mercoledì 22 giugno 2016

Un mondo tante missioni



(da Chania Hyacinthe Destivelle) Il Santo e grande concilio della Chiesa ortodossa ha iniziato i suoi lavori, il 20 e 21 giugno, con l’esame del documento intitolato La missione della Chiesa ortodossa nel mondo contemporaneo. È molto significativo che il primo testo analizzato dal concilio sia sulla missione. Di fatto, il documento figura al primo posto all’ordine del giorno della riunione di Creta, mentre era all’ultimo in quello stabilito dalla prima conferenza preconciliare nel 1976. La terza conferenza panortodossa preconciliare del 1986 lo pubblicò, per la prima volta, con il titolo Il contributo della Chiesa ortodossa alla realizzazione della pace, della giustizia, della libertà, della fraternità e dell’amore tra i popoli e alla soppressione delle discriminazioni razziali e altre. Il titolo di allora, che è rimasto come sottotitolo del documento attuale, era innegabilmente segnato dal vocabolario e dalle problematiche dell’epoca in cui venne messo a punto.
Eppure il testo stesso — che fu modificato in seguito — non solo non è invecchiato, ma è ancora molto attuale, senza dubbio per la sua ispirazione profondamente biblica e patristica. Il teologo ortodosso Olivier Clément, quando prese visione della prima versione del 1986, si disse addirittura «meravigliato» del testo, che ritenne «il più profondo e, in definitiva, il più importante, di tutti quelli che [erano] stati elaborati da questa conferenza [del 1986]». Secondo Clément il documento costituiva «una magnifica testimonianza della teologia e dell’antropologia ortodossa applicata alla nostra situazione storica».
Di fatto si tratta proprio di antropologia e non della missione intesa come “evangelizzazione” con i suoi principi, i suoi strumenti e i suoi fini, come un lettore cattolico potrebbe pensare già a partire dal suo titolo. Il testo si concentra sulla missione principale della Chiesa ortodossa: annunciare l’uomo nuovo, rinnovato in Cristo.
In effetti, come spiega l’introduzione, «la Chiesa non resta indifferente ai problemi dell’uomo in tutte le epoche, al contrario partecipa alla sua angoscia e ai suoi problemi esistenziali». La parola della Chiesa «non ha come fine principale quello di denunciare, di giudicare o di condannare il mondo (cfr. Giovanni, 3, 17 e 12, 47), ma di offrirgli come guida il Vangelo del regno di Dio, la speranza e la certezza che il male, sotto ogni sua forma, non ha l’ultima parola e che non bisogna lasciargli seguire il suo percorso».
Come mostra questo brano, il tono del documento è decisamente positivo, soprattutto nel suo esordio. Comprende sei capitoli. Un primo, intitolato Valore della persona umana, ritorna alla sorgente dell’antropologia cristiana: l’uomo è creato a immagine di Dio e il «fine dell’incarnazione del Logos di Dio è la divinizzazione dell’uomo». Il capitolo seguente, dal titolo Libertà e responsabilità, fu scritto in un’epoca in cui gran parte delle Chiese ortodosse si trovava sotto il giogo comunista. Il suo filo conduttore è che la libertà, la quale «rende l’uomo capace di progredire indefinitamente verso la perfezione spirituale, ma, al tempo stesso, comporta il rischio della disubbidienza», è indissociabile dalla responsabilità. In effetti, «la libertà senza responsabilità e senza amore alla fine conduce alla perdita della libertà».
La pace e la giustizia sono l’oggetto del terzo capitolo. La pace cristiana è «più grande ed essenziale di quella promessa dal mondo». È la «pace dall’alto che la Chiesa ortodossa auspica sempre vivamente nelle sue preghiere quotidiane». Questa pace è «sinonimo della giustizia» (Clemente di Alessandria) e «ha la sua origine nella riconciliazione dell’uomo con il Padre celeste». La pace e la giustizia sono anzitutto dei doni, ma dipendono anche dalla «sinergia umana». In effetti — sottolinea il testo riprendendo Basilio il Grande — «non c’è nulla di così specificatamente cristiano come operare a favore della pace».
I titoli del quarto e del quinto capitolo, rispettivamente La pace e la prevenzione della guerra e La Chiesa di fronte alle discriminazioni, furono inizialmente ispirati dal contesto degli anni settanta e ottanta, segnati dal pacifismo e dalla lotta contro ogni forma di segregazione. Ma il loro contenuto, attualizzato, resta molto pertinente. Il testo denuncia non solo le «persecuzioni dei cristiani e di altre comunità a causa della loro fede in Medio oriente e altrove, come pure lo sradicamento del cristianesimo dalla sua culla storica», ma anche «le guerre suscitate dal nazionalismo e quelle che provocano epurazioni etniche, cambiamenti di confini statali e l’occupazione di territori».
L’ultimo capitolo, intitolato La missione della Chiesa ortodossa come testimonianza d’amore nella diaconia, è lungo quasi come i primi cinque tutti insieme. Riassume i principi fondamentali dei diversi aspetti della dottrina sociale cristiana, affrontando in successione i seguenti temi: l’economia, la speculazione, il divario tra ricchi e poveri, la carestia, il consumismo, il ruolo dei media, la secolarizzazione, l’ecologia, la ricerca scientifica, le bioscienze, la famiglia e il matrimonio.
Alcuni potrebbero rammaricarsi per il fatto che il documento resta molto teorico e non fa alcuna menzione dell’esperienza storica delle Chiese ortodosse, specialmente del doloroso periodo che vissero nell’Europa dell’est del ventesimo secolo nei loro rapporti con gli Stati. Ma lì si trattava di stabilire dei principi. In particolare, con questo documento, le Chiese ortodosse si dotarono, per la prima volta, di un testo comune sulla loro concezione dell’uomo, creato a immagine di Dio, e sulle ripercussioni sociali di tale concezione nel mondo contemporaneo. Certo, esistono altri documenti ortodossi su questo tema, soprattutto I fondamenti della dottrina sociale, approvato dal sinodo episcopale della Chiesa ortodossa russa nel 2000. Ma l’interesse del testo sta nell’essere stato preparato da tutte le Chiese ortodosse e nell’essere stato adottato, con alcune piccole modifiche, dal loro Santo e grande concilio.
Si spera che esso venga accettato in seguito anche dalle Chiese assenti alla riunione di Creta, affinché questa antropologia cristiana costituisca la base comune della testimonianza dell’ortodossia nel mondo. Si spera altresì, come il documento stesso auspica, che possa contribuire a «promuovere in ogni direzione la collaborazione inter-cristiana per salvaguardare il valore dell’uomo e, naturalmente, quel bene che è la pace, di modo che gli sforzi pacifici dei cristiani, senza eccezioni, acquistino maggior peso e più forza».
L'Osservatore Romano