto così. La tristezza di aver vissuto – e fra breve non vivere più! -, nascosta dalle parole, gridava dagli occhi.
Sant’Agostino ha espresso il nocciolo del problema: “A che serve vivere bene, se non è dato vivere sempre?” . Prima di lui, Gesú aveva detto: “Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la sua vita?” (Lc 9, 25). Ecco dove si inserisce – e in che cosa differisce – la risposta della speranza teologale. Essa ci assicura che Dio ci ha creati per la vita, non per la morte; che Gesú è venuto a rivelarci la vita eterna e darcene la garanzia con la sua risurrezione.
Una cosa si deve sottolineare per non cadere in un pericoloso equivoco. Vivere “sempre” non si oppone al vivere “bene”. La speranza della vita eterna è ciò che rende bella, o almeno accettabile, anche la vita presente. Tutti, in questa vita, abbiamo la nostra parte di croce, credenti e non credenti. Ma una cosa è soffrire senza sapere a che scopo, e un’altra soffrire sapendo che “le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi” (Rom 8, 18).

Rendere ragione della speranza

La speranza teologale ha un ruolo importante da svolgere nei confronti della evangelizzazione. Uno dei fattori determinanti del rapido diffondersi della fede, nei primordi del cristianesimo, fu l’annuncio cristiano di una vita dopo la morte infinitamente più piena e più gioiosa di quella terrena.

L’imperatore Adriano si era costruito in varie parti del mondo ville spettacolari e si era preparato come mausoleo quello che è ora Castel Sant’Angelo, a due passi da qui. Vicino alla morte scrisse una specie di epitaffio per la sua tomba. Parlando alla sua anima, la esortava, in esso, a dare un ultimo sguardo alle bellezze e agli svaghi di questo mondo, perché –diceva – stai per scendere “in luoghi incolori, ardui e spogli” . L’Ade! Si può immaginare lo shock spirituale che doveva provocare, in un’atmosfera come questa, l’annuncio di una vita infinitamente più piena e più luminosa di quella che si lasciava con la morte. Si spiega così perché l’idea e i simboli della vita eterna sono tanto frequenti nelle sepolture cristiane delle catacombe.

Nella Prima lettera di san Pietro, l’attività della Chiesa all’esterno, cioè la propagazione del messaggio, è presentata come un “rendere ragione della speranza”: “Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi”. (1Pt 3, 15-16). Leggendo i racconti successivi alla Pasqua, si ha la sensazione che la Chiesa nasce da un moto di “speranza viva” (1Pt 1,3) e con questa speranza mossero alla conquista del mondo:

Anche oggi abbiamo bisogno di una rigenerazione della speranza se vogliamo intraprendere una nuova evangelizzazione. Non si fa nulla senza speranza. Gli uomini vanno là dove si respira aria di speranza e fuggono dove non avvertono la presenza di essa. La speranza è quella che dà il coraggio ai giovani di formarsi una famiglia o di seguire una vocazione religiosa e sacerdotale, che li tiene lontani dalla droga e da altri simili cedimenti alla disperazione.

La lettera agli Ebrei paragona la speranza a un’àncora: “In essa abbiamo come un’àncora della nostra vita, sicura e salda” (Eb 6, 18-19). Sicura e salda perché gettata nell’eternità. Ma abbiamo anche un’altra immagine della speranza,in certo senso opposta: la vela. Se l’àncora è ciò che dà alla barca la sicurezza e la tiene ferma tra l’ondeggiare del mare, la vela è invece ciò che la fa camminare, e avanzare nel mare. Entrambe queste cose fa la speranza con la barca della Chiesa.

Rispetto al passato, noi siamo oggi in una situazione di vantaggio nei confronti della speranza. Non dobbiamo più passare il nostro tempo a difendere la speranza cristiana dagli attacchi esterni; possiamo quindi fare la cosa più utile e fruttuosa che è quella di proclamarla, di offrirla e di irradiarla nel mondo. Fare della speranza un discorso non tanto apologetico, quanto piuttosto kerigmatico.

Diamo uno sguardo a cosa è successo a proposito della speranza cristiana da oltre un secolo a questa parte. Dapprima c’è stato l’attacco frontale contro di essa da parte di uomini come Feuerbach, Marx, Nietzsche. La speranza cristiana è stata, in molti casi, l’obiettivo diretto della loro critica. Vita eterna, aldilà, paradiso: tutte queste cose venivano viste come la proiezione illusoria dei desideri e bisogni inappagati dell’uomo in questo mondo, come uno “sprecare in cielo i tesori destinati alla terra”. I cristiani cercavano di difendere il contenuto della speranza cristiana, spesso con malcelato disagio. La speranza cristiana era “in minoranza”. Si parlava e si predicava raramente di vita eterna.

Se non che dopo aver demolito la speranza cristiana, la cultura atea marxista non tardò ad accorgersi che non si potevano lasciare le persone umane senza speranza. Ed ecco che inventò il “Principio speranza” . Con esso la cultura marxista non pretendeva di aver demolito la speranza cristiana, ma, peggio, di essere andato al di là di essa e di esserne il legittimo erede. Per l’autore del “Principio speranza” (principio, si badi bene, non virtù) è certo che la speranza è vitale per l’uomo. Essa è reale e ha uno sbocco che è “la rivelazione dell’uomo nascosto”, cioè delle possibilità ancora latenti dell’umanità. La manifestazione del Figlio dell’uomo, Cristo, è sostituita dalla manifestazione dell’uomo nascosto, la parusia è rimpiazzata dall’utopia.

Per un paio di decenni, ricordo, non si parlava d’altro nelle università e a molti cristiani non pareva vero che ci fosse qualcuno, dall’altra sponda, che accettava di prendere sul serio la speranza e di instaurare un dialogo. Tanto più che il rovesciamento era così sottile e il linguaggio spesso simile. La patria celeste diveniva la “patria dell’identità”; non il posto dove l’uomo vede finalmente, faccia a faccia, Dio, ma dove vede il vero uomo, nel quale si ha ormai l’identità perfetta tra ciò che può essere e ciò che è. La cosiddetta “teologia della speranza” è nata in risposta a questa sfida, accettandone, purtroppo, a volte, l’impostazione. La cosa che meno si avverte in tutti questi scritti è proprio quello che Pietro chiama la “speranza viva” (1 Pt ,1,3), il fremito della speranza. Non vita, ma ideologia.

Ora, dicevo, la situazione in parte è cambiata. Il compito che abbiamo davanti, nei confronti della speranza, non è più quello di difenderla e di giustificarla filosoficamente e teologicamente, ma di annunciarla, di mostrarla e di donarla a un mondo che ha perso il senso della speranza e sprofonda sempre più in un pessimismo e nichilismo che è il vero “buco nero” dell’universo.

Gaudium et spes

Un modo di rendere attiva e contagiosa la speranza è quello formulato da san Paolo quando dice che “la carità tutto spera” (1 Cor 13,7). Questo vale non solo per la singola persona, ma anche per l’insieme della Chiesa. La Chiesa tutto spera, tutto crede, tutto sopporta. Essa non può limitarsi a denunciare le possibilità di male che ci sono nel mondo e nella società. Non si deve certamente trascurare il timore del castigo e dell’inferno e cessare dal mettere in guardia le persone dalle possibilità di male che un’azione o una situazione comporta, come le ferite arrecate all’ambiente. L’esperienza però dimostra che si ottiene di più per via positiva, insistendo sulle possibilità di bene; in termini evangelici, predicando la misericordia. Mai forse il mondo moderno si è mostrato così ben disposto verso la Chiesa e così interessato al suo messaggio, come negli anni del Concilio. E il motivo principale è che il Concilio dava speranza.

Ma in questo modo, non ci si espone – si dice – ad essere delusi e a sembrare ingenui? Questa è la grande tentazione contro la speranza, suggerita dalla prudenza umana, o dalla paura di essere smentiti dai fatti ed è quello che sta capitando in parte anche nei confronti del Concilio. Come se l’aver osato parlare di “gioia e speranza” (gaudium et spes) fosse stata un’ingenuità di cui ci si debba perfino un po’ vergognare. È quello che molti pensarono di Papa Giovanni al suo annuncio del Concilio.

Dobbiamo riprendere il moto di speranza avviato dal Concilio. L’eternità è una misura molto larga; ci permette di sperare di tutti, di non abbandonare nessuno senza speranza. L’Apostolo dava ai cristiani di Roma la consegna di abbondare nella speranza. “Il Dio della speranza -scriveva – vi riempia di ogni gioia e pace nella fede, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo (Rom 15, 13).

La Chiesa non può fare al mondo dono migliore che dargli speranza, non speranze umane, effimere, economiche o politiche, sulle quali essa non ha competenza specifica, ma speranza pura e semplice, quella che anche, senza saperlo, ha per orizzonte l’eternità e per garante Gesù Cristo e la sua resurrezione. Sarà poi questa speranza teologale a fare da molla a tutte le altre legittime speranze umane. Chi ha visto un medico visitare un ammalato grave, sa che il sollievo più grande che gli può procurare, migliore di tutte le medicine, è dirgli: “Il medico spera; ha buone speranze per te!”.

La speranza, così intesa, trasforma tutto ciò che tocca. Il suo effetto è descritto meravigliosamente in questo brano di Isaia:

Anche i giovani faticano e si stancano,
gli adulti inciampano e cadono;
ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza,
mettono ali come aquile,
corrono senza affannarsi,
camminano senza stancarsi (Is 40, 30-31).
Dio non promette di togliere i motivi di stanchezza e di spossatezza, ma dona speranza. La situazione resta in sé quella che era, ma la speranza dà la forza di elevarsi al di sopra di essa. Nell’Apocalisse si legge che “quando il drago si vide precipitato sulla terra, si avventò contro la donna che aveva partorito il figlio maschio. Ma furono date alla donna le due ali della grande aquila, per volare nel deserto verso il rifugio preparato per lei” (Ap 12, 13-14). L’immagine delle ali dell’aquila si ispira chiaramente al testo di Isaia. Si viene perciò a dire che alla Chiesa intera sono state date le grandi ali della speranza, perché con esse possa, ogni volta, sfuggire agli attacchi del male, superare di slancio le difficoltà.

“Alzati e cammina!”

La porta del tempio detta “la Bella” è nota per il miracolo che avvenne presso di essa. Uno storpio giaceva davanti ad essa per chiedere l’elemosina. Un giorno passarono di lì Pietro e Giovanni e sappiamo cosa accadde. Lo storpio, guarito, balzò in piedi e finalmente dopo chissà quanti anni che giaceva lì abbandonato, varcò anche lui quella porta ed entrò nel tempio, si legge, “saltando e lodando Dio” (At 3, 1-9).
Qualcosa del genere potrebbe capitare anche a noi nei confronti della speranza. Anche noi ci troviamo spesso, spiritualmente, nella posizione dello storpio sulla soglia del tempio: inerti, tiepidi, come paralizzati davanti alle difficoltà. Ma ecco che la divina speranza ci passa accanto, portata dalla parola di Dio, e dice anche a noi, come Pietro allo storpio: “Alzati e cammina!” E noi balziamo in piedi e entriamo finalmente dentro, nel vivo della Chiesa, pronti ad assumerci, di nuovo e gioiosamente, compiti e responsabilità. Sono i miracoli quotidiani della speranza. Essa è davvero una grande taumaturga, una grande operatrice di miracoli; rimette in piedi migliaia di storpi, migliaia di volte.
Oltre che per l’evangelizzazione, la speranza ci è di aiuto nel nostro cammino personale di santificazione. Essa diviene, in chi la esercita, il principio del progresso spirituale. Permette di scoprire sempre nuove “possibilità di bene”, sempre qualcosa che si può fare. Non lascia che ci si adagi nella tiepidezza e nell’accidia. Quando sei tentato di dire a te stesso: “Non c’è più nulla da fare”, ecco che la speranza si fa avanti e ti dice: “Prega!”. Tu rispondi: “Ma ho pregato!” ed essa: “Prega ancora!”. E anche quando la situazione dovesse diventare dura all’estremo e tale da sembrare che non c’è proprio più nulla da fare, ecco che la speranza ti addita ancora un compito: sopportare fino alla fine e non perdere la pazienza, unendoti a Cristo sulla croce. L’Apostolo, abbiamo sentito, raccomanda di “abbondare nella speranza”, ma aggiunge subito come questo diventa possibile: “per virtù dello Spirito Santo”. Non per i nostri sforzi.
Il Natale può essere l’occasione per un sussulto di speranza. Il grande poeta moderno delle virtù teologali, Charles Péguy, ha scritto che Fede, Speranza e Carità sono tre sorelle, due grandi e una piccina. Vanno per la strada tenendosi per mano: le due grandi, Fede e Carità, ai lati e la bambina Speranza al centro. Tutti, vedendole, pensano che sono le due grandi che trascinano la piccina al centro. Si sbagliano! È lei che trascina tutto . Perché se viene a mancare la speranza, tutto si ferma.
Se vogliamo dare un nome proprio a questa bambina, non possiamo che chiamarla Maria, colei che quaggiù – dice l’altro grande poeta delle virtù teologali, Dante Alighieri – “intra i mortali”, è “di speranza fontana vivace” .

1.Agostino, Trattati sul Vangelo di Giovanni, 45, 2 (Quid prodest bene vivere si non datur semper vivere?)
2.Cit. in M. Yourcenar, Memorie di Adriano, tr. it. L. Storoni Mazzolani, Einaudi, Torino 1988.
3.Cf. Ernst Bloch, Il principio speranza, 3 voll., Berlino 1954-1959.
4.Cf. Ch. Péguy, Le porche de la deuxième vertu, Œuvres poétiques complètes, Gallimard, Paris 1975, pp. 534-539.
5.Dante Alighieri, Paradiso XXXIII, 12.

mercoledì 7 dicembre 2022

Felicità è Netflix.

 Commento al Vangelo di oggi, 7 dicembre 2022, festa liturgica di sant'Ambrogio

Venite a me, voi tutti che siete stanchi. Attualizzazioni Rif. al 56° Rapporto Censis

lunedì 5 dicembre 2022

Il "Proprio" di Dio

 Commento al Vangelo di oggi, 5 dicembre 2022, lunedi della 2 settimana di Avvento: Lc 5,17-26

Attualizzazioni Citazioni da: a) Kiko Arguello, Annuncio di Avvento 2022 b) Luigi Giusssani, "Dalla liturgia vissuta una testimonianza - Appunti da conversazioni comunitarie" , Jaca Book, MIlano, 1973

venerdì 2 dicembre 2022

LA PORTA DELLA FEDE - PRIMA PREDICA DI AVVENTO 2022

 

LA PORTA DELLA FEDE  -  PRIMA PREDICA DI AVVENTO

2 DICEMBRE 2022

DI S.E.REV.MA CARD. RANIERO CANTALAMESSA OFMCAPP.

Santo Padre, Reverendi Padri, fratelli e sorelle della Curia, 

...mi sono chiesto più volte quale sia il senso e l’utilità di queste prediche in Avvento e in Quaresima che interrompono o ritardano impegni di tutt’altro genere e importanza. Quello che mi incoraggia e mi toglie lo scrupolo di farvi perdere tempo è la convinzione che non si viene a queste prediche per ascoltare opinioni o soluzioni ai problemi ecclesiali del momento, ma per attingere forza dalle verità di fede e così affrontare nello spirito giusto tutti i problemi. Per fare, insomma, un bagno –o almeno una rinfrescata – di fede, di speranza e di carità.
Così ho pensato di scegliere come tema di queste tre prediche di Avvento proprio le tre virtù teologali. Fede, speranza e carità sono l’oro, l’incenso e la mirra che noi, Magi di oggi, vogliamo recare in dono a Dio che “viene a visitarci dall’alto”. Facendo tesoro della tradizione antica – patristica e medievale – sulle virtù teologali, tenterò – per quanto è possibile farlo in tre brevi meditazioni – un approccio anche moderno ed esistenziale, che risponda cioè alle sfide, agli arricchimenti e, a volte, ai surrogati proposti dall’uomo d’oggi alle virtù teologali del cristianesimo.
* * *
Nella preghiera cristiana ha avuto sempre grande risonanza il salmo che – nella versione della liturgia – dice:
Sollevate, porte, i vostri frontali,
alzatevi, porte antiche,
ed entri il re della gloria.
Chi è questo re della gloria?
Il Signore degli eserciti è il re della gloria! (Sal 24, 7-8).

Nell’interpretazione spirituale dei Padri e della liturgia, le porte di cui si parla nel salmo sono quelle del cuore umano: “Beato colui alla cui porta bussa Cristo”, commentava sant’Ambrogio. “La nostra porta è la fede…Se vorrai alzare le porte della tua fede, entrerà da te il re della gloria” . San Giovanni Paolo II fece, delle parole del salmo, il manifesto del suo pontificato. “Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!”, gridò al mondo, il giorno della inaugurazione del suo ministero.
La grande porta che l’uomo può aprire, o chiudere, a Cristo è una sola e si chiama libertà. Essa, però, si apre secondo tre modalità diverse, o secondo tre tipi diversi di decisione che possiamo considerare come altrettante porte: la fede, la speranza e la carità. Sono, queste, delle porte tutte speciali: si aprono da dentro e da fuori nello stesso tempo: con due chiavi, di cui una è in mano all’uomo, l’altra a Dio. L’uomo non può aprirle senza il concorso di Dio e Dio non vuole aprirle senza il concorso dell’uomo.

Cristo, origine e compimento della fede

Iniziamo dunque la nostra riflessione dalla prima delle tre porte: la fede. Dio – si legge negli Atti degli apostoli – “aveva aperto ai pagani la porta della fede” (At 14, 27). Dio apre la porta della fede in quanto dà la possibilità di credere inviando chi predica la buona novella; l’uomo apre la porta della fede accogliendo questa possibilità.
Con la venuta di Cristo, si registra, a proposito della fede, un salto di qualità. Non nella natura di essa, ma nel suo contenuto. Ora non si tratta più di una generica fede in Dio, ma della fede in Cristo nato, morto e risorto per noi. La Lettera agli Ebrei fa un lungo elenco di credenti: “Per fede Abele… Per fede Abramo…Per fede Isacco…Per fede Giacobbe…Per fede Mosé…” Ma conclude dicendo: “Tutti costoro, pur essendo approvati a causa della loro fede, non ottennero ciò che era stato loro promesso” (Eb 11, 39). Che cosa mancava? Mancava Gesú, cioè colui che –dice la stessa Lettera – “dà origine alla fede e la porta a compimento” (Eb 12, 2).
La fede cristiana non consiste dunque soltanto nel credere in Dio; consiste nel credere anche in colui che Dio ha mandato. Quando, prima di compiere un miracolo, Gesù domanda: “Credi tu?” e, dopo averlo compiuto, afferma: “La tua fede ti ha salvato”, non si riferisce a una generica fede in Dio (questa era scontata in ogni israelita); si riferisce alla fede in lui, nel potere divino a lui concesso.
Questa è ormai la fede che giustifica l’empio, la fede che fa rinascere a vita nuova. Essa si colloca al termine di un processo di cui san Paolo, nel capitolo 10 della Lettera ai Romani, traccia, quasi visivamente, le varie fasi disegnandole sulla mappa del corpo umano. Tutto comincia, dice, dalle orecchie, dall’udire l’annuncio del Vangelo: “La fede viene dall’ascolto”, fides ex auditu. Dalle orecchie, il movimento passa al cuore, dove si prende la decisione fondamentale: corde creditur, “con il cuore si crede”. Dal cuore, il movimento risale alla bocca: “con la bocca si fa la professione di fede”: ore fit confessio.
Il processo non finisce qui, ma – dalle orecchie, dal cuore e dalla bocca – esso passa alle mani. Sì, perché “la fede diventa operativa nella carità”, dice l’Apostolo (Gal 5,6). San Giacomo può stare tranquillo. C’è posto anche per le “opere”: non però prima, ma dopo (logicamente se non cronologicamente) la fede. “Non si perviene alla fede – dice san Gregorio Magno – partendo dalle virtù, ma alle virtù partendo dalla fede” .
Sorge, a questo punto, una domanda di grande attualità. Se la fede che salva è la fede in Cristo, che pensare di tutti quelli che non hanno alcuna possibilità di credere in lui? Viviamo in una società, anche religiosamente, pluralistica. Le nostre teologie – Orientale e Occidentale, Cattolica e Protestante allo stesso modo – si sono sviluppate in un mondo dove esisteva in pratica soltanto il cristianesimo. Si era, bensì, a conoscenza dell’esistenza di altre religioni, ma esse erano considerate false in partenza, o non erano prese affatto in considerazione. A parte il diverso modo di intendere la Chiesa, tutti i cristiani condividevano l’assioma tradizionale: “Fuori della Chiesa non c’è salvezza”: Extra Ecclesiam nulla salus.

Oggi non è più così. Da qualche tempo è in atto un dialogo tra le religioni, basato sul reciproco rispetto e sul riconoscimento dei valori presenti in ognuna di esse. Nella Chiesa Cattolica, il punto di partenza è stata la dichiarazione “Nostra aetate” del Concilio Vaticano II, ma un orientamento analogo è condiviso da tutte le Chiese storiche cristiane. Con questo riconoscimento si è andata affermando la convinzione che anche persone al di fuori della Chiesa possono salvarsi.
È possibile, in questa nuova prospettiva, mantenere il ruolo finora attribuito alla fede “esplicita” in Cristo? L’antico assioma: “fuori della Chiesa non c’è salvezza” non finirebbe per sopravvivere, in questo caso, nell’assioma: “fuori della fede non c’è salvezza”? In alcuni ambienti cristiani, quest’ultima è, di fatto, la dottrina dominante ed è essa che motiva l’impegno missionario. In questo modo, però, la salvezza viene ad essere limitata in partenza a una minoranza esigua di persone.

Ciò non solo non può lasciare tranquilli noi, ma fa torto prima di tutto a Cristo, sottraendogli gran parte dell’umanità. Non si può credere che Gesú è Dio, e limitare poi la sua rilevanza di fatto a un solo ristretto settore di essa. Gesú è “il salvatore del mondo” (Gv 4, 42); il Padre ha mandato il Figlio “perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3,17): il mondo, non alcuni pochi nel mondo!

Cerchiamo di trovare una risposta nella Scrittura. Essa afferma che chi non ha conosciuto Cristo, ma agisce in base alla propria coscienza (Rm 2, 14-15) e fa del bene al prossimo (Mt 25, 3 ss.) è accetto a Dio. Negli Atti degli apostoli ascoltiamo, dalla bocca di Pietro, questa solenne dichiarazione: “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga” (At 10, 34-35).

Anche gli aderenti ad altre religioni credono, in genere, che “Dio esiste e che ricompensa coloro che lo cercano” (Eb 11, 6); realizzano, perciò, quello che la Scrittura considera il dato fondamentale e comune di ogni fede. Questo vale, naturalmente, in modo tutto speciale, per i fratelli Ebrei che credono nello stesso Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe in cui crediamo noi cristiani.

Il motivo principale del nostro ottimismo non si basa, tuttavia, sul bene che gli aderenti ad altre religioni sono in grado di fare, ma sulla “multiforme grazia di Dio” (1Pt 4, 10). A volte sento il bisogno di offrire il sacrificio della Messa proprio a nome di tutti quelli che sono salvati per i meriti di Cristo, ma non lo sanno e non possono ringraziarlo. Ci esorta a farlo anche la liturgia. Nella Preghiera eucaristica IV, alla preghiera per il papa, il vescovo e i fedeli, si aggiunge quella “per tutti gli uomini che ti cercano con cuore sincero”.

Dio ha molti più modi per salvare di quanti noi possiamo pensare. Ha istituito dei “canali” della sua grazia, ma non si è vincolato ad essi. Uno di questi mezzi “straordinari” di salvezza è la sofferenza. Dopo che Cristo l’ha presa su di sé e l’ha redenta, è anch’essa, a modo suo, un universale sacramento di salvezza. Colui che si è calato nelle acque del Giordano santificandole per ogni battesimo, si è calato anche nelle acque della tribolazione e della morte, facendone potenziale strumento di salvezza. Misteriosamente, ogni sofferenza -non solo quella dei credenti-, compie, in qualche modo, “quello che manca alla passione di Cristo” (Col 1, 24). La Chiesa celebra la festa dei Santi Innocenti, anche se neppure essi sapevano di soffrire per Cristo!

Noi crediamo che tutti coloro che si salvano si salvano per i meriti di Cristo: “Non vi è infatti sotto il cielo altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati” (At 4,12). Una cosa, tuttavia, è affermare la universale necessità di Cristo per la salvezza e altra cosa affermare l’universale necessità della fede in Cristo per la salvezza.
Superfluo, allora, continuare a proclamare il Vangelo a ogni creatura? Tutt’altro! È il motivo che deve cambiare, non il fatto. Dobbiamo continuare ad annunciare Cristo; non tanto però per un motivo negativo –perché altrimenti il mondo sarà condannato -, quanto per un motivo positivo: per il dono infinito che Gesù rappresenta per ogni essere umano. Il dialogo interreligioso non si oppone all’evangelizzazione, ma ne determina lo stile. Tale dialogo – ha scritto san Giovanni Paolo II, nella Redemptoris missio – “fa parte della missione evangelizzatrice della Chiesa”.
Il mandato di Cristo: “Andate in tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15) e “ Fate discepoli tutti i popoli” (Mt 28, 19) conserva la sua perenne validità, ma va compreso nel suo contesto storico. Sono parole da riferire al momento in cui sono state scritte, quando “tutto il mondo” e “tutti i popoli” era un modo per dire che il messaggio di Gesù non era destinato solo a Israele, ma anche a tutto il resto del mondo. Esse sono sempre valide per tutti, ma per chi appartiene già a una religione, ci vuole rispetto, pazienza e amore. Lo aveva capito e messo in pratica Francesco d’Assisi. Egli prospettava due modi di andare verso “i Saraceni e gli altri infedeli”. Scrive nella Regola non bollata:
I frati poi che vanno fra gli infedeli, possono comportarsi spiritualmente in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani. L’altro modo è che quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio perché essi credano in Dio onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo, creatore di tutte le cose, e nel Figlio Redentore e Salvatore.

La sfida della scienza

Con questa apertura di cuore, torniamo ora a occuparci della nostra fede cristiana. La grande sfida che essa deve sostenere nella nostra epoca non viene tanto dalla filosofia, come nel passato, ma dalla scienza. È di qualche mese fa una notizia sensazionale. Un telescopio lanciato nello spazio il 25 Dicembre del 2021 e posizionato a un milione e mezzo di chilometri dalla terra, il 12 Luglio dell’anno in corso ha inviato delle immagini inedite dell’universo che hanno mandato in visibilio il mondo scientifico.
“Il nuovo telescopio –si leggeva nei notiziari – ha spalancato una nuova finestra sul cosmo, in grado di catapultarci indietro nel tempo, fino a poco dopo il Big Bang iniziale del mondo. È la visione più dettagliata dell’universo primordiale mai ottenuta. Rappresenta il primo assaggio di una nuova e rivoluzionaria astronomia che ci svelerà l’universo come non lo avevamo mai visto”.
Saremmo stolti e ingrati se non partecipassimo al giusto orgoglio dell’umanità per questa come per ogni altra scoperta scientifica. Se la fede – oltre che dall’ascolto – nasce, come è stato detto, dallo stupore, queste scoperte scientifiche non dovrebbero diminuire la possibilità di credere, ma accrescerla. Se vivesse oggi, il salmista canterebbe con ancora più slancio: “I cieli narrano la gloria di Dio e l’opera delle sue mani annuncia il firmamento” (Sal 19,2) e Francesco d’Assisi: “Laudato sii, mio Signore, con tutte le tue creature”.
Dio ha voluto darci un segno tangibile della sua infinita grandezza con l’immensità dell’universo e un segno della sua “inafferrabilità” con la più piccola particella di materia che, anche una volta raggiunta – assicura la fisica – mantiene la sua “indeterminazione”. Il cosmo non si è fatto da solo. È la qualità dell’essere, non la quantità che decide; e la qualità del creato è di essere…creato! Miliardi di galassie, distanti miliardi di miliardi di anni luce non cambiano questa sua qualità.

Facciamo queste riflessioni su fede e scienza non per convincere gli scienziati non credenti (nessuno di loro è qui ad ascoltare o leggerà queste parole), ma per confermare noi credenti nella fede e non lasciarci turbare dal clamore delle voci contrarie. È lo stesso scopo per cui san Luca dice all’”illustre Teofilo” di aver scritto il suo Vangelo: “In modo che tu possa renderti conto – dice – della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto” (Lc 1, 4).
Di fronte al dispiegarsi davanti ai nostri occhi delle dimensioni sconfinate dell’universo, l’atto di fede maggiore per noi cristiani non è di credere che tutto questo è stato creato da Dio, ma di credere che “tutte le cose sono state create per mezzo di Cristo e in vista di lui” (Col 1,16), che “senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste” (Gv 1, 3). Il cristiano ha una prova su Dio ben più convincente di quella desunta dal cosmo: la persona e la vita di Gesú Cristo.
I credenti non sono degli struzzi. Non nascondiamo il capo nella sabbia per non vedere. Condividiamo con ogni persona lo sconcerto davanti ai tanti misteri e contraddizioni dell’universo: dell’evoluzione naturale, della storia, della stessa Bibbia… Siamo però in grado di superare lo sconcerto con una certezza più forte di tutte le incertezze: la credibilità della persona di Cristo, della sua vita e della sua parola. La certezza piena e gioiosa non si ha prima, ma dopo aver creduto. Diversamente la fede perderebbe il suo pregio e il suo merito.

Il giusto vive per la fede

La fede è il solo criterio capace di farci rapportare in modo giusto, non solo alla scienza, ma anche alla storia. Nel parlare della fede che giustifica, san Paolo cita il famoso oracolo di Abacuc: “Il giusto vivrà per la fede” (Ab 2, 4). Che cosa vuole dire Dio con quella parola profetica, dal momento che è Dio in persona che la pronuncia?
Il messaggio si apre con un lamento del profeta, per la disfatta della giustizia e perché Dio sembra assistere impassibile dall’alto dei cieli alla violenza e all’oppressione. Dio risponde che tutto ciò sta per finire perché arriverà presto un nuovo flagello – i Caldei – che spazzerà via tutto e tutti. Il profeta si ribella a questa soluzione. È questa la risposta di Dio? Un’oppressione che si sostituisce ad un’altra?
Ma proprio qui Dio aspettava il profeta. Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede” (Ab 2, 2-4). Al profeta è chiesto il salto della fede. Dio non scioglie l’enigma della storia, ma chiede di fidarsi di lui e della sua giustizia, nonostante tutto. La soluzione non sta nella cessazione della prova, ma nell’aumento della fede.
La storia è una continua lotta tra bene e male, di empi che trionfano e di giusti che soffrono. La vittoria stabile del bene sul male non è da ricercare nella storia stessa, ma al di là di essa. Lasciamoci alle spalle ogni forma di millenarismo. Tuttavia, Dio è talmente sovrano e in controllo degli eventi che fa servire ai suoi piani misteriosi anche l’agitarsi degli empi. È vero: Dio scrive diritto per linee storte! Le situazioni possono sfuggire di mano agli uomini, ma non a Dio.
Il messaggio di Abacuc è di una singolare attualità. L’umanità ha vissuto negli ultimi anni del secolo scorso la liberazione dal potere oppressore dei sistemi totalitari comunisti. Ma non abbiamo avuto il tempo di tirare un respiro di sollievo che altre ingiustizie e violenze sono sorte nel mondo. C’è stato chi, alla fine della “guerra fredda”, aveva ingenuamente creduto che il trionfo della democrazia avrebbe, ormai, chiuso definitivamente il ciclo dei grandi sconvolgimenti e che la storia avrebbe proseguito il suo corso senza più grandi scosse. Appunto senza più “storia”. Una tale tesi fu, ben presto, pietosamente smentita dagli eventi, con la comparsa di altre dittature e lo scoppio di altre guerre, a cominciare da quella “del Golfo”, fino a quella sciagurata di quest’anno in Ucraina.
In questa situazione, anche in noi si affaccia la domanda accorata del profeta: “Signore, fino a quando? Tu dagli occhi così puri che non puoi vedere il male! Come mai tanta violenza, tanti corpi umani scheletriti dalla fame, tanta crudeltà nel mondo, senza che tu intervenga?” La risposta di Dio è ancora la stessa: soccombe al pessimismo e si scandalizza chi non ha il cuore radicato in Dio, mentre il giusto vivrà di fede, troverà la risposta nella sua fede. Capirà cosa voleva dire Gesú quando, davanti a Pilato, disse: “Il mio regno non è di questo mondo” (Gv 18,36).
Mettiamocelo, però, bene in testa e ricordiamolo, all’occorrenza, al mondo: Dio è giusto e santo; non permetterà che il male abbia l’ultima parola e i malfattori la facciano franca. Ci sarà un giudizio alla conclusione della storia, “un libro scritto verrà aperto, in cui tutto è contenuto e in base al quale il mondo sarà giudicato”: Liber scriptus proferetur – in quo totum continetur – unde mundus judicetur” .
Un primo giudizio – imperfetto ma sotto gli occhi di tutti, credenti e non credenti – è in atto già ora, nella storia. I benefattori dell’umanità che hanno operato per il progresso del loro paese e per la pace nel mondo sono ricordati con onore e benedizione di generazione in generazione; il nome dei tiranni e dei malfattori continua nei secoli ad essere accompagnato da disprezzo e riprovazione. Gesú ha rovesciato per sempre i ruoli. “Vincitore perché vittima”: così Agostino definisce Cristo: Victor quia victima. Alla luce dell’eternità –ma anche spesso della storia – non sono i carnefici i veri vincitori, ma le loro vittime.
Quello che la Chiesa può fare, per non assistere passivamente allo svolgersi della storia, è schierarsi contro l’oppressione e la prepotenza, mettersi sempre, “a tempo e fuori tempo”, dalla parte dei poveri, dei deboli, delle vittime, di quelli che portano il peso maggiore di ogni sventura e di ogni guerra.
Quello che può fare è anche rimuovere uno degli fattori che sempre ha fomentato i conflitti e cioè la rivalità tra le religioni, le famigerate “guerre di religione”. Dall’intesa e dalla collaborazione leale tra le grandi religioni può venire una spinta morale che imprima alla storia quel nuovo corso che invano si attende dai poteri politici. In questo senso va vista l’utilità di iniziative come quelle, avviate da san Giovanni Paolo II e accelerate oggi da papa Francesco, per un dialogo costruttivo tra le religioni.
La fede è l’arma della Chiesa. Anche la Chiesa, come il giusto di Abacuc, “vive per la sua fede”. Roma ha cessato da tempo di essere caput mundi, ma deve rimanere caput fidei, capitale della fede. Non solo dell’ortodossia della fede, ma anche dell’intensità e della radicalità del credere. Ciò che i fedeli colgono immedia¬tamente in un sacerdote e in un pastore, è se “ ci crede “, se crede in ciò che dice e in ciò che celebra. Oggi si fa molto uso della trasmissione senza fili (WiFi, si dice in Inglese). Anche la fede si trasmette di preferenza così: senza fili, senza tante parole e ragionamenti, ma per una corrente di grazia che si stabilisce tra due spiriti.

L’atto di fede più grande che la Chiesa può fare – dopo aver pregato e fatto il possibile per evitare o far cessare i conflitti – è di rimettersi a Dio con un atto di totale fiducia e sereno abbandono, ripetendo con l’Apostolo: “So in chi ho posto la mia fiducia!”: Scio cui credidi (2 Tim 1,12). Dio non si tira mai indietro per far cadere nel vuoto chi si getta tra le sue braccia.

Andiamo dunque incontro a Cristo che viene, con un atto di fede che è anche una promessa di Dio e dunque una profezia: “Il mondo è nelle mani di Dio e quando, abusando della sua libertà, l’uomo avrà toccato il fondo, lui interverrà a salvarlo”. Sì, interverrà a salvarlo! Per questo infatti è venuto al mondo, duemila e ventidue anni fa.

1. Ambrogio, Commento al Salmo 118, XII, 14.
2.Gregorio Magno, Omelie su Ezechiele, II, 7 (PL 76, 1018).
3.Regola non Bollata, cap. XVI (Fonti Francescane, 43).
4.Sequenza Dies irae


mercoledì 30 novembre 2022

COME SALVARSI L'ANIMA SENZA SFORZARSI

 COMMENTO AI TESTI DELLA LITURGIA DI OGGI, 30 NOVEMBRE 2022, FESTA DI SANT'ANDREA APOSTOLO.

CANTO: "COME UNA CERVA ANELA" (SAL. 41) MUSICA DI KIKO ARGUELLO

martedì 29 novembre 2022

Quando Dio gioca a nascondino...

 Commento al Vangelo di oggi, 29 novembre 2022, martedi della prima settimana di Avvento.

Lc 10,21-24: Il "Magnificat" di Gesù Canto: Inno alla Kenosis (Fil. 2, 1-11) Musica di Kiko Arguello

lunedì 28 novembre 2022

E' tempo di svegliarci dal sonno!

 Commento ai testi della liturgia di oggi, 28 novembre 2022,

lunedi della prima settimana di Avvento 

venerdì 25 novembre 2022

Il black friday, il drago rosso e la Donna vestita di sole

 Commento ai testi della liturgia di oggi, 25 novembre 2022,

VENERDÌ DELLA XXXIV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

ATTUALIZZAZIONI
 

mercoledì 23 novembre 2022

P COME PAZIENZA, COME PERSECUZIONE, COME PERSEVERANZA

 COMMENTO AI TESTI DELLA LITURGIA DI OGGI, 23 NOVEMBRE 2022

Ap 15,1-4: Cantano il canto di Mosè e il canto dell’Agnello. Lc 21,12-19: Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. ATTUALIZZAZIONI LA MEMORIA DI SAN COLOMBANO

martedì 22 novembre 2022

UN TEMPIO PER CRISTO CHE VIENE

 COMMENTO AL VANGELO DEL GIORNO

Lc 21,5-11: Non sarà lasciata pietra su pietra. L'ULTIMA SETTIMANA DELL' ANNO LITURGICO ANNUNCIO DELL' AVVENTO

mercoledì 16 novembre 2022

"IO SONO IO, MA NON SONO MIO..."

 COMMENTO AL VANGELO DELLA MESSA DEL GIORNO

LA PARABOLA LUCANA DELLE MINE ATTUALIZZAZIONI

martedì 15 novembre 2022

sabato 12 novembre 2022

SABATO 12 NOVEMBRE 2022, LODI E VANGELO

 SABATO 12 NOVEMBRE 2022, MEMORIA DI SAN GIOSAFAT, VESCOVO E MARTIRE.

CANTO DEI SALMI DELLE LODI E VANGELO DELLA MESSA DEL GIORNO

venerdì 11 novembre 2022

PETER PAN FOREVER!

 COMMENTO AL VANGELO DI OGGI, 11 NOVEMBRE 2022,

SAN MARTINO DI TOURS, VESCOVO – MEMORIA. Così accadrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si manifesterà.... ATTUALIZZAZIONI

mercoledì 9 novembre 2022

lunedì 7 novembre 2022

giovedì 3 novembre 2022

LUCI DELLA CITTA'

 COMMENTO AL VANGELO DI OGGI, 3 NOVEMBRE 2022

LA PECORELLA SMARRITA E LA DRACMA PERDUTA ATTUALIZZAZIONI

mercoledì 2 novembre 2022

PARTI ANIMA CRISTIANA...

 COMMENTO AI TESTI DELLA LITURGIA DI OGGI, 2 NOVEMBRE 2022, COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI (MESSA 1)

* ATTUALIZZAZIONI CANTO: "QUANTO SONO AMABILI LE TUE DIMORE" (SALMO 83) MUSICA DI KIKO ARGUELLO

martedì 1 novembre 2022

CANTO: MARIA, MADRE DEL CAMMINO ARDENTE (ITA/ESP)

 CANTO: MARIA, MADRE DEL CAMMINO ARDENTE (ITA/ESP)

MARIA, MADRE DEL CAMINO ARDIENTE
Musica di: Kiko Arguello

sabato 29 ottobre 2022

WIN-WIN POSITION

 COMMENTO AI TESTI DELLA LITURGIA DI OGGI, 29 OTTOBRE 2022,

SABATO DELLA XXX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO PARI) LA MEMORIA DELLA BEATA CHIARA LUCE BADANO LA SECONDA LETTURA DELL'UFFICIO DELLA MEMORIA LA SECONDA LETTURA DELL'UFFICIO DELLA FERIA, Dal «Dialogo della divina Provvidenza» di santa Caterina da Siena, vergine

martedì 25 ottobre 2022

Per una corretta “grammatica antropologica” .....

 COMMENTO AI TESTI DELLA LITURGIA DI OGGI, 25 OTTOBRE 2022

MARTEDÌ DELLA XXX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO PARI) LA MORALE DOMESTICA DI Ef 5,21-33
RIF. AL DISCORSO RIVOLTO IERI DA PAPA FRANCESCO:

Alla Comunità Accademica del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia

* RIF. A: "IL CAMMINO DELLA COPPIA DALL' EROS ALL'AGAPE....." DI F.G. VOLTAGGIO RIF. A: LA LOTTA CONTRO SATANA NELLA LITURGIA MATRIMONIALE, DA: C. VAGAGGINI, "IL SENSO TEOLOGICO DELLA LITURGIA", EDIZZ. PAOLINE, P. 326S. ATTUALIZZAZIONI RIF. AL DISCORSO PROGRAMMATICO DEL PRESIDENTE GIORGIA MELONI ALLA CAMERA DEI
DEPUTATI
 

lunedì 24 ottobre 2022

CHI SALVA UNA VITA SALVA IL MONDO INTERO. SARA'?

 COMMENTO AI TESTI DELLA LITURGIA DI OGGI, 24 OTTOBRE 2022, LUNEDÌ DELLA XXX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO PARI

ATTUALIZZAZIONI

domenica 23 ottobre 2022

γνῶθι σαυτόν.

 COMMENTO AL VANGELO DI OGGI, 23 OTTOBRE 2022, XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

LA PARABOLA DEL FARISEO E DEL PUBBLICANO
ATTUALIZZAZIONI

sabato 22 ottobre 2022

22 OTTOBRE 1978/2022: "Non abbiate paura! Aprite le porte a Cristo!"

 COMMENTO AL VANGELO DI OGGI, SABATO 22 OTTOBRE 2022, MEMORIA LITURGICA DI SAN GIOVANNI PAOLO II, PAPA.

LA SECONDA LETTURA DELL'UFFICIO: La "Omelia per l’inizio del pontificato" (22 ottobre 1978) ATTUALIZZAZIONI

giovedì 20 ottobre 2022

FUOCO DAL CIELO

 COMMENTO AI TESTI DELLA LITURGIA DI OGGI, 20 OTTOBRE 2022,

GIOVEDÌ DELLA XXIX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

martedì 18 ottobre 2022

L' ANNUNZIO DEL VANGELO IN LUCA

 COMMENTO AL VANGELO DI OGGI, MARTEDÌ 18 OTTOBRE 2022

lunedì 17 ottobre 2022

LA RICETTA DI GESU' PER USCIRE DALLA CRISI

 COMMENTO AI TESTI DELLA LITURGIA DI OGGI, 17 OTTOBRE 2022, MEMORIA DI SANT'IGNAZIO DI ANTIOCHIA, VESCOVO E MARTIRE.

* CATECHESI SULLA SESSUALITA' ALLA LUCE DELLA RIVELAZIONE, BASATA SU: "Amore e desiderio" di Karol Wojtyla a cura di Giuseppe Mari, ed. La Scuola, 2016. Trad. di Rosangela Libertini PARTE PRIMA: L'insegnamento dell'amore che dovremmo porre alle basi della preparazione al matrimonio dei giovani. Introduzione La verità sull'amore Prima premessa: l'amore umano è una partecipazione all'amore di Dio Seconda premessa: necessità di tornare all'inizio della Economia della Salvezza I primi genitori: Adamo ed Eva, una communio

domenica 16 ottobre 2022

LA PREGHIERA INCESSANTE E IL (NOSTRO) PIL: LA PRIMA A DIO, IL SECONDO...

 COMMENTO AI TESTI DELLA LITURGIA DI OGGI, 16 OTTOBRE 2022, XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

LA PREGHIERA DELLA VEDOVA ATTUALIZZAZIONI MEMORIA GRATA DI SAN GIOVANNI PAOLO II CANTO: "HO STESO LE MIE MANI" Musica di Kiko Arguello

sabato 15 ottobre 2022

TERESA E IL GIUSS: LA CERTEZZA DI UN INCONTRO

 COMMENTO AI TESTI DELLA LITURGIA DI OGGI, 15 OTTOBRE 2022, SANTA TERESA DI GESÙ, VERGINE E DOTTORE DELLA CHIESA – MEMORIA

L' AMORE PER I SANTI IL MATRIMONIO SPIRITUALE LA 2 LETTURA DELL'UFFICIO Udienza del Santo Padre Francesco con oltre 60.000 Membri del Movimento di Comunione e Liberazione, in occasione del centenario della nascita del Fondatore, il Servo di Dio don Luigi Giussani. canto: VUESTRA SOY


venerdì 14 ottobre 2022

ABBIAMO FINALMENTE UN PRESIDENTE OMOLOGOFOBO!

 COMMENTO AI TESTI DELLA LITURGIA DI OGGI, 14 OTTOBRE 2022, VENERDÌ DELLA XXVIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO PARI).

LA IPOCRISIA, LIEVITO DEI FARISEI
ATTUALIZZAZIONI

giovedì 13 ottobre 2022

CI SALVIAMO "A GRAPPOLI".

 COMMENTO AI TESTI DELLA LITURGIA DI OGGI, 13 OTTOBRE 2022, GIOVEDÌ DELLA XXVIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO PARI)

* ATTUALIZZAZIONI * CATECHESI SULLA SESSUALITA' ALLA LUCE DELLA RIVELAZIONE, BASATA SU: "Amore e desiderio" di Karol Wojtyla a cura di Giuseppe Mari, ed. La Scuola, 2016. Trad. di Rosangela Libertini
INTRODUZIONE
 

mercoledì 12 ottobre 2022

IN PIEMONTE ARRIVANO I SOLDI!

 COMMENTO AI TESTI DELLA LITURGIA DI OGGI, 12 OTTOBRE 2022, MERCOLEDÌ DELLA XXVIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO.

LA FESTA DELLA VERGINE DEL PILAR ANALISI DELLA PREGHIERA DI COLLETTA DELLA MESSA ATTUALIZZAZIONI

martedì 11 ottobre 2022

SOLO PER OGGI, SIGNORE

 COMMENTO AL VANGELO DI OGGI, MARTEDÌ 11 OTTOBRE 2022, MARTEDÌ DELLA XXVIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO. SAN GIOVANNI XXIII, PAPA – MEMORIA FACOLTATIVA.

Lc 11,37-41
ATTUALIZZAZIONI NOTIZIE SULLA APERTURA DELLA CAUSA DI CANONIZZAZIONE DI CARMEN HERNANDEZ BARRERA. MEMORIA GRATA DEL 60 ANNIVERSARIO DELLA INAUGURAZIONE DEL CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, 11 OTTOBRE 1962 PREGHIERA DI SAN GIOVANNI XXIII: SOLO PER OGGI

CARMEN HERNANDEZ BARRERA: APERTURA DELLA CAUSA DI CANONIZZAZIONE



APERTURA DELLA CAUSA DI CANONIZZAZIONE DI

CARMEN HERNANDEZ BARRERA

co-iniziatrice del Cammino Neocatecumenale


Domenica 04 Dicembre 2022  h. 18.00

Polideportivo della Università

Francisco De Vitoria di Madrid

Presiede il Cardinal Carlos Osoro, Arcivescovo di Madrid


Attori della Causa:

Kiko Arguello, Padre Mario Pezzi, Ascension Romero

Fondazioni "Famiglia di Nazareth" di Roma e di Madrid

Postulatore:

Carlos Metola



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Traggo da "Aleteia" la testimonianza di:

 Fernanda Di Pasquale del Movimento femminile delle donne cristiane. 



 Era lontana dalla chiesa ma poi grazie al Cammino Neocatecumenale incontra Dio. Poco dopo il marito muore in un incidente stradale: "tutto è finito lì sull'asfalto"

Silvia Lucchetti - pubblicato il 10/10/22

Sabato 8 ottobre si è tenuto a Roma, presso la Chiesa del Santissimo Nome di Maria al Foro di Traiano, l’annuale ritiro del Movimento femminile delle donne cristiane nato nel 2017 su ispirazione di Giusy D’Amico.

 Il Movimento in questo periodo storico in cui nasce tenta di creare un ponte per dire: noi ci siamo! Allora vogliamo incoraggiare le donne in difficoltà, ingannate, che vivono un combattimento, che sono schiave della trappola di vivere per se stesse, efar arrivare a loro la testimonianza di chi, illudendosi di poter vivere solo per sé la propria esistenza, ha fatto esperienza di come ciò porti invece alla “morte”, prendendo consapevolezza che la vita fiorisce e si espande solo donandosi.

(Giusy D’Amico, Aleteia)

La testimonianza di Fernanda al ritiro del Movimento femminile delle donne cristiane

Uno dei momenti più emozionanti della giornata è stato quando una donna del Movimento ha donato la sua testimonianza.Ringraziamo Fernanda Di Pasquale, 70 anni, originaria di Isernia, mamma e nonna per aver raccontato la sua storia con amore e generosità.

Mi chiamo Fernanda sono vedova da tantissimi anni, ho 2 figli e uno in Cielo e sono anche nonna. Se sono qui è perché voglio mettere in comunione con voi come e quando ho incontrato il Signore.

La storia di Fernanda e Massimo

La sua voce si incrina più volte per la commozione, ma una commozione “santa, non di sentimentalismo”, parlando di come Dio l’ha sostenuta in una grande prova: la morte improvvisa del marito. Erano sposati da 13 anni, avevano due figli piccoli: Antonio 10 anni e Marianna 4.

Fernanda aveva conosciuto Massimo sul treno, lei molisana, lui romano.

Non ci avrei scommesso niente. Questo ragazzo mi guardava, mi guardava. Non diceva una parola. Io non me lo filavo. Poi quando siamo scesi dal treno mi ha chiesto il numero di telefono e io gli ho dato quello dell’ufficio. Non mi fidavo, dicevo: “non mi chiamerà”. E invece ha chiamato.

Dopo tre anni di fidanzamento… le nozze

Dopo tre anni di fidanzamento Massimo e Fernanda si sposano. Non vengono da famiglie credenti, il papà di Fernanda è un convito comunista e ateo, e lei anche si definisce tale.

(…) sono nata in una famiglia molto povera, in cui ogni cosa era una conquista, anche se dovevo andarmi a comprare un quaderno (…) per pagarmi gli studi sono stata costretta a lavorare, non perché i miei non volessero pagarmeli ma perché non c’erano i mezzi.

La famiglia da Roma si trasferisce ad Aprilia

Dopo il matrimonio Fernanda e il marito si stabiliscono a Roma e cominciano la loro vita di sposi. 11 anni più tardi, per motivi di lavoro ed economici, si trasferiscono ad Aprilia. Un cambiamento difficile che però si rivela provvidenziale.

Come diceva Carmen (Carmen Hernandez co-iniziatrice insieme a Kiko Argüello del Cammino Neocatecumenale NdR.) che sempre mi risuona, Dio aveva fatto questo dirottamento per me e la mia famiglia spostandoci ad Aprilia.Non conoscevamo nessuno, non è stato facile. (…) eravamo arrivati da poco quando mi sono dovuta recare in parrocchia per iscrivere mio figlio al catechismo della Prima Comunione.

Fernanda: non mi interessava Dio

Fernanda entra in chiesa e si siede negli ultimi banchi. Il sacerdote sta terminando l’omelia.

 Il Signore mi ha dato appuntamento una domenica mattina nella chiesa di Maria Madre della Chiesa ad Aprilia (…) sono entrata in questa parrocchia, ero lontana dalla chiesa, non mi interessavano i preti, non mi interessava Dio, e mi sono seduta in fondo aspettando che il sacerdote finisse l’omelia. Pensavo: “mamma mia ‘sto prete come è lungo”.

Le 5 parole che le hanno cambiato la vita

Ma ad un certo punto una donna sale sull’ambone e attira l’attenzione di Fernanda. Pronuncia 5 parole che non dimenticherà mai e che la condurranno a fare esperienza di Cristo nella sua vita.

Una donna va al leggìo ed inizia a parlare, a dare esperienza di sé. Diceva: “vengo da Roma, ho cinque figli, ho cominciato un Cammino di fede”. Io pensavo: “ma questa sta qua con cinque figli, ma non deve andare a preparare il pranzo?”. E poi aggiunge: “Ho intrapreso un cammino di fede, la mia vita è cambiata”. Quelle poche parole “la mia vita è cambiata” hanno sussultato dentro di me. Poche parole che hanno iniziato a dare una svolta alla mia esistenza.

Massimo e Fernanda iniziano un cammino di fede ma poco dopo lui muore

Così Fernanda insieme al marito inizia ad ascoltare le catechesi del Cammino neocatecumenale.

Al termine delle catechesi abbiamo cominciato ad intraprendere questo cammino di fede e vi assicuro che la mia vita si è trasformata. Tutto mi aveva conquistata: l’Eucaristia, i canti, i fratelli che io non mi ero scelta e che stavano lì. Ero molto attiva ed ero molto molto contenta. Però era una contentezza di Fernanda perché la prova stava dietro l’angolo…

Dissi a Dio: “perché mi hai fatto questo?”

Qui Fernanda fa una pausa, come per trovare la forza necessaria ad andare avanti nel suo racconto.

La prova era dietro l’angolo perché… cioè sono 32 anni che è morto mio marito e ancora mi commuove questa cosa… perché mio marito esce la mattina per andare a lavoro e viene coinvolto in un incidente stradale mortale. E niente, tutto è finito lì sull’asfalto. I sogni, i progetti. Avevamo comprato casa, lui lavorava doppio turno per poter fronteggiare le tantissime spese che avevamo. Io pensavo ai bambini, alla famiglia. E’ stata una sofferenza grande, è come se ad un certo punto rimani senza niente. Rimani scoperta, rimani spogliata, rimani nuda. Allora in quel momento ho parlato con Dio: “io ero lontana dalla chiesa, mi hai chiamato e ti ho risposto, ho ascoltato la tua Parola… perché mi hai fatto questo?”.

“Il Signore non ha permesso che io mi perdessi”

Nella sofferenza e nella disperazione Fernanda sperimenta la vicinanza del Signore.

Ho visto che proprio in quella sofferenza il Signore si è fatto presente, non mi ha lasciato nel buio. (…) Sono arrivati gli attacchi di panico, avevo debiti a non finire… tuttavia il Signore ha avuto una tenerezza, una misericordia, un’amicizia con me unica. Non ha permesso che io mi perdessi, ha difeso la mia dignità di donna.

Ferdanda e la grazia di non maledire la propria storia

Nel lutto e nella precarietà Fernanda sa di non essere sola. I suoi fratelli di comunità pregano per lei. La sua paura più grande è quella di perdere i figli. L’ansia la paralizza, ma sperimenta come scrive San Paolo che “quando sono debole, è allora che sono forte”.

La cosa più dura è stata affrontare le mie debolezze ma il Signore mi ha fatto riscoprire la Vergine Maria, mi sono affidata a Lei. Ero caduta in un tunnel, pensavo di perdere casa, di perdere i miei figli, e quello per me era il cruccio principale. Quante volte dopo essere stata a Latina a sbrigare delle pratiche non riuscivo ad alzarmi dalla panchina per gli attacchi di panico, ma Dio è stato paziente con me. Mi ha sostenuta. Di una cosa ringrazio il Signore: sono caduta nell’ansia, nel panico, nella tristezza ma mai nella ribellione. Dio mi ha dato la grazia di accettare la mia storia. Tutto quello che ho fatto non avrei potuto affrontarlo da sola. Oggi sento di voler rendere grazie a Dio, perché appoggiata a Lui per me è stato possibile. Tutte le volte che la tua storia non ti piace e ti fa soffrire, ascolta il Signore che ti dice: “coraggio! Sono con te!”.

Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte. 

(2 Cor 12, 9-10)