... non si può prima o poi non parlare di
Giuseppe “sposo” e “padre” in quella famiglia di Nazareth sicuramente
esemplare ma anche unica nella sua eccezionalità. Ci fornisce occasione
per farlo la recente ricorrenza del 1 maggio che, come sappiamo, non è
più soltanto la festa del lavoro ma anche la festa di San Giuseppe,
nella sua veste di patrono dei lavoratori.
Non dimentichiamo però che, nel giorno
dell’Immacolata del 1870, Pio IX aveva già proclamato san Giuseppe
patrono della Chiesa universale. E che, accanto a questi “incarichi”
ufficiali ne esistono altri non meno impegnativi per questo santo, il
quale viene considerato anche il patrono della “buona morte”. Mentre mi
dicono che sia abitudine assai praticata e diffusa tra gli economi e i
gli amministratori di tante comunità religiose ed ecclesiali ricorrere a
San Giuseppe (e pare con risultati pratici talvolta davvero
sorprendenti) nei momenti di gravi e impellenti difficoltà finanziarie.
C’è da rallegrarsene, naturalmente.
Tuttavia, ho il dubbio che in tutto questo fiorire di devozioni,
centrate soprattutto su aspetti particolari – e che nella sua umiltà
certamente san Giuseppe non disdegna – si rischi di annacquare quella
che è invece la centralità e l’importanza di questa figura nella storia
della salvezza.
Cerchiamo allora di ritornare per un
attimo alle origini di tutta la vicenda e di calarci nei panni di questo
giovane uomo ebreo, il quale si trova all’improvviso coinvolto in una
storia inaudita. Maria, sua promessa sposa, riceve e accetta la proposta
divina di diventare, per opera dello Spirito Santo, la madre del
Messia, dell’atteso di Israele. Ha così inizio la sua gravidanza,
esperienza spirituale sicuramente esaltante ma non certo scevra di
complicazioni a livello umano. Come parlarne a Giuseppe, il futuro
sposo? Quale sarà la sua reazione? Sarà egli in grado di capire e
accogliere quanto è avvenuto? E poi, anche ammesso che egli comprenda,
quale sarà d’ora in poi il suo ruolo nei confronti di questa giovane
donna incinta del Figlio di Dio e di quel bambino che nel grembo
verginale sta assumendo la sua fisionomia di uomo?
Problemi chiaramente non di poco conto. I
vangeli, lo sappiamo, non precisano come Giuseppe abbia appreso la
notizia della maternità di Maria. Se cioè sia stata ella stessa a
parlargliene oppure se lo abbiano fatto i genitori di lei (Gioachino ed
Anna, secondo i nomi della tradizione). O se invece sia stato Giuseppe
stesso ad accorgersi dei cambiamenti nel corpo della promessa sposa.
Quel che sappiamo è che ad un certo punto la gravidanza di Maria gli
diventa nota ed egli si trova ad affrontare una grave tempesta
interiore. Gli esegeti sono divisi sui contorni precisi di questo
turbamento: dubita egli forse della fedeltà di Maria? Oppure, proprio
perché crede al racconto della Annunciazione angelica, pensa di farsi da
parte, turbato dal grandioso mistero che tale racconto sottende, nel
quale egli non riesce a capire quale parte debba giocare?
Se i Vangeli non ci forniscono tali particolari,
essi tuttavia ci fanno conoscere l’essenziale. E ciò che è Dio stesso
ad intervenire per illuminare questo “giusto” turbato e
confuso, facendogli sapere anzitutto che ciò che sta avvenendo in Maria è
opera divina alla quale egli è chiamato a partecipare attivamente.
Come? Anzitutto, prendendo presso di sé come sposa colei che sta per
diventare Madre del Messia, proteggendola, come marito agli occhi di
tutti, consentendole dunque di portare a termine in modo tranquillo quel
compito al quale era stata chiamata. Poi, cosa forse ancor più
importante, imponendo al bambino il nome di Gesù. Cioè a dire:
riconoscendo come proprio il figlio di quella che era a quel punto la
sua legittima sposa.
E se ricordiamo che Giuseppe apparteneva alla stirpe di Davide
e che le profezie avevano predetto che proprio da essa sarebbe sorto il
Messia, tutto ciò, alla fine, doveva servire a dimostrare che in quel
bambino esse si erano avverate. La messianicità di quel neonato era
infatti garantita proprio da quel passaggio giuridico indispensabile:
Gesù è figlio di Davide, perché lo è Giuseppe, del quale egli è a sua
volta legalmente il figlio. Anche soltanto da questi brevi richiami
credo ci sia possibile capire come Giuseppe non sia affatto una figura
secondaria nel grande avvenimento della nascita del Salvatore. Ma, al
contrario, come vi abbia svolto una parte vera, positiva, importante,
inferiore solo a quella di Maria. (R. B. Messori)
La nuova bq
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Lunedì 13 maggio a Fatima, nella Cova da Iria - teatro, come si sa, di uno dei più impressionanti avvenimenti della storia del secolo scorso - il Cardinale Patriarca di Lisbona, Sua Em.za Josè Policarpo, ha ufficialmente reso noto il testo della Consacrazione del Ministero petrino di Papa Francesco al Cuore Immacolato. È stato un gesto profondo di fede, voluto dal Santo Padre stesso, nella fondata certezza che la Vergine accolga e benedica i suoi propositi, all’inizio dell’ardua missione, affidatagli dal Cielo, di condurre la Chiesa in questa epoca travagliata.
Stiamo assistendo tutti, stupiti e commossi, ai gesti spontanei e fraterni di questo Pontefice, ennesimo dono della Provvidenza al mondo cinico e indifferente di oggi.
Questo è, da sempre, lo “stile” di Dio. Come nel lontano 1917 al fragore delle bombe, all’odio e ai bagliori di una Guerra, che sembrava infinita e universale, rispose inviando, ancora una volta, sua Madre, messaggera di conversione e di pace, così il Signore rinnova, di tempo in tempo, la sua benevolenza, riaffermando il suo desiderio “che tutti gli uomini siano salvi” (1 Tim. 2,4) e che ritrovino la via della autentica realizzazione di sé, della vera gioia.
Questo “atto di consacrazione” dice (§2): “Le vie del rinnovamento della Chiesa ci conducono a riscoprire l’attualità del messaggio che hai dato ai Pastorelli, l’esigenza della conversione a Dio che è stato tanto offeso perché è stato tanto dimenticato. La conversione è sempre un ritorno all’amore di Dio. Dio perdona perché ci ama. E per questo il suo amore si chiama misericordia. La Chiesa, protetta dalla tua materna sollecitudine e guidata da questo Pastore, si dovrà manifestare sempre di più come luogo della conversione e del perdono, perché in essa la verità si esprime sempre nella carità”.
Vorrei soffermarmi, pur brevemente, su un solo aspetto, non marginale, che tra l’altro felicemente si inserisce nella “Giornata Mondiale della Comunicazione Sociale”, celebrata domenica scorsa, 12 maggio. Fatima spesso - come ricorda il testo sopra citato - richiama un “Messaggio”, l’appello, cioè, rivolto da Maria Santissima, attraverso i piccoli veggenti, al mondo intero. Ella per prima aveva accolto, nella casa di Nazareth, un “annuncio” imprevedibile, da parte del messo celeste, e subito, con la vita e con la parola, iniziò a diffondere nei cuori la bellezza del dono ricevuto.
Maria Santissima ci insegna a comunicare la gioia della presenza di Dio, a farci trasmettitori del Vangelo, affidato alla nostra responsabilità. Tutti siamo anelli vivi nella Tradizione, che trae le sue origini dalla iniziale trasmissione del solo messaggio che ha realmente sconvolto il mondo: Gesù, morto e risorto.
Comunicare la Fede significa non arroccarsi dentro le proprie presunte convinzioni e certezze, arrendersi alle proprie miserie o chiudersi dentro i nostri limiti, ma cercare vie nuove di Verità e di Carità. Comunicare vuol dire entrare in comunione con gli altri, non trattenersi semplicemente sulla soglia dei cuori, ma sentire la responsabilità del destino di chi ci è affidato. Ogni cuore è un dono di Grazia da incontrare, da custodire, da stimare, da incoraggiare. Comunicare significa creare comunione vera e profonda, sentire una sintonia spirituale, che rende il prossimo amabile. Così ha fatto la Vergine Santa a Fatima, cercando il cuore innocente di tre Pastorelli che hanno accolto il suo appello materno e sono divenuti testimoni di luce, comunicatori credibili del Vangelo con la loro vita stessa.
La odierna proliferazione dei mezzi di comunicazione non coincide necessariamente con una vera “comunicazione”. Spesso, soprattutto i più giovani rischiano al contrario di chiudersi nel loro “mondo virtuale”. I “messaggi” stessi, che ci giungono da ogni dove, bombardando i nostri sensi, la nostra intelligenza e la nostra immaginazione, sono spesso devastanti. Per questo sono più che mai urgenti una sana disciplina e un corretto discernimento, per valutare tutto e trattenere ciò che è buono, come suggerisce San Paolo, perché questi straordinari mezzi della comunicazione sociale siano davvero strumenti efficaci di evangelizzazione e di promozione umana.
La “Consacrazione” di Papa Francesco è una nuova ulteriore tappa della “Peregrinatio” nel tempo di Maria Santissima, iniziata 2000 anni fa in Palestina e proseguita, lungo le generazioni, fino ai giorni nostri. È un nuovo anello di questa “comunicazione” nella fede, di cui Lei è Madre e Maestra. Le vie imperscrutabili della Grazia raggiungono i cuori per sentieri spesso sconosciuti agli occhi del mondo, ma noti e graditi agli occhi di Dio. Come torrenti sotterranei di acque risananti raggiungono la nostra vita, la purificano, la attraggono al bene.
Vi sono i canali “visibili” della comunicazione, ma esistono anche le vie nascoste della trasmissione della Grazia: in esse camminiamo, da esse lasciamoci plasmare e illuminare, perché il mondo veda la luce del Vangelo e possa ascoltare ancora una “Parola che salva”.
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Padre Mario Piatti icms è direttore del mensile “Maria di Fatima”
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Maria Santissima, comunicatrice di Grazia
La "Consacrazione" di Papa Francesco è una ulteriore tappa della "Peregrinatio" nel tempo dell'Immacolata
Lunedì 13 maggio a Fatima, nella Cova da Iria - teatro, come si sa, di uno dei più impressionanti avvenimenti della storia del secolo scorso - il Cardinale Patriarca di Lisbona, Sua Em.za Josè Policarpo, ha ufficialmente reso noto il testo della Consacrazione del Ministero petrino di Papa Francesco al Cuore Immacolato. È stato un gesto profondo di fede, voluto dal Santo Padre stesso, nella fondata certezza che la Vergine accolga e benedica i suoi propositi, all’inizio dell’ardua missione, affidatagli dal Cielo, di condurre la Chiesa in questa epoca travagliata.
Stiamo assistendo tutti, stupiti e commossi, ai gesti spontanei e fraterni di questo Pontefice, ennesimo dono della Provvidenza al mondo cinico e indifferente di oggi.
Questo è, da sempre, lo “stile” di Dio. Come nel lontano 1917 al fragore delle bombe, all’odio e ai bagliori di una Guerra, che sembrava infinita e universale, rispose inviando, ancora una volta, sua Madre, messaggera di conversione e di pace, così il Signore rinnova, di tempo in tempo, la sua benevolenza, riaffermando il suo desiderio “che tutti gli uomini siano salvi” (1 Tim. 2,4) e che ritrovino la via della autentica realizzazione di sé, della vera gioia.
Questo “atto di consacrazione” dice (§2): “Le vie del rinnovamento della Chiesa ci conducono a riscoprire l’attualità del messaggio che hai dato ai Pastorelli, l’esigenza della conversione a Dio che è stato tanto offeso perché è stato tanto dimenticato. La conversione è sempre un ritorno all’amore di Dio. Dio perdona perché ci ama. E per questo il suo amore si chiama misericordia. La Chiesa, protetta dalla tua materna sollecitudine e guidata da questo Pastore, si dovrà manifestare sempre di più come luogo della conversione e del perdono, perché in essa la verità si esprime sempre nella carità”.
Vorrei soffermarmi, pur brevemente, su un solo aspetto, non marginale, che tra l’altro felicemente si inserisce nella “Giornata Mondiale della Comunicazione Sociale”, celebrata domenica scorsa, 12 maggio. Fatima spesso - come ricorda il testo sopra citato - richiama un “Messaggio”, l’appello, cioè, rivolto da Maria Santissima, attraverso i piccoli veggenti, al mondo intero. Ella per prima aveva accolto, nella casa di Nazareth, un “annuncio” imprevedibile, da parte del messo celeste, e subito, con la vita e con la parola, iniziò a diffondere nei cuori la bellezza del dono ricevuto.
Maria Santissima ci insegna a comunicare la gioia della presenza di Dio, a farci trasmettitori del Vangelo, affidato alla nostra responsabilità. Tutti siamo anelli vivi nella Tradizione, che trae le sue origini dalla iniziale trasmissione del solo messaggio che ha realmente sconvolto il mondo: Gesù, morto e risorto.
Comunicare la Fede significa non arroccarsi dentro le proprie presunte convinzioni e certezze, arrendersi alle proprie miserie o chiudersi dentro i nostri limiti, ma cercare vie nuove di Verità e di Carità. Comunicare vuol dire entrare in comunione con gli altri, non trattenersi semplicemente sulla soglia dei cuori, ma sentire la responsabilità del destino di chi ci è affidato. Ogni cuore è un dono di Grazia da incontrare, da custodire, da stimare, da incoraggiare. Comunicare significa creare comunione vera e profonda, sentire una sintonia spirituale, che rende il prossimo amabile. Così ha fatto la Vergine Santa a Fatima, cercando il cuore innocente di tre Pastorelli che hanno accolto il suo appello materno e sono divenuti testimoni di luce, comunicatori credibili del Vangelo con la loro vita stessa.
La odierna proliferazione dei mezzi di comunicazione non coincide necessariamente con una vera “comunicazione”. Spesso, soprattutto i più giovani rischiano al contrario di chiudersi nel loro “mondo virtuale”. I “messaggi” stessi, che ci giungono da ogni dove, bombardando i nostri sensi, la nostra intelligenza e la nostra immaginazione, sono spesso devastanti. Per questo sono più che mai urgenti una sana disciplina e un corretto discernimento, per valutare tutto e trattenere ciò che è buono, come suggerisce San Paolo, perché questi straordinari mezzi della comunicazione sociale siano davvero strumenti efficaci di evangelizzazione e di promozione umana.
La “Consacrazione” di Papa Francesco è una nuova ulteriore tappa della “Peregrinatio” nel tempo di Maria Santissima, iniziata 2000 anni fa in Palestina e proseguita, lungo le generazioni, fino ai giorni nostri. È un nuovo anello di questa “comunicazione” nella fede, di cui Lei è Madre e Maestra. Le vie imperscrutabili della Grazia raggiungono i cuori per sentieri spesso sconosciuti agli occhi del mondo, ma noti e graditi agli occhi di Dio. Come torrenti sotterranei di acque risananti raggiungono la nostra vita, la purificano, la attraggono al bene.
Vi sono i canali “visibili” della comunicazione, ma esistono anche le vie nascoste della trasmissione della Grazia: in esse camminiamo, da esse lasciamoci plasmare e illuminare, perché il mondo veda la luce del Vangelo e possa ascoltare ancora una “Parola che salva”.
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Padre Mario Piatti icms è direttore del mensile “Maria di Fatima”