venerdì 31 marzo 2023

CANTO DELLE QUATTRO NOTTI

 CANTO DELLE QUATTRO NOTTI

(DA CANTARE INSIEME AI BAMBINI DURANTE LA GRANDE VEGLIA PASQUALE)

KIKO ARGUELLO: ANNUNCIO DI PASQUA 2023 (ESTRATTI)

 



ANNUNCIO DI PASQUA

Roma – Seminario Redemptoris Mater


26 marzo 2023


KIKO:

Ti rendiamo grazie, Signore, per la vita che ci dai. Vieni in mezzo a noi con

la tua benevolenza con la tua bontà ed il tuo amore e donaci il tuo Spirito

Santo che renda testimonianza al nostro spirito della tua presenza, del tuo

amore e ci doni la forza per fare la tua volontà. Per Cristo nostro Signore.

Amen

PRESENTAZIONI


P. Mario:

Prima dell'Annuncio di Pasqua da parte di Kiko, vorrei farvi presente alcuni

aspetti sulla situazione – che suppongo conosciate tutti – in cui siamo chiamati a

vivere la prossima Pasqua 2023, per essere partecipi al Passaggio vittorioso di Gesù

Cristo in mezzo a noi e a tutta la Chiesa, con la Potenza della sua Risurrezione dalla

morte.

In comunione con Kiko e Ascensión, desidero condividere con voi e con tutti

i fratelli ai quali trasmetterete questo annuncio, alcune riflessioni su due aspetti

gravi, anzitutto riguardo alla società in cui viviamo e poi della vita della Chiesa.

Data la brevità dell'intervento, mi limito ad alcuni brevi accenni.

1. Situazione geopolitica “globalista” odierna, che è la politica di unità di tutto il

globo a conduzione unica.

Per quanto riguarda la situazione della società moderna, notiamo uno sforzo

per costruire un’unica Società Universale, che possa superare ogni tipo di limite

umano, avvalendosi dell'apporto della cosiddetta "Intelligenza Artificiale" – gli

algoritmi per chi se ne intende. Tutti i progetti per realizzarla hanno un’unica

caratteristica comune: non contano sull’esistenza di Dio e combattono apertamente

contro la Chiesa ed i cristiani in tutto il mondo.

La pandemia che abbiamo vissuto negli ultimi anni e la guerra tra Russia e

Ucraina, che non sappiamo ancora come andrà a finire, possono condurre l'umanità

a una guerra mondiale tra le grandi potenze: Stati Uniti, Cina e Russia, che vogliono

imporre il loro potere sulle altre nazioni.

Per questo motivo, come abbiamo già affermato altre volte, ci troviamo in

una situazione di grande insicurezza.

Una volta ho parlato del grande reset, di cancellare il passato per un mondo

muovo. Ora parliamo dell’Agenda 2030, che già si proietta nel 2050, per

raggiungere tutti gli scopi. L'Agenda 2030, promossa da diverse agenzie delle

Nazioni Unite, favorisce anche ideologie contrarie alla morale rivelata, imponendo

leggi contro la famiglia e la morale cristiana. Attacca la famiglia cristiana, con

aborti, ideologia dei Gender, coppie omo e transessuali, espansione della

pornografia, delle droghe, dell’eutanasia, ecc...

Questa è la situazione.

Per illuminare alla luce della fede questa situazione – ho fatto un tentativo di

andare alla radice del problema, non so se ci sono riuscito –, vorrei ricordarvi ciò

che dice l'apostolo S.Paolo: “La nostra lotta non è contro la carne e il sangue, ma

contro i principati, le potenze, i governanti di questo mondo oscuro e gli spiriti del

male che sono nell'aria” (Ef 6, 12).

L'Apocalisse dice che il Signore, prima di creare il mondo e i suoi abitanti,

ha creato angeli – ci sono diverse categorie di angeli, tra cui le dominazioni, i

principi..., tutte categorie angeliche –, creature spirituali che godono della libertà di

scelta, spiriti celesti che comunicano tra loro come in una forma di telepatia – da

pensiero a pensiero.

Ma l'Angelo più luminoso, Lucifero, portatore di Luce, non ha accettato di

sottomettersi a Dio e con altri angeli, si è ribellato contro Dio. Ed è diventato

portatore di Tenebre.

Così ne parla il profeta Isaia (14, 12ss.):

...Lucifero (astro del mattino), figlio dell'aurora...

Hai pensato:

Salirò sulle regioni superiori delle nubi, mi farò uguale all'Altissimo.

E invece sei stato precipitato negli inferi, nelle profondità

dell’abisso!

Il Signore, come è scritto nel libro di Giobbe, ha dato il permesso al diavolo

di mettere alla prova l'uomo nella sua relazione con Dio. Essendo uno spirito puro,

comunica con gli uomini attraverso i pensieri, ricordate quante volte Carmen ci ha

fatto questa catechesi, i pensieri, e seducendo gli uomini con promesse di successo e

di potere si serve di loro per realizzare i suoi piani di distruzioni e di morte.

L'Apocalisse identifica il demonio come l'Anticristo, nell'imperatore Nerone

(Ap 13, 18), che ha iniziato una sanguinosa persecuzione contro i Cristiani,

persecuzione durata diversi secoli. Ma nel corso della storia il demonio – si è

incarnato - ha suscitato altri Anticristi, che hanno seminato guerre, morti e

distruzioni. Basta ricordare le più recenti: la Rivoluzione francese e poi Hitler,

Stalin e Nietzsche, propagatore del Superuomo. E nel nostro tempo questa

persecuzione si sta diffondendo, attraverso i Potenti e Dominatori del mondo – di

cui ho parlato: Agenda 2030 –, a tutte le nazioni nel tentativo di creare un nuovo

mondo globale con uguali diritti per tutti, assicurando benessere e felicità per tutti,

ma uccidendo la Verità e la nostra libertà.

Vi dico questa realtà, che più o meno tutti viviamo, perché oggi più che mai

è molto importante vivere questa Pasqua 2023, confidando nella potenza del

Signore della storia. Questo riguardo al mondo.

Riguardo alla situazione della Chiesa è ancora più delicata di questa.

2. Situazione della Chiesa

Per quanto riguarda la situazione della Chiesa oggi, mentre siamo in

cammino per celebrare le solennità della Pasqua e della Pentecoste, siamo chiamati

a prendere coscienza anche del momento storico e critico, che la Chiesa sta vivendo.

Come sapete, il 3 marzo scorso, si è concluso il “Cammino sinodale della

Chiesa tedesca”, iniziato alla fine del 2019, e sospeso durante due anni, a causa del

Covid. L'assemblea sinodale è composta dalla maggioranza di Vescovi tedeschi,

assieme a 69 membri del potente Comitato centrale laico dei cattolici tedeschi

(ZdK) – teologi e teologhe, laici e laiche, attori pastorali, ne hanno moltissimi – e da

rappresentanti di altre parti della Chiesa tedesca – luterani ed altri. Tra le

conclusioni finali – prese solo qualche giorno fa – hanno deciso di chiedere al Santo

Padre, che le coppie dello stesso sesso possano ricevere la benedizione nella Chiesa,

di aprire la possibilità del Diaconato alle donne in tutta la Chiesa cattolica. La

creazione di Comitati Sinodali, formati da laici, uomini e donne, assieme ai Parroci,

e ai Vescovi, per governare la Chiesa tedesca – non più il Vescovo con il suo

ausiliare ed il presbiterio guida la Chiesa, ma un gruppo di laici, teologi, non

teologi, assieme al Vescovo ed ai Parroci, con parità di numero per le decisioni –

con potere di decidere per maggioranza.

Di fronte a questa realtà, il Santo Padre è intervenuto a più riprese

direttamente o tramite alcuni cardinali – come Parolin, Ladaria e Ouellet, Segretario

di Stato e prefetti delle Congregazione della Fede e dei Vescovi –, per ricordare ai

Vescovi tedeschi che le questioni dottrinali e morali non possono essere cambiate

da una Chiesa particolare: solo la Chiesa Universale può fare dei cambiamenti se

c’è l’accordo del Collegio Episcopale.

In questo tempo pasquale fino a Pentecoste, il Signore ci invita a sostenere la

Chiesa e Papa Francesco, attraverso la preghiera insistente e l'offerta delle nostre

sofferenze, unite a quelle di Cristo, ancora sofferente nel suo Corpo visibile.

Forse questi eventi che stiamo vivendo sono uno stimolo per tutti noi, che

abbiamo ricevuto il dono di recuperare una fede più adulta, attraverso il Cammino

Neocatecumenale, ispirato da Dio a Kiko e Carmen e riconosciuto dai Papi dai suoi

inizi fino ad oggi, come una possibile risposta a questa situazione disastrosa del

mondo e della Chiesa. Forse oggi più che mai vediamo l’urgenza di dare quei segni

dell’Amore e dell’Unità, di cui ci hanno parlato tanto Kiko e Carmen – e oggi

Ascensión – che hanno il potere di attrarre a Dio le persone più distrutte dagli

inganni del maligno, offrendo loro un Cammino di ritorno al Signore e alla Chiesa,

ispirato dallo Spirito Santo per questa generazione.

Ascoltiamo ora l’Annuncio di Pasqua che sicuramente è più allegro.

Kiko:

In piedi, facciamo un canto e ascoltiamo il Vangelo.

 Canto: “Se siete risorti con Cristo ”


Ascensión:

Ascoltiamo adesso un Vangelo molto forte. È il dialogo che Gesù Cristo fa

con i farisei. Parla con gente religiosa come noi che abbiamo tanti anni di cammino.

Gesù parla con un coraggio enorme, per aiutarli, per salvarli, per poterli portare alla

salvezza, come vuole portare noi alla Pasqua, ma dobbiamo essere nella nostra

realtà, e vedere le nostre ipocrisie, le nostre menzogne, vedere chi siamo noi perché

il Signore possa passare in questa Pasqua e salvarci, perché possiamo entrare in

questa Pasqua nella verità.

 Vangelo: Gv 8, 31-47

Kiko:

Cominciamo, cantando l’Exultet, per ricordare il tempo di Pasqua che viene.

Canto: “Preconio Pasquale”


KIKO

(...)

Il Cammino Neocatecumenale è nato veramente con la Pasqua, vive per la

Pasqua e cammina verso la Pasqua. L’Eucarestia, che ci ha accompagnato

dall’inizio del Cammino, è la Pasqua! Per questo Dio ha permesso una serie di

eventi nella mia storia e in quella di Carmen per portarci ad essere strumenti per

portare il Concilio Vaticano II alla Chiesa e, con la Chiesa, al mondo intero.

Dio ha fatto un intervento molto grande con un popolo nella storia; e

nell’humus di questa storia ha fatto un memoriale che è la Pasqua. Gesù Cristo ha

lasciato per noi oggi la sua Pasqua: non per lui, che è già risuscitato e non muore

più, ma per far fare a noi Pasqua, fare l’uscita alla libertà, alla speranza e a

sperimentare la vita eterna.

Fratelli, non è che noi andiamo alla Pasqua, ma è la Pasqua che viene

gratuitamente a noi. Cristo risorto non lo si può raggiungere con le forze umane:

sarà lui risorto che che andrà a cercare Pietro e gli apostoli, e li condurrà a morire

con lui per risuscitare con lui.

Iniziamo la veglia con l’accensione del cero pasquale, della luce, che è un

segno di speranza, e cantando l’Exultet che è come un programma di tutta la notte.

Abbiamo bisogno di uscire dalle inquietudini, dai nostri problemi, da tanti oscurità e

tenebre che sono oggi nel mondo, e lasciarci trascinare dalla luce della Pasqua che

viene, perché è un MEMORIALE PERPETUO. 

Il memoriale, come i sacramenti, è una cosa che si realizza, non che si ricorda o che si commemora: viene

la notte di Pasqua con una pienezza enorme della quale partecipano, come da una

fonte, le Eucarestie di tutto l’anno. La notte di Pasqua ha una forza di veglia

enorme: in questa notte Dio si è impegnato per la nostra storia. Lui passa in questa

notte e ci trascina alla resurrezione e alla vita.


in questa sera c’è un mistero: il mistero della tua

conversione. Dio vorrebbe che attraverso le mie povere parole si abbattesse in te

quel muro che impedisce a Dio di essere uno in te. 

Soltanto c’è un mezzo per essere uno con Dio: la Chiesa.

(...)


Kiko:

Preghiamo:

Ti rendiamo grazie Signore per questo incontro, per l’amore che hai per noi,

per la tua misericordia e bontà: Signore aiutaci in questa Pasqua che viene,

donaci a tutti il tuo Spirito che ci porta ad amarti e a fare la tua volontà.

Abbi pietà di noi che siamo tutti peccatori e poveri, mandaci il tuo Santo

Spirito. Te lo chiediamo per tuo Figlio Gesù Cristo con la preghiera che Lui

ci ha insegnato. Per questo osiamo dirti:

 Padre nostro

 Canto: “Preconio Pasquale”

Kiko:

Buona Pasqua a tutti!

P. Mario:

Ieri era la festa dell’Annunciazione e dell’incarnazione pensavo alla gioia

della Vergine Maria quando lo ha visto risorto.

 Benedizione

Kiko:

Buona Pasqua a tutti! Pregate per noi!

LA DONNA CATTIVA CATTIVA E LA CIPOLLINA...

 COMMENTO AL VANGELO DI OGGI, 31 MARZO 2023, VENERDI DELLA V SETT. DI QUARESIMA

GV. 10, 31-42 Cercavano di catturarlo, ma egli sfuggì dalle loro mani. ATTUALIZZAZIONI

giovedì 30 marzo 2023

SANTA SUBITO!

 COMMENTO AL VANGELO DI OGGI, 30 MARZO 2023, GIOVEDI DELLA V SETT. DI QUARESIMA

"PRIMA CHE ABRAMO FOSSE...." ATTUALIZZAZIONI

martedì 28 marzo 2023

TI SI CREDE VIVO E INVECE SEI MORTO.

 COMMENTO AL VANGELO DI OGGI, 28 MARZO 2023, MARTEDI DELLA V SETT. DI QUARESIMA, CICLO A.

Avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora conoscerete che Io Sono. Gv 8,21-30 ATTUALIZZAZIONI

lunedì 27 marzo 2023

D'ORA IN POI.

 COMMENTO AL VANGELO DI OGGI, 27 MARZO 2023, LUNEDI DELLA V SETT. DI QUARESIMA DEL CICLO A

L' ADULTERA ATTUALIZZAZIONI

domenica 26 marzo 2023

FELICE COLPA!

 LA V DOM. DI QUARESIMA DEL CICLO A

IL VANGELO DI LAZZARO CANTO DEL PRECONIO PASQUALE

venerdì 24 marzo 2023

LA VERITA' E' COME UN LEONE...

 COMMENTO AI TESTI DELLA LITURGIA DI OGGI, 24 MARZO 2023, VENERDI DELLA IV SETT. DI QUARESIMA

Gv 7,1-2.10.25-30 CANTO: ALZO GLI OCCHI VERSO I MONTI (SALMO 120)

giovedì 23 marzo 2023

Ramadan Kareem!

 COMMENTO AL VANGELO DI OGGI, 23 MARZO 2023, GIOVEDI DELLA IV SETT. DI QUARESIMA

Gv 5,31-47 ATTUALIZZAZIONI RIF. A : GIULIO MEOTTI, "LA DOLCE RICONQUISTA", CANTAGALLI, 2023

mercoledì 22 marzo 2023

BESTEMMIE DAL PULPITO

 COMMENTO AL VANGELO DI OGGI, 22 MARZO 2023

MERCOLEDÌ DELLA IV SETTIMANA DI QUARESIMA Gv 5,17-30 ATTUALIZZAZIONI

martedì 21 marzo 2023

UN DEMONIO PER OGNI STAGIONE...

 COMMENTO AL VANGELO DI OGGI, 21 MARZO 2023

MARTEDÌ DELLA IV SETTIMANA DI QUARESIMA. Gv 5,1-16 IL PECCATO DELLA ACCIDIA E L'ACQUA CHE CI RIGENERA, RIF. ALLA OMELIA DI PAPA FRANCESCO DEL DEL 24 MARZO 2020. ATTUALIZZAZIONI

lunedì 20 marzo 2023

CARISSIMO GIUSEPPE...

 COMMENTO AI TESTI DELLA LITURIA DI OGGI, 20 MARZO 2023,

SAN GIUSEPPE, SPOSO DELLA BEATA VERGINE MARIA – SOLENNITÀ

sabato 18 marzo 2023

UN MOMENTO DIFFICILE

 COMMENTO AL VANGELO DI OGGI, 18 MARZO 2023, SABATO DELLA III SETT. DI QUARESIMA

IL FARISEO E IL PUBBLICANO: 2 ATTITUDINI DIFFERENTI ATTUALIZZAZIONI ALLA LUCE DELLA CONCLUSIONE DEL SINODO TEDESCO.

venerdì 17 marzo 2023

DIO E' AMORE!

 COMMENTO AL VANGELO DI OGGI, 17 MARZO 2023, VENERDI DELLA III SETT. DI QUARESIMA

LO SHEMA' ATTUALIZZAZIONI RIF. ALLA III PREDICA DI QUARESIMA, TENUTA QUESTA MATTINA IN VATICANO DAL CARD. RANIERO CANTALAMESSA

DIO E' AMORE! - TERZA PREDICA DI QUARESIMA 2023


17 MARZO 2023


Abbiamo bisogno della teologia!

Per la vostra e la mia consolazione, Santo Padre, Venerabili Padri, fratelli e sorelle, questa meditazione sarà centrata tutta e solo su Dio. La teologia, cioè il discorso su Dio, non può rimanere estranea alla realtà del Sinodo, come non può rimanere estranea a ogni altro momento della vita della Chiesa. Senza la teologia, la fede diventerebbe facilmente morta ripetizione; mancherebbe dello strumento principale per la sua inculturazione.
Per assolvere questo compito, la teologia ha bisogno, essa stessa, di un rinnovamento profondo. Quello di cui il popolo di Dio ha bisogno è una teologia che non parli di Dio sempre e soltanto “in terza persona”, con categorie mutuate spesso dal sistema filosofico del momento, incomprensibili fuori della ristretta cerchia degli “iniziati”. È scritto che “il Verbo si è fatto carne”, ma in teologia, spesso il Verbo si è fatto solo idea! Karl Barth auspicava l’avvento di una teologia “capace di essere predicata”, ma questo auspicio mi sembra lontano dall’essersi ancora realizzato. San Paolo ha scritto:

Lo Spirito conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio…. I segreti di Dio nessuno li ha mai conosciuti se non lo Spirito di Dio. Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato (1 Cor 2, 10-12).
Ma dove trovare ormai una teologia che faccia leva sullo Spirito Santo, più che su categorie di sapienza umana, per conoscere “le profondità di Dio”? Bisogna, per questo, ricorrere a materie dette “opzionali”: alla “Teologia spirituale”, oppure alla “Teologia pastorale”. Henri de Lubac ha scritto: “Il ministero della predicazione non è la volgarizzazione di un insegnamento dottrinale in forma più astratta, che sarebbe ad esso anteriore e superiore. È, al contrario, l’insegnamento dottrinale stesso, nella sua forma più alta. Questo era vero della prima predicazione cristiana, quella degli apostoli, ed è vero ugualmente della predicazione di coloro che sono ad essi succeduti nella Chiesa: i Padri, i Dottori e i nostri Pastori nell’ora presente” .
Sono convinto che non c’è alcun contenuto della fede, per quanto elevato, che non possa essere reso comprensibile a ogni intelligenza aperta alla verità. Se c’è una cosa che possiamo imparare dai Padri della Chiesa è che si può essere profondi senza essere oscuri. San Gregorio Magno dice che la Sacra Scrittura è “semplice e profonda, come un fiume in cui, per così dire, un agnello può camminare e un elefante può nuotare” . La teologia dovrebbe ispirarsi a questo modello. Ognuno dovrebbe potervi trovare pane per i suoi denti: il semplice, il suo nutrimento e il dotto, cibo raffinato per il suo palato. Senza contare che spesso viene rivelato ai “piccoli” quello che rimane nascosto “ai sapienti e gli intelligenti”.

Ma chiedo scusa che sto tradendo la mia promessa iniziale. Non è un discorso sul rinnovamento della teologia che intendo fare in questa sede. Non avrei alcun titolo per farlo. Vorrei piuttosto mostrare come la teologia, intesa nel senso accennato, può contribuire a presentare in modo significativo il messaggio evangelico all’uomo d’oggi e a dare linfa nuova alla nostra fede e alla nostra preghiera.

La notizia più bella che la Chiesa ha il compito di far risuonare nel mondo, quella che ogni cuore umano attende di sentire, è: “Dio ti ama!” Questa certezza deve scardinare e sostituire quella che ci portiamo dentro da sempre: “Dio ti giudica!” La solenne affermazione di Giovanni: “Dio è amore” (1 Gv 4,8) deve accompagnare, come una nota di fondo, ogni annuncio cristiano, anche quando dovrà ricordare, come fa il Vangelo, le esigenze pratiche di questo amore.

Quando invochiamo lo Spirito Santo – anche nella presente occasione del Sinodo – noi pensiamo in primo luogo allo Spirito Santo come luce che ci illumina sulle situazioni e ci suggerisce le soluzioni giuste. Pensiamo meno allo Spirito Santo come amore; invece è questa la prima e più essenziale operazione dello Spirito di cui la Chiesa ha bisogno. Solo la carità edifica; la conoscenza – anche quella teologica, giuridica ed ecclesiastica – spesso non fa che gonfiare e dividere. Se ci domandiamo perché siamo così ansiosi di conoscere (e oggi, così eccitati alla prospettiva dell’intelligenza artificiale!) e così poco, invece, preoccupati di amare, la risposta è semplice: è che la conoscenza si traduce in potere, l’amore invece in servizio!
Lo stesso Henri de Lubac ha scritto: “Occorre che il mondo lo sappia: la rivelazione del Dio Amore sconvolge tutto quello che esso aveva concepito della divinità” . A tutt’oggi non abbiamo finito (né si finirà mai) di trarre tutte le conseguenze dalla rivoluzione evangelica su Dio come amore. In questa meditazione vorrei mostrare come, partendo dalla rivelazione di Dio come amore, si illuminano di luce nuova i principali misteri della nostra fede: la Trinità, l’Incarnazione e la Passione di Cristo e diventa meno difficile farli comprendere dalla gente. Quando san Paolo definisce i ministri di Cristo “dispensatori dei misteri di Dio” (1 Cor 4,1), intende questi misteri della fede, non si riferisce a dei riti e neppure in primo luogo ai sacramenti.

Perché la Trinità

Iniziamo dal mistero della Trinità: perché noi cristiani crediamo che Dio è uno e trino? Mi sono trovato più di una volta a predicare la parola di Dio a cristiani che vivono in paesi a maggioranza islamica, nei quali, tuttavia, c’è una relativa tolleranza e possibilità di dialogo, come avviene negli Emirati Arabi. Sono persone, per lo più immigrati, impiegati come mano d’opera. Essi mi hanno chiesto a volte cosa rispondere alla domanda che viene loro rivolta nei luoghi di lavoro: “Perché voi cristiani dite di essere dei monoteisti, se non credete in un Dio unico e solo?”
Dico cosa ho consigliato loro di rispondere, perché è la spiegazione che dovremmo dare a noi stessi e a chi ci interroga sullo stesso problema. Noi crediamo in un Dio uno e trino perché crediamo che Dio è amore. Ogni amore è amore di qualcuno, o di qualcosa; non si dà un amore a vuoto, senza oggetto, come non si dà conoscenza che non sia conoscenza di qualcuno o di qualcosa.
Orbene, chi ama Dio per essere definito amore? L’universo? L’umanità? Ma allora è amore solo da qualche decina di miliardi di anni, da quando cioè esiste l’universo fisico e l’umanità. Prima di allora chi amava Dio per essere l’amore, dal momento che Dio non può cambiare e cominciare ad essere ciò che in precedenza non era? I pensatori greci, concependo Dio soprattutto come “pensiero”, potevano rispondere, come fa Aristotele nella sua Metafisica: Dio pensava se stesso; era “puro pensiero”, “pensiero di pensiero” . Ma questo non è più possibile, nel momento in cui si dice che Dio è amore, perché il “puro amore di se stesso” sarebbe solo egoismo o narcisismo.
Ed ecco la risposta della rivelazione, definita nel concilio di Nicea del 325. Dio è amore da sempre, ab aeterno, perché prima ancora che esistesse un oggetto fuori di sé da amare, aveva in se stesso il Verbo, “il Figlio unigenito” che amava con un amore infinito che è lo Spirito Santo.
Tutto questo non spiega come l’unità possa essere contemporaneamente trinità, mistero inconoscibile da noi perché avviene solo in Dio. Ci aiuta però a intuire perché in Dio l’unità deve essere anche comunione e pluralità. Dio è amore: perciò è Trinità! Un Dio che fosse pura conoscenza o pura legge, o potere assoluto, non avrebbe certamente bisogno di essere trino. Questo anzi complicherebbe le cose. Nessun triumvirato e nessuna diarchia sono mai durati a lungo nella storia!
Anche i cristiani credono dunque nell’unità di Dio e sono perciò monoteisti; un’unità, però, non matematica e numerica, ma d’amore e di comunione. Se c’è qualcosa che l’esperienza dell’annuncio dimostra essere ancora capace di aiutare gli uomini d’oggi, se non a spiegare, almeno a farsi un’idea della Trinità, questo, ripeto, è proprio quello che fa perno sull’amore. Dio è “atto puro” e questo atto è un atto d’amore, dal quale emergono, simultaneamente e ab aeterno, un amante, un amato e l’amore che li unisce.

Il mistero dei misteri non è, a pensarci bene, la Trinità, ma capire cos’è in realtà l’amore! Essendo esso l’essenza stessa di Dio, non ci sarà dato di capire appieno cos’è l’amore neppure nella vita eterna. Ci sarà dato, tuttavia, qualcosa di meglio che conoscerlo, e cioè possederlo e saziarcene eternamente. Non si può abbracciare l’oceano, ma vi si può entrare dentro!

Perché l’incarnazione?

Passiamo all’altro grande mistero da credere e da annunciare al mondo: l’Incarnazione del Verbo. Alla luce della rivelazione di Dio come amore, anch’esso, vedremo, acquista una nuova dimensione. Domando perdono se in questa parte chiedo forse uno sforzo di attenzione superiore a quello che è lecito chiedere agli ascoltatori in una predica, ma credo che lo sforzo valga la pena di essere fatto almeno una volta in vita.
Ripartiamo dalla famosa domanda di sant’Anselmo (1033-1109): “Perché Dio si è fatto uomo?” Cur Deus homo? È nota la sua risposta. È perché solamente uno che fosse nello stesso tempo uomo e Dio poteva riscattarci dal peccato. Come uomo, infatti, egli poteva rappresentare tutta l’umanità e, come Dio, quello che faceva aveva un valore infinito, proporzionato al debito che l’uomo aveva contratto con Dio peccando.
La risposta di sant’Anselmo è perennemente valida, ma non è l’unica possibile, e neppure del tutto soddisfacente. Nel credo professiamo che il Figlio di Dio si è fatto carne “per noi uomini e per la nostra salvezza”, ma non si limita la nostra salvezza alla sola remissione dei peccati, tanto meno di un peccato particolare, quello originale. Resta spazio, dunque, per un approfondimento della fede.
È quello che cerca di fare il beato Duns Scoto (1265 – 1308). Dio – dice – si è fatto uomo perché questo era il progetto divino originario, anteriore alla stessa caduta: che, cioè, il mondo – creato “per mezzo di Cristo e in vista di lui” (Col 1, 16) – trovasse in lui, “nella pienezza dei tempi”, il suo coronamento e la sua ricapitolazione (Ef 1,10).
Dio, scrive Scoto, “anzitutto ama se stesso; poi “vuole essere amato da qualcuno che lo ami in grado sommo fuori di se stesso”; perciò “prevede l’unione con la natura che doveva amarlo in grado sommo”. Questo amante perfetto non poteva essere nessuna creatura, essendo finita, ma solo il Verbo eterno. Questi perciò si sarebbe incarnato “anche se nessuno avesse peccato” . Il peccato di Adamo non ha determinato il fatto stesso dell’incarnazione, ma solo la sua modalità di espiazione mediante la passione e la morte.
All’inizio di tutto c’è ancora, purtroppo, in Scoto, come si vede, un Dio da amare più che un Dio che ama. È un residuo della visione filosofica del Dio “motore immobile”, che può essere amato, ma non può amare. “Dio – aveva scritto Aristotele – muove il mondo in quanto è amato”, cioè in quanto oggetto d’amore, non in quando ama . In linea con la visione occidentale della Trinità, Scoto pone la natura divina, non la persona del Padre, all’inizio del discorso su Dio. E la natura, a differenza della persona, non è un soggetto che ama! In ciò i nostri fratelli ortodossi, eredi dei Padri greci, hanno visto più giusto di noi latini.
Su questo punto, la Scrittura ci chiama tutti, credo, a fare oggi un passo avanti, anche rispetto a Scoto, sempre consapevoli, tuttavia, che le nostre affermazioni su Dio altro non sono che labili segni tracciati col dito sulla superficie dell’oceano. Dio Padre decide l’incarnazione del Verbo non perché vuole avere fuori di sé qualcuno che lo ami in modo degno di sé, ma perché vuole avere fuori di sé qualcuno da amare in modo degno di sé! Non per ricevere amore, ma per effonderlo. Presentando Gesù al mondo, nel Battesimo e nella Trasfigurazione, il Padre celeste dice: “Questi è il Figlio mio, l’amato” (Mc 1, 11; 9,7); non dice: “l’amante”, ma “l’amato”.
Solo il Padre, nella Trinità (e in tutto l’universo!), non ha bisogno di essere amato per esistere; ha bisogno soltanto di amare. Questo è ciò che garantisce il ruolo del Padre come fonte e origine unica della Trinità, mantenendo, nello stesso tempo, la perfetta uguaglianza di natura tra le tre divine persone. C’è, all’origine di tutto, la folgorante intuizione di Agostino e della scuola nata da lui. Essa definisce il Padre come l’amante, il Figlio come l’amato e lo Spirito Santo come l’amore che li unisce . In ciò anche noi Latini abbiamo qualcosa di prezioso e di essenziale da offrire per una sintesi ecumenica. Grazie a Dio, una piena riconciliazione tra le due teologie non sembra più tanto difficile e lontana, ciò che segnerebbe un passo avanti decisivo verso l’unità delle Chiese.

Perché la passione?

Veniamo ora al terzo grande mistero: la passione di Cristo che ci apprestiamo a celebrare a Pasqua. Vediamo come, partendo dalla rivelazione di Dio come amore, anch’esso si illumina di luce nuova. “Dalle sue piaghe siete stati guariti”: con queste parole, dette del Servo di Jahvè (Is 53, 5-6), la fede della Chiesa ha espresso il significato salvifico della morte di Cristo (1 Pt 2,24). Ma possono piaghe, croce e dolore – fatti negativi e, come tali, solo privazione di bene – produrre una realtà positiva qual è la salvezza di tutto il genere umano? La verità è che noi non siamo stati salvati dal dolore di Cristo, ma dal suo amore! Più precisamente, dall’amore che si esprime nel sacrificio di se stesso. Dall’amore crocifisso!

Ad Abelardo che, già a suo tempo, trovava ripugnante l’idea di un Dio che si “compiace” della morte del Figlio, san Bernardo rispondeva: “Non fu la sua morte che gli piacque, ma la sua volontà di morire spontaneamente per noi”: “Non mors, sed voluntas placuit sponte morientis” .
Il dolore di Cristo conserva tutto il suo valore e la Chiesa non smetterà mai di meditare su di esso: non, però, come causa, per se stesso, di salvezza, ma come segno e dimostrazione dell’amore: “Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi (Rom 5,8). La morte è il segno, l’amore il significato. L’evangelista san Giovanni pone come una chiave di lettura all’inizio del suo racconto della Passione: “Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13, 1).
Questo toglie alla passione di Cristo una connotazione che ha sempre lasciato perplessi e insoddisfatti: l’idea, cioè, di un prezzo e di un riscatto da pagare a Dio (o, peggio, al demonio!), di un sacrificio con cui placare l’ira divina. In realtà, è piuttosto Dio che ha fatto il grande sacrificio di darci il suo Figlio, di non “risparmiarselo”, come Abramo fece il sacrificio di non risparmiarsi il figlio Isacco (Gen 22, 16; Rom 8, 32). Dio è più il soggetto che il destinatario del sacrificio della croce!

Un amore degno di Dio

Adesso dobbiamo vedere cosa cambia nella nostra vita la verità che abbiamo contemplato nei misteri di Trinità, Incarnazione e Passione di Cristo. E qui ci aspetta la sorpresa che non manca mai quando si cerca di approfondire i tesori della fede cristiana. La sorpresa è scoprire che, grazie alla nostra incorporazione a Cristo, anche noi possiamo amare Dio con un amore infinito, degno di lui!
San Paolo scrive che: “L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori” (Rom 5,5). L’amore che è stato riversato in noi è quello stesso con cui il Padre, da sempre, ama il Figlio, non un amore diverso! “Io in loro e tu in me -dice Gesú al Padre- perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro” (Gv 17, 23. 26). Notare: “l’amore con cui mi hai amato”, non uno diverso. È un traboccare dell’amore divino dalla Trinità a noi. Dio comunica all’anima –scrive san Giovanni della Croce – “lo stesso amore che comunica al Figlio, anche se ciò non avviene per natura, come nel caso del Figlio, ma per unione” .
La conseguenza è che noi possiamo amare il Padre con l’amore con cui lo ama il Figlio e possiamo amare Gesù con l’amore con cui lo ama il Padre. Tutto, grazie allo Spirito Santo che è quello stesso amore. Cosa diamo, allora, a Dio di nostro, quando gli diciamo: “Ti amo!”? Nient’altro che l’amore che riceviamo da lui! Nulla dunque, assolutamente, da parte nostra? È forse il nostro amore per Dio nient’altro che un “rimbalzare” del suo stesso amore verso di lui, come l’eco che rimanda il suono alla sua sorgente?
Non in questo caso! L’eco del suo amore ritorna a Dio dalla cavità del nostro cuore, ma con una novità che per Dio è tutto: il profumo della nostra libertà e della nostra gratitudine di figli! Tutto questo si realizza, in modo esemplare, nell’Eucaristia. Cosa facciamo in essa, se non offrire al Padre, come “nostro sacrificio”, quello che, in realtà, il Padre stesso ha donato a noi, e cioè il suo Figlio Gesù?
Noi possiamo dire a Dio Padre: “Padre, ti amo con l’amore con cui ti ama il tuo Figlio Gesù!” E dire a Gesù: “Gesù, ti amo con l’amore con cui ti ama il Padre tuo celeste”. E sapere con certezza che non è una pia illusione! Ogni volta che, pregando, cerco di farlo io stesso, mi torna alla mente l’episodio di Giacobbe che si presenta al padre Isacco per ricevere la benedizione, spacciandosi per il fratello maggiore (Gen 27, 1-23). E cerco di immaginare quello che potrebbe dire tra sé Dio Padre, in quel momento: “Veramente, la voce non è proprio quella del mio Figlio primogenito; ma le mani, i piedi e tutto il corpo sono le stesse che mio Figlio ha preso sulla terra e ha portato quassù in cielo”.
E sono sicuro che mi benedice, come Isacco benedisse Giacobbe! E benedice, tutti voi Venerabili Padri, fratelli e sorelle. È lo splendore della nostra fede di cristiani. Speriamo di essere in grado di trasmetterne qualche frammento agli uomini e alle donne del nostro tempo, che sono assetati d’amore, ma ne ignorano la sorgente.

1.H. de Lubac, Exégèse médièvale, I, 2, Parigi 1959, p. 670.
2.Gregorio Magno, Moralia in Job, Epist. Missoria, 4 (PL 75, 515).
3.Henri de Lubac, Histoire et Esprit, Aubier, Paris 1950.
4.Aristotele, Metafisica, XII,7, 1072b.
5.Duns Scoto, Opus Parisiense, III, d. 7, q. 4 (Opera omnia, XXIII, Parigi 1894, p. 303).
6.Aristotele, Metafisica, XII,7, 1072b.
7.Agostino, De Trinitate,VIII, 9,14; IX, 2,2; XV,17,31; Riccardo di San Vittore, De Trin. III,2.18; Bonaventura, I Sent. d. 13, q.1.
8.Bernardo di Chiaravalle, Contro gli errori di Abelardo, VIII, 21-22: “Non mors, sed voluntas placuit sponte morientis”.
9.Giovanni della Croce, Cantico spirituale A, strofa 38, 4.

giovedì 16 marzo 2023

PERCHE' LE SUE SONO PIU' GRANDI? OVVERO...PSICOANALISI DELL'INVIDIA.


COMMENTO AI TESTI DELLA LITURGIA DI OGGI, 16 MARZO 2023, GIOVEDI DELLA III SETT. DI QUARESIMA, CICLO "A" Il muto cominciò a parlare. IL PECCATO DELLA INVIDIA ATTUALIZZAZIONI: LA CRISI GRAVISSIMA NELLA CHIESA TEDESCA



mercoledì 15 marzo 2023

DURA LEX.

 

COMMENTO AL VANGELO DI OGGI, 15 MARZO 2023, MERCOLEDI DELLA III SETT. DI QUARESIMA. Chi insegnerà e osserverà i precetti, sarà considerato grande nel regno dei cieli. Mt 5,17-19 RIF. A: BENEDETTO XVI, OMELIA CELEBRAZIONE EUCARISTICA IN PIAZZA PIŁSUDSKI Warszawa, 26 maggio 2006


martedì 14 marzo 2023

SEI TU, SIGNORE, L'UNICO MIO BENE!

 COMMENTO AL VANGELO DI OGGI, 14 MARZO 2023, MARTEDI DELLA III SETT. DI QUARESIMA

IL PERDONO CRISTIANO MEMORIA GRATA DI CHIARA LUBICH, SERVA DI DIO, FONDATRICE

venerdì 10 marzo 2023

Una gran voglia di prendere marito.

 Commento ai testi della Liturgia di oggi, 10 marzo 2023,

VENERDÌ DELLA II SETTIMANA DI QUARESIMA. La lettura tipologica della Bibbia (cenni) La parabola dei vignaioli omicidi Attualizzazioni



giovedì 9 marzo 2023

LISTEN TO YOUR HEART AND...

 COMMENTO AI TESTI DELLA LITURGIA DI OGGI, 9 MARZO 2023,

GIOVEDÌ DELLA II SETTIMANA DI QUARESIMA Ger 17,5-10 Così dice il Signore: «Maledetto l'uomo che confida nell'uomo, e pone nella carne il suo sostegno, allontanando il suo cuore dal Signore.... Lc 16,19-31 In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti.....


 

mercoledì 8 marzo 2023

I PRIMI DELLA CLASSE...

 COMMENTO AL VANGELO DI OGGI, 08 MARZO 2023.

MERCOLEDÌ DELLA II SETTIMANA DI QUARESIMA Mt 20,17-28 MISSIONE, SERVIZIO, AMORE RIF. ALLA UDIENZA ODIERNA DEL SANTO PADRE La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 6. Il Concilio Vaticano II. 1. L’evangelizzazione come servizio ecclesiale

martedì 7 marzo 2023

GESU' VI HA DETTO, MA IO VI DICO.....

 COMMENTO AL VANGELO DI OGGI, 07 MARZO 2023,

MARTEDÌ DELLA II SETTIMANA DI QUARESIMA. Mt 23,1-12: Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere... ATTUALIZZAZIONI

lunedì 6 marzo 2023

IPSA NOVITAS INNOVANDA EST (RINNOVARE LA NOVITA') - PRIMA PREDICA - QUARESIMA 2023



DI S.EM. REV.MA CARD. RANIERO CANTALAMESSA, OFMCAPP

  La storia della Chiesa di fine Ottocento e inizio Novecento ci ha lasciato una lezione amara che non dovremmo dimenticare per non ripetere l’errore che la provocò. Parlo del ritardo (anzi del rifiuto) di prendere atto dei cambiamenti avvenuti nella società, e della crisi del Modernismo che ne fu la conseguenza.

Chi ha studiato, anche superficialmente, quel periodo conosce il danno che ne derivò per una parte e per l’altra, cioè sia per la Chiesa che per i cosiddetti “modernisti”. La mancanza di dialogo, da una parte spinse alcuni dei più noti modernisti su posizioni sempre più estreme e per finire chiaramente ereticali; dall’altra, privò la Chiesa di enormi energie, provocando lacerazioni e sofferenze a non finire al suo interno, facendola ripiegare sempre di più su se stessa e facendole perdere il passo con i tempi.
Il Concilio Vaticano II è stato l’iniziativa profetica per recuperare il tempo perduto. Esso ha operato un rinnovamento che non è certo il caso di illustrare di nuovo in questa sede. Più che i suoi contenuti, ci interessa in questo momento il metodo da esso inaugurato che è quello di camminare nella storia, a fianco dell’umanità, cercando di discernere i segni dei tempi.
La storia e la vita della Chiesa non si è arrestata con il Vaticano II. Guai a fare di esso quello che si è tentato di fare con il concilio di Trento e cioè una linea di arrivo e un traguardo inamovibile. Se la vita della Chiesa si fermasse, succederebbe come a un fiume che arriva a uno sbarramento: si trasforma inevitabilmente in un pantano o una palude.
“Non pensare – scriveva Origene nel III secolo – che basti essere rinnovati una volta sola; bisogna rinnovare la stessa novità: ‘Ipsa novitas innovanda est’” . Prima di lui, il neo dottore della Chiesa sant’Ireneo aveva scritto: La verità rivelata è “come un liquore prezioso contenuto in un vaso di valore. Per opera dello Spirito Santo, essa ringiovanisce continuamente e fa ringiovanire anche il vaso che la contiene” . Il “vaso” che contiene la verità rivelata è la vivente tradizione della Chiesa. Il “liquore prezioso” è in primo luogo la Scrittura, ma la Scrittura letta nella Chiesa, che è poi la definizione più giusta della Tradizione. Lo Spirito è, per sua natura, novità. L’Apostolo esorta i battezzati a servire Dio “nella novità dello Spirito e non nella vetustà della lettera” (Rom 7,6).
Non solo la società non si è fermata al tempo del Vaticano II, ma ha subito una accelerazione vertiginosa. I mutamenti che un tempo avvenivano in un secolo o due, oggi avvengono in un decennio. Questo bisogno di continuo rinnovamento non è altro che il bisogno di continua conversione, esteso dal singolo credente alla Chiesa intera nella sua componente umana e storica. La “Ecclesia semper reformanda”.
Il vero problema non sta dunque nella novità; sta piuttosto nel modo di affrontarla. Mi spiego. Ogni novità e ogni cambiamento si trova davanti a un bivio; può imboccare due strade opposte: o quella del mondo, o quella di Dio: o la via della morte o la via della vita. La Didaché, uno scritto redatto mentre era ancora in vita almeno uno dei dodici apostoli, illustrava già ai credenti queste due vie.
Ora noi abbiamo un mezzo infallibile per imboccare ogni volta la via della vita e della luce: lo Spirito Santo. È la certezza che Gesú ha dato agli apostoli prima di lasciarli: “Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre (Gv 14, 16). E ancora: “Lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità” (Gv 16, 13). Non lo farà tutto in una volta, o una volta per sempre, ma a mano a mano che le situazioni si presenteranno. Prima di lasciarli definitivamente, al momento dell’Ascensione, il Risorto rassicura di nuovo i suoi discepoli sull’assistenza del Paraclito: “Riceverete –dice – la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra” (Atti 1, 8).
L’intento delle cinque prediche di Quaresima che oggi iniziamo, detto molto semplicemente, è proprio questo: incoraggiarci a mettere lo Spirito Santo nel cuore di tutta la vita della Chiesa, e, in particolare, in questo momento, nel cuore dei lavori sinodali. Raccogliere, in altre parole, l’invito pressante che il Risorto rivolge, nell’Apocalisse, a ognuna delle sette chiese dell’Asia Minore: “Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese” (Ap 2, 7).
È l’unico modo, tra l’altro, che ho per non rimanere, io stesso, del tutto estraneo all’impegno in atto per il sinodo. In una delle mie prime prediche alla Casa Pontificia, 43 anni fa, dissi in presenza di san Giovanni Paolo II: “Io ho continuato a fare per tutta la vita l’umile mestiere che facevo da bambino”. E spiegai in che senso. I miei nonni materni coltivavano, a mezzadria, un vasto terreno collinoso. In giugno o in luglio c’era la mietitura, tutta a mano, con la falce, curvi sotto il sole. Era una fatica immane. Io e miei cuginetti eravamo incaricati di portare continuamente acqua da bere ai mietitori. È quello, dissi, che ho continuato a fare per il resto della vita. Sono cambiati i mietitori, che ora sono gli operai nella vigna del Signore, ed è cambiata l’acqua che ora è la Parola di Dio. Un mestiere, il mio, molto meno faticoso, a dire la verità, di quello dei lavoratori del campo, ma pure esso, spero, utile e in qualche modo necessario.

In questa prima predica mi limito a raccogliere la lezione che ci viene dalla Chiesa nascente. Vorrei mostrare, in altre parole, come lo Spirito Santo guidò gli apostoli e la comunità cristiana a muovere i primi passi nella storia. Quando furono messe per iscritto da Giovanni le parole di Gesú sopra ricordate sull’assistenza del Paraclito, la Chiesa ne aveva già fatto l’esperienza pratica, ed è proprio tale esperienza, ci dicono gli esegeti, che si riflette nella parole dell’evangelista.
Gli Atti degli apostoli ci mostrano una Chiesa che è, passo passo, “condotta dallo Spirito”. La sua guida si esercita non solo nelle grandi decisioni, ma anche nelle cose di minor conto. Paolo e Timoteo vogliono predicare il vangelo nella provincia dell’Asia, ma “lo Spirito Santo lo vieta loro”; fanno per dirigersi verso la Bitinia, ma, è scritto, “lo Spirito di Gesù non lo permette loro” (At 16, 6 s.). Si capisce, dal seguito, il perché di questa guida così incalzante: lo Spirito Santo spingeva in questo modo la Chiesa nascente ad uscire dall’Asia ed affacciarsi su un nuovo continente, l’Europa (cf. At 16,9). Paolo arriva a definirsi, nelle sue scelte, “prigioniero dello Spirito” (At 20,22).
Non è un cammino rettilineo e senza intoppi, quello della Chiesa nascente. La prima grande crisi è quella relativa all’ammissione dei gentili nella Chiesa. Non occorre rievocarne lo svolgimento. Ci interessa soltanto ricordare come viene risolta la crisi. Pietro va verso Cornelio e i pagani? E’ lo Spirito che glielo ordina (cf. At 10,19;11,12). E come viene motivata e comunicata la decisione presa dagli apostoli a Gerusalemme di accogliere i pagani nella comunità, senza obbligarli alla circoncisione e a tutta la legislazione mosaica? È risolta con quelle straordinarie parole iniziali: “È parso bene allo Spirito Santo e a noi…” (15, 28).
Non si tratta di fare dell’archeologia della Chiesa, ma di riportare alla luce, sempre di nuovo, il paradigma di ogni scelta ecclesiale. Non ci vuole molto sforzo infatti per scorgere l’analogia che c’è tra l’apertura che allora si operò nei confronti dei gentili, con quella che oggi si impone nei confronti dei laici, in particolare delle donne, e di altre categorie di persone. Vale la pena perciò rievocare la motivazione che spinse Pietro a superare le sue perplessità e a battezzare Cornelio e la sua famiglia. Leggiamo negli Atti:
Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo discese sopra tutti coloro che ascoltavano la Parola. E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si stupirono che anche sui pagani si fosse effuso il dono dello Spirito Santo; li sentivano infatti parlare in altre lingue e glorificare Dio. Allora Pietro disse: «Chi può impedire che siano battezzati nell’acqua questi che hanno ricevuto, come noi, lo Spirito Santo?». (At 10, 44-47)
Chiamato a giustificare la sua condotta a Gerusalemme, Pietro racconta quello che era accaduto nella casa di Cornelio e conclude dicendo:
Mi ricordai allora di quella parola del Signore che diceva: “Giovanni battezzò con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo!”. Se dunque Dio ha dato a loro lo stesso dono che ha dato a noi, per aver creduto nel Signore Gesù Cristo, chi ero io per porre impedimento a Dio? (At 11, 16-17).
Se guardiamo bene, è la stessa motivazione che spinse i Padri del Concilio Vaticano II a ridefinire il ruolo dei laici nella Chiesa, e cioè la dottrina dei carismi. Conosciamo bene il testo, ma è sempre utile richiamarlo alla memoria:
Lo Spirito Santo non solo per mezzo dei sacramenti e dei ministeri santifica il Popolo di Dio e lo guida e adorna di virtù, ma ‘distribuendo a ciascuno i propri doni come piace a lui’ (cf. 1 Cor 12,11), dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi opere ed uffici, utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa, secondo quelle parole: ‘A ciascuno…la manifestazione dello Spirito è data perché torni a comune vantaggio’ (1 Cor 12,7). E questi carismi, straordinari o anche più semplici e più comuni, siccome sono soprattutto adattati e utili alle necessità della Chiesa, si devono accogliere con gratitudine e consolazione .

Siamo davanti alla riscoperta della natura non solo gerarchica, ma anche carismatica della Chiesa. San Giovanni Paolo II, nella “Novo millennio ineunte”(nr. 45) la renderà ancora più esplicita definendo la Chiesa come gerarchia e come koinonia. A una prima lettura, la recente costituzione sulla riforma della Curia “Praedicate Evangelium” (al di là di tutti gli aspetti giuridici e tecnici sui quali sono un perfetto ignorante) a me ha dato l’impressione di un passo avanti in questa stessa direzione: cioè nell’applicare il principio sancito dal Concilio a un settore particolare della Chiesa che è il suo governo e a un maggiore coinvolgimento in esso dei laici e delle donne.

Ma adesso dobbiamo fare un passo avanti. L’esempio della Chiesa apostolica non ci illumina soltanto sui principi ispiratori, cioè sulla dottrina, ma anche sulla prassi ecclesiale. Ci dice che non tutto si risolve con le decisioni prese in un sinodo, o con un decreto. C’è la necessità di tradurre nella pratica tali decisioni, la cosiddetta “recezione” dei dogmi. E per questo occorrono tempo, pazienza, dialogo, tolleranza; a volte anche il compromesso. Quando è fatto nello Spirito Santo, il compromesso non è un cedimento, o uno sconto fatto sulla verità, ma è carità e obbedienza alle situazioni. Quanta pazienza e tolleranza ha avuto Dio, dopo aver dato il Decalogo al suo popolo! Quanto a lungo ha dovuto –e deve ancora – aspettare per la sua recezione!

In tutta la vicenda appena ricordata, Pietro appare chiaramente come il mediatore tra Giacomo e Paolo, cioè tra la preoccupazione della continuità e quella della novità. In questa mediazione, assistiamo a un incidente che ci può essere di aiuto anche oggi. L’incidente è quello di Paolo che ad Antiochia rimprovera Pietro di ipocrisia per aver evitato di sedere a tavola con dei pagani convertiti. Sentiamo l’accaduto dalla sua viva voce:

Ma quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché aveva torto. Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma, dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi (Gal 2, 11-12) .
I “conservatori” del tempo rimproveravano a Pietro di essersi spinto troppo oltre, andando dal pagano Cornelio; Paolo gli rimprovera di non essersi spinto abbastanza oltre. Paolo è il santo che ammiro e amo di più. Ma in questo caso sono convinto che si è lasciato trascinare (non è l’unica volta!) dal suo carattere di fuoco. Pietro non ha affatto peccato di ipocrisia. La prova è che, in altra occasione, Paolo farà, lui stesso, esattamente, quello che fece Pietro ad Antiochia. A Listra egli fece circoncidere il suo compagno Timoteo “a motivo –è scritto- dei giudei che si trovavano in quelle regioni” (At 16, 3), cioè per non scandalizzare nessuno. Ai Corinzi scrive di essersi fatto “giudeo con i giudei, per guadagnare i giudei” (1 Cor 9, 20) e nella Lettera ai Romani raccomanda di venire incontro a chi non è ancora arrivato alla libertà di cui gode lui” (Rom 14, 1 ss).
Il ruolo di mediatore che Pietro esercitò tra le opposte tendenze di Giacomo e di Paolo continua nei suoi successori. Non certo (e questo è un bene per la Chiesa) in modo uniforme in ognuno di essi, ma secondo il carisma proprio di ognuno che lo Spirito Santo (e si presume i cardinali sotto di lui) hanno ritenuto il più necessario in un dato momento della storia della Chiesa.
Davanti agli eventi e alle realtà politiche, sociali ed ecclesiali, noi siamo portati a schierarci subito da una parte e demonizzare quella avversa, a desiderare il trionfo della nostra scelta su quella degli avversari. (Se scoppia una guerra, ognuno prega lo stesso Dio di dare la vittoria ai propri eserciti e annientare quelli del nemico!). Non dico che sia proibito avere preferenze: in campo politico, sociale, teologico e via dicendo, o che sia possibile non averle. Non dovremmo mai, però, pretendere che Dio si schieri dalla nostra parte contro l’avversario. E neppure dovremmo chiederlo a chi ci governa. È come chiedere a un padre di scegliere tra due figli; come dirgli: “Scegli: o me o il mio avversario; mostra chiaramente da che parte stai!” Dio sta con tutti e perciò non sta contro nessuno! È il padre di tutti.
L’agire di Pietro ad Antiochia – come pure quello di Paolo a Listra – non era ipocrisia, ma adattamento alle situazioni, cioè la scelta di quello che, in una certa situazione, favorisce il bene superiore della comunione. È su questo punto che vorrei continuare e concludere questa prima meditazione, anche perché questo ci permette di passare da quello che riguarda la Chiesa universale a quello che riguarda la Chiesa locale, anzi la propria comunità, o famiglia e la vita spirituale di ognuno di noi. (Che è quello che ci si attende, penso, da una meditazione quaresimale!).
C’è una prerogativa di Dio nella Bibbia che i Padri amavano sottolineare: la synkatabasis, cioè la condiscendenza. Per san Giovanni Crisostomo essa è una specie di chiave di lettura di tutta la Bibbia. Nel Nuovo Testamento questa stessa prerogativa di Dio è espressa con il termine benignità (chrestotes). La venuta di Dio nella carne è vista come la manifestazione suprema della benignità di Dio: “È apparsa la benignità di Dio e il suo amore per gli uomini” (Tito 3, 4).
La benignità –oggi diremmo anche cortesia – è qualcosa di diverso dalla semplice bontà; è essere buoni nei confronti degli altri. Dio è buono in se stesso ed è benigno con noi. Essa è uno dei frutti dello Spirito (Gal 5,22); è una componente essenziale della carità (1 Cor 13,4) ed è indice di animo nobile e superiore. Essa occupa un posto centrale nella parenesi apostolica. Leggiamo, per esempio, nella Lettera ai Colossesi:
Rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di benignità, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi (Col 3, 12-13).
Quest’anno celebriamo il quarto centenario della morte di un santo che è stato un modello eccelso di questa virtù, in un’epoca anch’essa segnata da aspre controversie: san Francesco di Sales. Dovremmo diventare tutti, in questo senso, “salesiani”: condiscendenti e tolleranti, meno arroccati sulle nostre personali certezze. Consapevoli di quante volte abbiamo dovuto riconoscere dentro di noi di esserci sbagliati sul conto di una persona o di una situazione, e di quante volte abbiamo dovuto adattarci anche noi alle situazioni. Nei nostri rapporti ecclesiali non c’è per fortuna – e mai ci dovrebbe essere – quella propensione all’insulto e al vilipendio dell’avversario che si nota in certi dibattiti politici e che tanto danno arreca alla pacifica convivenza civile.
C’è qualcuno, è vero, nei confronti del quale è giusto e doveroso essere intransigenti, ma quel qualcuno sono io stesso, è il mio io. Noi siamo portati, per natura, ad essere intransigenti con gli altri e indulgenti con noi stessi, mentre dovremmo proporci di fare proprio il contrario: severi con noi stessi, longanimi con gli altri. Questo proposito, preso sul serio, basterebbe da solo a santificare la nostra Quaresima. Ci dispenserebbe da ogni altro tipo di digiuno e ci disporrebbe a lavorare con più frutto e più serenità in ogni ambito della vita della Chiesa.
Un ottimo esercizio in questo senso consiste nell’essere onesti, nel tribunale del proprio cuore, nei confronti della persona con cui si è in disaccordo. Quando mi accorgo che sto mettendo sotto accusa qualcuno dentro di me, devo stare attento a non schierarmi subito dalla mia parte. Devo smettere di passare e ripassare le mie ragioni come chi mastica gomma, e cercare di mettermi invece nei panni dell’altro per capire le sue ragioni e quello che anch’egli potrebbe dire a me.

Questo esercizio non si deve fare soltanto nei confronti della singola persona, ma anche della corrente di pensiero con cui sono in disaccordo e della soluzione da essa proposta a un certo problema in discussione (nel Sinodo o in altro ambito). San Tommaso d’Aquino ce ne dà l’esempio: egli premette a ogni sua tesi le ragioni dell’avversario che mai banalizza o ridicolizza, ma prende sul serio e ad esse risponde poi con il suo “Sed contra”, cioè con le ragioni che ritiene le più conformi alla fede e alla morale. Domandiamoci (io per primo): facciamo così anche noi?

Gesù dice: “Non giudicate, per non essere giudicati. [...] Perché osservi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio?” (Mt 7, 1-3). Si può vivere, ci domandiamo, senza mai giudicare? La capacità di giudicare non fa parte della nostra struttura mentale e non è un dono di Dio? Nella redazione di Luca, il comando di Gesù: “Non giudicate e non sarete giudicati” è seguito immediatamente, come per esplicitare il senso di queste parole, dal comando: “Non condannate e non sarete condannati” (Lc 6, 37). Non si tratta dunque di eliminare il giudizio dal nostro cuore, quanto di togliere il veleno dal nostro giudizio! Cioè l’astio, la condanna, l’ostracismo.

Un genitore, un superiore, un confessore, un giudice, chiunque ha una qualche responsabilità su altri, deve giudicare. Talvolta, anzi, il giudicare è, appunto, il tipo di servizio che uno è chiamato a esercitare nella società o nella Chiesa. La forza dell’amore cristiano sta nel fatto che esso è capace di cambiare segno anche al giudizio e, da atto di non-amore, farne un atto d’amore. Non con le nostre forze, ma grazie all’amore che “è stato effuso nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato donato” (Rom 5,5)

Facciamo nostra, a conclusione, la bellissima preghiera attribuita a san Francesco d’Assisi. (Forse non è sua, ma ne riflette alla perfezione lo spirito):
O Signore, fa di me uno strumento della tua pace:
dove è odio, ch’io porti l’amore,
dove è offesa, ch’io porti il perdono,
dov’è discordia, ch’io porti l’unione,
dov’è dubbio, ch’io porti la fede,
dove è l’errore, ch’io porti la verità,
dove è la disperazione, ch’io porti la speranza,
dove è tristezza, ch’io porti la gioia,
dove sono le tenebre, ch’io porti la luce.

E aggiungiamo:

Dove c’è malignità ch’io porti benignità.
Dove c’è asprezza, ch’io porti gentilezza!

1.Cf. Origene, In Rom. 5,8; PG 14, 1042.
2.S. Ireneo, Adversus Haereses, III, 24,1.
3.Lumen gentium, 12

giovedì 2 marzo 2023

DAMMI AMORE, VITA MIA!

 COMMENTO AL VANGELO DI OGGI, 02 MARZO 2023,

GIOVEDÌ DELLA I SETTIMANA DI QUARESIMA. Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto CENNI SULLA PREGHIERA CRISTIANA