sabato 25 giugno 2016

XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) — 26 giugno 2016. Ambientale e commento al Vangelo

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Il Vangelo della 13.ma Domenica del Tempo ordinario presenta il brano in cui Gesù esorta i suoi discepoli a seguirlo verso Gerusalemme dove “sarebbe stato tolto dal mondo”. Il Signore, di fronte alle resistenze di alcuni, afferma:
“Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio”.
Cristo ci ha creati per amare liberamente e per accogliere il Suo invito all’evangelizzazione, perché il perdono divinizzi ogni uomo rendendolo eterno. In gioventù e nel fidanzamento, sposati o meno, nella vedovanza o nella vita religiosa, come nel sacerdozio ministeriale, tutti possiamo testimoniare la vittoria di Cristo sulla morte, con una vita dove risplenda la bontà di Dio, talvolta abbandonando ogni cosa per una risposta autentica alla sua chiamata. Ma è Lui che ci rivela questa missione, stravolgendo sogni e progetti, le sue vie, infatti, non sono le nostre. Ogni invito a seguirlo comporta una totale novità, è vagliato attraverso diffidenze, incomprensioni e, non di rado, l’aperto rifiuto, delle persone più care. La radicalità nel rompere questi legami affettivi, unita alla mitezza nelle avversità, distinguono i veri discepoli del Signore che salgono con Lui a Gerusalemme, ed è questa pacata determinazione che scandalizza e attrae. Decidersi per la Volontà del Padre richiede, però, l’ascolto della Parola di Dio, una liturgia profondamente rinnovata, una catechesi kerigmatica, in un contesto comunitario, in altre parole: tutta la ricchezza dell’iniziazione cristiana. Tu puoi attingere con pienezza a queste fonti, e non accontentarti solo della messa domenicale e di poco altro! (Sanfilippo)


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La sequela di Gesù è un esodo d’amore Commento al Vangelo della XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) — 26 giugno 2016
L'amore autentico desidera il bene dell’amato, per questo conosce il dolore del rifiuto. Per «compiersi» ed «elevare» al Cielo ciò che sta marcendo sotto terra, l’amore di Dio deve farsi pellegrino e scendere nell’abisso del male che incatena il cuore. Con il «volto saldo», pronto per ricevere insulti, sputi e bestemmie, Gesù si reca a Gerusalemme, la Città della Pace che uccide i profeti, la santa e prostituta nella quale si riflette la contraddizione che caratterizza ogni uomo: amato come un figlio, è condannato a vivere come un orfano. Passo dopo passo, villaggio dopo villaggio, rifiuto dopo rifiuto, Gesù si reca pellegrino a Gerusalemme come al cuore malato di ciascuno di noi, dove salire sulla Croce e «compiere» la Pasqua, il passaggio dalla schiavitù alla libertà per ogni uomo.
Secondo la tradizione ebraica, la Pasqua esigeva «preparativi» accurati e lunghi, quanto il cammino di Gesù verso Gerusalemme, e «messaggeri» scelti per realizzarli. Essi, come i membri di uno staff che conosce intimamente il presidente e ne condivide la missione, sono inviati per bonificare e preparare la visita. Anche noi, «angeli inviati davanti al volto» di Gesù, ci «incamminiamo» ogni giorno verso il «villaggio dei samaritani» eretici che rifiutavano scandalizzati il Tempio di Gerusalemme. Siamo inviati in famiglia, al lavoro, a scuola, ovunque la Croce sia di scandalo, per prepararvi la Pasqua del Signore, bonificando la menzogna con l’annuncio del Vangelo caricandoci del rifiuto. E questo non ci piace, piuttosto vorremmo bruciare peccati e peccatori, fraintendendo il fuoco di Elia che incendiò l’idolatria per mostrarne l’inganno e così annunciare la Verità. Ma non è questa la missione di Gesù, e il suo sguardo che ci ha sempre perdonato ce lo ricorda. Siamo inviati a cercare hametz, il lievito vecchio dell’ipocrisia che rifiuta la verità, e a prenderlo su di noi, perché Gesù possa compiere la sua Pasqua.
E non vi è altro modo per rinvenire e smascherare l’ipocrisia che “seguire” Gesù; seguire significa innanzi tutto consegnare la propria vita a un altro. Nello scalare una montagna è fondamentale avere fiducia del capocordata. Seguire Gesù è rinunciare ad aprire il cammino, a decidere strategie e rotte: è fidarsi e seguire le orme, fissare le sue spalle, il segno dell’amore che ci ha chiamati caricando la Croce. Seguire Gesù è affidargli la vita sul concreto legno della Croce che ci accompagna ogni giorno, rinunciando a se stessi in ogni relazione per vivere la sua vita.
Ma questo è possibile solo se si ama. Non si è discepoli in virtù di una propria scelta, neanche di un desiderio, per sublime che sia, come nessuno decide se, quando e dove innamorarsi. E’ un’elezione gratuita per “vivere disposti al volo, pronti a qualunque partenza. È il futuro inimmaginabile, l’irraggiungibile futuro di quella promessa di vita vera che l’amore insinua in chi lo sente» (Maria Zambrano). La sequela di Gesù è unesodo d’amore alla ricerca della libertà, come fu per il Popolo d’Israele. Nessun merito, nessun requisito se non quello di essere il più insignificante e testardo della terra, e, per questo, amato gratuitamente.
Il “discepolo” è l’uomo della Pasqua, si nutre del pane della fretta, non ha luogo dove riposare; è attratto in un esodo che lo strappa alla schiavitù insieme a un popolo che mostrerà al mondo il destino di libertà preparato per ogni uomo. Per questo si lascia alle spalle gli Egiziani, il mondo, non ha tempo per guardarsi indietro e salutare e seppellire il passato di catene e schiavitù, i legami di carne destinati a corrompersi. Non perde tempo cercando di ricomporre le relazioni morbose, idolatriche, carnali: le seppellirà Dio affogandole nel mare per non rivederle mai più… Il discepolo di Gesù è un innamorato, immerso in un amore che lo ha raggiunto senza vedersi porre condizioni, laddove egli si trovava, come Matteo, come Zaccheo, senza il tempo di riordinare, di farsi belli, piacevoli, attraenti. Come Israele, sposa infedele raggiunta, amata e perdonata dal Signore.
Lo stesso amore di Dio che “dei due fa una cosa sola” è la sorgente della sequela: ogni vocazione è un sacramento, una Parola di Dio che crea una novità celeste nella carne e nella storia degli uomini. Così il matrimonio, il presbiterato, la vita religiosa, la vita missionaria e itinerante, tutto scaturisce dalla stessa Parola creatrice: solo in essa un uomo e una donna possono lasciare suo padre e sua madre. Non si può seguire Cristo rimanendo con cuore, mente e carne nella propria casa, cercando sempre negli affetti e negli idoli mondani un “luogo dove reclinare il capo”.
Così come chi, pur sposandosi, non abbandona mai la propria casa di origine, e cerca di farne una replica. Seguire Cristo è lanciarsi in un’avventura di cui non si conosce nulla, se non l’amore che ci ha raggiunti, salvati e liberati. Un amore infinito presuppone spazi, prospettive, esiti senza limiti. Seguire Gesù, non è altro che essere cercati, ritrovati, amati e caricati sulle spalle dal Buon Pastore, e imparare, ogni giorno, a posare lo sguardo esattamente dove lo posa Lui, perché “amarsi non vuol dire guardarsi l’un l’altro, ma guardare insieme nella stessa direzione” (Antoine de Saint-Exupéry).

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Lectio divina sulle letture per la XIII domenica del Tempo Ordinario (Anno C) — 26 giugno 2016

di  Francesco Follo*
XIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 26 giugno 2016
1) Il cammino definitivo verso Gerusalemme.
Nel capitolo 9 di San Luca, di cui la liturgia della Messa di oggi ci propone l’ultima parte, sono riferiti alcuni momenti importanti della vita di Cristo, che è utile ricordare.
Li richiamo brevemente.
Prima di tutto Gesù invia in missione i Dodici Apostoli. Questi hanno ascoltato e accolto il suo annuncio quindi, a loro volta, possono diffonderlo (cfr Lc 9,1-6). Al loro ritorno li coinvolge nella moltiplicazione dei pani, che non è solamente un’anticipazione simbolica dell’Eucaristia., ma una vera e profonda rivelazione di Gesù e della sua esistenza e, quindi, di una vera rivelazione del gesto eucaristico. Per l’evangelista San Luca la distribuzione dei pani, l’ultima Cena e la cena di Emmaus sono i pilastri che manifestano la logica dell’esistenza di Gesù: una vita in dono.(cfr Ibid. 9,10-17).
Poi, Pietro riconosce Gesù come il Cristo, il Messia atteso dal popolo di Israele (cfr Ibid.  9,18-21). E questo è un momento molto importante perché Gesù è riconosciuto come il Cristo di Dio. Tuttavia per scoprirlo completamente sono necessarie la morte e la risurrezione, quindi Gesù comincia ad annunciare ai suoi il proprio destino di passione (cfr. Ibid. 9,22-23). E’ una vocazione che richiede certe rinunce. Chi vuole seguire Gesù deve come Lui rinunciare alla propria vita, per poi ritrovarla (cfr Ibid. 9,23-26).
Inoltre, per sostenere i suoi Apostoli in questo cammino, Gesù dà un “assaggio” della sua gloria futura ai tre Apostoli da lui preferiti: è la Trasfigurazione (cfr. Ibid. 9,28-36). Disceso dal monte, rivela ancora una volta la sua forza nei confronti del maligno (guarigione del ragazzo epilettico: Ibid. 9,37-43) e annuncia di nuovo la sua passione e morte (cfr. Ibid. 9,43-45), ma i discepoli non comprendono e si mettono a discutere su chi sia il più grande tra di loro (cfr Ibid. 9, 46-50).
Ed eccoci alla fine del capitolo 9. In questo brano (vv. 51-62), letto durante la liturgia per questa domenica, sono descritte la ferma decisione di Cristo di compiere il suo esodo andando a Gerusalemme  e tre risposte di come il discepolo debba seguire il Maestro.
Vale la pena di notare che in questa parte definitiva dell’esodo di Cristo verso il Padre, i gesti di misericordia, i miracoli e gli insegnamenti continuano. 
2) Le esigenze della sequela.
Gesù intraprende la strada verso Gerusalemme dove -con consapevolezza, coraggio e decisione – va per dare la vita per chi lo ammazza (cfr. Ibid. 9,51). Il Figlio di Dio cammina risolutamente verso Gerusalemme, volge il suo volto, fermo e deciso (in effetti il testo greco usa questa espressione: “Rese di pietra il suo volto”, così il testo greco che è stato tradotto con: “Gesù prese la ferma decisione”) verso la sua Pasqua di liberazione per noi. È un cammino, fatto non senza gran fatica e con decisione ferma., ma è un cammino libero e di libertà.
Cristo ci ha liberati per la libertà di figli di Dio. Per essere liberi, dietro Gesù, bisogna camminare secondo lo Spirito e nell’osservanza dei comandamenti donati da Dio per amore. I Dieci Comandamenti non sono un inno al “no”, sono sul “sì”. Un “sì” a Dio, il “sì” all’amore, e poiché io dico di “sì” all’amore, dico “no” al non amore, ma il “no” è una conseguenza di quel “sì” che viene da Dio e ci fa amare.
Riscopriamo e viviamo le Dieci Parole di Dio (in greco c’è “logoi” che di solito è tradotto con comandamenti ma letteralmente significa “parole”). Diciamo “sì” a queste “dieci vie d’amore” perfezionate da Cristo, per difendere l’uomo e guidarlo alla vera libertà.
Se poi vogliamo vivere con pienezza queste vie non ci resta che seguire Cristo nel suo esodo a Gerusalemme, che non è solo quella in Terra santa, ma è quella nel Cielo.
Questa sequela ha almeno tre caratteristiche.
La prima caratteristica è quella del distacco o del vero rapporto con i beni materiali.
In effetti, nel vangelo di oggi vediamo che un uomo, lungo la strada verso la libertà, chiede a Gesù di volerlo seguire. Quest’uomo è già consapevole che la sequela comporti una vita itinerante: “Ti seguirò dovunque tu vada” (Ibid. 9, 57). Ma c’è qualcosa in più che deve sapere: non semplicemente la povertà materiale ci è richiesta, né semplicemente la fatica di una vita pellegrinante. Il primo dono che Gesù ci fa se lo seguiamo poveramente è  quello della libertà dalle cose: se vogliamo possederle ci possiedono, se ne facciamo il fine della nostra vita siamo usati come mezzi di produzione di cose. Se invece non sono fini, ma mezzi, li possiamo usare e servono. Servono, per fare una vita umana che è una vita da figli e da fratelli. E’ la vita di comunione, mentre troppo spesso si lotta anche fino alla morte. La prima condizione per seguire Cristo ed essere persone libere, il primo dono che Dio vuole farci è la povertà spirituale e se qualcuno è chiamato, anche la povertà materiale, che è un gran dono di Dio. Questa povertà significa che non siamo ciò che abbiamo, altrimenti ci identifichiamo con le cose, che diventano il nostro dio o, per essere più precisi, il nostro idolo, il nostro fine,  a causa del quale distruggiamo gli altri e, infine, noi stessi.
La seconda caratteristica è quella del rapporto con le persone e che nulla sia anteposto a Dio.
Di fronte alla richiesta di Gesù: “Seguimi” per vivere nella luce e nell’amore, il secondo uomo del Vangelo di oggi chiede un rinvio. La risposta di Gesù è categorica: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti” (Ibid. 9, 59 -60). Certamente si tratta di un linguaggio paradossale. Non è questione di seppellire o no i propri cari. È questione di accorgersi che è arrivata una novità che tutto fa impallidire.
Spero di non sbagliarmi se affermo che è un invito alla castità, a cui tutti siamo chiamati: nessuna persona, nessun dovere, nessun affetto è assoluto. Solo Dio, che non abbiamo mai visto, è assoluto. Tutto il resto è relativo e soprattutto non è mai da possedere. Quella relazione di amore reciproco, cioè quello stesso amore che Dio ha per noi gratuito, di dono, è lo stesso amore che abbiamo con l’altro, di dono reciproco e di perdono.
Se la prima caratteristica della sequela è il distacco dalle cose e la seconda è il distacco dalle persone, la terza è il distacco da se stessi, che non si riduce alla storia passata. L’essere umano è struttura di domanda, desiderio di infinito, apertura alla promessa di Dio.
In effetti, nel terzo dialogo leggiamo di un altro sconosciuto che è disposto a seguire Gesù ma chiede il tempo di salutare quelli di casa. Il verbo greco significa salutare e lasciare. Gesù risponde con una specie di proverbio: “Chi ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, non è adatto per il regno di Dio”. Se il contadino vuole arare va diritto, non può permettersi di guardare indietro. In altre parole, la sequela non sopporta rinvii, né distrazioni, né nostalgie,
Detto sinteticamente: il seguire Cristo è una scelta di libertà che deriva dal distacco dalle cose e dalle persone, il distacco dalle cose, e dalla fiducia in Dio.
3) La sequela della vergini consacrate nel mondo.
Capiamo con la mente ed anche con il cuore che seguire Gesù vuol dire quindi radicarsi nella sua parola e accogliere la sua Persona di Messia e Figlio di Dio senza riserve, senza anteporre a lui i nostri pensieri e i nostri affetti famigliari
A questo riguardo le Vergini consacrate nel mondo testimoniano che nessunaffetto viene prima di Dio. È la castità dell’anima e del corpo, il loro essere “spose” di un Dio da amare in modo assoluto. Al primo posto è Dio. Volgersi indietro è rimpianto, esitazione. La scelta per Cristo è la conversione continua che la verginità rende costante e trasforma in offerta, in sacrificio gradito a Dio.
Seguire Gesù verginalmente vuol dire seguirlo incondizionatamente. Il seguire Cristo  esige una fedeltà ed un amore, che mettano sempre al primo posto Dio e il Suo regno. L’esito è una vita feconda e gioiosa. Infatti, il Redentore ha detto: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la propria croce ogni giorno, e mi segua; perché, chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà” (Lc 9,23-24). Dunque, la sequela di Cristo è una via Crucis non perché il dolore e la morte debbano essere l’approdo ultimo della vita, ma perché, come fu per Cristo, mistico chicco di grano caduto nella terra, da quella morte redentrice nascesse nuova vita.
Così ogni rinuncia fatta per seguire il Figlio di Dio, non segna semplicemente un cammino di sterile mortificazione, ma apre la via ad un’esistenza che, incessantemente, si rinnova nella grazia e rende la persona capace di percorrere il cammino della libertà più vera, quella che ci è donata in Cristo. Le persone vergini ce lo testimoniano in modo significativo, perché tutti i cristiani rispondano a questa vocazione: “Voi, fratelli siete stati chiamati a libertà, purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri…Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito …”
Dunque la vocazione di ciascuno di noi alla sequela di Cristo è vocazione alla libertà autentica, che è dono del Padre nel Figlio per mezzo dello Spirito, il quale illumina e conduce alla pienezza della vita.
Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi