giovedì 23 maggio 2013

Nell'accoglienza è in gioco la nostra identità





(Dominique Mamberti) Le vicende di natura politica, o religiosa, di contrasti etnici o razziali, i disastri ambientali, le aggressioni e le occupazioni straniere ed altri eventi che hanno obbligato intere popolazioni, gruppi e singole persone a spostarsi dalla propria patria per trovare accoglienza in altri territori seguono un triste inventario lungo tutti i secoli e risalgono alle origini dell’umanità. La Chiesa si è adoperata a vari livelli in favore dei rifugiati ben prima che esistessero organismi internazionali per proteggerli ed assisterli.
A confermare la sollecitudine pastorale per tutti coloro che si spostano dal proprio Paese o sono costretti a farlo Paolo VI istituì la Pontificia Commissione per la Pastorale dell’Emigrazione e del Turismo, destinata all’attenzione pastorale per le persone in movimento al di là delle frontiere, come sono i rifugiati; e il Pontificio Consiglio Cor Unum, per incoraggiare i fedeli e le organizzazioni cattoliche a testimoniare la carità di Cristo stimolando soccorsi per urgenti necessità, promuovendo iniziative di solidarietà, mantenendo rapporti con gli organismi d’assistenza.
Papa Montini ebbe molto a cuore la situazione dei rifugiati, per i quali si era adoperato anche in modo concreto negli anni della guerra, come sostituto della Segreteria di Stato, e ne parlò in numerosissime esortazioni e discorsi.
Negli stessi anni del suo pontificato vediamo la Santa Sede seguire con molta attenzione nei vari fori internazionali l’evoluzione dell’atteggiamento degli Stati verso i contesti migratori e specialmente di coloro che erano costretti a fuggire dai propri Paesi per gravi ragioni.
A partire dagli anni Settanta, ad esempio, molti Paesi dell’Europa occidentale hanno mutato la propria fisionomia da Paesi di emigrazione a Paesi di immigrazione. Le politiche migratorie che l’Europa stava adottando, tuttavia, si discostavano da quelle del decennio precedente, sia per il mutato quadro economico-politico internazionale, sia perché si stava affermando la concezione che non si potesse risolvere con disposizioni adottate a livello internazionale il problema migratorio tanto variegato. Impostazione che ha tuttora importanti riflessi anche sull’accettazione dei rifugiati.
La Santa Sede, in quegli anni partecipò a numerose iniziative, incontri, conferenze, per associarsi ai tentativi che miravano a superare, almeno per blocchi regionali, la situazione di stallo che si delineava nell’accoglienza e nell’assistenza ai migranti forzati. Così fu presente alla conferenza di Arusha del 1979 e a quella di Ginevra del 1984, che affrontavano i problemi dei rifugiati africani, e a quella di Oslo del 1988 per i rifugiati dell’Africa australe. Ugualmente, si partecipò alle conferenze di Ginevra che intendevano rispondere alla gravissima situazione dei rifugiati indocinesi, nel 1979 e nel 1989, con interventi importanti.
Sono così numerosi gli interventi dei rappresentanti della Santa Sede in diversi fori internazionali per chiedere attenzione e umanità nei confronti dei rifugiati. D’altra parte, la Santa Sede, pur di preservare vite umane non si è astenuta dall’appoggiare anche misure considerate inadeguate e, tuttavia, le uniche che alcuni Paesi erano disposti ad adottare di volta in volta di fronte a massicci esodi di rifugiati, ove diventava difficile uno screening individuale approfondito. Così, ad esempio, quella dell’asilo temporaneo per motivi umanitari concesso da vari Stati europei nei primi anni ’90 ai rifugiati dalla ex-Jugoslavia.
Anche in queste occasioni la voce del Papa ed il suo sostegno concreto, insieme a quello dei dicasteri della Santa Sede, ha affiancato l’opera efficace e discreta delle istituzioni cattoliche di aiuto nelle situazioni più gravi e diverse.
In numerosi viaggi e nei vari continenti i Pontefici hanno fatto visita ai campi di rifugiati, per testimoniare non solo la propria vicinanza e quella di tutta la Chiesa nei confronti di chi è costretto a fuggire e spesso è mancante dei supporti necessari a una vita dignitosa, ma anche per richiamare l’attenzione della comunità internazionale e dell’opinione pubblica su tali vicende e il loro destino.
Negli anni del lungo pontificato di Giovanni Paolo II ricordiamo, tra i moltissimi dedicati a questo tema, almeno alcuni documenti riguardanti la cura pastorale di migranti e rifugiati: Verso una pastorale per i rifugiati, del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, del 1983; I rifugiati: una sfida alla solidarietà, del 1992, curato dal precedente dicastero insieme con il Pontificio Consiglio Cor Unum; e la Carta giubilare dei diritti dei profughi, del 2000, quest’ultima scritta in collaborazione con l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur) e altre istituzioni che si occupano dell’assistenza ai migranti forzati.
V’è poi un’azione della Santa Sede riguardante la situazione in singoli Paesi, specialmente in situazioni di conflitto, o nella fase precedente, o in seguito ai conflitti: potremmo ricordare in moltissime situazioni gli appelli dei Papi, cui facevano eco quelli dei rappresentanti pontifici nei vari Paesi e nei diversi fori internazionali.
Numerosi sono, poi, gli interventi all’assemblea generale delle Nazioni Unite sulle questioni concernenti i rifugiati, i rimpatriati e i profughi, e sulle questioni umanitarie, con cui la Santa Sede ha chiesto il rispetto dei diritti umani e della dignità dei migranti forzati, sottolineando la necessità di condividere i pesi dell’accoglienza con i Paesi che sopportano oneri insostenibili al riguardo, di favorire la riunificazione delle famiglie smembrate nella fuga e di proteggere i più vulnerabili: bambini, donne, disabili, anziani.
Nello stesso tempo, si è sempre sostenuto lo sforzo della comunità internazionale in moltissimi ambiti — all’interno del sistema Onu e fuori di esso, e anche in ambiti informali — di trovare, attraverso un confronto aperto, che comprende fasi di studio, di dialogo, di condivisione di esperienze, la via per affrontare efficacemente il problema e trovare le soluzioni durevoli più rispondenti al bene di chi è costretto a fuggire per difendere la propria vita e la propria dignità.
Anche per Benedetto XVI l’impegno e l’attenzione a questi migranti forzati sono stati costanti: ne ha parlato molte volte e in varie occasioni nelle omelie, nella preghiera all’Angelus domenicale, negli incontri con gli ambasciatori.
Nella sua terza enciclica, Caritas in veritate, Benedetto XVI dedica un intero numero (il 62) al tema delle migrazioni nell’ambito dello sviluppo umano.
Di Papa Francesco abbiamo continue testimonianze della sua vicinanza ai migranti, specialmente ai rifugiati e alle vittime della tratta di persone, sin da quell’appello lanciato proprio il giorno di Pasqua, quando il Pontefice ha chiesto il dono della pace in un mondo ancora «ferito dall’egoismo che minaccia la vita umana e la famiglia, egoismo che continua la tratta di persone, la schiavitù più estesa in questo ventunesimo secolo; la tratta delle persone è proprio la schiavitù più estesa in questo ventunesimo secolo!». In quella stessa occasione, il Papa chiedeva, tra l’altro, la «pace soprattutto, per l’amata Siria, per la sua popolazione ferita dal conflitto e per i numerosi profughi, che attendono aiuto e consolazione».
Non mi soffermo sulle cause che hanno spinto e che spingono tuttora milioni di persone a lasciare tutto quanto hanno di più caro, i loro parenti e talvolta coniugi e figli, e rischiare la vita per fuggire da una persecuzione o da una situazione di grave pericolo. Cause, tuttavia, che se non affrontate con la dovuta attenzione e con rimedi adeguati, costituiscono — come l’esperienza ha, purtroppo, dimostrato — gravi minacce per la pace. L’onere dell’accoglienza di grandi masse di profughi, accompagnato a periodi di crisi economica generalizzata e a preoccupazioni di sicurezza hanno generato e generano tuttora una reazione che si avvicina talvolta alla paura verso i rifugiati, quando non all’ostilità. Reazione che si manifesta anche in modo violento e che spinge molti Paesi, in passato paladini dei diritti dei più vulnerabili in nome di valori di civiltà, a rivedere le loro procedure e ad adottare misure restrittive e dissuasive che bloccano indistintamente i migranti economici e i rifugiati.
Nelle ultime due decadi i conflitti, condotti spesso da attori non statali, sfidano gli operatori umanitari in modo grave e imprevedibile. I civili costituiscono frequentemente gli obiettivi principali e occorre studiare nuove strategie di protezione, siano esse a livello locale, regionale o internazionale.
Tra le sfide che si pongono in tali contesti, assistiamo a tentativi e scenari che la Santa Sede non ha mancato di evidenziare in modo chiaro e fermo, e che riguardano specialmente i settori dell’educazione e della salute dei migranti forzati, particolarmente delle donne e dei minori. Si tratta di pratiche e di metodi (come quelli contraccettivi o abortivi) che risultano spesso imposti, che poco hanno a che fare con le necessità più sentite dai migranti forzati e costituiscono non di rado anche forzature culturali. Di fronte a questa situazione la Santa Sede non può restare in silenzio.
La protezione dei rifugiati riguarda ogni uomo e ogni donna forzati a emigrare e, logicamente, dove queste persone soffrono, non ci possono essere distinzioni di alcun tipo. La carità, che è il riferimento unico dei cristiani, suggerisce poi i modi migliori per affrontare le diverse situazioni, preservano la dignità e i diritti di queste persone.
I migranti non sono numeri anonimi, ma persone, uomini, donne e bambini con le proprie storie individuali, con doni da mettere a disposizione e aspirazioni da soddisfare per il loro bene e per quello dell’umanità.
L'Osservatore Romano

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"Oggi è fondamentale tornare a riflettere sulla situazione dei rifugiati, e più in generale dei migranti forzati, perché la cronaca quotidiana ci riferisce di situazioni drammatiche. Basterebbe pensare a ciò che accade in Siria". Lo sottolinea Laura Zanfrini, docente di sociologia delle migrazioni all'Università Cattolica di Milano, in margine alla Plenaria del Pontificio Consiglio della Pastorale dei migranti e degli itineranti, in corso in Vaticano, alla quale ha partecipato. L'assemblea è dedicata all'impegno pastorale della Chiesa nel contesto delle migrazioni forzate. "Sempre più la figura del migrante forzato - spiega la sociologa - si allontana da quella tracciata dalla Convenzione di Ginevra (1951) e siamo di fronte a emergenze collettive per le quali gli strumenti di protezione attuali risultano insufficienti". "Abbiamo, inoltre, una crescita spaventosa di migranti per ragioni umanitarie, ma non siamo più in grado di distinguerli precisamente da quelli che emigrano per ragioni economiche. Gli Stati che debbono gestire l'accoglienza non riescono così a gestire al meglio le proprie risorse. E' importante che a livello educativo, nei paesi dai quali partono i flussi migratori, sia trasmesso il concetto che ogni volta che si fa un uso improprio dei dispositivi per la migrazione umanitaria si sottraggono risorse ai soggetti davvero vulnerabili". La Plenaria utilizza come strumento di studio il documento, di prossima pubblicazione, "Accogliere Cristo nei rifugiati e nelle persone forzatamente sradicate""E' un testo - spiega la Zanfrini - che chiama in causa la comunità e le istituzioni internazionali, le autorità dei paesi di destinazione, ma anche dei paesi d'origine, che molto spesso chiudono gli occhi sul contrabbando e il traffico di esseri umani e non creano quelle condizioni di vita dignitosa che permettono alle persone di restare nei propri paesi. Ci sono le responsabilità della società civile, del mondo delle imprese, dei consumatori, della famiglie, delle comunità dalle quali partono le migrazioni forzate"."Tutte le ricerche sociologiche - aggiunge - segnalano, poi, l'involuzione dell'atteggiamento degli europei nei confronti dei rifugiati, percepiti sempre più come una minaccia, dal punto di vista economico, politico e identitario. Eppure il 'rifugio politico' è una delle invenzioni più qualificanti della civiltà giuridica europea. E nel momento in cui decidiamo se accogliere o no una persona, mettiamo in gioco la nostra civiltà, la nostra visione del mondo". La Plenaria si occupa anche del fenomeno, drammaticamente attuale, del traffico di esseri umani e del contrabbando di persone. "Il paradosso davanti al quale ci troviamo di fronte - spiega ancora la prof. Zanfrini - è che, da quando c'è l'uomo sulla terra, probabilmente non ci sono mai stati tanti schiavi come oggi. Nell'epoca della globalizzazione e della democrazia ci ritroviamo a fare i conti con l'esplosione del fenomeno della tratta, della schiavitù e del lavoro forzato. Situazioni che mettono in discussione la cultura delle migrazioni. La Chiesa, come istituzione universale, ha una grande arma a sua disposizione. Creare collaborazioni tra le chiese dei paesi d'origine e quelle dei paesi di destinazione per contrastare la tratta. Dobbiamo perciò investire maggiormente in questa cooperazione". (A cura di Fabio Colagrande) 
Radio vaticana

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Rivolgo il mio caloroso benvenuto a tutti i presenti a questa Sessione speciale, nella quale desideriamo commemorare il 25º anniversario dell’istituzione del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, che raccoglie in sé una lunga storia di attenzione pastorale al mondo della mobilità umana.