lunedì 13 maggio 2013

Siamo sempre più "ortodossi"...




Intervista con il sociologo Introvigne, curatore dell'«Enciclopedia delle religioni in Italia»: aumentano gli ingressi dei cristiani

Di Andrea Tornielli.È appena arrivata in libreria L'«Enciclopedia delle religioni in Italia» (Editrice Elledici, pp. 1240, 125 euro), un corposo volume curato dal sociologo torinese Massimo Introvigne e da Pierluigi Zoccatelli, rispettivamente direttore e vicedirettore del CESNUR. Vi sono censite e descritte le 836 religioni presenti nel nostro Paese. Un primo dato che emerge dalla ricerca è l'aumento considerevole degli immigrati di fede cristiana ortodossa che si avvicinano ormai alle cifre degli immigrati musulmani e potrebbero superarli nei prossimi anni. Vatican Insider ha intervistato Massimo Introvigne.


Nell'immaginario collettivo gli immigrati sono musulmani, mentre invece la comunità ortodossa è in crescita e nei prossimi anni potrebbe superare quella degli immigrati musulmani. Come si spiega questo fenomeno?

«La più grande comunità ortodossa presente in Italia è quella romena, con 163 parrocchie - e il numero cresce continuamente. L'ingresso della Romania nell'Unione Europea nel 2007 ha reso più facile l'immigrazione in Italia, che è favorita anche dal fatto che il romeno è una lingua neolatina e i romeni, specie i bambini e i giovani, apprendono l'italiano più rapidamente di altri immigrati. Ci sono anche molti romeni cattolici, ma la maggioranza è ortodossa. Nonostante la crisi economica italiana, che ha frenato altri tipi d'immigrazione, le condizioni sociali ed economiche della Romania rendono ancora attraente l'emigrazione in Italia. Lo stesso vale, in misura minore della Romania, per altri Paesi dell'Est a maggioranza ortodossa. La crescita degli immigrati ortodossi in Italia non deriva dunque da ragioni specificamente religiose ma da motivi che attengono ai flussi migratori. Nello stesso tempo, è vero che la Chiesa ortodossa - ancora, specie romena - riesce in Italia a mantenersi in rapporto con la maggioranza dei suoi fedeli immigrati, così che il fenomeno della secolarizzazione degli emigrati - che, lasciato il paese di origine, si allontanano anche dalla religione - per gli ortodossi vale solo relativamente.


Gli appartenenti a minoranze religiose sono il 2,5 per cento dei cittadini italiani, il 7,6 per cento delle persone presenti sul territorio italiano. Perché la sensazione, a livello di opinione pubblica, è invece quella di un'invasione di appartenenti ad altre religioni e in particolare islamici?

«Con un processo che non è nato ma si è notevolmente accelerato con l'11 settembre 2001, l'Europa ha cominciato ad avere paura dell' "invasione dell'islam" e di una conquista del nostro continente da parte dei musulmani non più per via militare - come si tentò fino all'assedio di Vienna del 1683 - ma per via demografica tramite l'immigrazione. Paradossalmente - ma non troppo - questa paura è stata rafforzata da esponenti del fondamentalismo islamico che hanno cominciato a inneggiare a questa conquista dell'Europa tramite l'immigrazione e le famiglie numerose ("voi non fate più figli e noi ne facciamo tanti" e così via). Si è trattato di quello che la sociologia chiama "panico morale", cioè un fenomeno che si fonda su dati e pericoli reali che però nell'immaginario collettivo è amplificato così che diventa difficile distinguere fra statistiche reali e statistiche folkloriche. Non bisogna dimenticare né sottovalutare che alcuni dati sono reali.

In Italia, che per molti anni è stata terra da cui si emigrava e non dove s'immigrava, il numero di immigrati non cattolici e in particolare di immigrati musulmani non è cresciuto in modo graduale come in Francia lungo l'arco di un secolo e più ma in modo rapidissimo lungo l'arco di pochi decenni. Nel 1970 i musulmani in Italia erano qualche migliaio, oggi sono - secondo la nostra Enciclopedia, altri ne stimano di più - 1.475.000, compresi 115.000 che sono cittadini italiani. Una crescita così rapida pone evidentemente dei problemi. Anche l'esistenza di piccole minoranze sedotte dall'ultra-fondamentalismo e dal terrorismo è un dato reale, che le cronache di polizia ci propongono spesso. Tuttavia i problemi si affrontano sempre male se non si parte dai dati statistici reali. Questi dati ci dicono che i musulmani sono numerosi ma non c'è nessuna «invasione». E anche che il pluralismo religioso è un fenomeno culturalmente importante e in crescita, ma statisticamente molto minoritario, se è vero che il 97,5% dei cittadini italiani non fa parte di minoranze religiose».


Il protestantesimo è in crescita in Italia? E se sì, per quali ragioni? A che cosa si deve il successo dei Pentecostali a fronte  della riduzione di appartenenti alle comunità storiche?

«Qualche anno fa una figura storica del protestantesimo italiano, il pastore valdese Giorgio Bouchard, presentando un mio libro disse che quando era nato lui il protestante tipico italiano era uomo, viveva in Piemonte, aveva un cognome come Bouchard ed era valdese. Oggi il fedele protestante tipico italiano è una donna, vive in Campania o in Sicilia, è pentecostale e si chiama Esposito. Il protestantesimo italiano cresce in modo significativo, e questa crescita di deve in larghissima parte alle comunità pentecostali. Il fenomeno è mondiale: ovunque nel mondo le comunità protestanti storiche perdono membri e quelle pentecostali - arrivate ormai al mezzo miliardo di fedeli - ne guadagnano. Certamente - lo sa bene il nuovo Papa Francesco, che si è interessato del fenomeno in Argentina, dov'è molto vistoso - una delle ragioni del successo è la preghiera molto viva e calorosa, che attira ex-cattolici specie nelle zone dove c'era un forte attaccamento a una religiosità popolare che andava certo purificata ed evangelizzata ma che una maldestra "modernizzazione" cattolica ha combattuto, determinando un esodo di cattolici verso il pentecostalismo. Non a caso Papa Francesco nell'incontro con le confraternite del 5 maggio ha messo in guardia contro la liquidazione frettolosa della religiosità popolare. Ma una seconda ragione è riassunta nel titolo di un'opera del giurista e sociologo protestante americano Dean M. Kelley (1926-1997) del 1973, che è diventata un classico della sociologia: Why Conservative Churches Are Growing, "Perché crescono le Chiese conservatrici". A Kelley, che era un dirigente del Consiglio Nazionale delle Chiese americano, quello che riunisce le comunità storiche, il fenomeno non piaceva, ma già nel 1973 lo constatava e prevedeva che sarebbe esploso: adottando posizioni "liberali" su temi come l’aborto e l’omosessualità, e più in generale una teologia progressista che mette in dubbio la storicità della resurrezione e dei miracoli, le comunità storiche ottenevano l’applauso dei grandi media – il che dava loro l’impressione di essere sulla strada giusta – ma nello stesso tempo perdevano a ritmo sempre più rapido membri, che passavano alle comunità più conservatrici, soprattutto pentecostali».
 Le tante denominazioni protestanti fanno sì che dopo la Chiesa cattolica la seconda organizzazione religiosa numericamente più importante tra i cittadini italiani siano i Testimoni di Geova. Che cosa può dirci di loro? Stanno conoscendo un'espansione?

«La grande espansione dei Testimoni di Geova in Italia si è verificata negli anni che vanno dal 1960 al 1990. Dopo, il ritmo di crescita è diventato relativamente modesto, senz’altro più modesto di quello dei protestanti pentecostali. Negli ultimi anni la crescita è ripresa, grazie a una capillare opera di proselitismo tra gli immigrati: i Testimoni di Geova italiani hanno Sale del Regno non solo di lingua araba o romena ma anche cinese, russa, singalese, bengali, tamil. La nostra Enciclopedia documenta per esempio come i Testimoni di Geova in Italia abbiano 32 gruppi e otto congregazioni di lingua cinese diffuse su tutto il territorio nazionale. Per quanto riguarda gli italiani i Testimoni di Geova hanno probabilmente raggiunto un tetto massimo di espansione – con risultati tutt’altro che modesti (circa quattrocentomila fedeli) – e non penso che la crescita possa riprendere ai ritmi degli anni 1970 o 1980. Dal punto di vista sociologico l’Enciclopedia dà rilievo alla svolta del 1995, quando i Testimoni di Geova hanno deciso che non era più opportuno calcolare o proporre date precise per la fine del mondo. L’idea che la fine del mondo sia un evento cruciale per l’esperienza quotidiana dei fedeli e in qualche modo vicino resta importante per i Testimoni di Geova. Ma il fatto che non se ne propongano più date fa sì che la vita di molti Testimoni di Geova oggi preveda l’istruzione superiore per i figli, un’attenzione maggiore alla vita professionale e lavorativa e anche alle vicende della cultura e dello sport (meno della politica, i Testimoni di Geova non votano): tutti elementi che vanno nella direzione di una "normalizzazione" e di un’integrazione maggiore dei Testimoni di Geova nella società italiana, anche se rimangono ovviamente diverse loro caratteristiche peculiari e uniche».

In Italia si sta  verificando un pluralismo religioso crescente. Che cosa ci può dire della tenuta della Chiesa cattolica? E quali sono le proporzioni tra battezzati e praticanti?

«Come ho detto, il pluralismo religioso ha una grande portata simbolica e piccoli numeri reali. La grande maggioranza degli italiani continua a dirsi cristiana, e anche tra gli immigrati i cristiani (sommando pentecostali e ortodossi, più un certo numero d’immigrati cattolici) sono ormai più numerosi dei musulmani. Tutt’altro discorso è valutare il tipo di cristianesimo, o anche di cattolicesimo, che prevale in Italia. I dati nazionali sono molto controversi, ma l’anno scorso lo stesso CESNUR ha condotto una ricerca in un’area della Sicilia i cui dati – o così ci dicono ricerche precedenti - tendono a riprodurre abbastanza fedelmente i dati nazionali italiani, e ha concluso che l’80% si dichiara cattolico, ma solo il 30% ha un contatto almeno sporadico con la Chiesa e i suoi riti. Dedotti gli atei e gli agnostici (poco più del 7%) e gli esponenti di minoranze religiose, rimane un buon sessanta per cento che appartiene a quella categoria maggioritaria in Europa che la sociologa inglese Grace Davie chiama "credere senza appartenere" (believing without belonging): persone che si dichiarano genericamente credenti e in Italia anche spesso genericamente cattoliche ma non vanno in chiesa se non per battesimi, matrimoni e funerali e non mantengono nessun contatto con le istituzioni della Chiesa. È questo Far West della religione la "periferia esistenziale" di cui parla Papa Francesco in relazione alla nuova evangelizzazione».