lunedì 2 luglio 2012

Il nuovo "custode" della fede


Riporto i due commenti che seguono da "Vatican Insider", a firma di Andrea Tornielli.

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La Congregazione per la dottrina della fede torna a parlare tedesco. Come aveva fatto ininterrottamente per ventitré anni, dal 1982 al 2005, durante il lungo servizio dell’allora cardinale Joseph Ratzinger. Il Papa ha infatti nominato alla guida del dicastero dottrinale il vescovo di Ratisbona Gerhard Ludwig Müller, accettando le dimissioni del cardinale statunitense William Levada. L’annuncio è stato dato in contemporanea, a mezzogiorno di oggi, a Ratisbona e all’ex Sant’Uffizio, dove Müller si trovava.


Il nuovo Prefetto, che viene elevato alla dignità arcivescovile e riceverà la berretta cardinalizia nel prossimo concistoro, ha 64 anni ed è originario di Magonza, nel Land della Renania-Palatinato. Prete a 30 anni e vescovo a 54, Müller è stato per 16 anni professore di dogmatica l’Università Ludwig-Maximilian di Monaco di Baviera.

Il suo relatore per la tesi di dottorato e di abilitazione è stato Karl Lehmann, oggi cardinale e per lungo tempo presidente della Conferenza episcopale tedesca. Ma il nuovo Prefetto non viene considerato vicino alle posizioni di Lehmann.


Müller vive in Baviera dal 1986, da quando divenne professore di dogmatica. Designato alla guida della diocesi di Ratisbona dieci anni fa, nell’ottobre 2002, ha rafforzato i suoi legami con Ratzinger. A Ratisbona c’è l’università dove il Papa ha insegnato fino al 1977, e dove vive ancora il fratello Georg Ratzinger, che ha diretto per decenni il famoso coro dei Domspatzen (i «passerotti del Duomo»). Nel 2006, durante il viaggio in Baviera del Pontefice, Müller gli è stato a fianco. E nel 2010, durante la crisi per lo scandalo pedofilia, il vescovo ha chiesto scusa alle vittime degli abusi avvenuti in passato, seguendo in questo proprio l’esempio di Benedetto XVI. Al tempo stesso ha reagito con fermezza di fronte a chi tentava di associare in qualche modo il nome del fratello del Papa (mai coinvolto) in  casi di abuso avvenuti nel collegio dove alloggiavano i Domspatzen: con una dettagliata ricostruzione delle vicende accadute, pubblicata sul sito web della diocesi, veniva dimostrato che i fatti erano accaduti quando ancora Georg Ratzinger – peraltro mai accusato da nessuno – non dirigeva il coro.

Fra le pubblicazioni di Müller spicca la sua «Katholische Dogmatik. Für Studium und Praxis der Teologie», tradotta anche in italiano (Dogmatica cattolica. Per lo studio e la prassi della teologia): un manuale completo di teologia dogmatica. In Germania il nuovo Prefetto viene considerato un professore e un vescovo di sicura ortodossia, che in diocesi ha ridimensionato l’influenza del movimento di base «Noi siamo Chiesa».
 


C’è anche chi mette in luce, nelle sue opere teologiche, una certa vicinanza pensiero di Karl Rahner (del quale Lehmann era stato collaboratore), e proprio nei mesi in cui la sua candidatura veniva vagliata dal Pontefice è stato ricordato il legame di Müller con uno dei padri della Teologia della Liberazione, padre Gustavo Gutierrez, i cui testi sono stati esaminati a fondo dalla Congregazione per la dottrina della fede allora guidata dal cardinale Ratzinger, ma senza arrivare ad alcuna condanna o sanzione. Il nuovo Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede ha fatto esperienza diretta sul campo della vita della Chiesa con i poveri dell’America Latina, abitando per qulache tempo con i contadini di una parrocchia nelle vicinanze del lago Titicaca, al confine con la Bolivia.


Chi lo ha conosciuto sottolinea che Müller non abbia mai manifestato eccessive simpatie per i nuovi movimenti. Mentre sono note alcune prese di posizione non tenere nei confronti della Fraternità San Pio X. Il nuovo Prefetto, già membro della Congregazione, ha seguito lo svolgersi del dialogo con i lefebvriani, giunto ora a un punto critico: diventando ora presidente della Pontificia commissione Ecclesia Dei, Müller sarà direttamente investito delle trattative. Il vescovo di Ratisbona è anche esperto in ambito ecumenico: fino ad oggi è stato presidente della Commissione della Conferenza episcopale tedesca per l’ecumenismo. Ed è anche il curatore della pubblicazione dell’Opera Omnia di Ratzinger.


Il nuovo Prefetto dell’ex Sant’Uffizio ha un carattere piuttosto timido e questo talvolta può essere scambiato per spigolosità nei rapporti con i suoi collaboratori. Come motto per il suo stemma episcopale, Müller ha scelto «Dominus Jesus», cioè «Gesù è il Signore», tratto dalla Lettera di San Paolo ai Romani, che è anche il titolo della dichiarazione sull’unicità salvifica di Cristo voluta da Giovanni Paolo II e curata dall’allora cardinale Joseph Ratzinger nell’anno 2000.


Negli anni scorsi si era più volte parlato della candidatura del vescovo di Ratisbona per la guida dell’arcidiocesi di Monaco di Baviera. Alla fine del processo il Papa aveva scelto Reinhard Marx, considerato meno profilato di Müller. Con questa nomina e con la decisione del Pontefice di non prestare ascolto a quanti ritenevano il vescovo di Ratisbona troppo «aperto» teologicamente, si conferma la direzione impressa alla Curia romana con le nomine della scorsa settimana.

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 Muller e la Teologia della Liberazione

Il teologo Gustavo Gutierrez
 Il teologo Gustavo Gutierrez

In occasione della nomina del nuovo Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il vescovo tedesco Gerhard Ludwig Müller è stato ricordato il suo legame con Gustavo Gutierrez, uno dei padri della Teologia della Liberazione. Si è diffusa l’idea che Giovanni Paolo II e l’allora cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto dell’ex Sant’Uffizio, abbiano condannato senza appello questa teologia e dunque il rapporto tra un vescovo e un teologo liberazionista (peraltro mai condannato o sanzionato da Roma) sarebbe un elemento «sospetto».


In realtà l’istruzione Libertatis nuntio, pubblicata dalla Congregazione per la dottrina della fede il 6 agosto 1984  metteva in guardia dai rischi e dalla deviazioni di quella Teologia della liberazione che adottava l’analisi marxista della realtà. Erano anni in cui nel «Continente della speranza» c’erano dittature e una parte della Chiesa era schierata con movimenti di liberazione di stampo marxista, anche se con il viaggio di Papa Wojtyla a Puebla, nel 1979, per la riunione dei vescovi del Celam aveva segnato una svolta. Erano gli anni di Reagan, e gli Stati Uniti stanno combattendo con tutti i mezzi «l’impero del male» sovietico: una battaglia cruciale avveniva proprio in America Latina. Nel mirino della Congregazione non c’era però tutta la Teologia della liberazione, nata nei Paesi dell’America Latina negli anni del post-concilio, né tanto meno la sua «opzione preferenziale per i poveri». Ma soltanto l’analisi marxista che alcuni dei teologi utilizzavano.

Il documento parlava infatti della «tentazione di ridurre il Vangelo della salvezza ad un vangelo terrestre», del rischio di «dimenticare e rinviare a domani l’evangelizzazione». Contestava gli «a priori ideologici» che venivano usati come presupposti per la lettura della realtà sociale da parte di certa teologia, che presentava la lotta delle classi come «una legge oggettiva, necessaria» e faceva credere che «entrando nel suo processo, dalla parte degli oppressi si “fa” la verità, si agisce “scientificamente”. Di conseguenza, la concezione della verità va di pari passo con l’affermazione della necessità della violenza». L’eucarestia si trasformava in «celebrazione del popolo in lotta», il «Regno di Dio e il suo divenire si tende ad identificarlo con il movimento della liberazione umana».


È proprio con la pubblicazione di Libertatis nuntio che il cardinale Joseph Ratzinger, arrivato due anni prima alla guida del dicastero dottrinale della Santa Sede, comincia ad essere indicato come il «nemico» dei teologi più aperti, l’«affossatore» delle speranze che il Concilio aveva suscitato nei Paesi poveri. E quello che arriva dalla Chiesa cattolica wojtyliana viene fatto passare come un segnale di appoggio ai regimi anticomunisti che governano diversi stati dell’area latinoamericana.

Eppure, a leggere integralmente quel primo documento sulla Teologia della liberazione, si scoprono passaggi che dimostrano il contrario. «Questo richiamo - scrive la Congregazione nell’introduzione del documento - non deve in alcun modo essere interpretato come una condanna di tutti coloro che vogliono rispondere con generosità e con autentico spirito evangelico alla “opzione preferenziale per i poveri”».

«Essa (la presente Istruzione, ndr) non dovrebbe affatto servire da pretesto a tutti coloro che si trincerano in un atteggiamento di neutralità e di indifferenza di fronte ai tragici e pressanti problemi della miseria e dell’ingiustizia. Al contrario, essa è dettata dalla certezza che le gravi deviazioni ideologiche denunciate finiscono ineluttabilmente per tradire la causa dei poveri».


«Più che mai - continua il documento - la Chiesa intende condannare gli abusi, le ingiustizie e gli attentati alla libertà, ovunque si riscontrino e chiunque ne siano gli autori, e lottare con i mezzi che le sono propri, per la difesa e la promozione dei diritti dell’uomo, specialmente nella persona dei poveri».
 
L’istruzione sostiene inoltre che «lo scandalo delle palesi disuguaglianze tra ricchi e poveri... non è più tollerato». E che «il richiamo contro le gravi deviazioni, di cui sono portatrici talune “teologie della liberazione”, non deve assolutamente essere interpretato come un’approvazione, neppure indiretta, di coloro che contribuiscono al mantenimento della miseria dei popoli, di coloro che ne approfittano e di coloro che questa miseria lascia rassegnati o indifferenti. La Chiesa, guidata dal Vangelo della misericordia e dall’amore dell’uomo, ascolta il grido che invoca giustizia e vuole rispondervi con tutte le forze».


Non manca, nel finale del documento, un riferimento al ruolo dei vescovi, particolarmente significativo per quegli esponenti della gerarchia cattolica considerati troppo «morbidi» con il potere se non «organici» ad esso. «I difensori della “ortodossia” sono talvolta rimproverati di passività, di indulgenza o di complicità colpevoli nei confronti delle intollerabili situazioni di ingiustizia e dei regimi politici che mantengono tali situazioni. Si richiede da parte di tutti, e specialmente da parte dei pastori e dei responsabili la conversione spirituale, l’intensità dell’amore di Dio e del prossimo, lo zelo per la giustizia e la pace, il senso evangelico dei poveri e della povertà. La preoccupazione della purezza della fede non deve essere disgiunta dalla preoccupazione di dare, mediante una vita teologale integrale, la risposta di un’efficace testimonianza di servizio del prossimo, e in modo tutto particolare del povero e dell’oppresso».